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IL PARALLELISMO EFFETTUATO DALLA CONSULTA TRA

Quanto detto ci permette di ricollegarci alla sentenza 162 del 2014 della Corte Costituzionale italiana, in quanto il giudice delle leggi, pur consapevole delle differenze esistenti tra le due fattispecie prese in esame, effettua un parallelismo tra la fecondazione eterologa e l’adozione, in quanto, come evidenziato dalla Consulta, la problematica relativa alla ricerca delle proprie origini non è completamente nuova ed esclusiva della posizione dei nati da fecondazione assistita di tipo eterologo. Come abbiamo visto nel primo capitolo, la Corte Costituzionale prende in esame quelli che sono i diritti che potrebbero venire incisi dal ricorso alla fecondazione eterologa e, tra di essi, cita anche il diritto a conoscere il genitore biologico: il giudice delle leggi si chiede se il divieto assoluto di porre in essere pratiche eterologhe sancito dalla legge 40/2004 possa considerarsi comunque legittimo, oppure se sia sproporzionato rispetto agli obiettivi prefissati. La Consulta propende per la seconda soluzione e, di conseguenza, cerca di individuare quella disciplina che potrebbe essere applicata alla fattispecie in esame al fine di colmare la lacuna normativa che potrebbe crearsi. Con riguardo alla questione del diritto all’identità genetica, la Corte ritiene di poter effettuare un parallelismo con la disciplina in materia di adozione, in quanto la problematica in questione si è posta

179 A. Lalos, K. Daniels, C. Gottlieb, O. Lalos, Op. cit.; K. Daniels,The Swedish

Insemination Act and Its Impact, in Aust NZ J Obstet Gyneacol, 1994, 34 (4), pagg.

132 anche in riferimento alla situazione dell’adottato, ambito nel quale è stato infranto il dogma della segretezza dell’identità dei genitori biologici quale garanzia insuperabile della coesione della famiglia adottiva, nella consapevolezza dell’esigenza di una valutazione dialettica dei relativi rapporti. Ci stiamo riferendo alla legge del 4 maggio 1983, numero 184: in particolare, la norma che ci interessa è l’articolo 28, che riguarda le informazioni che devono essere fornite all’adottato relative alla sua condizione e che è stato oggetto di una vicenda che si è conclusa con una sentenza di illegittimità costituzionale e che è opportuno descrivere in questa sede.

Nella sua versione originaria, l’articolo 28 della legge 184/1983 prevedeva una disciplina che consisteva nel venir meno di ogni canale di comunicazione tra il figlio adottato e la madre naturale, in quanto l’ufficiale di stato civile e l’ufficiale dell’anagrafe dovevano rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali potesse risultare il rapporto di adozione (tranne nei casi di espressa autorizzazione dell’autorità giudiziaria); inoltre, ogni attestazione di stato civile riferita all’adottato doveva essere priva di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore.

Nel 2001, il legislatore è intervenuto con la legge numero 149, mediante la quale è stato modificato il testo dell’articolo 28, riconoscendo la possibilità per l’adottato di età maggiore di 25 anni di accedere alle informazioni riguardanti la sua origine biologica e l’identità dei propri genitori biologici previa autorizzazione del Tribunale per i minorenni (egli ha la possibilità di accedere a tali informazioni anche raggiunta la maggiore età, ma solo se sussistono “gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica”). Tuttavia, la nuova disciplina prevedeva una clausola fortemente a favore dell’anonimato della madre: secondo il comma 7 del nuovo articolo 28, infatti, l’accesso alle informazioni non era consentito se l’adottato non fosse stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e quando anche uno solo dei genitori biologici avesse

133 dichiarato di non voler essere nominato nell’atto di nascita, oppure avesse manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.

Il Tribunale per i minorenni di Firenze, con ordinanza del 21 luglio 2004180, sollevò la questione di legittimità costituzionale relativamente al comma 7 dell’articolo 28 nella parte in cui si escludeva la possibilità di autorizzare l’accesso alle informazioni sulle origini senza aver previamente verificato la persistenza della volontà della madre biologica di non voler essere nominata nell’atto di nascita. Ciò che si censurava, dunque, era la sproporzione di tutela prevista a favore del diritto all’anonimato in capo alla donna, a svantaggio del diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini. Tuttavia, la Corte Costituzionale, nella sentenza 425 del 2005181, ritenne di non giudicare illegittima la

disciplina, affermando che il legislatore aveva effettuato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco e che la rigidità della norma dovesse essere considerata come “essenziale” affinché si potesse perseguire la ratio di fondo: il comma 7 dell’articolo 28, infatti, era stato formulato con l’intento di evitare che la donna, la quale non aveva intenzione di crescere il nascituro, potesse decidere di sottoporsi a pratiche abortive in istituti non idonei alle stesse, con conseguente pericolo per la propria salute. L’obiettivo era quello di far sì che la donna partorisse in apposite strutture adeguatamente attrezzate, dandole la possibilità di scegliere di non essere nominata nell’atto di nascita: in questo modo, il figlio veniva messo al mondo e la donna partoriva in tutta sicurezza, senza rischi aggiuntivi per la propria salute182.

180 Trib. per i minorenni di Firenze, ordinanza del 21 luglio 2004, pubblicata in

Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, anno 146, n. 3, prima serie speciale,

pagg. 78 e ss.

181 Corte Cost., 25 novembre 2005, n. 425, in Nuova giur. civ. comm., 2006, 1, pagg.

549 e ss.

134 Ma la norma in questione non ha resistito ad un secondo vaglio della Consulta: con ordinanza del 12 dicembre 2012183, il Tribunale per i minorenni di Catanzaro decise di sollevare nuovamente la questione, peraltro nei medesimi termini rispetto all’ordinanza del Tribunale per i minorenni di Firenze, facendo riferimento agli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione (quest’ultimo con riferimento all’articolo 8 della CEDU). Con la sentenza 278 del 22 novembre 2013, la Corte Costituzionale accoglie la questione in relazione agli articoli 2 e 3 e ritiene assorbito il motivo di censura basato sull’articolo 117: dopo aver precisato che il diritto della madre all’anonimato e il diritto del figlio alla conoscenza delle origini coinvolgono entrambi “valori costituzionali di primario rilievo”, la Corte dichiara incostituzionale l’articolo 28 comma 7 nella parte in cui non prevede la possibilità per il giudice di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione.

Il nuovo elemento che è sopravvenuto rispetto alla sentenza 425 del 2005 e con cui la Consulta ha dovuto fare i conti è la condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza Godelli contro Italia184. Nel caso di specie, la ricorrente, abbandonata alla nascita e successivamente adottata dalla famiglia Godelli, dopo aver appreso la propria condizione, decise di domandare all’ufficio di stato civile del comune di Trieste (dove era nata) informazioni circa le sue origini. Tuttavia, la ricorrente si trovò di fronte all’ostacolo dell’anonimato della madre, la quale aveva dichiarato di non voler essere nominata nell’atto di nascita. La signora Godelli adì il Tribunale di Trieste, il quale non poté fare altro che respingere la sua richiesta, applicando l’articolo 28, comma 7, della legge in materia di adozione.

183 Trib. per i minorenni di Catanzaro, ordinanza del 12 dicembre 2012, pubblicata in

Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, anno 154, n. 11, prima serie speciale,

pagg. 95 e ss.

184 Corte EDU, Godelli c. Italia, 25 settembre 2012, application no. 33783/09,

135 Dopo aver invano impugnato la sentenza in appello, il caso venne presentato di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Nella sentenza in questione, la Corte EDU ha affermato e puntualizzato il diritto all’identità, dichiarando che nel perimetro di tutela offerto dall’articolo 8 CEDU rientra anche la possibilità di disporre dei dettagli sulla propria identità di essere umano, nonché l’interesse vitale ad ottenere informazioni necessarie alla scoperta della verità concernente un aspetto importante della propria identità personale, “ad esempio l’identità dei genitori”.

In realtà, la Consulta non riconosce alla sentenza del caso Godelli un’efficacia immediata e diretta: anzi, essa si limita ad affermare che la pronuncia in esame “invita a riflettere” sulla questione e dichiara poi assorbito il motivo di censura fondato sull’articolo 117 della Costituzione. Tuttavia, è possibile ritenere che, nei fatti, la Corte abbia attribuito un rilievo determinante alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, altrimenti non si spiegherebbe il cambio di decisione a distanza di otto anni dalla sentenza 425/2005185. Ritenendo assorbito il motivo di cui all’articolo 117 della Costituzione, la Corte sembra far propria quella linea di pensiero che costruisce l’articolo in questione come un parametro residuale, a cui ricorrere quando non sia possibile ricavare il vincolo discendente dall’obbligo internazionale da altra disposizione costituzionale; tuttavia, ciò non vuol dire che le decisioni della Corte EDU non abbiano alcuna influenza sulle pronunce della Consulta, in quanto esse “vincolano nella sostanza”, spettando poi alla Corte Costituzionale la determinazione di cosa sia effettivamente questa “sostanza”186. Ed è quanto fatto dalla Corte nella decisione in esame:

essa ha riempito di significato il “vincolo di sostanza” identificandolo nell’esigenza di reinterpretazione delle disposizioni costituzionali e dei principi coinvolti, per cui viene interpretato l’articolo 2 della

185 J. Long, Op. cit.

186 V. Marcenò, Quando da un dispositivo d’incostituzionalità possono derivare

136 Costituzione, affinché l’interesse alla conoscenza delle origini potesse essere elevato a pieno titolo tra i diritti fondamentali della persona.

8. UN’ANALISI DEL RAGIONAMENTO DELLA CORTE

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