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CAPITOLO 3: Analisi della configurazione microstrutturale del tessuto plantare

3.4 Istologia e morfometria del tessuto plantare patologico

3.4.1 Il diabete

3.4.1.2 Analisi delle cause del piede diabetico…

L’importanza dei cambiamenti nel tessuto molle plantare causati dal diabete risiede nel fatto che la lacerazione del tessuto può avvenire quando uno stress applicato dall’esterno supera la soglia di danno e/o le proprietà del tessuto come la resilienza, cioè la capacità di recuperare la forma originaria dopo una deformazione causata da una compressione, risultano ridotte. Quindi la quantificazione delle variazioni subite dal tessuto plantare può consentire di individuare i soggetti a rischio di ulcere. Da uno

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studio di Cavanagh e colleghi (1993) è emersa l’ipotesi che la pelle sia modificata a tal punto dall’alterazione strutturale della cute e del tessuto sottocutaneo da essere predisposta allo sviluppo di ulcere. E’ stato proposto che queste alterazioni siano dovute all’esposizione persistente dei tessuti biologici ad un alto livello di glucosio. Il risultato è un aumento sia della reticolazione del collagene nelle pareti delle arterie sia della reticolazione della cheratina nello strato corneo del piede diabetico. Questi ed altri effetti comunemente osservati in individui diabetici, come la diminuzione della resilienza della pelle, sono considerati il risultato di un aumento del tasso di glicosilazione non enzimatica di proteine strutturali, come conseguenza di elevati livelli di glucosio nel sangue. La glicosilazione non enzimatica crea cross-link irreversibili nelle proteine strutturali come collagene e cheratina, riducendone la possibilità di movimento. Effetti simili a quelli osservati per la pelle e per l’epitelio arterioso interessano i setti fibrosi del tessuto adiposo plantare. Bushmann e altri (1995) hanno osservato che i setti di collagene nell’heel pad diabetico sono più spessi e le cellule adipose più piccole che nei soggetti sani. Questo dimostra che il diabete colpisce la composizione sia macroscopica che microscopica del tessuto molle plantare, diminuendone la resilienza e rendendolo maggiormente vulnerabile agli stress meccanici. Da un confronto biochimico e istologico del tessuto adiposo del piede sano e diabetico, appare evidente che in presenza della patologia aumentano la frammentazione e di conseguenza lo spessore dei setti fibrosi che separano i lobi di grasso. Le fibrille di collagene, dall’aspetto longitudinale, appaiono disposte in parallelo all’interno dei setti fibrosi del tessuto plantare sano. In genere, la periodicità media della banda è di circa 60 nm e possono anche essere identificati gli spazi chiari interfibrillari (Figura 3.8 a). Invece nel soggetto diabetico le fibrille di collagene non sono disposte in modo uniforme e per la maggior parte appaiono distorte e frammentate. La banda di periodicità sparisce e i sottili filamenti sono distribuiti in maniera disordinata (Figura 3.8 b).

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Figura 3.8 : (a) Disposizione longitudinale delle fibrille di collagene nei setti fibrosi dell’heel pad di un individuo sano di 65 anni. Le fibrille di collagene sono disposte in parallelo e si nota la tipica banda di periodicità. (b) Disposizione longitudinale delle fibrille di collagene nei setti fibrosi dell’heel pad di un individuo diabetico di 68 anni. La freccia in alto a destra indica fibre di collagene relativamente normali. Nel

resto dell’immagine appaiono frammentate, distorte, più sottili del normale e con disposizione irregolare (punta di freccia).

La composizione dell’adipe non risulta alterata dalla malattia ma il suo ammontare totale può subire variazioni. Infatti si verifica un cambiamento nel rapporto tra la quantità di grasso e di acqua presente nell’heel pad, ossia la percentuale di grasso diminuisce, e la percentuale di acqua associata al collagene aumenta.

I problemi del piede diabetico sono frequenti sia nel diabete di tipo 1 che in quello di tipo 2. Essi sono più comuni negli uomini e nei pazienti di età superiore ai 60 anni. Uno studio recente sulle popolazioni svolto su 10˙000 pazienti nel nordovest dell’Inghilterra

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ha riportato che il 5% della popolazione ha o ha avuto un’ulcera e almeno il 67% presenta uno o più fattori di rischio (Abbott et al., 2002). Per ulcera si intende una lesione che determina la lacerazione della pelle con perdita di epitelio, che si può estendere al derma e agli strati più profondi di tessuto adiposo, e talvolta interessa anche muscoli e ossa (figura 3.9).

Figura 3.9 : ulcera.

Ciò può rendere necessaria l’amputazione della porzione terminale, non più vitale, dell’arto. L’amputazione di una o più dita con ulcere non guaribili o gangrena può infatti costituire l’unico modo per salvare l’arto. Spesso, se l’ulcera è anche accompagnata da altre complicazioni quali neuropatia o ischemia, può essere necessario amputare tutta la gamba. In uno studio di Margolis e collaboratori (2004) su 24˙616 individui, che presentavano l’ulcerazione di un piede diabetico neuropatico, il 6.7% ha subito un’amputazione e di questi il 46.3% limitata a un dito. Dopo un periodo di 10 anni però il 60% dei pazienti che avevano subito in precedenza un’amputazione minore hanno subito l’amputazione dell’arto. Inoltre, in ambiente ospedaliero, l’incidenza delle amputazioni risulta elevata perché i pazienti vengono accettati quando la lesione ha già raggiunto uno stato molto avanzato. Le statistiche dell’ospedale di Hong Kong, per esempio, indicano che, nel decennio 1995–2005, 154 di 851 pazienti ammessi con un’ulcera plantare hanno subito inseguito un’amputazione più profonda (18.1%). Secondo i dati raccolti da Assal e Ramsey con i rispettivi collaboratori (2002, 1999) nel

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1997 il costo delle ulcere ai piedi è stato di $16˙580, delle amputazioni di una o più dita $25˙241, di amputazioni maggiori $31.436. Valutando l’eziologia delle ulcere plantari, è emerso che la causa è neuropatica pura nel 45-60% dei casi, ischemica pura nel 10% e neuroischemica nel 25-45%. Sia l’incidenza di ulcere che delle amputazioni hanno delle basi etniche. Infatti esse risultano meno frequenti in soggetti asiatici di origini indiane, e i maschi afro-caraibici hanno un basso tasso di amputazioni. Una possibile spiegazione dei dati ottenuti per le popolazioni asiatiche è legata alla limitata mobilità delle giunture e alla migliore igiene dei piedi tipica di alcuni gruppi religiosi come i mussulmani.