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Da un’analisi più approfondita è possibile delineare un quadro più specifico delle tre dimensioni climatiche esaminate, permettendo quindi una possibile pianificazione di interventi volti a modificare quei fattori che incidono negativamente sul clima socio-terapeutico.

4.7.1 Analisi del supporto terapeutico percepito

Il supporto terapeutico rappresenta un aspetto centrale nella valutazione del clima, in particolare dal punto di vista dei pazienti (Schalast, Redies, Collins, Stacey, & Howells, 2008).

È comunque importante che questo venga valutato sia dallo staff che dagli utenti, in quanto da un lato è indubbiamente influenzato dal grado di preparazione e motivazione degli operatori; dall’altro però, ad incidere sono anche gli aspetti caratteriali nonché psicopatologici dei pazienti e la prospettiva di reinserimento sociale.

Nel nostro caso la percezione dei pazienti risulta essere più negativa rispetto a quella del personale di struttura. In questo senso, è possibile provvedere ad alcuni accorgimenti migliorativi, in accordo con l’importanza dei fattori relazionali e la qualità dell’alleanza terapeutica (Orlinsky, Ronnestad, & Willutzki, 2004).

Prendendo spunto da Holmes (2004) possono essere delineati tre aspetti chiave per gli operatori, al fine di migliorare la prospettiva terapeutica all’interno di una struttura: la capacità di costruire insieme al paziente e ai suoi familiari una efficace alleanza terapeutica basata sulla fiducia reciproca e sulla comprensione;

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la consapevolezza e la riflessione sul proprio operato, sia dei singoli professionisti che dell’intera équipe nel suo complesso; l’acquisizione di particolari abilità e competenze per poter trattare specifici problemi.

Nel contesto delle REMS è fondamentale che gli operatori posseggano adeguate conoscenze giuridiche e competenze adatte alla costruzione di reti di relazioni integrate, sia con i servizi di salute mentale del territorio, sia con la Magistratura, ponendo sempre al centro il paziente, con le sue specifiche esigenze terapeutiche.

In questo processo, la supervisione e il sostegno costante del personale sono di fondamentale importanza.

Inoltre, una delle domande poste nel questionario indaga su quanto il personale di reparto conosca i pazienti e le loro storie personali. Questo aspetto assume importanza nell’ottica del supporto terapeutico, se si pensa che una buona comprensione del vissuto del paziente possa aiutare alla costruzione di un’interazione empatica ed efficace (Farquharson, 2004). A questo scopo può essere utile l’uso di fonti esterne di informazione e della documentazione dei precedenti ricoveri, in particolare nei casi di pazienti affetti da marcati disturbi di personalità e tratti antisociali, con i quali è possibile riscontrare comportamenti manipolativi e un certo grado di dissimulazione.

Una conoscenza più approfondita, riduce inoltre il rischio che la presenza di pregiudizi e stereotipi possa condizionare l’interazione tra operatore e utente. Infatti, se i pazienti hanno l’impressione che gli operatori siano facilmente impressionabili o ingannabili o, peggio ancora, che si tengano a distanza da loro, è improbabile che possano sperimentare un supporto terapeutico, nonostante possa accadere che questi fingano di averne durante i colloqui individuali (Schalast & Tonkin, 2016).

Lavorare con questa tipologia di pazienti, richiede indubbiamente un certo grado di impegno e numerose discussioni, ma in circostanze favorevoli e con alcuni accorgimenti è possibile ottenere una relazione terapeutica stabile.

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4.7.2 Analisi della coesione di gruppo percepita

Dai risultati ottenuti è possibile evidenziare come la percezione del supporto reciproco tra i pazienti sia ugualmente bassa per entrambi i campioni esaminati.

Valutare la coesione esistente non è sicuramente una questione semplice, soprattutto se si pensa che nel nostro caso si tratta di pazienti a cui è stata disposta una misura di sicurezza, come conseguenza di una pericolosità diretta verso gli altri ma anche verso sé stessi.

È però utile sottolineare l’importanza della coesione di gruppo come strategia terapeutica, strettamente collegata agli esiti clinici (Alonso, 2011). Le relazioni umane infatti fanno sentire i pazienti più sicuri, aiutandoli a sanare le scissioni del loro mondo interiore, oltre che quello esterno. Gli atteggiamenti e i sentimenti derivanti dalle relazioni umane possono combattere efficacemente le opinioni negative che il paziente ha di sé stesso e del mondo, cosa che neanche un ambiente fisico ideale o un programma ben pianificato, da soli, possono ottenere. Gli sforzi più ardui per integrare tutte le attività del paziente saranno perciò inefficaci se non si fonderanno sull’integrazione col gruppo (Bettelheim, 1974). La vita di una struttura residenziale terapeutica, di conseguenza, deve necessariamente avere delle dinamiche unitarie.

Inoltre, una coesione che sia veramente supportata dall’équipe, è indicativa di operatori con un alto grado di fiducia in sé stessi e che, di conseguenza, non solo non sono intimoriti dalle alleanze che si potrebbero creare all’interno del gruppo, ma oltretutto accettano e comprendono se i pazienti occasionalmente concorrono in una discussione con il personale, riguardo alle decisioni o alle politiche interne; discussioni alle quali gli operatori devono comunque saper mediare, senza che si creino conflitti o che le situazioni degenerino in atti aggressivi.

Alcune strategie da poter attuare per aumentare la coesione di gruppo sono, ad esempio, il coinvolgimento degli stessi pazienti durante l’ingresso dei nuovi utenti, nella spiegazione dei programmi presenti in struttura, così da creare sin da subito un clima maggiormente comunitario; oppure attraverso l’implementazione

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delle attività e degli incontri di gruppo settimanali, già presenti nella REMS-D di Volterra.

In definitiva, è comunque sempre bene tener presente che, come per qualunque tipo di relazione sociale, presupposto fondamentale per la coesione di gruppo è la compatibilità con gli altri pazienti.

4.7.3 Analisi della sicurezza percepita

L’ultima dimensione climatica analizzata, come già detto, presenta una marcata discrepanza tra la percezione dei due campioni presi in esame.

Innanzitutto è bene specificare che l’ambito indagato dal test non riguarda il concetto di sicurezza vero e proprio, quanto quello di “protezione”. Dove con il primo ci riferiamo alla presenza di un ambiente strutturalmente protetto, con recinzioni, addetti alla vigilanza e dispositivi di sorveglianza; mentre con il secondo s’intende la sensazione di sentirsi personalmente protetti, piuttosto che la paura di sperimentare tensioni aggressive ed episodi violenti.

Dal punto di vista degli operatori, il senso di sicurezza sul luogo di lavoro rappresenta un aspetto essenziale, sia per l’efficienza lavorativa che per il benessere personale.

La coesione tra i membri dell’équipe appare come una risorsa fondamentale per far fronte a stress e pressioni quotidiane (Schalast, 1995), così come un adeguato livello professionale, inteso come l’insieme delle conoscenze e delle abilità adatte, oltre che l’esperienza per operare in modo sicuro. A tale proposito, va sottolineato che parte degli operatori presenti in struttura non possiede conoscenze specifiche riguardo al trattamento e alla riabilitazione delle patologie psichiatriche. Questo perché, nonostante le Aziende Sanitarie Locali abbiano attuato i piani di formazione predisposti dalla legge per l’apertura delle REMS, il continuo turn-over non consente di avere personale costantemente aggiornato.

Sicuramente poi, l’aderenza farmacologica, sia per il trattamento dei pazienti psicotici che di quelli con gravi disturbi di personalità, può essere utile all’attenuazione della sintomatologia aggressiva eterodiretta.

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Nei casi in cui questa non risulti efficace, è importante che gli operatori siano formati sulle tecniche di de-escalation, basate su strategie verbali e non verbali, col fine di creare una connessione con la persona agitata, per contenere gli atteggiamenti aggressivi.

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CAPITOLO V

CONFRONTO CON UNA SITUAZIONE EUROPEA: IL MODELLO

TEDESCO

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