DA ETEROLOGA?
Nonostante il richiamo alla disciplina in materia di adozione, la decisione della Corte Costituzionale pone più di un problema all’interprete con riguardo alla concreta tutela che deve essere assicurata al soggetto nato da fecondazione eterologa. È evidente, infatti, che la Corte si sia limitata a citare la questione del rischio psicologico collegato ad una genitorialità non naturale, censura sollevata da parte dell’Avvocatura dello Stato, senza però entrare più a fondo nell’argomento e senza svilupparlo in maniera adeguata. Data l’importanza della questione, sarebbe stato auspicabile un suo maggiore approfondimento ad opera dei giudici costituzionali, i quali, in realtà, hanno effettuato delle considerazioni “sostanzialmente elusive del problema”187. Anzi, alcuni autori hanno evidenziato come la Corte sia
stata fortemente contraddittoria sul punto: da un lato, infatti, al fine di individuare una normativa già vigente applicabile alla fecondazione assistita di tipo eterologo, la Consulta fa riferimento alle norme in tema di donazione di tessuti e cellule umani, segnatamente anche all’articolo 14 del decreto legislativo del 6 novembre 2007, numero 191, secondo cui “tutti i dati, comprese le informazioni genetiche (…) sono resi anonimi in modo tale che né il donatore né il ricevente siano identificabili”; dall’altro lato, la Consulta richiama (peraltro nel medesimo paragrafo) l’articolo 28 della legge del 4 maggio 1983, numero 184, il quale disciplina il diritto dell’adottato
187 E. Bilotti, Fecondazione eterologa, diritto alla genitorialità naturale e diritto alla
conoscenza delle origini biologiche, in Quaderno di diritto mercato tecnologia, anno
137 ultraventicinquenne di accedere alle informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici. Dunque, la Corte ha fatto riferimento, da una parte, ad una normativa in cui viene disposta la regola dell’anonimato e, dall’altra, ad una disciplina in cui si sancisce il diritto dell’adottato a risalire alle proprie origini188.
Le conclusioni che sono state tratte da questa contraddittorietà insita nella sentenza sono molteplici. Secondo parte della dottrina, sarebbe auspicabile (e, anzi, necessario) un ulteriore intervento del legislatore che possa risolvere le ambiguità e le incertezze derivanti dalla pronuncia del giudice delle leggi, colmando le lacune determinate dalla stessa e che rischiano di pregiudicare l’esercizio del diritto alla conoscenza delle origini da parte del figlio189. In questo senso, il richiamo alle due
discipline, praticamente opposte sul punto relativo al bilanciamento da effettuare tra diritto all’anonimato per il donatore e diritto del figlio a conoscere, dovrebbe essere considerato come il riferimento a due principi diversi che il legislatore dovrà necessariamente prendere in considerazione, effettuando una scelta tra di essi190.
Parte della dottrina ha interpretato diversamente il duplice richiamo effettuato nella sentenza 162 del 2014, argomentando sulla possibilità di disciplinare la materia della ricerca delle informazioni circa i genitori biologici (nel nostro caso: le informazioni relative al donatore dei gameti) prendendo come punto di partenza proprio le due normative richiamate. Tale ragionamento prevede l’applicazione analogica della disciplina relativa al parto anonimo in un contesto dove vige il principio dell’anonimato ricavabile dal decreto legislativo riguardante la donazione dei tessuti e delle cellule umani: stante l’anonimato del donatore, il nato avrebbe la possibilità di attivare un ente terzo, il quale dovrebbe chiedere al donatore se questi sia d’accordo nel rimuovere
188 E. Bilotti, Op. cit.
189 Così E. Bilotti, op. cit., pag. 73
190 A. Nicolussi, Figli dell’eterologa, la corte “dimentica” i piccoli, in Avvenire, 12
138 l’anonimato, analogamente a quanto previsto dalla sentenza 278 del 2013191.
Una diversa interpretazione tiene in considerazione le distinzioni che sussistono tra la fattispecie dell’adozione e quella della fecondazione eterologa. I donatori di gameti sono difficilmente paragonabili ai genitori naturali dell’adottato: il gamete, infatti, ha solo la potenzialità di determinare un embrione, poiché per arrivare a quel livello di sviluppo è necessario che vi sia un impianto (e, quindi, un utero femminile che lo alimenti). Per questo motivo, nella fecondazione eterologa (a differenza di quanto accade nell’adozione) i legami tra il figlio nato mediante l’applicazione delle tecniche e il donatore dei gameti sarebbero ridotti a elementi genetici, non sussistendo peraltro nemmeno un legame giuridico tra i due, stante la disposizione contenuta nell’articolo 9, comma 3, della legge 40 del 2004, la quale stabilisce che “il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato”. Questa differenza permetterebbe di tutelare il diritto all’identità del nato in maniera differente rispetto all’adozione, ammettendo la possibilità per il figlio nato da eterologa, in caso di pericolo certo per la vita e la salute, di accedere alle informazioni mediche del donatore192.
Da quanto abbiamo riportato, appare evidente che il passaggio della sentenza della Corte Costituzionale relativo al diritto del figlio a conoscere le origini non sia perfettamente chiaro ed esente da dubbi interpretativi; tuttavia, una più attenta analisi delle parole utilizzate dal giudice delle leggi può portarci ad effettuare le seguenti considerazioni. I giudici costituzionali, richiamando la sentenza 278 del 2013,
191 G. Baldini, Cade il divieto di PMA eterologa: prime riflessioni sulle principali
questioni, in
http://www.associazionelucacoscioni.it/sites/default/files/documenti/Commento%20s entenza%20Avv.%20Baldini.pdf
192 A. Musumeci, “La fine è nota”. Osservazioni a prima lettura alla sentenza n. 162
del 2014 della Corte costituzionale sul divieto di fecondazione eterologa, in Osservatorio costituzionale AIC, luglio 2014, pagg. 8 e ss.
139 sostanzialmente ricordano come il problema riguardante il diritto a conoscere le proprie origini sia già stato affrontato in precedenza e, in quell’occasione, la Corte ha confermato l’esigenza di una adeguata considerazione delle varie posizioni soggettive che vengono in considerazione: e ciò vale persino nel delicatissimo ambito del parto anonimo, dove il segreto sull’identità della donna che ha partorito è posto a tutela della vita stessa del nato, della sua salute e della salute della madre. Dunque, il richiamo alla fattispecie del parto anonimo potrebbe essere letto in tal senso: vi è la necessità di contemperare tutte le posizioni dei soggetti che vengono in considerazione (e non andrebbe letto, dunque, come un invito ad applicare tout court la disciplina sul parto anonimo alla fattispecie della procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo)193.
Un’altra considerazione che dobbiamo fare è la seguente: in tutta la sentenza, viene sottolineata la necessità di un bilanciamento degli interessi del nato con quelli all’autodeterminazione della coppia che accede alle pratiche di fecondazione assistita di tipo eterologo. Ciò ha portato parte della dottrina a rivolgere una critica nei confronti della pronuncia della Consulta: si afferma, infatti, che la menzione della disciplina dell’adozione e della sentenza sul parto anonimo avrebbe lo scopo precipuo di dimostrare che il diritto all’identità genetica del nato non costituirebbe un bene di pari rango con l’autodeterminazione dei genitori a voler formare una famiglia e a disporre autonomamente del proprio corpo, e pertanto non sarebbe bilanciabile con essi194. Ma anche questa affermazione può essere superata, in quanto non sembra sostenibile che la Corte imponga tale bilanciamento anche a sfavore del diritto alla conoscenza delle proprie origini. Infatti, gli elementi richiamati dal giudice delle leggi sono tutti a favore di una maggiore
193 D. Rosani, Il diritto a conoscere le proprie origini nella fecondazione eterologa:
il caso italiano e l’esperienza estera, in Biolaw journal, n. 1, 2016, pagg. 211 - 239
194 Così A. Ciervo, Una questione privata (e di diritto interno), La Consulta dichiara
incostituzionale il divieto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, in diritti-cedu.unipg.it, par. 1, pag. 5
140 considerazione del diritto del figlio a conoscere le proprie origini: da una parte abbiamo la normativa sull’adozione, la quale, dal 2001, prevede il diritto del nato ad accedere alle informazioni identificative sui propri genitori biologici; dall’altro, abbiamo la sentenza 278 del 2013, dove la necessità di tutela di tale interesse ha portato i giudici a dichiarare parzialmente incostituzionale persino la sensibilissima disciplina di cui all’articolo 28 della legge in materia di adozione. Dunque, a ben vedere gli esempi richiamati vanno in direzione di una esaltazione della ricerca delle origini, e non a suo detrimento195.
Con riguardo al bilanciamento che deve essere effettuato tra il diritto del figlio a conoscere le origini e l’anonimato del donatore dei gameti, paiono troppo restrittive le opinioni che si limitano a considerare i riferimenti effettuati dalla Consulta (cioè: la disciplina sulla donazione dei tessuti e delle cellule e la normativa relativa all’adozione) come due principi tra cui il legislatore, in un futuro ed auspicabile intervento, dovrebbe scegliere. In questo caso, infatti, il giudice delle leggi ritiene che il vuoto normativo che si potrebbe creare a causa della mancanza di una legge ad hoc relativa alla donazione dei gameti potrà essere colmato mediante l’applicazione analogica immediata della disciplina sulla donazione di tessuti e cellule alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Quindi, non si tratterebbe di un mero principio che potrà essere preso in considerazione da parte del legislatore, ma è un qualcosa di più, cioè una disciplina immediatamente applicabile al caso di specie.
In conclusione, quanto appena descritto ci porta a ritenere necessario un intervento da parte del legislatore, il quale dovrà approntare le forme di tutela dell’identità del nato da fecondazione eterologa e della sua salute psichica; tale intervento dovrà tenere in considerazione gli interessi di tutti i soggetti coinvolti, cioè la famiglia del nato e il donatore dei gameti
141 (e la sua famiglia), definendo di conseguenza i limiti del diritto a conoscere le proprie origini.