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Il paziente psichiatrico autore di reato: valutazione del clima socio - terapeutico condotta in una Residenza per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie

in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Scienze Riabilitative

delle Professioni Sanitarie

Presidente: Chiar.mo Prof. Stefano Marchetti

Tesi di laurea

Il paziente psichiatrico autore di reato:

valutazione del clima socio - terapeutico condotta in una

Residenza per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza.

Anno Accademico 2016/2017

Relatore:

Prof. Stefano Pini

Candidata:

(2)

I

INDICE

INTRODUZIONE ..

……… 1

CAPITOLO I

EVOLUZIONE DELLA PRESA IN CARICO DEL PAZIENTE

PSICHIATRICO AUTORE DI REATO

1.1

Nascita dei manicomi criminali in Europa

………. 2

1.2

Nascita dei manicomi giudiziari in Italia

……… 3

1.3

I manicomi giudiziari come misura di sicurezza ……… 5

1.4

Dai manicomi agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari ……… 9

1.4.1 Dal ricovero coatto al ricovero volontario: la legge Mariotti…………. 9

1.4.2 La riforma dell’ordinamento penitenziario: la legge n. 354/75 ……… 10

1.4.3 Dall’ internamento al diritto alla salute: la legge Basaglia …………... 12

CAPITOLO II

PERCORSO DI SUPERAMENTO DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI

GIUDIZIARI

2.1

La presunzione di pericolosità sociale al vaglio della Corte

Costituzionale ……… 14

2.2

L'OPG da misura unica ad extrema ratio: le sentenze n. 253/2003 e

n. 367/2004

……… 16

2.3

Il trasferimento della Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario

Nazionale: il DPCM 1° aprile 2008

……… 17

2.4

La Commissione Parlamentare di inchiesta e le ispezioni negli OPG… 19

2.5

Il termine per il superamento degli OPG: la legge n. 9/2012 ………… 21

2.6

Le continue proroghe: il decreto Balduzzi .……… 24

2.7

Le Residenze per l

’Esecuzione delle Misure di Sicurezza: la legge

n. 81/2014 .

……… 25

(3)

II

CAPITOLO III

RESIDENZE PER L

’ESECUZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA

3.1

REMS in Italia: capienze, presenze e prime criticità ……… 28

3.2

Requisiti strutturali e organizzativi ……… 29

3.3

Regolamenti interni

……… 31

3.4

Regione Toscana: la REMS-D di Volterra

……… 34

3.4.1 Attività riabilitative ..……… 35

3.4.2 Équipe multiprofessionale ……… 37

3.4.3 Pazienti ………. 39

CAPITOLO IV

VALUTAZIONE DEL CLIMA SOCIO

– TERAPEUTICO

4.1

Importanza del clima socio – terapeutico ..……… 41

4.2

Essen Climate Evaluation Schema

……… 42

4.2.1 Supporto terapeutico ……… 43

4.2.2 Coesione tra i pazienti e sostegno reciproco ……… 44

4.2.3 Sicurezza percepita ...……… 44

4.3

Scopo dell

’indagine ……… 45

4.4

Campioni ……… 46

4.5

Modalità di somministrazione dei test ..………. 47

4.6

Risultati ..

……… 48

4.7

Analisi

……… 50

4.7.1 Analisi del supporto terapeutico percepito ..……… 50

4.7.2 Analisi della coesione di gruppo percepita ..……… 52

(4)

III

CAPITOLO V

CONFRONTO CON UNA SITUAZIONE EUROPEA: IL MODELLO

TEDESCO

5.1

Normativa in Germania ………. 55

5.2

Forensic Psychiatric Hospital

……… 58

5.3

Confronto tra i risultati tedeschi e italiani

……… 59

CONCLUSIONI ..

……… 62

BIBLIOGRAFIA

………. 64

SITOGRAFIA

………….………. 68

LEGGI, ATTI E NORMATIVE

…….……… 70

(5)

IV

«Hanno chiuso finalmente gli OPG. Sono usciti in tanti. Qualcuno ce l’ha fatta, qualcun altro no. Qualcuno non ce l’avrebbe fatta comunque [...].

Io sento che l’aria sta cambiando... non voglio affrontare il mondo, voglio che un po’ di mondo venga a trovarmi, per conoscermi e condividere un tratto della mia esistenza.»

Tratto da una testimonianza di un internato dell’OPG di Aversa,

(6)

1

INTRODUZIONE

A oltre due anni dall’entrata in funzione delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), essenziali al superamento dei sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari presenti sul territorio nazionale, il Centro di Riferimento sulle Criticità Relazionali della Regione Toscana ha intervistato alcuni operatori sanitari coinvolti in questo percorso e appartenenti a diversi profili professionali.

Le criticità emerse possono essere ricondotte a tre principali cause: la mancanza di risorse, sia strutturali che riguardanti il personale; la costruzione di reti di relazioni integrate, sia con i servizi di salute mentale del territorio, sia con la Magistratura; la scarsa formazione del personale, sia per quanto riguarda le competenze professionali contesto-specifiche, che per le conoscenze in materia giudiziaria.

Tutto questo si ripercuote, in definitiva, sul clima socio-terapeutico presente in struttura, strettamente connesso alla compliance e, di conseguenza, agli outcome clinici dei pazienti.

Questa tesi, si pone l’obiettivo di valutare il clima socio-terapeutico dell’unica REMS presente in Toscana, confrontandone la percezione riscontrata da pazienti e operatori e proponendo alcune strategie di miglioramento.

Infine, i risultati ottenuti saranno analizzati a fianco dei dati rilevati nelle strutture psichiatriche forensi di altri Paesi europei.

(7)

2

CAPITOLO I

EVOLUZIONE DELLA PRESA IN CARICO DEL PAZIENTE

PSICHIATRICO AUTORE DI REATO

1.1 Nascita dei manicomi criminali in Europa

La nascita dei cosiddetti manicomi criminali può essere vista come l’incontro di riflessioni di carattere giuridico, psichiatrico e culturale. Già alla fine del XVIII secolo, in Europa, si iniziò a delineare il principio secondo cui i “folli rei”, cioè coloro che commettevano un reato come effetto di una patologia psichiatrica, dovevano essere giuridicamente prosciolti e per questo non potevano essere presi in carico in modo adeguato né dal carcere né dalle strutture psichiatriche ordinarie.

Con l’avanzare del pensiero della scuola positivista infatti, il concetto di responsabilità individuale cede il posto a quello di pericolosità sociale dell’individuo, sostituendo alla pena, come sanzione per il reato commesso, la misura di sicurezza intesa come protezione della società nei confronti di quegli individui ritenuti pericolosi (Melani, 2014). Pertanto le misure di sicurezza non dovevano essere proporzionate alla gravità del reato ma alla pericolosità del reo. Alla luce di quanto detto dunque, se da un lato la prigione non era il posto ideale per l’esigenza di un trattamento medico, dall’altro il manicomio non permetteva di far fronte alla pericolosità del folle. Si ritenne quindi necessario fondere in un'unica struttura la finalità clinica della cura, all’inizio dell’800 ancora quasi del tutto assente, con quella di difesa sociale.

Tale struttura prese forma con il nome di Criminal’s Asylum in Inghilterra,

dove il Parlamento, durante il regno di Giorgio III, il 28 luglio 1800, emanò l’Insane Offender’s Act, con cui per la prima volta si disponeva l’assoluzione di chiunque fosse responsabile di atti criminali ma affetto da alienazione mentale e che doveva perciò essere tenuto sotto stretta sorveglianza per una durata di tempo

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3

scelta dalla Corte, fino a quando il re non avrebbe revocato la misura. Furono quindi costruiti i primi manicomi criminali veri e propri, a Dundrum in Irlanda nel 1850, a Perth in Scozia nel 1858 e a Broadmoor in Inghilterra nel 1863 (Borzacchiello, 2007).

Successivamente, attraverso un altro atto normativo, venne stabilito che nei manicomi criminali potevano essere ricoverati non solo i malati mentali autori di reato ma anche i cosiddetti “criminali impazziti”, ovvero chi, condannato per un reato commesso in piena consapevolezza, risultava affetto da una patologia psichiatrica come conseguenza della permanenza in carcere.

È necessario sottolineare però che nonostante il principio giuridico che si andava delineando fosse formalmente un principio di maggiore civiltà, si ebbero di fatto ben pochi effetti sul miglioramento delle condizioni cliniche e materiali degli internati, sia per via di una mission prevalentemente contenitiva delle strutture manicomiali giudiziarie, del tutto contigua con la funzione punitiva del carcere, sia per la presenza di riduttive ipotesi organiciste sulle malattie mentali, con una conseguente assenza di efficaci strumenti terapeutici (Istituto Superiore di Sanità, 2014).

1.2 Nascita dei manicomi giudiziari in Italia

A partire dalla seconda metà del XIX secolo, tutti questi principi entrarono progressivamente nei sistemi normativi di molti Paesi europei, tra cui l’Italia.

Qui, la nascita del primo manicomio giudiziario avvenne nel 1876 quando, presso la Casa penale per invalidi di Aversa in provincia di Caserta, per sopperire alla mancanza di disposizioni legislative, venne inaugurata una “sezione per maniaci”, istituita con un atto amministrativo da parte del Direttore Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena, il quale vi inviò diciannove “pazzi criminali”, affidati alle cure del medico-chirurgo della casa penale per invalidi e direttore del manicomio civile di Aversa (Benevelli, 2014).

In quegli anni venne ribadita più volte la necessità di instituire manicomi criminali in tutto il territorio nazionale. Consapevoli dell’esigua capienza della

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4

sezione per maniaci di Aversa e assodata l’elevata spesa dello spostamento degli internati da una regione all’altra, fu richiesta l’apertura di un ulteriore manicomio criminale, che fosse collocato in una zona isolata del centro Italia. Venne scelta la villa Granducale dell’Ambrogiana di Montelupo Fiorentino, che dopo alcune modifiche strutturali a basso costo, realizzate dagli stessi detenuti, venne inaugurata il 12 giugno del 1886 (Borzacchiello, 2007).

Questa tipologia di strutture era destinata ad aumentare di numero: nel 1892

venne inaugurata la terza a Reggio Emilia, nel 1923 quello di Napoli Sant’Efremo e nel 1925 quello di Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di

Messina. Nel 1939 infine, venne stipulata una convenzione che stabiliva la nascita di una sezione giudiziaria all’interno del manicomio civile di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, che costituirà anche nei decenni successivi un’eccezione, divenendo l’unico Ospedale Psichiatrico Giudiziario ad essere una struttura sostanzialmente sanitaria senza la presenza costante della polizia penitenziaria, e l’unico ad essere provvisto di una sezione femminile (Istituto Superiore di Sanità, 2014).

Menzionati per la prima volta come manicomi giudiziari nel 1890, queste prime strutture furono formalmente riconosciute dal Regolamento generale degli

stabilimenti carcerari del 1891, che stabiliva che «ai condannati colpiti da

alienazione mentale che devono scontare una pena maggiore di un anno sono destinati speciali stabilimenti, manicomi giudiziari nei quali si provveda ad un tempo alla repressione e alla cura» (Manacorda, 1980; Borzacchiello, 2007).

La gestione venne affidata ai Direttori amministrativi, a cui erano subordinati i medici chirurghi alienisti, presenti nelle strutture col titolo di Direttori sanitari, i quali si occupavano dell’aspetto terapeutico (Borzacchiello, 2007). Già i primi decenni di attività furono caratterizzati da alcuni dibattiti: i medici contestavano infatti la posizione subordinata che occupavano rispetto al Direttore amministrativo ed evidenziarono le difficoltà di superare i limiti imposti dal regolamento carcerario che non prendeva in considerazione la specificità dei malati. Oltre a questo anche le condizioni igienico - strutturali furono critiche.

(10)

5

La prima legge di regolamentazione univoca dei manicomi, fino ad allora soggetti a numerosi regolamenti locali e decisioni per lo più arbitrarie, venne approvata solo nel 1904. Si tratta della legge 14 febbraio n.36, redatta sulla base di un disegno di legge presentato dall’allora Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia Giovanni Giolitti, intitolata Disposizioni sui manicomi e sugli

alienati. Custodia e cura degli alienati, che sostanzialmente affidava alla

psichiatria una funzione rilevante nel mantenimento dell’equilibrio sociale, più che di cura della malattia, basandosi su principi custodialistici. Tale legge introdusse infatti il concetto di obbligatorietà di ricovero, attraverso un provvedimento del magistrato o del questore, per tutti coloro ritenuti pericolosi per sé e per gli altri, la cui famiglia perciò non aveva alcun potere decisionale in merito. La legge Giolitti, redatta in un’epoca in cui il concetto di malattia mentale e quello di pericolosità sociale tendevano a sovrapporsi, non contiene quindi disposizioni riguardanti i folli ritenuti non pericolosi che di conseguenza, oltre a non essere sottoposti a misure detentive non avrebbero neanche ricevuto alcun tipo di trattamento di carattere terapeutico. Secondo questa legge, infine, il personale degli istituti manicomiali comprendeva soltanto i medici, gli infermieri e i sorveglianti, gestiti dal Direttore del manicomio che era il solo a poter disporre le condizioni per l’ammissione e la dimissione dei paziente, non più subordinato quindi al Direttore amministrativo (Melani, 2014).

La legge n.36 resterà in vigore fino al 1978, quando verrà sostituita dalla più nota legge 180.

1.3 I manicomi giudiziari come misura di sicurezza

Negli anni successivi, allo scoppio della prima guerra mondiale, si sentì la necessità di una maggiore protezione sociale, che in termini pratici si tradusse in una riforma del codice penale Zanardelli, allora in atto, il quale non prevedeva alcuna responsabilità penale nei confronti degli infermi di mente ma solo il ricovero in un manicomio criminale civile. Inoltre, tale codice, non conteneva alcuna disposizione in tema manicomiale, cioè non faceva assolutamente

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6

menzione dei manicomi giudiziari, limitandosi solamente a mantenere la distinzione tra imputabili e non imputabili per infermità di mente (Melani, 2014).

Ciò che ne conseguì fu l’entrata in vigore, il 1° luglio 1931, del codice penale Rocco, dal nome dell’allora Ministro di Grazia e Giustizia, Alfredo Rocco, secondo il quale le ragioni di tale riforma erano da ricondursi ai «profondi rivolgimenti prodottisi nella psicologia e nella morale degli individui e della collettività, e nelle condizioni di vita economica e sociale» dell’epoca (Moriconi, 2013).

Tale codice, cercando di accostare l’ideologia della scuola classica con quella della scuola positiva, ha realizzato il cosiddetto sistema del doppio binario che dispone, accanto alle pene tradizionali proporzionate alla gravità del reato commesso, le misure di sicurezza correlate al grado di pericolosità sociale e, per questo, prive di una durata temporale predeterminata. Il codice Rocco quindi, tutt’ora in vigore, non si ispira solamente ad una concezione retributiva della pena, ma anche ad una concezione preventiva del reato (Musio, 1999).

Quelli che per il codice penale Zanardelli erano i folli rei, diventano i folli prosciolti con il codice penale Rocco.

L’articolo 85 del Codice Penale infatti sancisce che «nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile», dove con il termine imputabile ci si riferisce a «chi ha la capacità di intendere e di volere». Tale concetto comprende necessariamente entrambe le capacità: da un lato l’attitudine del reo a comprendere il significato delle proprie azioni nel contesto sociale in cui agisce, dall’altro il controllo che egli ha dei propri impulsi.

È quindi con questo nuovo Codice Penale che sorge il concetto di vizio di

mente nel panorama legislativo italiano, per la presenza di alcuni articoli del

Codice Penale che affrontano nello specifico il concetto di imputabilità in rapporto con quello di malattia mentale.

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7

Articolo 88 Codice Penale - Vizio totale di mente:

«Non è punibile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in stato di mente da escludere la capacità di intendere e volere.»

Articolo 89 Codice Penale - Vizio parziale di mente:

«Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita.»

Articolo 90 Codice Penale - Stati emotivi o passionali:

«Gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità. La disposizione in esame si riferisce agli stati emotivi e passionali che sono verificabili in una persona sana, e come tale, ritenuta idonea a controllare la propria affettività (si pensi alla gelosia). Questi non possono escludere o diminuire l’imputabilità in quanto possono assumere rilevanza come cause di esclusione o attenuazione dell’imputabilità solo quegli statti emotivi e passionali che dipendono da una vera e propria infermità di mente. Di qui la considerazione di inutilità della norma, espressa da larga parte della dottrina.»

In questo scenario quando, nell’ambito di un processo penale, solitamente durante le indagini preliminari, è necessario un accertamento sulle condizioni di mente del soggetto indagato, il giudice richiede una perizia psichiatrica, uno strumento di accertamento tecnico volto a fornire gli elementi per pronunciare un parere diagnostico, valutativo e prognostico, come disposto dall’ articolo 220 del Codice di Procedura Penale (Giordano, 2006).

Dalla perizia può derivare un’assenza o una presenza di infermità di mente. Nel primo caso, l’imputato sarà sottoposto a giudizio; nel caso invece in cui la

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8

perizia psichiatrica abbia rilevato la presenza di infermità mentale del reo, sarà necessario riscontrare la tipologia di vizio di mente.

Nel caso di vizio totale di mente, il giudice dispone il proscioglimento della persona accusata, in quanto non imputabile; inoltre, se la perizia si pronuncia positivamente su un’eventuale recidiva, la persona viene dichiarata dal giudice come socialmente pericolosa,1 in base alle circostanze riguardanti la gravità del reato commesso e la capacità a delinquere del colpevole.2 Il giudice potrà disporre il ricovero presso un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG) per un periodo di due, cinque o dieci anni, in base alla gravità del reato commesso.3 Al termine della misura di sicurezza, questa potrà essere revocata o prorogata, previa valutazione della sussistenza o meno della pericolosità del soggetto. Dopo

1 Cfr. Art. 203 c.p. - Pericolosità sociale. «Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la

persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati. La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’articolo 133».

2 Cfr. Art. 133 c.p. - Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena. «Nell’esercizio del potere

discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tenere conto della gravità del reato, desunta:

1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;

2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa del reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

Il giudice deve tener conto, altresì della capacità a delinquere del colpevole, desunta: 1) dai motivi a delinquere e del carattere del reo;

2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;

3) dalla condotta contemporanea o susseguente del reato;

4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo».

3 Cfr. Art. 222 c. p. – Ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario. «Nel caso di proscioglimento

per infermità psichica, ovvero per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per sordomutismo, è sempre ordinato il ricovero dell’imputato in un ospedale psichiatrico giudiziario per un tempo non inferiore a due anni; salvo che si tratti di contravvenzioni o di delitti colposi o di altri delitti per i quali la legge stabilisce la pena pecuniaria o la reclusione per un tempo non superiore nel massimo a due anni, nei quali casi la sentenza di proscioglimento è comunicata all’autorità di pubblica sicurezza. La durata minima del ricovero nel ospedale psichiatrico giudiziario è di dieci anni, se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena di morte o l’ergastolo, ovvero di cinque se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena della reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a dieci anni. Nel caso in cui la persona ricoverata in un ospedale psichiatrico giudiziario debba scontare una pena restrittiva della libertà personale, l’esecuzione di questa è differita fino a che perduri il ricovero nell’ospedale psichiatrico . Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai minori degli anni quattordici o maggiori dei quattordici e minori dei diciotto, prosciolti per ragione di età, quando abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato, trovandosi in alcuna delle condizioni indicate nella prima parte dell’articolo stesso».

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la proroga, il giudice può procedere a nuovi accertamenti, senza dover aspettare la fine del termine minimo.4

Nel caso, invece, di vizio parziale di mente, per quanto ridotta possa essere la capacità di intendere e di volere, il giudice dichiara l’imputabilità del soggetto, sottoponendolo a processo. Nel caso in cui il reo venisse condannato, dovrà scontare una pena che tuttavia sarà ridotta di un terzo, seguita dall’assegnazione di una misura di sicurezza, ovvero alla Casa di Cura e Custodia di competenza, qualora l’imputato venisse dichiarato socialmente pericoloso (Del Giudice, 2011).

1.4 Dai manicomi agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

1.4.1 Dal ricovero coatto al ricovero volontario: la legge Mariotti

Con l’affermarsi delle teorie psicoanalitiche e dei nuovi approcci psicoterapeutici che si proponevano come metodo di esplorazione della mente, per la prima volta in quegli anni si iniziò a dare alla malattia mentale un’interpretazione diversa da quella meramente biologica. Tale cambiamento si deve agli studi di Sigmund Freud (1856 – 1939) ma anche allo sviluppo di nuove discipline quali l’antropologia, la sociologia e la psichiatria sociale che permisero di prendere in considerazione, nell’analisi della malattia psichiatrica, anche le dinamiche ambientali, sociali, familiari, culturali ed etniche.

Quando poi, a partire dalla metà degli anni ’50, iniziò a farsi strada l’uso e l’introduzione nel mercato dei primi psicofarmaci, si aprirono nuovi orizzonti verso il trattamento del folle e prese piede una nuova realtà nell’ambito dell’assistenza psichiatrica.

4 Cfr. Art 208 c.p. – Riesame della pericolosità. «Decorso il periodo minimo di durata, stabilito dalla

legge per ciascuna misura di sicurezza, il giudice riprende in esame le condizioni della persona che vi è sottoposta, per stabilire se essa è ancora socialmente pericolosa [c.p.p. 679].

Qualora la persona risulti ancora pericolosa, il giudice fissa un nuovo termine per un esame ulteriore. Nondimeno, quando vi sia ragione di ritenere che il pericolo sia cessato, il giudice può, in ogni tempo, procedere a nuovi accertamenti [c.p.p. 679]».

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10

Il 20 aprile del 1968 venne infatti pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la cosiddetta legge Mariotti, dal nome del Ministro della Sanità dell’epoca, denominata Provvidenze per l’assistenza psichiatrica, e che introduceva l’istituzione del ricovero volontario in ospedale psichiatrico «su richiesta del malato, per accertamento diagnostico e cura, su autorizzazione del medico di guardia», in maniera del tutto simile a quella adottata negli ospedali generali.5 In

questo modo si iniziò a delineare una nuova funzione del ricovero, maggiormente connessa al concetto di malattia, piuttosto che a quello di difesa sociale.

Inoltre, grazie a questa legge, gli ospedali psichiatrici subirono importanti trasformazioni organizzative, venendo aumentata la dotazione di personale, in quanto la legge richiedeva che in ogni ospedale venisse assicurato il rapporto di un infermiere per ogni tre posti letto e di un’assistente sanitaria o sociale per ogni cento posti letto.6

L’importanza di questa legge è da ricercare anche nell’istituzione di un servizio di assistenza psichiatrica territoriale mediante la realizzazione di “centri o servizi di igiene mentale” extra ospedalieri, dotati di personale idoneo, come medici psichiatrici, psicologi. assistenti sociali, assistenti sanitarie, personale infermieristico ed ausiliario.7

Ma tali innovazioni non furono portati a compimento rappresentando nient’altro che una fase di passaggio per quella che in seguito, nel 1978, fu la vera rivoluzione dell’assistenza psichiatrica.

1.4.2 La riforma dell’ordinamento penitenziario: la legge n.

354/75

Negli anni ’70 dominava un clima di contestazione e di totale critica nei confronti della gestione dei manicomi da parte del personale di cura e custodia.

5 Cfr. Art. 4, Legge 18 marzo 1968, n.431. 6 Cfr. Art. 2, Legge 18 marzo 1968, n.431. 7 Cfr. Art. 3, Legge 18 marzo 1968, n.431.

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11

Nel 1975, a seguito di alcune sentenze della Corte Costituzionale8 9 e degli scandali emersi dalle testimonianze di alcuni ex internati del manicomio di Aversa (Dell'Aquila & Esposito, 2013), venne approvata la riforma dell’ordinamento penitenziario che segnò una svolta decisiva sul piano legislativo penitenziario, in quanto sostituì definitivamente il regolamento carcerario del 1931, risalente quindi al periodo fascista e avente una mera funzionalità afflittiva e di custodia.

Alla riforma si arrivò grazie la legge n. 354 del 26 luglio 1975, denominata

Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà e suddivisa in due parti: la prima riguardante il

trattamento e la seconda riguardante l’organizzazione penitenziaria.

Con questa riforma ci si avvicina ad un’idea di pena più coerente a quella disciplinata nel testo costituzionale, che non sia solo volta a garantire il rispetto della dignità umana ma anche finalizzata ad una funzione rieducativa del condannato,10 permettendone il recupero sociale attraverso il trattamento personalizzato e l’introduzione di misure alternative alla detenzione.11

Tali principi sono sanciti dall’articolo 1 della legge n. 354/75, il quale dispone che:

«Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona. […]. I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con i loro nomi. Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva. Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un

8 Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 110/1974. 9 Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 146/1975.

10 Costituzione della Repubblica italiana. Art. 27, comma 3. 11 Cfr. Art. 47, Legge 26 luglio 1975, n.354.

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12

criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti».

Inoltre, muta ufficialmente la denominazione dei manicomi che divengono Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG),12 cambiamento che riflette, da un punto di vista simbolico, una dimensione maggiormente terapeutica dell’istituzione.

Subito dopo, nel 1976 venne approvato il regolamento di esecuzione disciplinato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 431, apportando di fatto significative modifiche nell’ambito dell’istituzione manicomiale.

1.4.3 Dall’ internamento al diritto alla salute: la legge Basaglia

Tra gli anni ’60 e ’70, iniziò a diffondersi la notizia di un giovane psichiatra e neurologo italiano, Franco Basaglia (1924-1980), che stravolse la visione manicomiale classica, proponendo un nuovo modello di comunità terapeutica, dove vennero aperte le porte dei reparti fino ad allora chiusi ed eliminata ogni tipo di terapia shock e contenzione fisica; dove venne creata un’equipe in cui potessero collaborare divere figure professionali; dove vennero attivati spazi artistici e ricreativi (come laboratori teatrali e di pittura) per poter far emergere le capacità e le attitudini dei degenti; dove venne per la prima volta messo in discussione il classico rapporto tra operatori e pazienti (Dell'Acqua, 2010).

Ma la rivoluzione che avveniva dentro le mura del manicomio non era più sufficiente: era giunto il momento che questa si proiettasse anche all’esterno.

Per permettere ciò, era necessario un cambiamento che portasse alla chiusura dei manicomi e alla costruzione di una rete di servizi territoriali volti a curare e assistere tutti i degenti dimessi.

Tutto questo avvenne nel 1978, quando il Parlamento approvò la legge n. 180, comunemente nominata legge Basaglia dal nome del suo promotore, e dal titolo

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13

Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori. Tale legge, in realtà,

nacque per essere transitoria, in quanto destinata ad essere inclusa nella legge n.833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale.

La legge n. 180 vietò la costruzione di nuovi ospedali psichiatrici e mutò l’utilizzo di quelli esistenti come divisioni specialistiche psichiatriche di ospedali generali, rendendo di fatto l’Italia il primo Paese ad abolire gli ospedali psichiatrici; inoltre venne rimandato alle regioni il compito di istituire all’interno dell’ospedale generale determinati Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC), dotati di un numero limitato di posti letto, prevedendo l’attribuzione di alcune funzioni alle Aziende Sanitarie Locali, con il compito di intervenire, mediante i Dipartimenti di Salute Mentale, in materia di prevenzione ed educazione sanitaria.

Infine fu regolamentato il trattamento dell’infermità mentale che divenne volontario, prevedendo il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) solo in particolari condizioni di gravità clinica e di urgenza, attraverso una specifica procedura.13

Tutti questi mutamenti connotano la malattia psichiatrica di una dimensione sociale, attraverso la messa in atto di principi di riabilitazione e prevenzione del malato, da realizzare sul territorio e prima di allora mai presi in considerazione.

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14

CAPITOLO II

PERCORSO DI SUPERAMENTO DEGLI OSPEDALI

PSICHIATRICI GIUDIZIARI

2.1 La presunzione di pericolosità sociale al vaglio della Corte

Costituzionale

Sopravvissuto alla riforma dell’assistenza psichiatrica degli anni ’70 e alla chiusura dei manicomi, l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario rimase pressoché immutato: un'istituzione fondamentalmente penitenziaria, con caratteri afflittivi, personale dipendente dall'amministrazione penitenziaria, regime e disciplina simili a quelle di un carcere, architettura e organizzazione tipiche di un'istituzione totale (Melani, 2014).

Di fronte alla mancanza di atti legislativi, è la Corte Costituzionale ad intervenire tra gli anni ’80 e ’90, con alcune sentenze in materia di bilanciamento di interesse tra cura e custodia.

In particolare attraverso la sentenza n. 139 del 1982, con la quale la Corte ha ritenuto illegittima la presunzione relativa al perdurare dello stato patologico che ha dato luogo alla commissione del fatto e quindi della derivante pericolosità sociale.14 La commissione di un reato e la presenza di una patologia psichiatrica

14 Cfr Art. 204 c.p. Accertamento di pericolosità sociale. Pericolosità sociale presunta. «Le misure di

sicurezza sono ordinate, previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa.

Nei casi espressamente determinati, la qualità di persona socialmente pericolosa è presunta dalla legge. Nondimeno anche in tali casi l'applicazione delle misure di sicurezza è subordinata all'accertamento di tale qualità, se la condanna o il proscioglimento è pronunciato:

1. dopo dieci anni dal giorno in cui è stato commesso il fatto, qualora si tratti di infermi di mente, nei casi preveduti dal primo capoverso dell'articolo 219 e dell'articolo 222;

2. dopo cinque anni dal giorno in cui è stato commesso il fatto, in ogni altro caso.

È altresì subordinata all'accertamento della qualità di persona socialmente pericolosa l'esecuzione, non ancora iniziata, delle misure di sicurezza aggiunte a pena non detentiva, ovvero concernenti imputati prosciolti, se, dalla data della sentenza di condanna o di proscioglimento, sono decorsi dieci anni nel caso preveduto dal primo capoverso dell'articolo 222, ovvero cinque anni in ogni altro caso».

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erano infatti ritenute, fino ad allora, condizioni sufficienti per far operare una presunzione di pericolosità sociale, non suscettibile di prova contraria.

La successiva sentenza n. 249 del 1983, era giunta alla stessa considerazione; la Corte infatti è intervenuta anche sulla presunzione relativa all'applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione ad una casa di cura e custodia, confermando l'illegittimità della duplice presunzione, anche per il semi-infermo.15 Infatti, a maggior ragione, trattandosi di una condizione di salute meno grave di quella del totale infermo di mente, sembrava più probabile che la condizione di malattia del semi-infermo evolvesse nel tempo in senso positivo. Tra l’altro, nel caso di semi-infermità mentale, solitamente trascorre un tempo maggiore tra il giudizio e l’esecuzione della misura di sicurezza, essendo questa realizzata solo dopo aver scontato la pena detentiva (Melani, 2014).

Le pronunce della Corte Costituzionale non erano giunte però a dichiarare illegittimo di per sé il meccanismo presuntivo. Solo con l’entrata in vigore della legge Gozzini, ovvero la n. 663 del 10 ottobre del 1986, intitolata Modifiche alla

legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, si abrogò ufficialmente l’articolo 204 del codice penale,

annullando definitivamente ogni fattispecie presuntiva e, dunque, il binomio malattia mentale - pericolosità sociale. La legge Gozzini attribuì inoltre al Magistrato di Sorveglianza la competenza esclusiva in ordine all’attuazione delle misure di sicurezza, disponendo che quest’ultime dovessero essere applicate solo previo accertamento della pericolosità del soggetti.

15 Cfr Art. 219 c.p. Assegnazione a una casa di cura e di custodia. « Il condannato, per delitto non

colposo, a una pena diminuita per cagione di infermità psichica , o di cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per cagione di sordomutismo, è ricoverato in una casa di cura e di custodia per un tempo non inferiore a un anno, quando la pena stabilita dalla legge non è inferiore nel minimo a cinque anni di reclusione.

Se per il delitto commesso è stabilita dalla legge [la pena di morte o] la pena dell'ergastolo, ovvero la reclusione non inferiore nel minimo a dieci anni, la misura di sicurezza è ordinata per un tempo non inferiore a tre anni.

Se si tratta di un altro reato, per il quale la legge stabilisce la pena detentiva, e risulta che il condannato è persona socialmente pericolosa, il ricovero in una casa di cura e di custodia è ordinato per un tempo non inferiore a sei mesi; tuttavia il giudice può sostituire alla misura del ricovero quella della libertà vigilata. Tale sostituzione non ha luogo, qualora si tratti di condannati a pena diminuita per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti.

Quando deve essere ordinato il ricovero in una casa di cura e di custodia, non si applica altra misura di sicurezza detentiva».

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2.2 L'OPG da misura unica ad extrema ratio: le sentenze n. 253/2003

e n. 367/2004

Il punto di partenza di quello che può essere considerato l’iter normativo che ha portato alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari si ha nel 2003, quando la Corte Costituzionale, attraverso la sentenza n. 253/2003, sancì l’incostituzionalità di parte degli articoli 222 e 219 del Codice Penale, mettendo a disposizione un’alternativa all’istituzione manicomiale punitiva e segregante, in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione.16

La Corte sanciva fondamentalmente la possibilità di adottare una misura di sicurezza non detentiva a contenuto terapeutico, come l’applicazione della libertà vigilata associata a un rapporto stabile e continuativo con il Servizio Psichiatrico territoriale, che da un lato garantisse il recupero del soggetto e dall’altro consentisse di far fronte alla sua pericolosità sociale.

Seguendo il medesimo iter argomentativo, l’anno successivo la Corte Costituzionale intervenne nuovamente con la sentenza n. 367/2004, sancendo l’incostituzionalità dell’articolo 206 del Codice Penale,17 nella parte in cui non consentiva al giudice di adottare, in fase di applicazione provvisoria della misura di sicurezza, una misura diversa dal ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

In questo modo la Corte porta a parziale compimento quel processo di riforma avviato con la legge Basaglia che aveva sancito il passaggio da un'unica tipologia di intervento sul malato di mente, il ricovero nell'asilo, ad un sistema di assistenza sanitaria dove l'intervento coattivo sul folle ricopriva un ruolo

16 Cfr Art. 32 Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e

interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

17 Cfr Art. 206 c.p. - Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza. «Durante l'istruzione o il

giudizio, può disporsi che il minore di età, o l'infermo di mente, o l'ubriaco abituale, o la persona dedita all'uso di sostanze stupefacenti, o in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti, siano provvisoriamente ricoverati in un riformatorio o in un ospedale psichiatrico giudiziario, o in una casa di cura e di custodia. Il giudice revoca l'ordine, quando ritenga che tali persone non siano più socialmente pericolose.

Il tempo dell'esecuzione provvisoria della misura di sicurezza è computato nella durata minima di essa».

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residuale. Ciò che si veniva a decretare era fondamentalmente la preminenza della cura sull’esigenza di custodia (Melani, 2014).

2.3 Il trasferimento della Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario

Nazionale: il DPCM 1° aprile 2008

Nel 2008, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° aprile, denominato Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio Sanitario

Nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, le funzioni sanitarie negli istituti penitenziari furono trasferite al

Servizio Sanitario Nazionale, decretando il passaggio di competenze dal Ministero della Giustizia a quello della Salute. Tra gli obiettivi vi era quello di garantire e assicurare ai detenuti un trattamento equivalente a quello offerto all'esterno degli istituti penitenziari, cercando soprattutto di favorire la presa in carico con programmi individualizzati, rispetto alla pura e semplice risposta alla situazione di emergenza.

In questa riforma erano comprese quindi anche le funzioni sanitarie all’interno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, definite con le linee di indirizzo specifiche per gli interventi nel settore dell’internamento psichiatrico giudiziario nell’Allegato C del citato D.P.C.M. (Appendice A).

Il decreto si poneva di fatto l’obiettivo del graduale superamento degli OPG, trasferendone la responsabilità della gestione sanitaria alle Regioni di competenza e delineando una serie di azioni organizzate in tre fasi.

Nella prima fase, i Distretti di Salute Mentale nel cui territorio si trovavano gli OPG, con la collaborazione delle Regioni di provenienza dei soggetti internati, avrebbero dovuto provvedere alla stesura di un piano finalizzato allo snellimento delle strutture vigenti, attraverso la dimissione di coloro i quali avevano concluso la misura di sicurezza; il trasferimento presso apposite sezioni di cura e di riabilitazione, all’interno degli istituti penitenziari, dei soggetti ricoverati in OPG

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18

per disturbo mentale sopravvenuto o per accertamento di infermità psichica; e l'impegno ad effettuare le osservazioni negli istituti di pena.

La seconda fase, che sarebbe dovuta partire dopo un anno, avrebbe dovuto avvicinare gli internati alle rispettive realtà geografiche di provenienza, attraverso la predisposizione di programmi individualizzati proposti dalle Regioni competenti per la gestione sanitaria, in collaborazione con le Regioni di provenienza degli internati. A tale fine si attribuivano indicativamente ad ogni OPG dei bacini macro-regionali di utenza.18

L'ultima fase, che sarebbe dovuta partire ad un anno di distanza dalla precedente, avrebbe dovuto portare alla presa in carico e alla predisposizione di programmi terapeutici e riabilitativi, da parte di ciascuna regione, della quota di pazienti internati in OPG provenienti dal proprio territorio. Si anticipavano le possibili soluzioni che ogni Regione avrebbe potuto adottare: dalle strutture OPG con livelli diversificati di vigilanza, a strutture di accoglienza, all'affidamento ai servizi psichiatrici e sociali territoriali, così da facilitare la dimissione e valorizzare il reinserimento sociale (Melani, 2014).

Ma il decreto è rimasto incompiuto, a causa di una reale difficoltà nell’applicare i principi sanciti su tutto il territorio nazionale, entro i termini previsti. Prima di tutto, perché gli OPG non erano collocati uniformemente; poi per un fallimento nel processo di snellimento delle strutture, forse dovuto alla mancanza di coordinazione tra le regioni e tra queste e i Dipartimenti di Salute Mentale.

Nella realtà dei fatti, l’OPG rimaneva, nonostante la riforma e gli obiettivi volti a caratterizzare una struttura in senso terapeutico, un’istituzione prevalentemente penitenziaria sotto l’aspetto organizzativo e gestionale, dove la funzione terapeutica veniva, ancora una volta, schiacciata dalle esigenze custodiali.

18 Vedi Appendice A.

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2.4 La Commissione Parlamentare di inchiesta e le ispezioni negli

OPG

L’attenzione per gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari si riaccese nel 2010, quando il Senatore Ignazio Marino avviò un’inchiesta della Commissione Parlamentare sull'efficacia e sull'efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, di cui egli stesso era Presidente. A seguito delle ispezioni a sorpresa nei sei OPG italiani venne sollevato il clamore mediatico sulla questione. I dati rilevati dai commissari, come risulta dalla Relazione sulle condizioni di vita e di cura

all'interno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, sono allarmanti: condizioni

strutturali e igienico-sanitarie precarie in tutti gli OPG (tranne che in quello di Castiglione delle Stiviere e, in parte, quello di Napoli); ricorso a misure di contenzione fisiche e ambientali; strutture inadeguate allo svolgimento di qualunque funzione terapeutica; insufficienza di competenze specialistiche rispetto al numero dei pazienti in carico.

Date le condizioni riscontrate, la Commissione richiese interventi urgenti, su più fronti.

La Commissione richiedeva innanzitutto che, essendo gli edifici in alcuni casi fatiscenti, comunque simili a strutture carcerarie piuttosto che ad ospedali, si rimediasse alle carenze strutturali nel termine massimo di sei mesi, asserendo che in caso di inerzia le strutture sarebbero state soggette a chiusura con atto autoritativo.

La seconda linea di intervento che la Commissione incentivava era relativa al trattamento terapeutico, attraverso l'elaborazione di una modalità di assistenza sanitaria maggiormente conforme ai Piani Sanitari della salute mentale delle regioni in cui erano situati gli OPG. Si preventivava inoltre la prospettiva di costituire unità funzionali più piccole, per facilitare il raggiungimento di standard conformi a quelli esterni e l’attuazione di progetti individualizzati di reinserimento, in un’ ottica di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

La Commissione ribadiva inoltre quanto già affermato nel D.P.C.M. 1° Aprile 2008 per rispondere alle esigenze differenziate: attivare da un lato le sezioni psichiatriche all'interno degli istituti penitenziari, con personale specializzato, e

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dall’altro adeguate comunità terapeutiche a gestione dei Dipartimenti di Salute Mentale con livelli diversificati di vigilanza, dove ricoverare i soggetti il cui disturbo psichiatrico fosse risultato discordante con la condizione detentiva.

Veniva incentivata poi una maggiore cooperazione tra la Magistratura e i servizi psichiatrici territoriali, in modo da garantire una prassi più conforme alle pronunce della Corte Costituzionale, favorendo l’assunzione di misure non privative della libertà. Il potenziamento della collaborazione tra Magistratura e servizi appariva essenziale sia per favorire un minore ricorso alla misura detentiva in fase di entrata sia per evitare il susseguirsi di proroghe e dunque incentivare le uscite in maniera più agevolata.

Quest’ultimo punto è importante soprattutto perché nel 2010, su un totale di 1.419 internati, veniva denunciata la presenza di 350 persone dimissibili, quasi il 25% della popolazione complessiva degli OPG (Ansa, 2011); dove col termine

dimissibili ci riferiamo a quei soggetti che sono già internati in OPG, in

esecuzione di una misura di sicurezza applicata in via definitiva, il cui termine è però scaduto e che, nonostante l'équipe interna si sia espressa nel senso di una scemata pericolosità sociale, si vedono prorogare la misura in ragione della mancanza di sostegni e misure adeguate a favorire il loro reinserimento sociale all'esterno (Accivile et al., 2002).

Infine, la Commissione rilevava come nei confronti dell'infermo di mente autore di reato si tendesse spesso ad operare una presunzione di pericolosità sociale. Ritenne necessario perciò che sulla predetta valutazione dovesse essere chiamato ad esprimersi un collegio di psichiatri, che avrebbe coadiuvato il giudice attraverso l'offerta di un parere specialistico e plurale, composto da tre membri: uno del DSM di competenza, uno facente parte dell'equipe psichiatrica dell'OPG, l'altro estraneo. La pronuncia di proscioglimento sarebbe dovuta essere accompagnata dalla nomina di un amministratore di sostegno che provvedesse alle necessità di cura e l'elaborazione di uno specifico programma che disponesse anche i termini per la rivalutazione periodica della pericolosità.

Ma per una maggiore efficacia e completezza, le modifiche sarebbe dovute intervenire anche su aspetti di carattere giuridico, come l’istituto della non

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imputabilità, rivalutando tutto il sistema del doppio binario che è alla base del codice penale, e la disciplina delle misure di sicurezza, escludendo l'applicazione provvisoria ed eliminando il concetto di indeterminatezza temporale dell'internamento.

I termini della misura di sicurezza infatti, essendo strettamente correlati al concetto di pericolosità sociale, potevano essere prorogati illimitatamente, a volte per un tempo di gran lunga superiore alla pena edittale massima, cioè al limite massimo di pena cui il soggetto sarebbe stato sottoposto per quello stesso reato. La durata della permanenza in OPG quindi, rischiava spesso di tramutarsi in quello che rappresentava uno dei grandi problemi degli internati, definito da molti autori ergastolo bianco.19

2.5 Il termine per il superamento degli OPG: la legge n. 9/2012

In seguito all’inchiesta parlamentare sull’efficacia e l’efficienza del Sistema Sanitario Nazionale, il 22 dicembre del 2011 venne emanato il decreto - legge n. 211, recante Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva

determinata dal sovraffollamento delle carceri, convertito poi nella legge n. 9 del

17 febbraio 2012, la cosiddetta legge svuota - carceri. Quest’ultima può essere inquadrata come il tassello finale dell'iter di riforma della sanità penitenziaria.

L’articolo 3-ter del decreto - legge citato stabiliva le Disposizioni per il

definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, fissando il termine

per il completamento del processo di superamento degli OPG per il 1° Febbraio 2013.

19 La letteratura e qualche articolo di giornale in materia di manicomi giudiziari ci riportano le

drammatiche testimonianze di persone che hanno trascorso negli OPG la gran parte della loro esistenza. Da un articolo di La Repubblica possiamo riprendere quattro di queste storie: Giuseppe ha trascorso 18 anni a Barcellona Pozzo di Gotto per aver rapinato 7 mila lire, fingendo di avere nella tasca una pistola inesistente; Andrea internato 25 anni per essersi travestito da donna; Fabio che ha rubato una bicicletta; Dario non esce da almeno cinque anni per aver reagito violentemente con gli agenti dopo essersi rifiutato di pagare un conto in pizzeria (Pasolini, 2011).

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22

L’articolo proseguiva disponendo che, entro il 31 marzo del 2012, dovesse essere emanato un decreto del Ministero della Salute adottato di concerto con il Ministero della Giustizia e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, che delineasse «ulteriori requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, anche con riguardo ai profili di sicurezza, relativi alle strutture destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario e dell'assegnazione a casa di cura e custodia».20

Il decreto, di fatto emanato il 1° ottobre di quell’anno (Appendice B) si ispirava fondamentalmente ai tre criteri guida già previsti dal 3° comma dell’articolo 3-ter, ovvero:

a) esclusiva gestione sanitaria all'interno delle strutture;

b) attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna, se necessario in relazione alle condizioni dei soggetti interessati, da svolgere nel limite delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente;

c) destinazione delle strutture ai soggetti provenienti, di norma, dal territorio regionale di ubicazione delle medesime.

L’articolo 3-ter continuava poi con altre scadenze: «a decorrere dal 31 marzo 2013 le misure di sicurezza del ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario e dell'assegnazione a casa di cura e custodia sarebbero state eseguite esclusivamente all'interno delle nuove strutture sanitarie preposte, fermo restando che le persone che avevano cessato di essere socialmente pericolose devono essere senza indugio dimesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di salute mentale».21

Il comma successivo faceva perciò riferimento alla necessità di assumere personale qualificato da dedicare anche ai percorsi terapeutico riabilitativi

20 Cfr Art. 3-ter, D.L n.211 del 2011. 21 Cfr Art. 3-ter, D.L n.211 del 2011.

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finalizzati al recupero e reinserimento sociale dei pazienti internati provenienti dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Il decreto destinava inoltre alcuni fondi da assegnare a Regioni e Province autonome con la procedura di attuazione del programma di investimenti straordinario, attraverso uno stanziamento per gradi di avanzamento dei progetti22; la quota era riservata limitatamente alla realizzazione e riconversione delle strutture.23

Con il Decreto del Ministero della salute, emanato il 28 Dicembre 2012, venivano quindi ripartiti i fondi tra le varie Regioni. Nel suddetto decreto si fissava un termine di sessanta giorni entro il quale ciascuna Regione avrebbe dovuto provvedere alla presentazione di uno specifico programma di utilizzo. All'articolo 3, con una parziale deroga al principio di territorializzazione, si consentiva alle Regioni di predisporre accordi interregionali per affidare la gestione dei pazienti psichiatrico-giudiziari ad una soltanto delle Regioni in accordo, esonerandone una dal provvedere all'elaborazione di un piano regionale e attribuendo alla regione "ospitante" i fondi in origine destinati all'altra. La possibilità prevista dal Decreto degli accordi inter-regionali, si pone in controtendenza rispetto ai precedenti atti del percorso di superamento degli OPG, con un rischio opposto al precedente, cioè quello di de-responsabilizzare le ASL e i Dipartimenti di Salute Mentale delle Regioni che cedono i propri pazienti psichiatrici giudiziari (Melani, 2014).

Infine, in caso di mancata ottemperanza al termine previsto per il completamento del processo di definitivo superamento, il Governo avrebbe potuto provvedere in via sostitutiva, come previsto dall'articolo 120 della Costituzione.24

22 La procedura di ripartizione dei fondi è stata modificata con Decreto del 13 Settembre 2012. 23 Si tratta di 120 milioni di euro per l'anno 2012 e di 60 milioni per il 2013.

24 Cfr Art. 120, comma 2, della Costituzione Italiana. « Il Governo può sostituirsi a organi delle

Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri

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24

Nonostante il decreto – legge avesse apportato dei vantaggi nel processo di superamento degli OPG, presentava comunque dei forti limiti per quanto riguarda l’attuazione del programma nei tempi stabiliti, subendo sin dall'inizio una serie di ritardi e il susseguirsi di proroghe.

2.6 Le continue proroghe: il decreto Balduzzi

A pochi giorni da quello che era il termine stabilito per l’esecuzione delle misure di sicurezza negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, intervenne il decreto - legge n. 24 del 25 marzo 2013, denominato Disposizioni urgenti in materia

sanitaria, noto come decreto Balduzzi e convertito poi nella legge n. 57/2013,

con la quale si andava a modificare sostanzialmente il comma 6 dell’articolo 3-ter della legge n. 9/2012.

Oltre a prorogare un’altra volta il termine previsto per la chiusura degli OPG, posticipandolo al 1° aprile 2014, interveniva anche nella modifica di alcune disposizioni per indirizzare il decreto verso un’attuazione degli interventi terapeutici e riabilitativi esterni.

A tal fine, si rimandava alle Regioni la presentazione di programmi nei quali erano previste, oltre agli interventi strutturali, attività finalizzate a incrementare la realizzazione dei percorsi terapeutico riabilitativi; a questa modifica consegue la ripartizione di una parte dei fondi, non più soltanto agli interventi strutturali, bensì anche ai programmi di recupero e di reinserimento sociale.25 Il decreto fissava il termine per la presentazione dei programmi al 15 maggio del 2013 e per garantire maggiormente il rispetto dei termini da parte delle Regioni, il potere sostitutivo del Governo è esteso anche alle ipotesi di mancata presentazione del programma entro il termine (Melani, 2014).

sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione».

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Il decreto inoltre si concentrava sul tema dei dimissibili. Si stabiliva infatti che i programmi regionali dovessero provvedere alla dimissione dei soggetti per i quali l'autorità giudiziaria avesse già escluso la sussistenza della pericolosità sociale, al pari di un detenuto che abbia finito di scontare la propria pena.

Veniva ribadita poi la necessità di ricorrere all’applicazione di misure di sicurezza a carattere detentivo solo come extrema ratio, dopo aver dimostrato l’inadeguatezza di ogni altra situazione, in ottemperanza alle sentenze della Corte Costituzionale del 2003 e 2004, modificando il comma 4 dell’articolo 3-ter del precedente decreto – legge n.211/2011 che faceva invece riferimento ad un uso esclusivo delle nuove strutture sanitarie, col rischio di un superamento solo formale degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Infine, come disposto dal decreto, il 15 dicembre del 2013 i Ministri della Salute e della Giustizia dovettero trasmettere al Parlamento la relazione sullo stato di avanzamento dei programmi regionali relativi al superamento degli OPG, nella quale veniva però comunicato che il termine previsto dalla normativa non era risultato congruo, soprattutto per quanto riguardava i tempi di realizzazione delle strutture.26

Ragion per cui il termine previsto per la chiusura degli OPG fu nuovamente prorogato.

2.7 Le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza: la legge

n. 81/2014

Il 31 marzo del 2014, alla vigilia del secondo termine per il superamento, è stato emanato un nuovo decreto, convertito poi nella legge n. 81 del 2014, che ha previsto la proroga di un ulteriore anno, facendo slittare al 31 marzo 2015 la data

26 Relazione al Parlamento sul Programma di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ai

sensi dell’articolo 3-ter del Decreto Legge 22 dicembre 2011, n.211 convertito dalla Legge 17 febbraio 2012, n. 9, come modificato dal Decreto Legge 25 marzo 2013, n. 24 convertito con modificazione, dalla Legge 23 maggio 2013, n. 57, alla data del 30 novembre 2013.

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di chiusura definitiva degli OPG e sancendo l’entrata in funzione delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS).

Anche in questo caso sono state adottate delle disposizioni che miravano a rendere ultimativo il termine previsto dal decreto, come la costituzione di un organismo di coordinamento presso il Ministero della salute, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, e le relazioni a cadenza trimestrale sullo stato di attuazione dei programmi regionali, da presentarsi alle Commissioni parlamentari competenti.

Le Regioni, a loro volta, hanno dovuto presentare al Ministero della salute e all'autorità giudiziaria competente, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, programmi terapeutico-riabilitativi individuali finalizzati alla dimissione, per ciascuno degli internati presenti in OPG e non solo dei dimissibili, nel tentativo di ridurre il numero complessivo di utenti.

Per permettere l’attuazione di questo principio, la legge ha dato la possibilità alle Regioni di modificare entro il 15 giugno 2014 i programmi già presentati in precedenza, al fine di contenere il numero complessivo di posti letto presenti nelle nuove strutture sanitarie e provvedere alla riqualificazione dei Dipartimenti di Salute Mentale, attraverso la destinazione di fondi, nell’ambito delle risorse destinate alla formazione, volti a garantire l’organizzazione di corsi di formazione per gli operatori del settore, finalizzati alla progettazione e all’organizzazione di percorsi terapeutico-riabilitativi individuali e alle esigenze di mediazione culturale.27

Lo scopo era dunque quello di potenziare la presa in carico dei servizi territoriali e intendere la collocazione presso le REMS come una soluzione temporanea.

Si sono così privilegiate le azioni volte a favorire l’applicazione di misure di sicurezza alternative, sia in via provvisoria che definitiva, salvo nei casi in cui ogni altra misura risulti non idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte

27 Cfr Art. 1, comma 1-bis, L. 81/2014.

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alla pericolosità sociale, sancendo in questo modo la natura di extrema ratio del ricovero in OPG e quindi, in REMS.

Per questo, nell’articolo 1 della legge 81/2014, viene stabilito che la sola mancanza di programmi terapeutici individuali non può costituire elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale, i cui criteri di accertamento vengono ridotti, nello stesso articolo, con l’esclusione di quelle condizione cosiddette ambientali, 28 che non rientrano nelle qualità soggettive della persona.

Infine, come già accennato, uno degli aspetti problematici degli OPG erano gli

ergastoli bianchi - ovvero quegli internati che, ben oltre a quella che sarebbe la

durata della pena massima prevista per il reato commesso, si vedono prorogata la misura di sicurezza. La legge interviene anche su questo argomento, introducendo un termine massimo di durata della misura di sicurezza, equivalente al massimo edittale della pena prevista per il reato commesso.29

Finalmente, il superamento della logica manicomiale auspicato per quarant’anni, avviato da quel processo di riforma promosso da Franco Basaglia, sembra concretizzarsi.

Nell’aprile del 2017, gli ultimi pazienti detenuti nell’ultimo OPG ancora aperto, quello di Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia, vengono dimessi, segnando da un lato la fine del percorso di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e dall’altro l’inizio di un lungo cammino che conduce finalmente a delineare i termini del trattamento nelle nuove strutture sanitarie, «valorizzando così le acquisizioni che la psichiatria di comunità, quella clinica e forense hanno ormai raggiunto» (Corleone, 2016).

28 Cfr Art. 133 comma 2, numero 4, c.p., cioè venivano escluse ai fini della valutazione, le condizioni

di vita individuale, familiare e sociale del reo.

29 Per la determinazione della pena a tali effetti si applica l'articolo 278 del codice di procedura

(33)

28

CAPITOLO III

RESIDENZE PER L

’ESECUZIONE DELLE MISURE DI

SICUREZZA

3.1 REMS in Italia: capienze, presenze e prime criticità

Oggi, su tutto il territorio nazionale, sono attive trenta REMS, per lo più provvisorie, per un totale di 604 posti disponibili e 569 pazienti presenti, dei quali 350 con una misura di sicurezza definitiva e 215 con una misura provvisoria.3031

Ma il dato importante secondo Franco Corleone, Commissario unico del Governo per le procedure necessarie al definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, 32 è che «nel periodo di funzionamento delle REMS, a partire da aprile 2015, vi sono stati 950 ingressi e 415 dimissioni, il che vuol dire che le REMS lavorano in coordinamento con i Dipartimenti di Salute Mentale e dunque le persone sono state inoltrate sul territorio in strutture diverse» (Ansa, 2017), dimostrando il funzionamento delle nuove residenze.

È importante sottolineare come, già nella fase iniziale della loro realizzazione, tali strutture abbiano incontrato non poche criticità, alcune arginate, altre in continuo miglioramento. In primis i ritardi delle Regioni, determinati, tra le altre cose, dalle opposizioni dei sindaci e delle popolazioni interessate che in alcuni casi hanno respinto la localizzazione delle REMS, aspetto di grande rilievo se consideriamo l’importanza dell’integrazione di questa tipologia di pazienti sul

30 Ultimo dato rilevato a febbraio 2017, dalla Seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal

Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, p.26, redatta da Franco Corleone.

31 I restanti quattro pazienti presentano misure di sicurezza miste.

32 Su proposta dei Ministri della Salute Beatrice Lorenzin e della Giustizia Andrea Orlando, a

febbraio 2016, il Consiglio dei ministri ha nominato Franco Corleone Commissario unico del Governo per le procedure necessarie al definitivo superamento degli OPG con il completamento delle REMS nelle Regioni Abruzzo, Calabria, Piemonte, Puglia, Toscana e Veneto, in esercizio del potere sostitutivo a norma dell’articolo 8 della legge n.131 del 2003.

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territorio. Altro aspetto è poi quello che riguarda la necessità di snellire i protocolli d’intesa con la Magistratura, in modo che gli aspetti giuridici coesistano con quelli clinici senza vanificare la progettualità sul paziente; tale progettualità è ostacolata anche dall’assegnazione indistinta alle REMS, sia di soggetti in misura di sicurezza definitiva che provvisoria, in attesa di un giudizio definitivo, incidendo oltretutto sullo scorrimento delle liste di attesa (Corleone, 2017).

3.2 Requisiti strutturali e organizzativi

Col decreto del 1° ottobre 2012 del Ministero della Salute (Appendice B), si individuano i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, fondati sui principi di governo clinico (governance clinico-assistenziale), in base ai quali queste nuove strutture sanitarie, a carattere riabilitativo, si devono impegnare per il miglioramento continuo della qualità dei servizi e del raggiungimento di standard assistenziali elevati, tenendo però presenti le restrizioni della libertà degli ospiti, in quanto sottoposti a provvedimento giudiziario.

In primo luogo si sottolinea ancora una volta la funzione terapeutico-riabilitativa delle residenze e la loro completa gestione sanitaria, in raccordo e coordinamento con la Magistratura e con i servizi psico-sociali territoriali.

A livello generale poi si stabilisce che i nuovi istituti debbano provvedere ad un’implementazione adeguatamente diversificata, sia in termini strutturali che organizzativi, che sia idonea a rispondere all’eterogeneità psicopatologica presente in un contesto come questo. A tale proposito è necessario sottolineare che «il successo dei piani terapeutici dei ricoverati a titolo definitivo richiede un percorso di riabilitazione lento ed equilibrato, in un contesto emotivamente stabile, ordinato ed armonico». Ciò che potrebbe accadere, ad esempio, è che «l’inserimento, spesso improvviso, di soggetti affetti da disturbi in fase acuta – tale da giustificare l’adozione di una misura di sicurezza - in una ristretta comunità di degenti, [possa avere] talvolta l’effetto di farne saltare gli equilibri

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