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2. Il ruolo della cassa integrazione guadagni

1.2 Le cause integrabili

Il trattamento della cassa integrazione guadagni può essere concesso solo in presenza di determinate condizioni, ossia causali, definite “cause integrabili”. Ciò significa che l’ordinamento individua delle casistiche specifiche (anche se spesso le indicazioni normative sono ampie e generali) che meritano l’intervento previdenziale di tutela: è questa la seconda condizione, dopo l’appartenenza a uno dei settori protetti, richiesta dalla legge per l’accesso all’integrazione salariale.

Le cause integrabili della cassa integrazione ordinaria sono indicate nell’art. 1, 1° co., della l. n. 164/1975, secondo il quale essa può essere richiesta nei casi di sospensione del lavoro o di riduzione dell’orario lavorativo per contrazione o sospensione dell’attività produttiva per situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai, ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato. Si individuano dunque due diverse ipotesi che giustificano l’ammissione al trattamento previdenziale ordinario.

Per quanto riguarda la prima, si tratta del caso in cui degli eventi transitori e non imputabili, né al datore di lavoro, né ai suoi dipendenti, abbiano determinato una contrazione o la totale sospensione dell’attività produttiva dell’impresa. La seconda, invece, si riferisce al caso di difficoltà e crisi temporanee del mercato. Sebbene la legge non contenga una tipizzazione delle fattispecie, in ogni caso si possono rintracciare due requisiti fondamentali validi per entrambe le causali: la non imputabilità e la temporaneità della circostanza scatenante la contrazione o la sospensione dell’attività.

Cosa si intende per non imputabilità?

L’impianto originario dell’istituto (quello vigente ai sensi del d.lgs.lgt. n. 788/1945 e del d.lgs.C.P.S. n. 869/1947) contemplava unicamente l’ipotesi degli eventi non imputabili all’imprenditore o agli operai, risentendo evidentemente delle ragioni storiche legate al conflitto mondiale che avevano determinato la necessità dell’introduzione della cassa integrazione guadagni. Mazzotta11 e Cinelli12 ritengono che in quel contesto, questo istituto era votato a intervenire in casi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per eventi oggettivi, non riconducibili in nessun caso alla volontà delle parti. La non imputabilità, dunque, coincideva con l’impossibilità assoluta e oggettiva. Tuttavia, come afferma anche Renga, la prassi amministrativa successiva ha spesso

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Mazzotta O., op. cit., pp. 622-3.

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concesso il trattamento di integrazione salariale anche a fronte di “contrazioni dell’attività produttiva non riconducibili a vere e proprie ipotesi di impossibilità oggettiva sopravvenuta ma a situazioni di mera difficultas connesse a scelte non arbitrarie dell’imprenditore”13; la legge ha in seguito codificato questa pratica già acquisita attraverso l’introduzione della seconda causale prevista dalla l. n. 164/1975, ossia quella delle temporanee situazioni di mercato, che difatti riflette una mera difficoltà, solo temporanea, a far fronte ai propri impegni. Lo stesso ha ritenuto la Corte Costituzionale nella sentenza n. 439 del 1991, ribadendo che questa causa integrabile “prescinde dall’esistenza di cause di forza maggiore” e interviene nel caso in cui le imprese “si trovino non già in una condizione di sopravvenuta impossibilità temporanea di ricevere la prestazione lavorativa, bensì in una situazione di mercato non favorevole”.

Alla luce di questa previsione legislativa, è apparso chiaro che il concetto di non imputabilità non è sinonimo di impossibilità oggettiva della prestazione14. In proposito Cinelli sottolinea come, nell’identificazione della causa, dell’evento o della circostanza non imputabile che ha provocato la contrazione o la sospensione dell’attività produttiva, il primo concetto possa essere piuttosto sostituito da quello della “non arbitrarietà” delle scelte dell’imprenditore; l’autore inoltre sostiene che “la giustificazione sostanziale dell’intervento della Cassa si estende a tutti i casi in cui, pur non essendovi una oggettiva ed assoluta impossibilità, l’imprenditore abbia comunque usato la normale diligenza, secondo i canoni dell’art. 1176 c.c.”15. Anche Mimmo ritiene che “il requisito della non

imputabilità non deve essere inteso nel senso di impossibilità oggettiva sopravvenuta […] ma nel senso di mera difficultas a fronte del quale l’adempimento, pur non essendo materialmente impossibile, richiederebbe uno sforzo e un grado di diligenza superiore a quello richiesto dall’art. 1176 c.c.”16. Peraltro l’INPS, nella circolare n. 169 del 2003, ha definito la non imputabilità non

solo come involontarietà o mancanza di imperizia o negligenza delle parti, ma anche come non riferibilità all’organizzazione o programmazione aziendale. Infine anche la Cassazione ha concluso che affinché si configuri una causa integrabile, è necessario che intervengano “contingenze temporanee ed eccezionali o imprevedibili, non ricollegabili comunque, sotto qualsivoglia aspetto, alla volontà del titolare della impresa interessata”17.

È quindi possibile sintetizzare che la prima causa integrabile prevista dalla l. n. 164/1975 riguarda “tutti quei fatti strettamente connessi all’attività produttiva, ma indipendenti dalla reale

13 Renga S., op. cit., pp. 543-4.

14 Si ricorda che la Cassazione, tra le altre nelle sentenze n. 7302/1990 e 12130/2003, ha definito l’impossibilità

sopravvenuta oggettiva come “non utilizzabilità della prestazione lavorativa per fatti non addebitabili allo stesso datore di lavoro in quanto non prevedibili, né evitabili, né riferibili a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale o a calo delle commesse o a crisi economiche congiunturali e strutturali.

15 Cinelli M., op. cit., pp. 353-4. 16

Mimmo G., op. cit., p. 532.

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volontà dell’imprenditore e dal normale andamento dell’azienda”18

, quali ad esempio le intemperie stagionali, i casi di alluvione o terremoto, factum principis, l’occupazione dell’azienda da parte di terzi, la mancata fornitura dell’energia elettrica per fatto proprio dell’ente erogatore, l’assenza di scorte non imputabile a errore organizzativo, caso fortuito, sciopero attuato da altra maestranza nell’ambito della stessa unità produttiva19. Dunque, nel novero degli “eventi transitori non

imputabili” si colloca anche la particolare categoria degli eventi oggettivamente non evitabili: si tratta di eventi, non imputabili, che risultano imprevedibili ed estranei al normale rischio d’impresa e che configurano una effettiva ipotesi di impossibilità sopravvenuta oggettiva (questa nozione non è introdotta dal legislatore per circoscrivere l’ambito d’intervento della cassa integrazione, quanto per differenziare alcuni aspetti della disciplina, come verrà evidenziato in seguito: Mazzotta ritiene che essa “costituisca un quid più restrittivo a fronte della individuazione delle cause integrabili”20

). Invece, non rientrano nella casistica, in quanto eventi imputabili al datore di lavoro o ai dipendenti: la serrata, lo sciopero da parte dei lavoratori per i quali si chiede l’integrazione salariale, l’inventario annuale o la chiusura dell’azienda disposta dall’autorità per mancata adozione delle misure di igiene e sicurezza.

Per “situazioni temporanee di mercato”, invece, si intendono ipotesi di mera difficoltà definita dalla Cassazione come “non convenienza economica di recezione della prestazione – che in sé e per sé resta perfettamente possibile”21

, vale a dire casi di difficoltà economico-gestionali derivanti da fatti economici contingenti, da crisi di mercato non riconducibili a casi di impossibilità oggettiva, ma che siano ascrivibili a decisioni non arbitrarie del datore di lavoro, quali per esempio la diminuzione di una commessa. Proprio con riferimento a quest’ultima ipotesi, l’INPS con il messaggio n. 28069 del 2009, ha comunicato che per dimostrare la mancanza di commesse l’azienda deve fornire il numero delle stesse, il fatturato del periodo richiesto paragonato al fatturato dello stesso periodo per anni precedenti, i consumi energetici, i bilanci e le denunce IVA. Questa documentazione (insieme all’analisi del periodo dell’anno in cui si verifica la sospensione dell’attività produttiva22

) è necessaria per poter distinguere il caso della mancanza di commesse da quello delle ricorrenti soste stagionali, che non costituisce un’ipotesi integrabile poiché difetta del requisito della transitorietà23. Un altro caso è quello affrontato dal Consiglio di Stato nella sentenza

18 Ibidem.

19 Caso ammesso dalle circolari INPS n. 2022 del 1966 e n. 50148 del 1971.

20 Mazzotta O., op. cit., p. 625. Ciò è confermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 4379 del 1988, la quale riporta

che la nozione di evento oggettivamente non evitabile, riferendo a forza maggiore, contiene un quid pluris rispetto agli eventi previsti dalla prima ipotesi dell’art. 1 della l. n. 164/1975.

21 Cass. 17 luglio 1990, n. 7302.

22 Come riportato nella circolare INPS n. 117 del 2009. 23

La circolare Inps n. 249 del 1990 definisce i principi per valutare le richieste di cassa integrazione ordinaria da parte di imprese soggette a contrazioni ricorrenti della produzione, escludendo che possa essere considerato transitorio un

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23 febbraio 2011, n. 1131, nella quale si è escluso che la mancata fornitura di un bene o di una materia prima da parte di un committente integri i presupposti per l’erogazione della cassa integrazione ordinaria, trattandosi invece di una semplice ipotesi di inadempimento contrattuale24. Il Consiglio ha infatti sentenziato che non rientrano nelle fattispecie integranti il trattamento di integrazione salariale quelle che concernono “comportamenti inadempienti di soggetti contraenti con l’imprenditore, dato che in tal caso il rimedio che l’ordinamento offre secondo le normali regole in punto di responsabilità contrattuale” garantisce tutela al danneggiato; in caso contrario “l’istituto dell’integrazione salariale verrebbe inammissibilmente piegato al perseguimento di finalità estranee e si tradurrebbe, altrettanto inammissibilmente, in un meccanismo di immediata socializzazione del rischio di impresa”. Con riferimento invece all’ipotesi della sospensione dei lavori da parte del committente (anche ente pubblico), la circolare INPS n. 169 del 2003, ha previsto che siano ammissibili le richieste di integrazione salariale avanzate dalle aziende appaltatrici nel caso in cui la sospensione dei lavori “derivi da fatti assolutamente imprevedibili e dovuti a eventi eccezionali, fortuiti e di forza maggiore”; la richiesta invece non è ammissibile quando l’ordine di sospensione sia riconducibile ad un mero esercizio della facoltà contrattualmente riconosciuta al committente e pertanto la sospensione dell’attività lavorativa sia riferibile al normale rischio di impresa, derivante dal rapporto contrattuale instaurato con la ditta committente.

Il secondo requisito prescritto dalla legge è quello della transitorietà.

L’art. 1, 1° co., della l. n. 164/1975, nel definire le cause integrabili, utilizza due aggettivi tra loro equivalenti: “transitori” e “temporanee”, facendo subito comprendere che l’istituto della cassa integrazione ordinaria offre tutela in caso di difficoltà momentanee e congiunturali, non strutturali. Per poter accedere al trattamento di integrazione salariale ordinario, dunque, è necessario che la causa integrabile sia caratterizzata da temporaneità e che vi sia una previsione di ripresa dell’attività produttiva nel breve periodo, con riferimento al complesso aziendale e non ai singoli operai. Già il d.lgs.C.P.S. n. 869/1947 disponeva che il trattamento di integrazione salariale potesse essere concesso agli operai sospesi temporaneamente dal lavoro a condizione che risultasse certa “la riammissione, entro breve periodo, degli operai stessi nell’attività produttiva dell’impresa”; è ora però da escludersi che sia necessaria la piena certezza della ripresa produttiva, ritenendosi sufficiente che vi sia una ragionevole e fondata previsione di riavvio dell’attività e che appunto la causa scatenante la contrazione o la sospensione dell’attività d’impresa sia destinata ad esaurirsi in breve tempo. Ciò è confermato anche dalla durata dell’intervento che, come si vedrà, è limitata.

evento che si ripresenta nel tempo con dimensioni di consistente entità (la valutazione deve essere condotta su almeno cinque anni). In questo caso, dunque, manca uno dei due requisiti dell’art. 1, l. n. 164/1975.

24 Si configura invece come ipotesi integrabile se la mancanza di materia prima non dipende da inadempienze

contrattuali dei fornitori o da inerzia dell’imprenditore (per esempio se il bene è andato perduto in seguito a incendio durante il trasporto, pur avendo adottato tutte le misure di sicurezza previste).

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Peraltro la l. n. 164/1975 compie una innovazione rispetto al dettato del decreto del 1947, laddove essa riferisce il requisito della transitorietà non ai lavoratori sospesi, bensì alla causa integrabile stessa25.

Come deve essere valutato tale requisito?26 Innanzitutto, secondo la circolare INPS n. 148 del 1994, “una sospensione di attività non può ritenersi transitoria quando la ripresa sia prevista in tempi molto distanti” dallo scadere del limite massimo di durata della cassa integrazione ordinaria. La circolare n. 130 del 2003 offre una indicazione procedurale più precisa: è necessario un “favorevole giudizio prognostico” sulla capacità dell’impresa di continuare l’attività al termine della contrazione di lavoro, che consenta di prevedere come probabile il fatto che l’impresa sia in grado di operare ancora sul mercato. Questo giudizio deve fondarsi su elementi oggettivi attendibili forniti dall’impresa stessa nel momento in cui inoltra richiesta di cassa integrazione ordinaria e deve essere il risultato dell’apprezzamento non solo delle specifiche congiunture negative dell’impresa ma anche del contesto economico-produttivo in cui essa opera. Inoltre si ribadisce che la possibilità di ripresa deve essere valutata con riferimento all’epoca in cui ha avuto inizio la contrazione dell’attività produttiva, poiché non rilevano le circostanze sopravvenute al termine del periodo di integrazione salariale e che hanno impedito la continuazione dell’attività, se non quale conferma di una “congiuntura aziendale preesistente alla richiesta dell’intervento previdenziale”.