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Amputazioni e disarticolazione di arto inferiore

Nel documento B ox T herapy M irror (pagine 29-34)

IL PAZIENTE CON AMPUTAZIONE DI ARTO INFERIORE

2.4 Amputazioni e disarticolazione di arto inferiore

Per quanto riguarda l’arto inferiore, nel considerare i livelli ideali d’amputazione bisogna distinguere:

- Le amputazioni di piede;

- Le amputazioni di gamba;

- La disarticolazione di ginocchio;

- Le amputazioni di coscia;

- La disarticolazione dell’anca;

- L’emipelvectomia.

2.4.1 Amputazioni di piede

Si è visto che non sempre per il piede è da applicarsi il principio della massima economia, in quanto il prevalere del tricipite surale sugli antagonisti anteriori (che hanno perduto il loro punto d’inserzione) fa sì che i piccoli monconi, che residuano, abbiano tendenza a portarsi in posizione di equinismo, diventando di scarsa utilità funzionale.

Le amputazioni di piede comprendono:

Questo livello di amputazione viene considerato come uno dei più idonei conservando la lunghezza dell’arto inferio-re e, dal punto di vista biomeccanico, non inferio-resta compromessa eccessivamente la fase di distacco durante la marcia.

L’indicazione essenziale è data da lesioni vascolari gravi, anche se può essere effettuata per lesioni traumatiche o tumorali.

Amputazione classica di Lisfranc

Consiste in una disarticolazione che si effettua separando da una parte i tre cuneiformi ed il cuboide e dall’altra i cinque metatarsi. E’ utile fissare i tendini degli estensori sullo scheletro ed allungare il tendine d’Achille per evitare l’equinismo. Permette protesi basse.

Amputazione tipo Chopart

Consiste in una disarticolazione dell’avampiede dal retropiede che si effettua passando nell’articolazione costituita da una parte dallo scafoide e dal cuboide, dall’altra dall’astragalo. Va sempre associata ad un’artrodesi tibio-astra-galica per ottenere un piede con appoggio corretto: ciò si ottiene realizzando l’artrodesi in posizione funzionale che permetta un appoggio del moncone parallelo al suolo. Il moncone che si ottiene, ha una dismetria minima e permet-te un perfetto appoggio plantare. Sia per l’amputazione di Lisfranc, che per quella di Chopart, è necessario un gran lembo cutaneo plantare: ciò che nella pratica non si realizza molto spesso.

Amputazione osteoplastica di Pirogoff

Consiste nel sezionare le due ossa di gamba sopra l’interlinea articolare tibiotarsica e nell’adattamento sulla su-perficie di sezione di quest’osso, il tubercolo del calcagno opportunamente segato, quindi si ottiene un moncone arrotondato adatto a sopportare e sostenere il peso del corpo, sia perché il moncone osseo viene chiuso alla sua estremità in modo naturale, quindi non è causa di dolore, sia perché la sua superficie di sostegno è ricoperta da cute già abituata a sostenere le pressioni (la dissezione del calcagno avviene dietro l’articolazione astragalocalcaneare posteriore in senso verticale dall’alto in basso). Per i suddetti motivi è un’amputazione consigliata da diversi autori, inoltre è difficilmente realizzabile in casi d’urgenza.

Amputazione tipo Syme

Consiste nella resezione di tibia e perone al loro estremo distale, pochi millimetri al di sopra della superficie articola-re; ne consegue un moncone lungo e claviforme. L’amputazione completa del piede, secondo la tecnica descritta da Syme, è un intervento che, se ben realizzato, permette un buon risultato; è consigliato per i seguenti motivi:

- Si ottiene un buon moncone con una perfetta “imbottitura” (la protesi prevede il carico terminale completo);

- Evita i tempi complementari (artrodesi, osteosintesi), quindi permette una protesizzazione ed una riabilitazione più precoci (solitamente dopo 4-6 settimane);

- Sebbene con una claudicazione, dovuta alla dismetria, consente la deambulazione senza protesi (anche se i per-corsi possibili sono limitati).

La tecnica è indicata anche per i pazienti diabetici.

Amputazione tipo Boyd

Consiste nell’amputazione del tarso che comporta l’astragalectomia e l’artrodesi tibio-calcaneare. Il calcagno man-tiene il suo andamento orizzontale, quindi ne risulta un moncone globoso che si espande anteriormente e posterior-mente (questo più corto rispetto al controlaterale).

2.4.2 Amputazioni di gamba (transtibiali)

Nell’amputazione di gamba, la difficoltà principale è di poter ottenere un moncone capace di sostenere il peso del corpo. Nelle lesioni traumatiche e flogistiche acute (gangrena…) il livello è condizionato dalla mortificazione delle parti molli, dal tempo di distanza dalla lesione, dalla zona della lesione e dallo stato di sofferenza vasale e nervosa.

Nelle lesioni flogistiche croniche sono il dolore, le complicanze parenchimatose e locali ed il livello febbrile che fanno decidere per l’amputazione. Per le lesioni neoplastiche, il livello dipende dalla precocità della diagnosi clinica, radio-logica ed istoradio-logica, dallo stato generale, dall’età e da altri fattori personali: comunque tende sempre ad essere un livello molto prossimale.

Per le amputazioni di gamba si distinguono tre livelli:

- 3° superiore;

- 3° medio (a sua volta superiore ed inferiore);

- 3° inferiore.

Il miglior moncone d’amputazione, in funzione della protesi, si ottiene sezionando tra il 3° medio ed il 3° superiore di tibia (a 12-15 cm di distanza dalla rima articolare del ginocchio) all’altezza della massa dei muscoli gemelli e del soleo, zona molto vascolarizzata in ogni piano e la cui cicatrice è di facile realizzazione. Questo tipo di moncone si presta perfettamente sia per le protesi a contatto totale, che per le protesi convenzionali con cosciale: è per questo motivo che, preferendo molti l’uso della protesi convenzionale, l’altezza dell’amputazione di gamba può variare ed essere scelta più alta o più bassa.

Comunque anche nel caso di una protesi convenzionale la sezione di tibia al limite inferiore del 3° superiore, so-pra detto, è preferibile in quanto compatibile con un’articolazione del ginocchio sugli assi. Per le protesi a contatto totale, la realizzazione della guaina di contatto viene garantita dal confezionamento di una buona base terminale mediante l’osteoplastica tra il perone e la tibia. I monconi corti di gamba sono protesizzabili a condizione che siano rispettati i seguenti punti:

- Il tendine del bicipite femorale non deve formare corde dolorose durante i movimenti di flessione del ginocchio:

questo tendine, infatti, s’inserisce basso sulla testa del perone e può essere un ostacolo durante i movimenti del fodero nella corsa di flessione di là dai 90°;

- Nei monconi sotto i 6-7 cm, il perone perde la stabilità dei rapporti con la tibia (manca la membrana interossea) e sotto carico si divarica per azione del bicipite femorale, determinando un contatto doloroso con la parete dell’in-vasatura della protesi nella fase di sollevamento del calcagno-accelerazione - sollevamento piede. L’asportazione completa del perone non modifica la stabilità del ginocchio, anche se la testa del perone, ai fini della protesizzazione, può essere utile per migliorare la stabilità rotatoria delle protesi brevi.

In caso di monconi molto corti, i punti di appoggio sotto-condiloideo sono ridotti al minimo e si avrà interesse ad aiutare con uno scarico ischiatico all’estremità superiore della coscia, o con un cosciale a seconda dei casi. I

monco-ni troppo lunghi di gamba, dopo l’avvento delle protesi di resina a contatto ed appoggio totale, non sono più consi-gliabili. In caso d’amputazioni dovute a problemi di circolazione arteriosa, non è opportuno superare una lunghezza tibiale di 12 cm, in quanto avremo difficoltà nella guarigione della ferita e/o ischemie.

2.4.3 Disarticolazione di ginocchio

Le disarticolazioni di ginocchio si possono suddividere in due gruppi:

- quelle in cui i condili femorali vengono lasciati integri;

- quelle in cui i condili femorali vengono regolarizzati in periferia fino a far assumere all’epifisi il diametro della diafisi femorale.

In ogni caso vengono conservate le masse muscolari e alcuni tendini sono suturati tra di loro a livello della gola intercondiloidea.

Conservandosi le inserzioni distali dei muscoli adduttori, la coscia è ben equilibrata e non tende ad abdursi e ad extraruotarsi.

In passato tali amputazioni erano sconsigliate per l’eccessiva lunghezza del moncone residuo: ciò creava seri pro-blemi all’applicazione della protesi in quanto l’asse del ginocchio risultava abbassato ed asimmetrico, inconvenienti oggi risolti grazie alle recenti innovazioni tecnologiche. I vantaggi di tale disarticolazione consistono nel fatto che permangono sia una leva lunga controllata da una grossa muscolatura, sia un moncone con estremità portante in grado di sopportare completamente il peso.

Per questo tipo di amputazione l’insufficiente altezza da terra non rende possibile utilizzare i ginocchi elettronici di nuova concezione.

Le disarticolazioni di ginocchio vengono eseguite con tre metodiche:

- Metodica di Slocum (amputazione sottocondiloidea): il femore viene sezionato a livello della gola intercondiloi-dea, i bordi del moncone vengono regolarizzati onde smussarli; le parti molli ricoprono l’apice, si ottiene così un moncone lungo e lievemente globoso.

- Metodica di Kirk: consiste nell’amputazione tenoplastica sovracondiloidea, con rimozione della rotula ed inserzi-ne del tendiinserzi-ne del quadricipite all’estremo distale del femore: ciò impedisce la retrazioinserzi-ne degli estensori. Il monco-ne, ricoperto da parti molli, è piuttosto lungo e affusolato.

- Metodica di Gritti-Stokes: è la più utilizzata; il femore viene sezionato in regione sovracondiloidea, la rotula viene sezionata frontalmente e la sua metà anteriore, ancora connessa al tendine del quadricipite, viene artrodesizzata all’apice del segmento femorale. Ne deriva un moncone di coscia lungo, con estremo tondeggiante, ben gravabile e dal buon trofismo poiché i muscoli della coscia non vengono sezionati.

2.4.4 Amputazioni di coscia

E’ importante conservare la maggior lunghezza possibile del femore poiché i monconi lunghi facilitano, per la mag-gior leva disponibile, il cammino veloce, la corsa e la pratica di uno sport.

Anche a carico della coscia si riconoscono tre livelli di amputazione:

- 3° superiore;

- 3° medio;

- 3° inferiore.

L’altezza ideale d’amputazione è in pieno 3° medio, là dove i muscoli hanno la miglior consistenza e dove è possibile

costruire un moncone, mediante osteomioplastica, con una cicatrice apicale disposta a distanza dalle zone di solle-citazione, in pratica nella regione distale e posteriore.

Il braccio di leva permetterà un comando agevole della protesi; l’estremità ossea risulterà ben coperta e sarà salva-guardato l’equilibrio tra i muscoli antagonisti, garantendo un buon controllo della protesi.

Infine, a questa altezza d’amputazione, sarà possibile l’applicazione del ginocchio meccanico, senza dover abbas-sare l’asse trasversale di rotazione rispetto al ginocchio controlaterale, nonché l’utilizzo dei nuovi ginocchi elettro-nici.

Quando la lesione è molto alta, è inevitabile un disequilibrio muscolare tra i muscoli abduttori e gli adduttori per il venir meno delle inserzioni di questi ultimi: si avrà un disequilibrio muscolare del moncone in abduzione e flessione pronunciate, tale da dare una protesizzazione più difficoltosa nella costruzione dell’invasatura e nella progettazione del suo allineamento rispetto agli altri elementi protesici.

Quando è possibile conservare almeno 10 cm di diafisi, le protesi ad aderenza muscolare sono possibili, a condizio-ne che il trocantere sia ben imbottito dalle parti molli e che si aggiunga alla protesi una cintura di sicurezza.

Attualmente i monconi lunghi (3° inferiore di coscia) non comportano particolari problemi di protesizzazione.

Il peso non viene scaricato direttamente sul moncone, ma si lascia che questo si porti in flessione e che l’amputato gravi sulla protesi; quest’ultima ha il suo punto d’appoggio sulla tuberosità ischiatica del bacino.

Le attuali invasature a contatto totale consentono di ottenere prestazioni elevate purché si tratti di un moncone trofico, non dolente, in grado di poter compiere movimenti per tutta l’escursione del movimento dell’anca. Il mon-cone di coscia, migliore da un punto di vista funzionale, è quello con forma cilindrica, dotato di un buon controllo muscolare, senza importanti contratture e rigidità a livello dell’articolazione coxo-femorale, senza edemi, con co-lorito e temperatura normali, non dolente e gravabile, tale da consentire al paziente l’utilizzo di una buona protesi funzionale.

2.4.5 Disarticolazione dell’anca

Si tratta di un intervento molto raro nei pazienti vascolari mentre è richiesto per le neoplasie maligne o per traumi irreparabili alla parte alta della coscia. Consiste nell’eliminazione dell’articolazione coxo-femorale, disarticolando la testa del femore dall’acetabolo. L’appoggio protesico avviene sulla tuberosità ischiatica e sull’ala iliaca.

2.4.6 Emipelvectomia

In generale, l’indicazione a questo tipo di intervento si pone per forme tumorali maligne, sia ossee che delle parti molli, che coinvolgono la parte alta del femore o della coscia, l’articolazione dell’anca, i muscoli o le fasce della re-gione dell’anca e il bacino. Anche per i tumori benigni a malignità locale, è stata posta l’indicazione all’intervento di emipelvectomia.

Più raramente, un’indicazione all’intervento può essere una forma tubercolare diffusa, un’osteomielite cronica di un emibacino o una forma metastatica.

Consiste nell’amputazione dell’emibacino, disarticolando la cintura pelvica attraverso la sinfisi pubica (anterior-mente) e l’articolazione sacro-iliaca (posterior(anterior-mente).

Si darà la precedenza all’amputazione dell’ileo e dell’ischio-pube quando la sede della lesione lo permette, mentre si procederà obbligatoriamente alla classica disgiunzione sacro-iliaca e della sinfisi pubica quando lo impone la diffusione della lesione, anche se tale tecnica è molto più traumatizzante.

CaPitoLo 3

Nel documento B ox T herapy M irror (pagine 29-34)

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