12 – 13 159,56 m 540 - 0,28 m 18 13 – 14 124,38 m 420 + 0,06 m 14 14 – 7 1030,18 m 3480 + 0,10 m 116 27 – 22 1252,12 m 4230 - 0,04 m 141 25 – 22 284 m 960 - 0,16 m 32 22 – 11376 1181,64 m 3990 - 0,60 m 133
372In questo caso si indica l’anomalia con il numero rispettivo ed il sito con il numero di canale assegnato in quel
sito.
373
Tra il canale 2 della cava di via Tampellini e l’anomalia 5 individuata ad ovest del Podere Decima di Magreta.
374 Il canale 13 ed il 12 sempre della cava in via Tampellini. 375
164
CANALI375 MISURA RILEVATA PIEDI ATTICI ERRORE UNITÀ MODULARI DI 30 PIEDI
10 – 18 177,88 m 600 + 0,28 m 20 18 – 19 736,87 m 2490 - 0,17 m 83 19 – 20 786,58 m 2655 + 0,70 m 88,5 20 – 21 107,31 m 360 + 0,75 m 12 21 – 22 107,14 m 360 + 0,58 m 12 22 – 23 293,57 m 990 + 0,53 m 33 22 – 24 559,95 m 1890 + 0,51 m 63 24 – 11377 567,94 m 1920 - 0,38 m 64
In questo caso appare molto significativa la misura di 600 piedi registrata tra due cardines. Sebbene non vi sia alcun elemento di certezza, appare indubbiamente suggestiva l’analogia che si può instaurare con il sistema di Casalecchio di Reno: le misure infatti ci consentono di ipotizzare un disegno agrimensorio basato su rettangoli disposti “per scamna”378 la cui distanza tra i decumani potrebbe essere di 300 piedi e quella fra i cardines di 600. Ho quindi ricostruito questo reticolo ipotetico utilizzando come assi generatori l’anomalia 5 (tav. IV, n. 6) ed il canale 12 della cava di via Tampellini (tav. IV, n. 10); il disegno si inserisce molto bene anche rispetto agli insediamenti rurali dell’area, sia del VI (tav. V) che del V sec. a. C. (tav. VI): appare infatti piuttosto significativo come quasi tutti si collochino in prossimità degli incroci degli assi, in particolar modo, come forse è logico aspettarsi, gli agglomerati rurali.
Lo stesso orientamento di N 19° E si osserva anche nel sistema più antico dei canali individuati a San Cesario sul Panaro presso la Cava Saletta (cat. 19), conservato però solo da due piccole canalette larghe fra i 50 ed i 60 cm e distanti ca. 5,4 metri. L’isolamento di queste attestazioni379 unito alla residualità dei dati non rendono possibile estendere fino a tale località il sistema individuato a Magreta. Nella stessa area si sviluppa, in un momento 376
In questo caso la misura è stata presa rispetto al prolungamento del canale di Baggiovara (cat. 12).
377
In questo caso la misura è stata presa rispetto al prolungamento del canale di Baggiovara (cat. 12).
378 Frontino, De Agr. Qual., 3, 1-4, 2 ed. Lach. = 1, 4-16 ed. Th. 379
165 successivo datato genericamente sempre all’età del ferro, una nuova organizzazione orientata N 6° E. Questo sistema è formato da un canale NNE-SSW e da due canali WNW-ESE: quest’ultimi distano 57,4 m misura che corrisponderebbe esattamente a 175 piedi eginetici. Anche per questo secondo sistema non sussistono però sufficienti elementi per poter fare maggiori considerazioni soprattutto sull’unità metrica e modulare utilizzata.
Più complessa e meno unitaria appare la situazione nell’aria suburbana di Modena: sembrano infatti delinearsi due distinti sistemi, uno orientato ca. N 26° E e l’altro orientato N 40° W. Le datazioni approssimative attualmente a disposizione, nonché la mancanza di alcun rapporto stratigrafico fra questi due sistemi non ci consentono di determinarne lo sviluppo diacronico.
Il sistema orientato N 26° E potrebbe essere costituito dal canale individuato in località Cittanova in occasione dei lavori sulla linea dell’Alta Velocità (cat. 11), quello individuato a Castelfranco Emilia in località Gaggio in Piano (cat. 22) ed il sistema individuato presso la Cava Sel, in località San Damaso (cat. 9).
Il canale individuato a Cittanova, una località della periferia occidentale di Modena, databile fra il VI ed il V sec. a. C., sembra essere il limite di un’area di necropoli e non sussiste alcuna prova che sia inserito in un piano territoriale più ampio. Poco distante nel 1993 era stata individuata una piccola fornace nei pressi della quale si trovava una canalizzazione di bonifica con materiali ascrivibili al VI-V sec. a. C.380. La documentazione fornita in pubblicazione non permette di evincere alcun dato sul posizionamento esatto e l’orientamento di questi canali e presso l’archivio della SAER non è stato possibile reperire la documentazione originale.
Nel territorio ad oriente di Modena si pongono poi le altre due attestazioni: vicino al confine fra il comune di Modena e quello di Castelfranco Emilia, in località Gaggio in Piano, è stato individuato un lungo canale, orientato N 64° W, datato genericamente alla seconda età del ferro, mentre nella periferia sud-occidentale di Modena, in località S. Damaso, è stato individuato un sistema più complesso databile genericamente all’età del ferro.
L’area della cava Sel è stata interessata da un intervento compiuto nel 1986 che ha permesso il rinvenimento di scarichi di fornace del III-II sec. a. C.381, di una strada romana e di un canale,
380 Giordani-Losi 1993, p. 325. 381
166
forse di età etrusca382. Fra il 1996 ed il 1999 alcuni interventi di indagine preliminare hanno consentito l’individuazione di numerosi canali appartenenti a sistemi diversi: in particolare, oltre a quello di età etrusca, è riconoscibile un sistema di età romana orientato N 22° E, quindi perfettamente inseribile nel reticolo centuriale, e numerosi canali di età post antica che mantengono abbastanza fedelmente l’orientazione del reticolato romano.
I canali appartenenti al sistema di età etrusca presentano dimensioni variabili per cui si possono ipotizzare funzioni diverse sulla base delle loro misure: la larghezza risulta la dimensione più affidabile, in quanto l’esigua profondità di alcuni di essi appare evidentemente residuale e probabilmente intaccata da azioni successive (Fig. 113).
Come nei precedenti casi ho ipotizzato che i canali più larghi potessero indicare le eventuali suddivisioni dei diversi poderi (Fig. 113, in rosso); si tratta di due canali orientati N-S e di un canale orientato E-W, tutti larghi ca. 120-130 cm. La distanza fra la sponda occidentale del canale 1 e la sponda orientale del canale 3 è di 98,39 m, misura che corrisponde a 300 piedi dorico-eginetici (Tav. VII383).
Ho poi supposto che i canali larghi ca. 80-90 cm potessero avere funzione diversa, forse legata all’abduzione delle acque (Fig. 113, in blu). Il fatto che il canale 4 prosegue sia a Nord che a Sud del canale 2, ipotetica suddivisione di podere, induce a ritenere che anche questi canali rientrassero nel disegno complessivo della pianificazione territoriale e non si limitassero al singolo podere. La distanza fra la sponda occidentale del canale 1 e la sponda orientale del canale 9 è di 25,77 m, quella tra la sponda orientale del canale 3 e la sponda occidentale del canale 8 è di 32,30 m, quella tra la sponda occidentale del canale 3 e la sponda orientale del canale 4 è di 38,91 m. Tuttavia queste misure non risultavano particolarmente significative sulla base dell’unità di misura utilizzata, mentre molto più interessanti risultavano le distanze tra le sponde dei canali principali e l’interasse dei canali secondari: la sponda occidentale del canale 3 e l’interasse del canale 4 distano infatti 39,31 m, che corrispondono a quasi 120 piedi dorico-eginetici; la sponda orientale del canale 3 e l’interasse del canale 8 distano 32,70 m, che corrispondono quasi a 100 piedi; la sponda occidentale del canale 1 e l’interasse del canale 9 distano invece 26,16 m, che corrispondono a poco meno di 80 piedi. La distanza fra gli interassi dei canali 8 e 9 è di 39,53 m anche in questo caso 120 piedi dorico-eginetici.
382 Labate 1988, pp. 514-515. 383
167 Fig. 113: Modena, loc. S. Damaso, cava Sel: i canali rinvenuti distinti secondo la loro funzione (rielaborazione della documentazione grafica di A/R Archeosistemi
168
Infine ho considerato i canali di larghezza e profondità esigua come tracce di antichi filari di coltura, probabilmente limitati ad un solo podere (Fig. 113, in verde). La sponda occidentale del canale 1 dista 21,22 m dall’interasse del filare 10, quindi quasi 65 piedi, gli interassi dei canali 9 e 10 distano 4,94 m, corrispondenti a 15 piedi; la sponda occidentale del canale 3 e l’interasse del canale 7 distano 19,71 m pari a 60 piedi, mentre l’interasse del canale 7 dista 19,59 m da quello del canale 4; la sponda settentrionale del canale 2 dista 93,58 m dall’interasse del canale 6, pari a 285 piedi dorico-eginetici, gli interassi dei canali 5 e 6 distano 10,05 m, pari a poco più di 30 piedi dorico-eginetici.
CANALI MISURA RILEVATA PIEDI EGINETICI ERRORE
1 – 3 98,39 m 300 - 0,01 m 3 – 4 39,31 m 120 - 0,05 m 3 – 8 32,70 m 100 - 0,10 m 1 – 9 26,16 m 80 - 0,08 m 8 – 9 39,53 m 120 + 0,17 m 1 – 10 21,22 m 65 - 0,10 m 9 – 10 4,94 m 15 + 0,02 m 3 – 7 19,71 m 60 + 0,03 m 7 – 4 19,59 m 60 - 0,09 m 2 – 6 93,58 m 285 + 0,10 m 5 – 6 10,05 m 30 + 0,21 m
Sulla base di queste considerazioni si può quindi dedurre che il modulo di base tra i “cardines” principali di questa suddivisione dovesse essere 300 piedi dorico-eginetici calcolati sulle sponde dei limiti tracciati; la distanza fra i “decumani” non è invece ricostruibile in quanto rimane la testimonianza del solo canale 2. Tuttavia i dati di scavo consentono di ipotizzare che la distanza fra i “decumani” fosse superiore a quella fra i “cardines” in quanto il canale 2 dista 285 piedi dal filare 5 e 315 piedi dal 6: in questo modo è ipotizzabile che il disegno
169 agrimensorio fosse costituito da rettangoli disposti “per strigas”384. Il fatto che i numeri interi dell’unità di misura utilizzata sono riscontrabili dalle sponde esterne degli assi principali e dagli interassi delle strutture secondarie indica chiaramente quale dovrebbe essere stato il procedimento seguito degli agrimensori: veniva ricavato un rettangolo la cui superficie era di 300 x N piedi dorico-eginetici, dove N dovrebbe corrispondere ad un multiplo di 300; all’esterno di quest’area venivano tracciati i canali principali larghi ca. 4 piedi, mentre all’interno erano segnati i punti per gli assi delle infrastrutture secondarie. Il sottomodulo utilizzato potrebbe essere quello di multipli di 5 piedi, ma mentre i canali secondari si trovano a 80, 100 e 120 piedi, quindi parrebbero mostrare un modulo di 20 piedi, i cosiddetti filari di piantagione sembrerebbero basarsi su un unità modulare di 15 piedi, rilevata sia tra i due filari 5 e 6 ( 30 piedi = 2 moduli) , sia tra il filare 7, il canale secondario 4 ed il canale principale 3 (60 piedi = 4 moduli), sia tra il filare 10 ed il canale secondario 9 (15 piedi = 1 modulo); l’unico punto in cui questo modulo non è invece rispettato è fra il filare 10 ed il canale principale 1 (65 piedi = 4 moduli + 1/3).
Appare infine significativo che l’errore minore sia riscontrabile fra i limites principali, mentre quello maggiore si riferisca alla distanza tra due filari di piantagione: ritengo che questo fatto sia una prova dell’accuratezza prestata al disegno agrimensorio complessivo; del resto non può stupire che vi sia un margine di errore più elevato in quelli che probabilmente erano i solchi legati alla coltivazione del podere e che quindi dovevano essere tracciati dal singolo contadino.
Il secondo sistema, quello orientato N 40° W è invece formato dalle tracce rinvenute a Castelfranco Emilia presso Casa Buonvino (cat. 21). L’analisi dei canali individuati presso questo sito è purtroppo limitata dalle modalità di documentazione, come già espresso all’interno della scheda del catalogo. Tuttavia appare significativo che la distanza fra il canale 11 ed il canale 10 sia di 32,94 m e che quindi corrisponde quasi perfettamente a 100 piedi dorico-eginetici e può essere identificata come una delle unità modulari alla base di questa organizzazione; del resto le misure che si possono intuire tra il canale 4 ed 11, pari a ca. 17 m e quindi molto vicina ai 50 piedi dorico-eginetici, e tra il canale 10 e 8, pari a circa 3,36 m e quindi molto prossima ai 10 piedi, sembrano confermare questa ipotesi.
384
170
Anche un canale individuato presso il Municipio di San Cesario sul Panaro (cat. 20) presenta lo stesso orientamento, ma anche in questo caso non abbiamo sufficienti dati per poter dire che rientri nel medesimo sistema di suddivisioni.
3.2.2. La Bassa Pianura.
Il territorio della Bassa Modenese, caratterizzato da una rete idrografica in continua evoluzione385, è attualmente delimitato a nord dal percorso del Po, ad ovest da quello del Secchia e ad Est dal canale Muzza. La pianura degrada progressivamente da sud-ovest a nord- est raggiungendo le massime depressioni nelle valli mirandolesi, sanfeliciane e finalesi386. Il settore da San Prospero-Bomporto-Ravarino fino a Mirandola, San Felice e Finale Emilia, è compreso tra i 22 ed i 12-13 metri con terre alte nelle quali sono individuabili le tracce più settentrionali della centuriazione, oggi quasi del tutto cancellata dalle ripetute alluvioni dei fiumi modenesi, soprattutto del Secchia e del Panaro. Qui l’insediamento ha avuto una certa continuità fin dal Medioevo con la messa a coltura di spazi sempre più ampi387.
Il settore a nord della linea Concordia-Mirandola-San Felice è caratterizzato da quote inferiori ai 12-13 m con terre basse, di recente bonifica, le cosiddette Valli Concordiesi, Mirandolesi, Sanfeliciane e Finalesi nelle quali si distinguono alcuni dossi rilevati che fin dall’antichità hanno rappresentato assi di attrazione per il popolamento. Nonostante il persistere per lungo tempo di una condizione acquitrinosa, gli apporti alluvionali in questo settore sono minimi, tanto che le strutture di età romana si trovano ad una giacitura raggiungibile dalle arature e per questo i siti sono rilevabili anche con la sola ricognizione di superficie388.
Le cosiddette valli mirandolesi occupano un lembo marginale della bassa pianura modenese, ai confini con le province di Mantova e Ferrara; questa zona si presenta come un tavolato alluvionale in cui la continua evoluzione della rete idrografica, ha dato origine alla caratteristica morfologia “a dossi e a valli”. Il modello insediativo che si è sviluppato in questa
385 Per questo motivo il paesaggio ha subito notevoli mutazioni nel corso dei secoli in cui hanno prevalso ora gli
elementi naturali, ora gli interventi antropici (Malnati 2003, p. 43).
386
Malnati 2003, p. 43.
387 L’alluvionamento tardo-antico e medievale ha provocato la scomparsa degli assi centuriati a nord della linea
San Prospero-Ravarino con la conseguente espansione del bosco e delle paludi. A partire dall’anno Mille svariati interventi di bonifica hanno rimodellato con un disegno irregolare i campi e le strade seguendo le linee sinuose dei dossi e dei drenaggi naturali (Malnati 2003, p. 44).
388
171 regione ha quindi sfruttato le peculiarità del territorio: infatti dalla carta archeologica risulta con evidenza che gli insediamenti sono stati attratti dal micro rilievo di origine fluviale, in particolare dal Dosso di Gavello389, formato da un fiume appenninico, probabilmente il Gabellus citato da Plinio (NH, III, 15, 116), e dal Paleoalveo dei Barchessoni, coincidente ad un
antico ramo del Po che proseguiva il suo percorso fino alla laguna di Comacchio390; questa scelta rivela allo stesso tempo la necessità di luoghi protetti da frequenti allagamenti ma anche la volontà di appoggiarsi agli assi fluviali quali importanti vie di comunicazione391. Le foto aeree della zona di San Martino Spino evidenziano molto bene le barre di meandro descritte dal Paleoalveo dei Barchessoni nella sua lenta migrazione verso nord392 e la nitida traccia dell’ultimo percorso (Fig. 114); il paleoalveo è infatti riferibile ad un antico ramo del Po attivo in epoca preistorica ed in una fase di avanzata senescenza in età romana393. In periodo etrusco la forza delle correnti era assai modesta e quindi il fiume era caratterizzato da alcuni segmenti di solchi di meandro quasi superficiali, costretti fra due fasce piuttosto estese di argini naturali che racchiudevano al loro interno bacini idrici discontinui394: gli Etruschi seppero sfruttare questa situazione attraverso un rigido regime idrico per fini agrari funzionale alla rapida colonizzazione dell’area395.
389
L’idronimo è attestato perlomeno dal 1329 (Malnati 2003, p. 44). Le foto aeree hanno consentito di individuare il Gabellus a partire da Cividale di Mirandola, attraverso poi la pieve di Quarantoli, Gavello Modenese, San Martino Spino, Gavello ferrarese e fino a Bondeno (Ferri-Calzolari 1989, p. 72).
390 Ferri-Calzolari 1989, p. 72. Il Paleoalveo dei Barchessoni fu individuato per la prima volta da M. Pellegrini nel
1969 (Pellegrini 1969, p. 35) che propose anche l’identificazione, accettata dalla maggior parte degli studiosi, con un ramo antico del Po. S. Cremonini, sulla base dei dati morfoanalitici ricavati dalle CTR, preferì invece proporre una provenienza appenninica smentita però da alcune analisi mineralogiche eseguite dal prof. Paganelli presso l’Istituto di Mineralogia dell’Università degli Studi di Bologna (Cremonini 1986, pp. 251-271; Cremonini 1987, pp. 5-12; Castaldini-Mazzuchelli-Pignatti 1992, pp. 210, 214-215) che dimostrarono come il deposito del paleocanale fosse costituito da sedimenti scuri di natura argillosa e limosa, adagiati sulle sabbie grigie trasportate, in una fase anteriore, dal paleo-Po (Bonfatti-Calzolari 1993, p. 140, fig. 6). Per la formazione del Paleoalveo dei Barchessoni in seguito a condizioni di iterazione createsi fra il suo sistema paleofluviale e la struttura del suo immediato substrato geologico, si veda Balista 2007, pp. 127-135.
391
Calzolari 1990, p. 26.
392
Le deposizioni alluvionali del fiume, costituite da limi e sabbie, hanno dato origine ad un modesto micro rilievo, leggermente rilevato sulle campagne circostanti, ben visibile sulle foto aeree per la colorazione chiara dei terreni (Ferri-Calzolari 1989, p. 72).
393
Ferri – Calzolari 1989, p. 72; Calzolari 1990, p. 28.
394
Da un esame delle quote altimetriche risulta ancora oggi che le aree ad occidente del fiume antico, tra le località La Povertà e San Martino Spino quindi tra il dosso del Gavello a nord ed il dosso del Paleoalveo dei Barchessoni ad est, sono un bacino depresso a drenaggio impedito; le foto aeree (Bonfatti-Calzolari 1993, fig. 3) hanno consentito di individuare un argine largo circa 7 metri che probabilmente serviva sia come contenimento per le acque della circostante valle, sia per far fronte alle alluvioni del Gabellus. Sempre sulla sponda sinistra del paleoalveo dei Barchessoni, tra le località La Povertà e Barchessone Barbiere, vi è un secondo sistema di arginamento di dimensioni più ridotte (dai 3 ai 5 m di larghezza) parallelo al paleocanale da cui dista circa 300 m (Bonfatti-Calzolari 1993, p. 137).
395
172
Fig. 114: Paleoalveo dei Barchessoni tra San Martino Spino e La Povertà; foto aerea volo GAI n. 10304 del 16 settembre 1955 (da Bonfatti-Calzolari 1993, fig. 3).
In corrispondenza dei segmenti di meandro abbandonati, fu infatti approntato un lungo e continuo canale artificiale della larghezza costante di circa 25 m e della profondità media di circa 2,5 m; in alcuni punti questo canale artificiale venne invece scavato ex-novo come dimostrano alcuni tratti troppo nettamente rettilinei a sud dell’argine di Povertà e ad est di Barchessone Cappello. Questa sistemazione artificiale risulta essere un collettore centrale da cui si dipartono alcuni canali trasversali rettilinei di dimensioni minori (larghi poco meno di 10 metri e lunghi circa 200-300 metri)396. Una serie di controlli stratigrafici ha permesso di constatare che il profilo di questi elementi idraulici non è risultato vistosamente alterato da riescavi o erosioni successive, in quanto il livello idrico sarebbe rimasto, per lungo tempo, costante con acque pressoché ferme; le sponde dei canali erano assai inclinate e ritagliate nei limi sabbiosi di colore grigio-giallastro degli antichi argini naturali del Paleoalveo dei Barchessoni397. Questi saggi hanno poi dimostrato che i depositi di riempimento dei canali
396
Si veda per esempio Calzolari 1992³, p. 157, n. 3
397 Balista 2007, p. 137. I controlli stratigrafici sono stati eseguiti su estese sezioni ricavate dalla ripulitura dei
173 evidenziano un orizzonte cronologico che va dalla fine del VI sec. a tutto il V sec. a. C. e che quindi coincide con molti degli insediamenti e delle fattorie individuati nella zona. Al centro della sezione che intercettava il riempimento completo del collettore principale è stato evidenziato un secondo canale posto in taglio sul primo, largo circa 2,5 m, il cui deposito includeva numerosi manufatti romani (Fig. 115). Situazione analoga è stata evidenziata anche nella sezione del collettore in località La Povertà.
Fig. 115: Sezione stratigrafica relativa alle unità di riempimento del canale principale di origine artificiale di età etrusca, rilevata sulle pareti di un fosso di bonifica risezionato nell’autunno 2003 in loc. La Miseria (da Balista 2007, fig. 20).
Il posizionamento degli insediamenti rurali di epoca etrusca lungo il Paleoalveo dei Barchessoni mi ha condotto ad analizzare alcune immagini satellitari di quest’area permettendomi di individuare una serie di anomalie che delineano un sistema di suddivisioni orientato N 27° E (cat. 36; tav. VIII). Già nel 1997 Mauro Calzolari, osservando una fotografia aerea della zona della Pittoccheria, a meridione dei resti della villa romana della Tesa (app. 168), aveva identificato alcune tracce di divisioni agrarie a maglie geometriche supponendone una datazione all’età romana398 (Fig. 116). Credo però che i dati che qui di seguito presento e che vanno quindi in aggiunta a queste prime tracce osservate, possano almeno fornire qualche dubbio su questa prima datazione, soprattutto alla luce di quanto emerso grazie alle sezioni stratigrafiche del 2003 che hanno dimostrato che la sistemazione idraulica è stata impostata in epoca etrusca fra il VI ed il V sec. a. C. ed è stata poi ripristinata in epoca romana.
398
174
Fig. 116: Restituzione grafica del paesaggio nella zona della Pitoccheria, a sud della Tesa, secondo M. Calzolari sulla base dei dati desunti dalle foto aeree (in particolare volo Burana 12 settembre 1959, foto n. 371 e 372). 1: ultimo canale attivo del paleoalveo dei Barchessoni; 2: strada sepolta con sede in terra battuta delimitata dai fossati laterali; 3: divisioni agrarie (fossati); 4: insediamenti di età romana (da Calzolari 1997, fig. 13).
In località Povertà, in seguito al posizionamento dell’agglomerato urbano descritto in appendice n. 121, ho potuto riconoscere in un’immagine acquisita il 15 ottobre 2006 un’anomalia orientata NNE/SSW (Fig. 70, n. 1) e due altre anomalie, ad essa ortogonali, orientate WNW/ESE (Fig. 70, nn. 2 e 3): il fatto che quest’ultime si interrompano esattamente in corrispondenza alla traccia principale riferibile al paleoalveo dei Barchessoni sembra essere un forte indizio sulla coerenza del sistema idraulico e quindi sulla possibile contemporaneità della sistemazione. Nella stessa immagine, verso l’estremità orientale dell’ansa del paleoalveo, si nota un netto limite rettilineo fra i depositi sabbiosi che contornano il
175 paleocanale; l’orientamento di questa anomalia risulta perfettamente coerente con quello dei