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Le ipotesi di decadenza e le misure di incentivo alla rioccupazione

1. La disciplina

1.6 Le ipotesi di decadenza e le misure di incentivo alla rioccupazione

Come già esposto in precedenza, una delle funzioni della cassa integrazione, sia essa ordinaria o straordinaria, è quella di tutelare la posizione dei lavoratori, assicurando loro un’integrazione al reddito in misura pari all’80 per cento della retribuzione (pur con i limiti e le precisazioni già chiarite nel capitolo precedente) e permettendo loro di mantenere in vita il rapporto di lavoro, anche se temporaneamente sospeso. A fronte di questi benefici, però, il legislatore ha previsto in capo ai cassintegrati alcuni obblighi, che devono essere rispettati pena la decadenza dal trattamento di integrazione salariale. Già nel primo capitolo si è esaminato il caso dell’obbligo di comunicazione preventiva dello svolgimento di attività remunerata di cui all’art. 8, 5° co. della l. n. 160/1988.

Recentemente, inoltre, sono state introdotte “ulteriori condizioni, che guardano, più da vicino, i comportamenti personali del beneficiario”66

: si tratta della c.d. condizionalità, ossia della subordinazione della fruizione degli ammortizzatori sociali al rispetto di determinate prescrizioni, volte a prevenire gli abusi e a realizzare un controllo più efficace.

Ne è un esempio quanto originariamente previsto dall’art. 1-quinquies della l. n. 291/2004. Tale disposizione stabiliva la decadenza dal trattamento di integrazione salariale straordinaria qualora il lavoratore sospeso avesse rifiutato di essere avviato ad un corso di formazione o di riqualificazione o nel caso in cui non lo avesse frequentato regolarmente. Nell’ipotesi prevista dalla stessa l. n. 291/2004 di cessazione dell’attività dell’intera azienda, di un settore o di uno o più stabilimenti o parte di essi, la decadenza dal trattamento era prevista sia quando il cassintegrato avesse rifiutato di essere avviato ad un progetto individuale di inserimento nel mercato del lavoro, ovvero ad un corso di formazione o di riqualificazione o non lo avesse frequentato regolarmente, sia qualora non avesse accettato l’offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20 per cento rispetto a quello delle mansioni di provenienza. In ogni caso la decadenza interveniva solamente se le attività lavorative ovvero di formazione o di riqualificazione si svolgevano in un luogo che non distasse più di cinquanta chilometri dalla residenza del lavoratore o comunque fosse raggiungibile mediamente in ottanta minuti con i mezzi di trasporto pubblici. La l. n. 127/2006 aveva aggiunto

66 Cinelli M., Nicolini C.A., Riforma del mercato del lavoro e ammortizzatori sociali – Costituzione e pareggio di

bilancio – Riforma pensionistica e surrettizi prepensionamenti – Le nuove modifiche alle discipline processuali, in

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all’art. 1-quinquies due commi: il comma 1-bis disponeva che i responsabili dell’attività formativa, le agenzie per il lavoro o i datori di lavoro comunicassero all’INPS i nominativi dei soggetti che potevano essere ritenuti decaduti; l’Istituto dichiarava la decadenza dandone notizia ai lavoratori interessati. Secondo il comma 1-ter, contro tale decisione era ammesso il ricorso entro quaranta giorni alle Direzioni territoriali del lavoro, che decidevano in via definitiva entro trenta giorni.

Senonché la l. n. 92/2012, all’art. 4, 46° co., ha abrogato l’intero art. 1-quinquies, sostituendolo con una propria disciplina della decadenza, valida ora per tutte le prestazioni di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro (di conseguenza, per la cassa integrazione ordinaria, straordinaria e anche per quella in deroga). L’art. 4, 40° co, stabilisce che il lavoratore sospeso dall’attività lavorativa e beneficiario della relativa tutela previdenziale, decada ex nunc dal trattamento “qualora rifiuti di essere avviato ad un corso di formazione o di riqualificazione o non lo frequenti regolarmente senza un giustificato motivo”, purché le attività lavorative o di formazione ovvero di riqualificazione si svolgano in un luogo che dista meno di cinquanta chilometri dalla residenza del lavoratore o che è raggiungibile con i mezzi di trasposto pubblici mediamente in ottanta minuti (art. 4, 42° co.). Al verificarsi di queste circostanze, i centri per l’impiego hanno l’obbligo di darne tempestiva comunicazione all’INPS, che emetterà il provvedimento di decadenza, recuperando le somme eventualmente già erogate per periodi di non spettanza del trattamento (come previsto all’art. 4, 44° co.), fatti salvi i diritti già maturati (43° co.). Avverso il provvedimento dell’INPS, il 45° co. ammette ricorso al Comitato provinciale dell’Istituto di cui all’art. 34 del d.p.r. n. 639/197067. Con riferimento all’ipotesi di decadenza appena descritta, Mimmo sostiene che “la conseguenza sanzionatoria appare trovare giustificazione solo se il percorso formativo o di riqualificazione sia mirato ad uno sbocco lavorativo congruo e concretamente raggiungibile”, poiché in caso contrario “l’assoggettamento del lavoratore ad interventi formativi […], finirebbe per rappresentare un impegno senza costrutto, una gratuita e aggiuntiva forma di penalizzazione”68

per i lavoratori che già hanno subito la sospensione del rapporto di lavoro.

Inoltre, la l. n. 92/2012, all’art. 4, 47° co., ha abrogato l’art. 19, 10° co. della l. n. 2/2009, il quale stabiliva che “il diritto a percepire qualsiasi trattamento di sostegno al reddito, […] è subordinato alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale”: in caso di rifiuto di sottoscrivere la dichiarazione di immediata disponibilità ovvero, una volta sottoscritta la dichiarazione, in caso di rifiuto di un percorso di riqualificazione professionale o di un lavoro congruo ai sensi dell’articolo 1-quinquies della l. n.

67 Tale comitato ha natura tripartita, poiché vi partecipano i rappresentanti dei lavoratori, i rappresentanti dei datori di

lavoro e figure amministrative, tra cui il dirigente delle sede provinciale dell’INPS.

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291/200469, il lavoratore destinatario dei trattamenti di sostegno del reddito decadeva dal diritto a qualsiasi erogazione di carattere retributivo e previdenziale, anche a carico del datore di lavoro, fatti salvi i diritti già maturati. Dal 2012, dunque, il lavoratore beneficiario dell’integrazione salariale, sia essa ordinaria o straordinaria, non è più tenuto a rilasciare la dichiarazione di immediata disponibilità.

Sempre nell’intento di favorire il mantenimento delle competenze o l’aggiornamento professionale dei lavoratori sospesi in cassa integrazione, rendendo più agevole la loro rioccupazione nel caso in cui l’evento che ha portato all’ammissione al trattamento previdenziale non si risolva e l’impresa sia costretta a cessare i rapporti di lavoro, l’art. 4, 33° co., della l. n. 92/2012 ha previsto l’inserimento del comma 1-ter all’art. 3 del d.lgs. n. 181/2000, rubricato dalla stessa l. n. 92/2012 “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i servizi per l’impiego”: il nuovo comma stabilisce che “nei confronti dei beneficiari di trattamento di integrazione salariale o di altre prestazioni in costanza di rapporto di lavoro, che comportino la sospensione dall’attività lavorativa per un periodo superiore ai sei mesi, gli obiettivi e gli indirizzi di cui al comma 170 devono prevedere almeno l’offerta di formazione professionale della durata complessiva non inferiore a due settimane adeguata alle competenze professionali del disoccupato”. Peraltro, con riferimento a questa disposizione, Rosolen, Spattini e Tiraboschi sottolineano che “l’effettività e l’efficacia degli interventi non dipendono tanto dalle disposizioni normative, ma piuttosto dalle capacità organizzative e di intervento dei servizi per l’impiego”71. In ogni caso, per rendere effettivo l’obiettivo del legislatore, l’art. 4, 35° co., prevede che l’INPS predisponga e metta a disposizione dei centri per l’impiego una banca dati telematica che contenga i dati individuali dei beneficiari degli ammortizzatori sociali, con l’indicazione dei dati anagrafici, di residenza e di domicilio e dei dati essenziali relativi alla tipologia di trattamento previdenziale di cui beneficiano. Secondo il dettato letterale della norma, non sono però inclusi i riferimenti per un contatto rapido con il lavoratore (come per esempio il numero di telefono o l’indirizzo e-mail), né i dati sui profili professionali dei lavoratori. Il 36° co., impone ai centri per l’impiego di inserire nella banca dati citata i dati essenziali concernenti le azioni di politica attiva e di attivazione compiute nei confronti dei beneficiari di ammortizzatori sociali. In quest’ottica, l’INPS funge da collegamento e da

69 Ossia di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore del venti per cento rispetto a quello delle

mansioni di provenienza.

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Quali l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e il contrasto della disoccupazione e dell’inoccupazione di lunga durata attraverso colloqui di orientamento e proposte di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione e riqualificazione professionale.

71 Rosolen G., Spattini S., Tiraboschi M., Condizionalità e raccordo tra politiche attive e passive in chiave

pubblicistica, in Lavoro: una riforma sbagliata, a cura di Rausei P. e Tiraboschi M, ADAPT University Press e-book,

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raccordo tra l’ambito delle politiche passive di tutela dei lavoratori sospesi e quello delle politiche attive volte al reinserimento dei beneficiari di ammortizzatori sociali nel mondo del lavoro.

Nell’ambito delle misure volte a incentivare la rioccupazione dei lavoratori cassintegrati, si colloca anche la previsione di cui all’art. 13, 2° co., lett. d) della l. 14 maggio 2005, n. 80. La norma prevede che, “al fine di agevolare i processi di mobilità territoriale finalizzati al reimpiego presso datori di lavoro privati ed al mantenimento dell’occupazione, ai lavoratori in mobilità o sospesi in cassa integrazione guadagni straordinaria, che accettino una sede di lavoro distante più di cento chilometri dal luogo di residenza” spetti una somma pari ad una mensilità dell’indennità di mobilità in caso di contratto a tempo determinato di durata superiore a dodici mesi, ovvero pari a tre mensilità della suddetta indennità in caso di contratto a tempo indeterminato o determinato di durata superiore a diciotto mesi. Ciò avviene nei limiti delle risorse finanziarie appositamente stanziate di anno in anno. Peraltro il decreto ministeriale 2 marzo 2006, ha disposto che il contributo sia concesso non solo nel caso di assunzione dei lavoratori sospesi da parte di imprenditori terzi, ma anche nel caso di mantenimento dell’occupazione di tali soggetti presso lo stesso datore di lavoro. Per ottenere tale beneficio, i lavoratori devono inoltrare la relativa domanda alla Direzione regionale del lavoro del luogo di ultima residenza e il contributo sarà erogato dalla competente sede provinciale dell’INPS solo dopo l’acquisizione del decreto di concessione (come ha precisato l’INPS nel messaggio n. 18064/2010). Massi72

evidenzia una problematica posta da questa normativa: essa, infatti, non trova alcun raccordo con un’altra disposizione, ossia quella della perdita dei trattamenti integrativi, prevista dall’art. 1-quinquies della legge n. 249/2004 (e ora dalla l. n. 92/2012), in caso di rifiuto di un’occupazione entro un raggio di cinquanta chilometri o di ottanta minuti di distanza.

Il legislatore ha introdotto anche delle agevolazioni per le imprese (e gli enti pubblici economici) che assumono lavoratori beneficiari del trattamento straordinario di integrazione salariale. La l. n. 407/1990, all’art. 8, 9° co., prevede che le imprese che assumono con contratto di lavoro a tempo indeterminato lavoratori sospesi e destinatari del trattamento previdenziale straordinario da almeno ventiquattro mesi, hanno diritto alla riduzione del cinquanta per cento dei contributi previdenziali e assistenziali a proprio carico73 per un periodo di trentasei mesi, purché, come ha disposto l’art. 4, 14° co., della l. n. 92/2012 modificando la norma del 1990, tali assunzioni “non siano effettuate in sostituzione di lavoratori dipendenti dalle stesse imprese licenziati per giustificato motivo oggettivo o per riduzione del personale o sospesi”74

. Peraltro, se le imprese

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Massi E., La riassunzione dei lavoratori: gli incentivi ai soggetti in mobilità, www.dottrinalavoro.it, giugno 2006.

73 Permane invece interamente l’obbligo del versamento dei contributi a carico del lavoratore. 74

L’originario art. 8, 9° co., prevedeva invece che le assunzioni non dovevano avvenire “in sostituzione di lavoratori dipendenti dalle stesse imprese per qualsiasi causa licenziati o sospesi”. In seguito alla riforma Fornero, dunque, si è

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interessate operano nel Mezzogiorno, ovvero esercitano attività artigiana, sono interamente esonerate dal pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali per trentasei mesi. L’INPS, nel messaggio n. 20607/2005 ha precisato due aspetti rilevanti: in primo luogo, ha chiarito che l’arco temporale da considerare nella valutazione dell’eventuale sostituzione è di sei mesi e di conseguenza, “si ritiene possibile ammettere alle agevolazioni contributive in argomento i datori di lavoro che procedano alle relative assunzioni di personale una volta decorsi sei mesi dalla cessazione dei precedenti rapporti di lavoro”; in secondo luogo, ha sottolineato che l’assunzione deve essere a tempo indeterminato sin dall’origine, essendo dunque escluse dal campo di applicazione dell’art. 8, 9° co., le assunzioni con contratto a tempo determinato, trasformate successivamente in rapporti a tempo indeterminato. Senonché, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 92/2012, alcune interpretazioni pregresse sono state superate. Così, lo stesso INPS, nella circolare n. 137/2012, riconosce che interpretando estensivamente il termine “assunzioni”, contenuta nel disposto dell’art. 8, 9° co., l. n. 407/1990, si deve ora assegnare l’incentivo anche nell’ipotesi di trasformazione a tempo indeterminato di precedente rapporto a termine, a condizione che, se il rapporto fosse cessato invece di essere trasformato, il lavoratore avrebbe avuto un’anzianità di disoccupazione di almeno ventiquattro mesi”: anche in questo caso infatti si realizza la fattispecie di lavoro subordinato a tempo indeterminato, soddisfacendo la finalità della norma. La circolare succitata, ha precisato anche che il beneficio spetta parimenti nelle ipotesi di assunzione (o trasformazione a tempo indeterminato) a scopo di somministrazione, per la durata di trentasei mesi. La misura dell’agevolazione dipende dalle caratteristiche dell’utilizzatore: secondo la circolare, “spetta l’esonero dalla contribuzione dovuta dal datore di lavoro nelle ipotesi in cui il lavoratore è somministrato ad imprese per prestare la propria opera nei territori del Mezzogiorno, […] nelle ipotesi in cui il lavoratore è somministrato ad imprese artigiane spetta l’esonero dalla contribuzione dovuta dal datore di lavoro, a prescindere dal luogo in cui è svolta la prestazione lavorativa; negli altri casi spetta al datore di lavoro la riduzione contributiva del cinquanta per cento”75. Nei periodi in cui il lavoratore rimane in attesa di assegnazione spetta la riduzione del cinquanta per cento dei contributi dovuti sull’indennità di disponibilità. Il Ministero del Lavoro, nella nota n. 1179/1993, ha specificato che lo sgravio contributivo è consentito anche per le assunzioni, purché a tempo indeterminato, part-time (questo orientamento è stato accolto dall’INPS con la circolare n. 121/1993). Al fine dell’applicazione della norma esaminata, in ogni Regione è formata un’apposita lista dalla quale individuare i nominativi per le assunzioni. L’agevolazione si applica anche nel caso

ridimensionato l’elemento ostativo, poiché il beneficio non è più impedito da qualunque genere di licenziamento, ma unicamente da licenziamenti intimati per “giustificato motivo oggettivo o per riduzione del personale”.

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Se, durante il periodo di godimento dell’incentivo si succedono più somministrazioni, si dovrà tenere conto delle nuove situazioni e quindi dei diversi utilizzatori per mantenere l’incentivo e la sua misura.

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di assunzioni da parte di cooperative: il Ministero del Lavoro nella risposta ad interpello n. 540/2006, ha dissipato i dubbi relativi al dettato letterale della norma76, che fa esclusivo riferimento ai “datori di lavoro”, richiamando il disposto dell’art. 1, 3° co., della l. n. 142/2001, secondo il quale il socio lavoratore di cooperativa stabilisce “con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma” e “dall’instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla presente legge, nonché in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte”. Il Ministero ne conclude, quindi, l’applicabilità delle agevolazioni contributive esaminate anche per i lavoratori soci di cooperative. Con riferimento, invece, alle associazioni professionali e ai liberi professionisti, la Cassazione, nella sentenza n. 18710/2013 ha stabilito che essi, in quanto potenziali datori di lavoro, sono pacificamente beneficiari dello sgravio del cinquanta per cento dei contributi (sempreché ricorrano le condizioni previste dalla legge), mentre, se ubicate nelle aree del Mezzogiorno, possono ottenere la totale esenzione solo se organizzate in forma di azienda77, in quanto il dettato della norma si riferisce appunto alle imprese. Il Ministero del Lavoro, con la risposta ad interpello n. 49/2011, ha precisato che il triennio in cui si beneficia dello sgravio decorre dalla data di assunzione (che si configura come dies a quo), fino al giorno antecedente la medesima data di trentasei mesi dopo. Per quanto attiene alla possibilità per le imprese cessionarie, a seguito di trasferimento d’azienda, di continuare a usufruire degli incentivi descritti già goduti dall’impresa cedente, il Ministero del Lavoro, nella risposta ad interpello n. 20/2010, ha precisato che nella fattispecie del trasferimento d’azienda, tutti i rapporti di lavoro instaurati dal cedente, compresi quelli di cui all’art. 8, 9° co., della l. n. 407/1990, continuano con il cessionario senza soluzione di continuità, e che di conseguenza il cessionario continuerà a fruire dei relativi sgravi contributivi, per la parte residua fino alla scadenza dei trentasei mesi. Senonché, la l. n. 190/2014 ha disposto, all’art. 1, 121° co., che “i benefici contributivi di cui all’articolo 8, comma 9, della legge 29 dicembre 1990, n. 407, e successive modificazioni, sono soppressi con riferimento alle assunzioni dei lavoratori ivi indicati decorrenti dal 1º gennaio 2015”.

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Nonché smentito precedenti orientamenti dell’INPS, il quale aveva escluso che tra i beneficiari della previsione dell’art. 8, 9° co., rientrassero le cooperative, poiché, come affermava nel messaggio n. 22923/1999, “la prestazione dell’attività lavorativa del socio inuna cooperativa di produzione e lavoro costituisce adempimento del patto sociale e non esecuzione di un obbligo assunto con un contratto di lavoro subordinato”.

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La Cassazione riporta quanto esposto nella sentenza n. 28312/2011, secondo la quale gli studi professionali “possono essere organizzati in forma di azienda, ogni qualvolta al profilo personale dell’attività svolta si affianchino un’organizzazione di mezzi e strutture, un numero di titolari e dipendenti ed un’ampiezza di locali adibiti all’attività, tali che il fattore organizzativo e l’entità dei mezzi impiegati sovrastino l’attività professionale del titolare, o quanto meno si pongano, rispetto ad essa, come entità giuridica dotata di una propria rilevanza strutturale e funzionale che, seppure non separata dall’attività del titolare, assuma una rilevanza economica”.

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Un’altra e alternativa ipotesi di agevolazione in caso di assunzione di lavoratori cassintegrati è quella prevista dall’art. 4, 3° co., della l. n. 236/1993. Secondo il dettato della norma, ai datori di lavoro, comprese le società cooperative di produzione e lavoro, che assumano (o associno, nel caso delle cooperative) a tempo pieno e indeterminato lavoratori che abbiano fruito del trattamento straordinario di integrazione salariale per almeno tre mesi78, anche non continuativi, dipendenti da imprese destinatarie di tale intervento da almeno sei mesi, spettano i benefici di cui all’art. 8, 4° co., della l. n. 223/1991, ridotti di tre mesi, sulla base dell’età del lavoratore al momento dell’assunzione. Le agevolazioni previste dalla citata norma del 1991, consistono nella concessione, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un contributo mensile pari al cinquanta per cento della indennità di mobilità che sarebbe spettata in caso di disoccupazione, per una durata massima di dodici mesi (e quindi, riducendola di tre mesi, nove) ovvero di ventiquattro (perciò ventuno) per i lavoratori ultracinquantenni e trentasei (ossia trentatré) per soggetti residenti nel Mezzogiorno o in aree in cui il tasso di disoccupazione sia superiore alla media nazionale. Inoltre, sempre secondo l’art. 4, 3° co., il datore di lavoro ottiene anche la riduzione della contribuzione a proprio carico nella misura prevista per gli apprendisti79 per un periodo di dodici mesi. I benefici di cui all’art. 4, 3° co., sono concessi a condizione che le imprese assuntrici non abbiano in atto sospensioni dal lavoro per cassa integrazione straordinaria e non abbiano proceduto a riduzione del personale nei dodici mesi precedenti, salvo che l’assunzione avvenga per acquisire professionalità diverse da quelle dei lavoratori licenziati o sospesi. Inoltre, la l. n. 451/1994, all’art. 2, ha disposto che alle assunzioni agevolate ora descritte, si applichi un limite, consistente nell’esclusione dai benefici se il lavoratore era impiegato in impresa dello stesso o di diverso settore di attività che, al momento della sospensione per cassa integrazione, presentava assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume, ovvero era con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo. Infine, la circolare INPS n. 109/2003 ha stabilito che i datori di lavoro in esame non devono essere tenuti all’assunzione per effetto di una disposizione di legge: di conseguenza, non sorge il diritto alle agevolazioni contributive quando tra l’impresa d’origine del lavoratore cassintegrato e quella assuntrice sia intervenuta una procedura di trasferimento d’azienda, poiché in questa fattispecie manca il presupposto dell’instaurazione di nuovi rapporti di lavoro80 (l’INPS fa propri degli orientamenti già espressi dalla Corte di Cassazione, tra le altre,