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Fecondazione eterologa: dal divieto alla liceità. Problemi e prospettive

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1 Ai miei nonni Silvano e Giovanna

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Sommario

CAPITOLO I ... 5 IL PERCORSO DELL’ETEROLOGA: DAL DIVIETO ASSOLUTO ALLA SENTENZA 162/2014 ... 5

1. DALLA SITUAZIONE DI VUOTO NORMATIVO ALLA LEGGE 40 DEL 2004 ... 5

1.1. IL PERIODO ANTECEDENTE AL 2004 ... 5 1.2. IL DIVIETO DELLA FECONDAZIONE ETEROLOGA NELLA LEGGE 40 ... 8 2. VERSO L'INTERVENTO DELLA CONSULTA: LA

GIURISPRUDENZA DELLA CEDU E LE ORDINANZE DEI

TRIBUNALI DI CATANIA, MILANO E FIRENZE ... 15 3. LA SENTENZA 162 DEL 2014 DELLA CORTE COSTITUZIONALE ... 21

3.1. I DIRITTI INCISI DAL DIVIETO ASSOLUTO ... 22 3.2. I DIRITTI TUTELATI DAL DIVIETO ASSOLUTO ... 25 3.3. IL BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI IN GIOCO

EFFETTUATO DALLA CONSULTA ... 27 3.4. UN NUOVO MODELLO DI FAMIGLIA: LA COPERTURA COSTITUZIONALE ... 30 3.5. QUALE DISCIPLINA PER LA FECONDAZIONE

ETEROLOGA? IL PROBLEMA DEL VUOTO NORMATIVO ... 31 3.6. (SEGUE) LA QUESTIONE RELATIVA ALL’ATTRIBUZIONE DI UNO STATUS GIURIDICO AL FIGLIO NATO DA ETEROLOGA ... 34 4. LE REAZIONI CONTRASTANTI A SEGUITO DELLA SENTENZA 162/2014 ... 39

4.1. (SEGUE) IL PROBLEMATICO RIFERIMENTO

ALL’ARTICOLO 32 DELLA COSTITUZIONE ... 44 4.2. (SEGUE) IL DIALOGO INSTAURATOSI TRA LA CORTE COSTITUZIONALE E LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI

DELL’UOMO ... 47 5. CONCLUSIONI ... 51 CAPITOLO II ... 53 IL PROBLEMA DELLA DONAZIONE DEI GAMETI: QUALE

DISCIPLINA APPLICARE ... 53 1. INTRODUZIONE ... 53

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3 2. L'APPLICABILITA' DELLA DISCIPLINA SULLA DONAZIONE DI TESSUTI E CELLULE ... 56 3. LA DISCIPLINA ITALIANA PER LA DONAZIONE DEI GAMETI 65 3.1. IL PERIODO SUCCESSIVO ALLA SENTENZA 162 DEL 2014: GLI INTERVENTI PREDISPOSTI A SEGUITO DELLA

PRONUNCIA DELLA CONSULTA ... 65 3.2. LA DONAZIONE DEI GAMETI MASCHILI O FEMMINILI .... 68 3.3. I REQUISITI CHE UN SOGGETTO DEVE AVERE AL FINE DI POTER ESSERE CONSIDERATO IDONEO ALLA DONAZIONE .. 72 3.4. IL PROBLEMA RELATIVO AL NUMERO MASSIMO DELLE DONAZIONI ... 72 3.5. IL PRINCIPIO DI GRATUITÀ DEL DONO: PRINCIPI DI

CARATTERE GENERALE E PROBLEMATICA DEI RIMBORSI .. 73 3.6. L'ISTITUZIONE DEL REGISTRO DELLE DONAZIONI A LIVELLO NAZIONALE ... 79 4. (SEGUE) LA DISCIPLINA RELATIVA AI TEST MEDICI DA

EFFETTUARE SUL MATERIALE DONATO E SUL DONATORE ... 82 5. LA DISTRIBUZIONE DEI GAMETI ALLE COPPIE INTERESSATE ... 86 6. ANONIMATO DEL DONATORE DI GAMETI ... 89 7. (SEGUE) DUE ESEMPI DIVERSI DI LEGISLAZIONE CON

RIGUARDO ALL'ANONIMATO DEL DONATORE... 93 CAPITOLO III ... 97 IL DIRITTO A CONOSCERE LE PROPRIE ORIGINI E IL SUO

POSSIBILE RICONOSCIMENTO AL FIGLIO NATO DA ETEROLOGA ... 97

1. INTRODUZIONE ... 97 2. L'IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI AL FINE DI TUTELARE IL DIRITTO ALLA SALUTE DELLA PERSONA NATA DA

ETEROLOGA………...…….98 3. LA CONOSCENZA DELLE ORIGINI IN RELAZIONE ALLA

PROPRIA IDENTITÀ ... 104 3.1. (SEGUE) IL CONCETTO DI IDENTITÀ PERSONALE NELLA GIURISPRUDENZA ITALIANA ... 106 3.2. (SEGUE) IL FONDAMENTO DEL DIRITTO ALL’IDENTITÀ PERSONALE ... 109 3.3 L’IMPATTO DELLE INFORMAZIONI RIGUARDANTI LA PROPRIA ORIGINE SULLA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ . 111 4. IL FONDAMENTO DEL DIRITTO DI CONOSCERE LE PROPRIE ORIGINI ... 112

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4.1. IL CASO GASKIN VS REGNO UNITO ... 117

4.2. IL CASO MIKULIĆ CONTRO CROAZIA ... 119

5. IL CONTENUTO DEL DIRITTO A CONOSCERE LE ORIGINI .... 120

6. DALLA FATTISPECIE DELL’ADOZIONE ALLA FECONDAZIONE ETEROLOGA ... 122

6.1. (SEGUE) IL DIRITTO A CONOSCERE LE ORIGINI COME DIRITTO NON ASSOLUTO: IL CASO FRANCESE ... 127

6.2. (SEGUE) UNA QUESTIONE IN EVOLUZIONE: IL CASO SVEDESE ... 129

7. IL PARALLELISMO EFFETTUATO DALLA CONSULTA TRA ADOZIONE E FECONDAZIONE ETEROLOGA ... 131

8. UN’ANALISI DEL RAGIONAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE: QUALE TUTELA PER IL FIGLIO NATO DA ETEROLOGA? ... 136

9. CONCLUSIONI ... 141

BIBLIOGRAFIA ... 143

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5

CAPITOLO I

IL PERCORSO DELL’ETEROLOGA: DAL DIVIETO

ASSOLUTO ALLA SENTENZA 162/2014

SOMMARIO: 1. Dalla situazione di vuoto normativo alla legge 40 del 2004; 1.1. Il periodo antecedente al 2004; 1.2. Il divieto della fecondazione eterologa nella legge 40; 2. Verso l'intervento della Consulta: la giurisprudenza della CEDU e le ordinanze dei tribunali di Catania, Milano e Firenze; 3. La sentenza 162 del 2014 della Corte Costituzionale; 3.1. I diritti incisi dal divieto assoluto; 3.2. I diritti tutelati dal divieto assoluto; 3.3. Il bilanciamento degli interessi in gioco effettuato dalla Consulta; 3.4. Un nuovo modello di famiglia: la copertura costituzionale; 3.5. Quale disciplina per la fecondazione eterologa? Il problema del vuoto normativo; 3.6. (segue) La questione relativa all’attribuzione di uno status giuridico al figlio nato da eterologa; 4. Le reazioni contrastanti a seguito della sentenza 162/2014; 4.1. (segue) Il problematico riferimento all’articolo 32 della Costituzione; 4.2. (segue) Il dialogo instauratosi tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; 5. Conclusioni

1. DALLA SITUAZIONE DI VUOTO NORMATIVO ALLA LEGGE 40 DEL 2004

1.1. IL PERIODO ANTECEDENTE AL 2004

Nel nostro ordinamento, la materia della procreazione medicalmente assistita in generale è stata oggetto di una legislazione ad hoc solamente di recente: la prima normativa in materia, infatti, è rappresentata dalla legge del 19 febbraio 2004, numero 40, la quale ha messo fine al silenzio del legislatore che aveva caratterizzato il periodo antecedente. Tuttavia, il fatto che non vi fosse una legge specifica di disciplina della materia non impediva che la tecnica della procreazione medicalmente assistita venisse praticata in Italia prima del 2004, né bisogna pensare che tale fattispecie non fosse menzionata da nessuna tipologia di fonte.

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6 L’intervento del legislatore non ha dato inizio alle tecniche di procreazione assistita, né le ha legittimate o autorizzate: il Parlamento è intervenuto per regolare e porre dei confini a una pratica già attuata in via di fatto. Il “principio di completezza” dell’ordinamento giuridico stabilisce, infatti, che quanto non è esplicitamente vietato è permesso dall’ordinamento, il quale interviene per garantire all’autonomia dei privati di autodeterminarsi e, allo stesso tempo, per impedire che terzi disturbino o ostacolino la libertà dei comportamenti altrui1.

Prendiamo in considerazione in maniera più specifica l'argomento della procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, cioè quel processo mediante il quale si attua artificialmente l'unione dei gameti, i quali sono reperiti mediante l'apporto di un donatore (di spermatozoi) o di una donatrice (di ovociti). Tale pratica, prima del 2004, era piuttosto diffusa in Italia ed era regolamentata, in molti suoi aspetti, da tre circolari emanate dal Ministero della sanità: la circolare del 1o marzo

del 1985, la quale vietava di praticare la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo all'interno di strutture del Servizio sanitario nazionale; la circolare del 27 aprile 1987, che fissava i protocolli per l'utilizzazione del seme, indicava quali informazioni dovevano essere conservate negli schedari delle coppie che accedevano alla procedura di procreazione medicalmente assistita, nonché le informazioni riguardanti i donatori di gameti, individuando anche le tipologie di accertamenti che dovevano essere svolti su di essi; infine, la circolare del 10 aprile del 1992, che specificava le modalità di raccolta, preparazione e crioconservazione del liquido seminale dei donatori, nonché lo screening cui sottoporre la donna ricevente al fine di tutelare la salute dell'eventuale nascituro. Il Ministero della sanità, oltre alle circolari sopra accennate, aveva provveduto anche ad emanare un'ordinanza (del 5 marzo 1997) che introduceva il principio della gratuità della

1 C. Casini, M. Casini, M. L. Di Pietro, La legge 19 febbraio 2004, N. 40 “Norme in

materia di procreazione medicalmente assistita”. Commentario, Torino, Giappichelli

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7 donazione2.

Oltre all'intervento del Ministero della salute, dobbiamo ricordare anche il lavoro svolto dalle comunità scientifiche, le quali si erano date delle linee guida al fine di individuare condotte e percorsi clinici appropriati per le coppie che intendevano accedere a tali pratiche.

Infine, il terzo protagonista che ha svolto un importante ruolo nel tentativo di colmare la lacuna dovuta alla mancanza di una legge ad hoc è stata la giurisprudenza, soprattutto con riguardo alla tutela del nascituro: al fine di garantire al nato da eterologa uno status certo, la giurisprudenza aveva stabilito che il marito che avesse dato il proprio consenso alla fecondazione della propria compagna non potesse poi agire per il disconoscimento di paternità ex articolo 235 del codice civile. In particolare, ci riferiamo alla vicenda che ha visto il suo epilogo nella sentenza numero 2315 del 1999 della Corte di Cassazione3, in cui

il giudice era chiamato a decidere se il marito, dopo aver consentito alla fecondazione eterologa della moglie con seme di un donatore, fosse legittimato ad esperire l'azione di disconoscimento della paternità nei confronti del nato. Nei primi due gradi di giudizio aveva prevalso la soluzione volta a ritenere ammissibile l’azione di disconoscimento: nello specifico, il Tribunale di Cremona4 aveva affermato che solo la

diretta derivazione genetica era idonea a costituire un rapporto giuridico di filiazione, inoltre il consenso precedentemente manifestato da parte dell'uomo non poteva essere considerato come un'implicita e preventiva rinuncia all'azione di disconoscimento della paternità, dato che le azioni relative allo status personale sono oggetto di un diritto indisponibile. Tale orientamento, confermato dalla Corte d'appello5, è stato poi

2 Il testo dell'articolo 1 dell'ordinanza recitava: “è vietata ogni forma di

remunerazione diretta o indiretta, immediata o differita, in denaro od in qualsiasi altra forma per la cessione di gameti, embrioni o, comunque, di materiale genetico. È altresì vietata ogni forma di intermediazione commerciale finalizzata a tale cessione”.

3 Cass., 16 marzo 1999, n. 2315, in Corr. giur., 1999, 4, pagg. 429 e ss.

4 Trib. Cremona, 17 febbraio 1994, n. 72 in Nuova giur. civ. comm., 1994, 4, pagg.

541 - 552

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8 riformato dalla Cassazione, la quale, come abbiamo anticipato, ha affermato con fermezza il principio per cui è da ritenersi preclusa al marito, il quale abbia validamente espresso il proprio consenso alla fecondazione assistita eterologa della moglie con seme di donatore, la possibilità di esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei confronti del nato. Tale decisione della Cassazione è stata propiziata dalla precedente sentenza della Corte Costituzionale numero 347 del 19986: dovendosi pronunciare con riguardo alla legittimità

costituzionale dell'articolo 235 del codice civile in relazione agli articoli 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, nella parte in cui non preclude l'azione di disconoscimento di paternità al marito che abbia consentito alla fecondazione eterologa della moglie, la Consulta ha dichiarato inammissibile la questione, dal momento che l'ipotesi della nascita tramite fecondazione eterologa non rientra nell'ambito di applicazione della norma impugnata, la quale riguarda esclusivamente la generazione che segua ad un rapporto adulterino. Già in questa occasione, la Corte Costituzionale aveva invitato il legislatore a colmare il vuoto normativo: l'assenza di una legge, infatti, penalizzava il nascituro. Nel fare ciò, la Corte ha suggerito il criterio orientativo nella tutela dei diritti del nato nei confronti di chi si fosse liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità.

1.2. IL DIVIETO DELLA FECONDAZIONE ETEROLOGA NELLA LEGGE 40

La legge n. 40 recante “norme in materia di procreazione medicalmente assistita” rappresenta una disciplina generale delle tecniche di fecondazione assistita e introduce regole che affrontano i principali profili: dai requisiti per l'accesso, al consenso informato, ai divieti e sanzioni a tutela dei soggetti coinvolti. Con riguardo alla fecondazione

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9 di tipo eterologo, la decisione del legislatore è netta: infatti l'articolo 4, al comma 3, sancisce un divieto assoluto di accesso e di esecuzione di tale tecnica7. La decisione del legislatore del 2004 è stata preceduta da

un acceso dibattito riguardante la possibilità o meno di ritenere la fecondazione eterologa lecita e meritevole di tutela.

Secondo un primo orientamento (che potremmo definire “liberale”), non sarebbe possibile rinvenire nell'ordinamento limiti all'utilizzo di tali tecniche, se non quelli derivanti dall'esigenza di tutela del diritto alla salute della donna e del nascituro. Tale orientamento parte dall'assunto dell'esistenza, nel nostro ordinamento, di un vero e proprio diritto soggettivo alla procreazione: dato che l’attuale tendenza è quella di porre al vertice del sistema la “persona”, sarà necessario riconoscerle come diritto inviolabile o personalissimo sia quello alla procreazione che quello alla fecondazione artificiale, dato che la differenza si sostanzia solamente nella diversificata tecnica di attuazione8. Questo

diritto sarebbe costituzionalmente garantito all'articolo 2 della Costituzione come un diritto della personalità riconosciuto a chiunque, a prescindere sia dal suo esercizio in ambito di coppia (quindi: legame matrimoniale o meno) sia dagli strumenti utilizzati per la realizzazione della stessa9. Pertanto, il diritto a procreare “artificialmente” dovrebbe

esser considerato come avente lo stesso contenuto del diritto a generare mediante mezzi naturali: in entrambe queste situazioni, lo Stato avrebbe, da un lato, il dovere di rispettare le decisioni del singolo e, dall'altro, il dovere di mettere a disposizione gli strumenti necessari per la loro attuazione (sulla base del principio della laicità del diritto). Un argomento che viene riportato al fine di confermare la tesi in questione (esistenza del diritto a procreare e doveri dello Stato affinché tale diritto possa essere esercitato) viene ricavato dalla legge numero 405 del 29

7 “È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo

eterologo”.

8 G. Furgiuele, La fecondazione artificiale, in Quadrimestre, 1989, pag. 260. 9 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Roma, Il Mulino, 1995, p. 157.

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10 luglio 1975: l'articolo 1, comma 1, della legge in questione include tra i compiti del servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità “la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti” (lettera b), nonché “la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza consigliando i metodi ed i farmaci adatti a ciascun caso” (lettera d). Alla luce di questa disposizione, il diritto alla procreazione viene specificato con la duplice connotazione di libertà positiva e negativa: riprendendo quanto abbiamo detto prima, si ha che, nel senso di libertà negativa, il diritto in questione si esprime nel potere di autodeterminazione (libera scelta in merito alla procreazione e pretesa di non ingerenza da parte dello Stato), mentre nel senso di libertà positiva il diritto si concretizza nella possibilità di usufruire dei servizi pubblici di assistenza al fine di perseguire gli scopi liberamente scelti dal soggetto interessato.

Secondo i sostenitori di questa tesi, inoltre, il fatto che nell'eterologa non vi sia un rapporto di derivazione biologica tra il nato e i soggetti che lo hanno voluto non costituisce un ostacolo alla parificazione del diritto di procreazione artificiale eterologa con quello della procreazione naturale. Tra i valori correnti nella nostra società, infatti, vi è quello di responsabilità, che permette l'attribuzione dello status di figlio e la creazione di legami di genitorialità semplicemente mediante la mera volontà dei richiedenti pur in assenza di legami biologici. Il rapporto genitoriale, dunque, è maggiormente caratterizzato dagli atti di volontà o di decisione che hanno condotto alla nascita; inoltre, l’interesse del minore esige che venga considerato genitore il soggetto che appare maggiormente idoneo ad assicurare il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei nati, anche in virtù della decisione che ha portato alla sua generazione. A tale “decisione”, dunque deve essere attribuito

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11 adeguato valore10.

Secondo un altro orientamento, invece, il “diritto alla procreazione”, inteso sia come diritto alla procreazione “naturale” che come diritto alla procreazione “artificiale”, non può esser considerato come certamente esistente nel nostro ordinamento. Tale diritto non sarebbe ricavabile dalla sopra citata legge 405 del 1975: si dubita infatti che le tecniche di procreazione medicalmente assistita siano incluse tra i “mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile”, indicati dall’art. 1, comma 1, lettera b), in quanto la norma in questione è stata pensata con esclusivo riguardo alla procreazione naturale; dunque, il diritto di avvalersi dei servizi di assistenza esaurirebbe “la relativa pretesa nello spettro d'azione dei rimedi di valenza terapeutica della sterilità”11. Non sarebbe

invece possibile attribuire all'eterologa un valore terapeutico: coloro che necessitano di accedere a questo tipo di procreazione medicalmente assistita sono quei soggetti che sono affetti da una sterilità insuperabile (ad esempio, per mancanza completa di spermatozoi nell'uomo, oppure per menopausa precoce della donna dovuta a motivi genetici o chirurgici) e, di conseguenza, non hanno altro modo per procreare se non quello dell'eterologa; tuttavia, le tecniche di questo tipo non consentono di predisporre un percorso curativo per la patologia sofferta, dato che le pratiche di fecondazione eterologa non ha come funzione quella di intervenire sul corpo del paziente al fine di rimuovere le cause di sterilità e infertilità totali, bensì sono semplicemente volte a “bypassare” la patologia stessa, consentendo, pur in sua presenza, la nascita della prole12. Un valore terapeutico potrebbe tuttalpiù essere

attribuito alle tecniche di procreazione assistita di tipo omologo, poiché solo in questo caso il nesso di derivazione biologica tra i destinatari delle

10 E. Russo, Il problema della filiazione, in Dir. fam. e pers., 2001, 1, pag. 13 11 P. Stanzione e G. Sciancalepore, Procreazione assistita, commento alla legge 19

febbraio 2004, n. 40, Milano, Giuffrè, 2004, pag. 51

12 A. Martini, Profili giuridici della procreazione medicalmente assistita, Napoli,

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12 tecniche e il nato consentirebbe di parlare di quest'ultimo come frutto di un'attività procreativa dei primi. Ed infatti chi ha condiviso la natura terapeutica della procreazione assistita ha messo in dubbio che tale valutazione si estenda alle tecniche di fecondazione eterologa, assumendo che va definito terapeutico soltanto l’intervento che consente di ripristinare le funzioni dello stesso individuo che ne beneficia13. Sulla

base della normativa allora vigente, dunque, l'esercizio di un ipotetico diritto alla procreazione doveva esser ritenuto come “strettamente legato alla partecipazione biologica degli aspiranti genitori, aspetto non dissociabile, per la donna, dal conseguente impegno della gravidanza e del parto”14: in caso contrario, cioè se fosse attribuito un valore

terapeutico alla procreazione eterologa, finiremmo per affermare l'esistenza non più di un “diritto alla procreazione”, bensì di un “diritto alla prole”, il quale è assolutamente inesistente nel nostro ordinamento15.

Più in generale, secondo tale orientamento deve esser messa in dubbio la possibilità di configurare un “diritto soggettivo” di procreazione: sarebbe più corretto parlare di un interesse esistenziale, il quale è meritevole di tutela se non si pone in contrasto con altri interessi e valori da ritenersi preminenti alla luce dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico16. Ecco che il giudizio sull'ammissibilità

delle pratiche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo acquisisce un connotato di relatività: tali pratiche saranno ammissibili solo se compatibili con i principi che compongono il contesto giuridico

13 U. Salanitro, Legge 19.2.2004 n. 40. Norme in materia di procreazione

medicalmente assistita, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Della Famiglia, a cura di Balestra, IV, Torino, 2010, pagg. 505 e ss.

14 G. Milan, Aspetti giuridici della procreazione assistita, Padova, Cedam, 1997, pag.

93

15 G. Milan, Op cit., pag. 94. L’autore afferma che tale diritto alla prole non è

ricavabile nemmeno dalla normativa sull’adozione, in quanto la ratio di tale

disciplina non è quella di soddisfare l’esigenza di genitorialità degli adottanti, bensì è quella di assicurare una famiglia al minore che ne è privo.

16 P. Stanzione e G. Sciancalepore, Filiazione e procreazione assistita, Milano,

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13 in cui tali tecniche sono introdotte. Date queste premesse, considerando l'assenza della regolamentazione in materia, la dottrina in esame afferma l'impossibilità di accogliere nell'ordinamento la pratica dell'eterologa: alla luce del sistema codicistico vigente, infatti, il legame di filiazione ex patre non si fonda sul dato sociale dell'assunzione di responsabilità, ma anche sul dato fisico della derivazione biologica.

Tuttavia, tale dottrina non chiude categoricamente alla possibilità di introdurre le tecniche di fecondazione eterologa nel nostro ordinamento: le norme vigenti, infatti, non impedirebbero un eventuale intervento del legislatore ordinario, il quale, sulla scorta dell'evoluzione socio culturale, potrebbe ritenere superabile la carenza del dato biologico in ragione della preminenza della responsabilità.

Come abbiamo visto, però, il legislatore è andato nel verso opposto, predisponendo il divieto assoluto di porre in essere pratiche di fecondazione eterologa. La ratio della disposizione è il bene del figlio: il legislatore ha ritenuto che il “meglio” per il nascituro fosse avere un padre e una madre che fossero tali nel senso più totale (genetico, affettivo, legale). Si tratta di una scelta sostanzialmente motivata dall’intento di garantire il diritto all’identità personale e familiare del bambino chiamato alla vita dalle tecniche di PMA17. La maggioranza

parlamentare, nella relazione presentata il 26 marzo 200618, spiega la

decisione di introdurre il comma 3 dell'articolo 4 al fine di soddisfare l'esigenza di garantire al bambino “determinati diritti di natura sociale e psicologica”: l'utilizzo di gameti provenienti da donatori può provocare la frammentazione delle figure parentali, con danni per il nascituro di natura psico sociale derivanti dall'allontanamento dai modelli di genitorialità socialmente consolidati. Nonostante la mancanza di studi sul lungo periodo, la maggioranza parlamentare ritenne necessario adottare un approccio precauzionale, dato che la materia in questione

17 C. Casini, M. Casini, M. L. Di Pietro, Op. cit.

18 XIV legislatura, scheda lavori preparatori, Atto parlamentare 47 – B, consultabile

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14 appariva alquanto delicata. Si tratta di situazioni che, come evidenziato nella relazione, “possono compromettere l'identità stessa del soggetto”. Nel testo della relazione si fa riferimento anche a studi effettuati nei Paesi in cui l'accesso all'eterologa è consentito e regolato: tali ricerche hanno evidenziato come vi sia la possibilità che emergano rischi significativi per il bambino, soprattutto quando la coppia sviluppa una conflittualità (pensiamo al danno psicologico, educativo o affettivo che verrebbe arrecato al figlio se la verità biologica venisse rinfacciata in occasione di crisi familiari). In Parlamento hanno dunque prevalso gli argomenti contrari alla legalizzazione della fecondazione eterologa, con i quali sono state superate le ragioni a sostegno della stessa. Al fatto che alla forte aspirazione delle coppie ad avere un bambino spesso non può darsi soddisfazione né con la fecondazione omologa né con l’adozione, si è risposto affermando che non sussiste un diritto assoluto della coppia ad avere un figlio e che questo desiderio deve comunque cedere nel caso in cui possa determinare un pregiudizio ai prevalenti interessi della famiglia e del minore. Era stato evidenziato che l’introduzione di un divieto di questa portata avrebbe spinto le coppie italiane a recarsi all’estero in Paesi dove l’eterologa era considerata lecita: ma anche questa argomentazione non è stata ritenuta soddisfacente, in quanto si è risposto che se il legislatore non è convinto della legittimità di certi interventi, il suo operato non può essere fermato da una previsione di questo tipo. E nemmeno l’argomento basato sulla tutela della salute ha prevalso: è stato affermato che è vero che l’insoddisfatto desiderio di avere un figlio può determinare nei membri della coppia stati patologici fisio-psichici, tuttavia la donna ricorrerebbe alla PMA eterologa non per curarsi, bensì per avere un figlio. Inoltre è stato evidenziato come nell’eterologa si rinuncia in partenza e definitivamente alla paternità attraverso interventi tecnologici (e ciò sarebbe un’inaccettabile privazione giuridica del diritto di conoscere la propria identità e il

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15 proprio genitore naturale)19.

In sostanza, il legislatore del 2004 aveva riconosciuto l’importanza delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in quanto volte ad aiutare a perseguire l’aspirazione ad avere un figlio alle coppie composte da soggetti affetti da sterilità o infertilità, e per questo motivo aveva consentito l’accesso all’omologa; al contempo, il legislatore era perfettamente cosciente dei rischi ad esse collegate. Per questo motivo si optò per l’introduzione di un divieto assoluto: questa disposizione, unitamente ad altre previsioni della legge 40 (segnatamente: le misure a tutela dell’embrione indicate nel Capo IV della legge 40/2004), doveva servire a tutelare la costruzione del progetto del futuro essere umano da possibili manipolazioni, come la clonazione o l’eugenetica, in linea con l’originaria finalità della legge sulla procreazione assistita di garantire il delicato bilanciamento tra la tutela dell’embrione e il desiderio di genitorialità delle coppie con patologie riproduttive20.

2. VERSO L'INTERVENTO DELLA CONSULTA: LA

GIURISPRUDENZA DELLA CEDU E LE ORDINANZE DEI TRIBUNALI DI CATANIA, MILANO E FIRENZE

È ormai noto il fatto che la legge 40 del 2004, nel periodo successivo alla sua approvazione, sia andata incontro ad una serie di interventi da parte della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato l'incostituzionalità di varie norme in essa contenute, aprendo la discussione sulle conseguenze della eliminazione delle disposizioni originariamente previste. Con la sentenza numero 162 del 2014, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 3, della

19 Tali ragioni sul divieto di eterologa sono state analizzate da F. Santosuosso, La

procreazione medicalmente assistita. Commento alla Legge 19 febbraio 2004 n. 40,

Milano, Giuffrè, 1981, pagg. 65 e ss.

20 C. Dalla Villa, Brevi riflessioni in tema di procreazione medicalmente assistita a

partire dalla sentenza n. 162 del 2014 della Corte Costituzionale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, rivista telematica n. 39/2014 consultabile sul sito

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16 legge 19 febbraio 2004, numero 40.

Il percorso che ha portato alla pronuncia del 2014 è iniziato nel 2010, quando la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è pronunciata sul caso noto come “S. H. e altri c. Austria”21. La questione è stata originata da

due coppie di ricorrenti che soffrivano di patologie che impedivano loro di procreare: la moglie della prima coppia poteva produrre ovuli, ma soffriva di una disfunzione alle tube, mentre il marito era sterile; nella seconda coppia di ricorrenti il problema riguardava soltanto la moglie, la quale non aveva la possibilità di produrre ovuli, tuttavia era perfettamente in grado di ricevere ovuli fecondati dall'esterno. In entrambi i casi, la soluzione sarebbe stata quella di accedere a pratiche di fecondazione assistita di tipo eterologo (fecondazione in vitro in entrambe le situazioni, nel primo caso con donazione di sperma, nel secondo caso con donazione di ovuli). Tuttavia, la normativa austriaca22

impediva alle due coppie di accedere alle pratiche di fecondazione eterologa, dal momento che vietava in maniera assoluta la donazione di ovociti e poneva un divieto relativo di donazione di spermatozoi (solo in casi eccezionali era permesso l'uso di sperma proveniente da una terza persona, ma solo per l'inseminazione in vivo23). Questa soluzione era

stata definita dal legislatore austriaco a seguito di un attento contemperamento degli interessi in gioco, i quali vengono segnalati nel corso del giudizio da parte del Governo austriaco. Il Governo ammette che il diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancito dall’articolo 8 della CEDU, comprenda anche il diritto a soddisfare il desiderio di un bambino, tuttavia ciò non significa che uno Stato sia obbligato a consentire indiscriminatamente tutti i mezzi tecnicamente praticabili di riproduzione. Il legislatore austriaco, a detta del Governo, avrebbe

21 Corte EDU, S. H. and Others v. Austria, 1o aprile 2010, application no. 57813/00,

disponibile sul sito internet della Corte, all’indirizzo www.echr.coe.int

22 Fortpflanzungsmedizingesetz, Gazzetta Ufficiale 275/1992

23 Come si evince dalla sentenza, paragrafo 91, il Governo ha giustificato questa

decisione con un ragionamento pragmatico: l'impossibilità di poter controllare effettivamente il rispetto del divieto.

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17 trovato un giusto equilibrio, considerando tutti gli interessi coinvolti: la soluzione prospettata permette l’utilizzo delle pratiche di fecondazione assistita e, al contempo, stabilisce limiti che consentono di prevenire ripercussioni negative e potenziali abusi. I rischi paventati sono molteplici: anzitutto, si vuole evitare che le pratiche di fecondazione assistita siano utilizzate per scopi diversi rispetto a quelli terapeutici, come, ad esempio, la “selezione” dei nascituri, operazione che solleverebbe essenziali problematiche rispetto alla salute dei bambini così concepiti e nati, fino a toccare valori etici e morali della società; inoltre, si vuole evitare la formazione di relazioni familiari anormali, dove le condizioni sociali deviano da quelle biologiche; infine, un ulteriore obiettivo è quello di evitare il rischio di sfruttamento e umiliazione delle donne, in particolare quelle provenienti da un contesto economicamente svantaggiato, le quali potrebbero subire delle pressioni affinché si sottopongano a pratiche di donazione di ovociti. Date queste motivazioni, il Governo austriaco ritiene che il divieto della fecondazione in vitro possa considerarsi oggettivamente e ragionevolmente giustificato, nonché proporzionato, in quanto persegue lo scopo legittimo di proteggere la salute ed il benessere delle donne e dei bambini coinvolti e di salvaguardare i valori etici e morali della società.

Prima di rivolgersi alla CEDU, le due coppie lamentarono l'incostituzionalità di tali disposizioni legislative di fronte alla Corte costituzionale austriaca (1999), ma quest'ultima non censurò la normativa in esame.

Per questo motivo, le due coppie si rivolsero alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo: i parametri della CEDU che si ritenevano violati erano quelli dell'articolo 14 (divieto di discriminazione) e dell'articolo 8 (diritto alla vita privata e familiare). Per decidere, la Corte affronta tutta una serie di questioni preliminari: anzitutto, il diritto al rispetto della decisione sia di avere sia di non avere un figlio rientra certamente

(18)

18 nell'ambito di applicazione dell'articolo 824. Inoltre, la Corte chiarisce

che una differenza di trattamento costituisce discriminazione ai sensi dell'articolo 14 CEDU solo quando è priva di una giustificazione oggettiva e ragionevole, cioè quando non persegue uno scopo legittimo o non vi è una ragionevole proporzione tra la misura utilizzata e il fine che si vuole perseguire. Infine, la Corte ribadisce che gli Stati godono di un certo margine di apprezzamento nel valutare se differenziare o meno il trattamento di situazioni simili tra di loro, tuttavia questo margine di discrezionalità loro conferito non li mette al riparo da una eventuale violazione della Carta EDU: ed infatti, la Corte respinge gli argomenti addotti dal Governo austriaco a sostegno del divieto di fecondazione eterologa25, considerandoli insufficienti a giustificare la differenza di

trattamento.

Per quanto concerne la donazione di ovuli (richiesta dalla prima coppia), la Corte ritiene che il divieto assoluto di fecondazione eterologa inteso come strumento preventivo per evitare il rischio di selezione eugenetica sia in contrasto con il principio di proporzionalità: una limitazione totale di un diritto fondamentale, infatti, si giustifica alla luce di tale principio solamente nel momento in cui il divieto assoluto sia l'unica soluzione praticabile al fine di tutelare un altro diritto fondamentale di pari rango. La Corte evidenzia come, in questo caso, al fine di arginare il pericolo della selezione eugenetica, sia sufficiente estendere alla fecondazione eterologa la disciplina prevista per la fecondazione omologa.

Viene respinto anche l'argomento fondato sul rischio di sfruttamento

24 Al paragrafo 58, il giudice sottolinea come la nozione di “vita privata”, nell’ambito

del significato dell’articolo 8, sia un concetto elastico, il quale ricomprende, inter alia, il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani, il diritto allo sviluppo della personalità e il diritto di autodeterminarsi; quest’ultimo comprende vari elementi (nome, identità sessuale, orientamento sessuale…) e, tra questi, vi è proprio il diritto al rispetto della decisione sia di avere che di non avere un figlio.

25 In particolare: il rischio di un uso della procreazione eterologa per finalità

eugenetiche; il rischio di sfruttamento ed umiliazione delle donne meno abbienti; il problema della tutela del nascituro, che avrebbe sofferto per la scissione tra le figure della madre genetica e quella gestante e per le difficoltà nel ricostruire la propria identità genetica e conoscere i genitori biologici.

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19 delle donne meno abbienti: anche in questo caso vi è violazione del principio di proporzionalità, dato che sarebbe sufficiente vietare la cessione di ovuli a titolo oneroso. Peraltro, secondo la Corte non trova fondamento nemmeno il timore per la salute della donna che si sottopone a tecniche di procreazione assistita di tipo eterologo, dato che queste pratiche sono le medesime che sono effettuate nell'ambito della fecondazione assistita di tipo omologo.

Infine, anche le argomentazioni addotte riguardanti la tutela del nascituro non sono ritenute sufficienti dalla Corte per supportare e giustificare il divieto: il giudice di Strasburgo ha osservato come negli ordinamenti europei si siano già affermate relazioni familiari che non seguono il modello di filiazione basato sul legame biologico (ad esempio: l'istituto dell'adozione). Inoltre, la Corte ha ritenuto che il diritto a conoscere la propria origine debba esser considerato come un diritto relativo, da contemperare con l'interesse dei donatori a rimanere anonimi.

Per quanto riguarda la donazione di spermatozoi, invece, la Corte rileva che gli argomenti che il Governo austriaco ha addotto a sostegno del divieto sarebbero preclusivi anche della tecnica eterologa permessa: infatti il rischio di selezione eugenetica e i problemi collegati all'interesse dei bambini nati da eterologa ad essere informati sulle loro origini sono degli elementi che contrastano con la donazione dello sperma, non solo quella in vitro, ma anche quella in vivo. Peraltro, gli argomenti addotti dal Governo per giustificare il divieto della donazione di ovociti non sono applicabili al caso della donazione di spermatozoi (per esempio, la prevenzione dello sfruttamento delle donne meno abbienti e i rischi per la salute della donatrice).

In conclusione, la Corte di Strasburgo condannò l'Austria per violazione dei parametri contenuti negli articoli 8 e 14 CEDU.

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20 sollevarono la questione di legittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa contenuto nell'articolo 4, comma 3 (insieme all'articolo 9, commi 1 e 3, e l'articolo 12, comma 1), della legge 40 del 200426. Il Tribunale di Firenze pose la questione esclusivamente in

relazione all'articolo 117 della Costituzione (per violazione dei parametri interposti degli articoli 8 e 14 CEDU), mentre i Tribunali di Milano e Catania posero la questione anche in relazione ai parametri relativi agli articoli 2, 3, 29, 31 e 32 della Costituzione.

Ma questo primo tentativo di risolvere la questione di fronte alla Consulta non si concluse con una sentenza. Nelle more del procedimento di fronte alla Corte Costituzionale, venne emanata la sentenza della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo mediante la quale venne riformata la sentenza del 2010 del caso S. H. e altri c. Austria (3/11/2011). Nella sentenza in esame, il giudice confermò il fatto che la fecondazione con l'apporto di un donatore o di una donatrice rientrasse nell'ambito di tutela dell'articolo 8 della CEDU, ma la ragione principale che lo spinse ad affermare che la legislazione austriaca non violasse tale parametro consistette nel riconoscimento di un ampio margine di discrezionalità allo Stato in una materia dove non era stato raggiunto un consenso generalizzato nei Paesi europei. In realtà, la Grande Camera evidenzia la tendenza negli Stati membri del Consiglio d'Europa a riconoscere la liceità della donazione dei gameti finalizzata alla fecondazione in vitro, tendenza che riflette l'emergere di un consenso europeo; tuttavia, tale consenso non è ancora sufficientemente radicato. Dato che nel settore della procreazione medicalmente assistita permangono ancora oggi problemi etico morali e non esiste ancora un quadro chiaro e comune a tutti gli Stati, allora la Corte ha ritenuto che il margine di apprezzamento riconosciuto in materia allo Stato dovesse essere elevato.

26 Trib. Firenze, 6 settembre 2010, e Trib. Catania, 21 ottobre 2010, entrambe in

Nuova giur. civ. comm., 2011, I, pagg. 42 e 55; Trib. Milano, 2 febbraio 2011, in Fam. e min., 2011, 5, pag. 46.

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21 Alla luce di questo cambiamento di decisione effettuato dalla Grande Camera, la Corte Costituzionale decise di emettere un'ordinanza interlocutoria27, mediante la quale restituì gli atti al giudice a quo

affinché effettuasse un nuovo esame sulla questione di legittimità del divieto alla luce di quanto affermato dal giudice di Strasburgo. Secondo la Consulta, infatti, la sentenza della Grande Camera costituiva un mutamento del quadro di riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo che rendeva necessario un ripensamento dei giudici rimettenti rispetto all'interpretazione della Convenzione ultimamente proposta dal giudice di Strasburgo.

I Tribunali di Catania, Firenze e Milano riproposero nuovamente la questione: il Tribunale di Catania e quello di Firenze abbandonarono il richiamo all'articolo 117 della Costituzione, limitandosi a richiamare, come parametri violati, gli articoli 2, 3, 29, 31 e 32; il Tribunale di Milano, invece, ritenne di poter nuovamente richiamare il parametro dell'articolo 117, in relazione all'articolo 8 della CEDU, nonostante l'intervenuta sentenza della Grande Camera28.

3. LA SENTENZA 162 DEL 2014 DELLA CORTE

COSTITUZIONALE

Con la sentenza 162 del 2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 3, dell'articolo 9, commi 1 e 3 (limitatamente alle parole "in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3") e dell'articolo 12, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, numero 40.

Per giungere a tale esito, il giudice delle leggi ha seguito un iter ben preciso: anzitutto, ha individuato i diritti costituzionali incisi da parte

27 Corte Cost., ordinanza n. 150 del 22 maggio 2012, in Nuova giur. civ. comm.,

2012, 1, pag. 858

28 Trib. Firenze, ordinanza 29 settembre 2013, Trib. Milano, ordinanza 3 aprile 2013

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22 del divieto di fecondazione eterologa; successivamente, ha preso in considerazione il conflitto che può scaturire tra i diritti precedentemente considerati; infine, appurato che l'abrogazione del divieto non avrebbe determinato alcuna situazione di vuoto normativo, la Corte ha analizzato il bilanciamento di interessi effettuato da parte del legislatore alla luce dei criteri della razionalità e della proporzionalità.

3.1. I DIRITTI INCISI DAL DIVIETO ASSOLUTO

La Corte riconosce che la legge sulla procreazione medicalmente assistita coinvolge "plurime esigenze costituzionali" e incide su una molteplicità di interessi di tale rango. Come aveva già affermato in una precedente sentenza, la numero 45 del 200529, con cui si dichiarò

l'inammissibilità del referendum popolare per l'abrogazione della legge 40/2004, questi interessi richiedono un "bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa". Si tratta, dunque, di diritti a cui non viene attribuita una tutela incondizionata: già con la sentenza 151 del 200930, in cui la Corte aveva dichiarato

l'incostituzionalità del limite massimo di tre embrioni, contenuto nell'articolo 14, comma 2, della legge 40/2004, la Consulta aveva affermato che "la (stessa) tutela dell'embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione".

Fatta questa doverosa premessa, la Corte Costituzionale individua i beni costituzionali incisi dal divieto nel diritto di autodeterminazione e nel diritto alla salute.

In primo luogo, il divieto assoluto di accedere a pratiche di fecondazione assistita di tipo eterologo lede il diritto di autodeterminazione nelle scelte relative alla vita privata e familiare e, in particolare, nelle scelte

29 Corte Cost., 13 gennaio 2005, n. 45, in www.cortecostituzionale.it

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23 relative alla procreazione. La scelta di avere un figlio, "concernendo la sfera più intima e intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, nel caso in cui essa non contrasti con altri valori costituzionali". Ovviamente non può trattarsi di una libertà assoluta, dal momento che vi deve necessariamente essere un bilanciamento con gli altri interessi costituzionali in gioco; inoltre, anche quando sia necessario imporre delle limitazioni, questi limiti devono essere ragionevolmente e congruamente giustificati dall'impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango. In più, questi limiti non possono consistere in un divieto assoluto, a meno che il divieto assoluto non sia l'unico mezzo per tutelare interessi di rango costituzionale. Nella nostra Costituzione, la libertà nelle scelte personali trova tutela nell'articolo 2 (diritti inviolabili dell'uomo), nell'articolo 32 (diritto alla salute come diritto individuale, che si esercita con il consenso della persona interessata) e nell'articolo 13 (in quanto la libertà personale riguarda anche l'autonomia delle persone nelle scelte che toccano più da vicino l'intimità e la sfera personale). Nel nostro ordinamento, il riconoscimento della libertà ed autonomia delle persone nel campo della famiglia è l'esito del processo storico in cui viene affermandosi il principio di laicità dello Stato31: a partire dal '900 si fa spazio l'idea di

uno Stato che non ha una propria visione laica da proporre (o imporre), bensì è rispettoso delle scelte individuali e offre a tutti pari opportunità di espressione. Questo percorso è testimoniato da numerose pronunce giurisprudenziali e leggi approvate dal legislatore del XX secolo: per fare alcuni esempi, richiamiamo la legge 194 del 1978, con la quale si disciplina per la prima volta la fattispecie dell'aborto in Italia (legge preceduta da due sentenze della Consulta, la 49 del 1971 e la 27 del 1975, che avevano ampliato i casi di non punibilità dell'aborto volontario, punito dal codice Rocco del 1930); o, ancora, la legge 898

31 G. Ferrando, Autonomia delle persone e intervento pubblico nella riproduzione

assistita. Illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, in Nuova giur. civ. comm.,

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24 del 1970, che fa cadere il principio dell'indissolubilità del matrimonio e rimette, appunto, all'autonomia dei coniugi la decisione sui modi in cui risolvere la crisi coniugale; infine, la riforma del diritto di famiglia del 1975, che amplia gli spazi di libertà ed autodeterminazione riconoscendo l'accordo dei coniugi come regola fondamentale di governo della famiglia. In questo contesto, la legge 40 del 2004 costituiva una brusca inversione di tendenza, in quanto introduceva un divieto che sacrificava in maniera assoluta l'autodeterminazione della coppia (la quale, invece, aveva visto un riconoscimento via via maggiore nel corso dei tempi precedenti).

Il divieto assoluto di accedere a pratiche di fecondazione assistita di tipo eterologo, inoltre, incide sul diritto alla salute. Occorre però fare una precisazione: il significato di "diritto alla salute" che, secondo la Corte, dobbiamo prendere in considerazione è quello di "salute psichica". Infatti l'impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner mediante il ricorso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo può incidere negativamente sulla salute della coppia. Il divieto di eterologa fa riferimento ad un concetto restrittivo di "salute" e non tiene conto dell'evoluzione che tale concetto ha subito. Nel campo della riproduzione il problema è ancora più evidente: spesso i medici hanno delle difficoltà a individuare le ragioni che stanno alla base dell'infertilità; addirittura si hanno delle difficoltà a qualificare l'infertilità come una vera e propria "malattia", in quanto essa è generata da problemi di natura psicologica, altre volte addirittura rimane inspiegata. In ogni caso, occorre evidenziare che la diagnosi individuale di incapacità assoluta di generare (sterilità o infertilità) comporta una disorganizzazione del precedente assetto emotivo della persona e una crisi che destabilizza, in diverso grado, l’equilibrio individuale e quello della dinamica relazionale della coppia. Si tratta, quindi, di una diagnosi individuale che riguarda anche la coppia: sussiste l’incapacità per i partner di generare, dalla loro unione, un’eredità genetica per la

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25 creazione di un terzo che rappresenta, nella mente dei genitori, la somma delle proprie individualità a testimonianza dell’unione. Da ciò, si genera inevitabilmente una crisi di coppia32. Per i motivi sopra citati, non è

possibile che il legislatore intervenga dall'esterno per limitare delle pratiche che hanno la possibilità di incidere positivamente sulla salute (in questo caso, psichica) dei soggetti: la regola di fondo, secondo la Corte, deve essere quella della autonomia e responsabilità del medico, il quale, mediante il consenso del paziente (ex articolo 32 della Costituzione), opera le necessarie scelte professionali (peraltro questo è lo stesso criterio usato nella già richiamata sentenza 151 del 2009).

3.2. I DIRITTI TUTELATI DAL DIVIETO ASSOLUTO

Il fatto che il divieto assoluto di eterologa incida su diritti tutelati in ambito costituzionale non è sufficiente a far ritenere illegittimo il divieto in questione: è necessario, infatti, accertare se l'assolutezza che connota tale divieto sia o meno l'unico mezzo per garantire la tutela di quei valori costituzionali protetti dalla tecnica in esame. Solamente se il divieto assoluto si rivelasse l’unica modalità possibile per tutelare tali diritti sarebbe considerabile costituzionalmente legittimo. Per questo motivo, la Corte cerca di individuare quali sono gli interessi tutelati dalla disposizione in esame.

Anzitutto, la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo "mira a favorire la vita": essa rende possibile una nascita che, altrimenti, non ci sarebbe stata. Di conseguenza, essa ci impone di confrontarci con importanti questioni di bilanciamento con gli interessi che riguardano il nato e pone "problematiche riferibili eminentemente al tempo successivo alla nascita"33.

32 U. Sabatello e F. Thomas, parere reso sulla sentenza 162 del 2014 in Lex24omnia,

consultabile sul sito www.lex24.ilsole24ore.com

33 Corte Cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica

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26 Secondo la Corte è da escludere che il divieto sia posto al fine di evitare il rischio che il ricorso alla donazione dei gameti mascheri intenti di selezione dei nascituri secondo un disegno "a fini eugenetici": ciò in quanto l'accesso alla procreazione medicalmente assistita (anche eterologa) è possibile solamente in presenza di una diagnosi di infertilità o sterilità della coppia.

Infine, è da escludere anche che il divieto sia diretto a tutelare la salute dei donanti e dei riceventi: la Corte sottolinea come "la tecnica in esame, alla luce delle notorie risultanza della scienza medica, non comporti rischi per la salute dei donanti e dei donatari eccedenti la normale alea insita in qualsiasi pratica terapeutica, purché eseguita all'interno di strutture operanti sotto i rigorosi controlli delle autorità, nell'osservanza dei protocolli elaborati dagli organismi specializzati a ciò deputati"34.

Fatte queste premesse, la Corte deduce che l'unico interesse che si contrappone ai beni costituzionali prima analizzati è quello della persona nata dalla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. È esclusivamente in quest'ambito che deve essere compiuto il bilanciamento di interessi.

La Corte, quindi, prende in considerazione i diritti del nato incisi dall'applicazione della tecnica: il diritto all'identità genetica, il diritto a conoscere il genitore biologico e il rischio psicologico del figlio nato grazie all'apporto di un donatore o di una donatrice a vedersi attribuita una genitorialità "non naturale". Questi sono gli interessi che, secondo l'Avvocatura dello Stato, sarebbero lesi in caso di superamento del divieto assoluto; l’Avvocatura dello Stato, inoltre, evidenzia come l'eventuale accoglimento della questione di costituzionalità comporterebbe il crearsi di "vuoti normativi" in ordine ai profili della disciplina applicabile. Ulteriore obiezione mossa contro la dichiarazione di illegittimità della norma riguardava il fatto che tale operazione avrebbe comportato la possibilità di costituire "modelli familiari atipici"

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27 (cosa che avrebbe offuscato il modello di "famiglia fondata sul matrimonio", modello familiare socialmente tipico e protetto).

3.3. IL BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI IN GIOCO EFFETTUATO DALLA CONSULTA

Una volta individuati quali sono gli interessi tutelati dal divieto assoluto, la Corte cerca di analizzarli singolarmente, al fine di verificare se l'assolutezza del divieto possa esser considerata l'unica soluzione praticabile per garantire la loro tutela.

Per quanto riguarda il diritto all'identità genetica e il rischio psicologico di vedersi attribuita una genitorialità non naturale (cioè una genitorialità non corroborata dal dato biologico), la Corte evidenzia che tale problema non si pone solo in questa fattispecie, ma anche nell'ambito della disciplina dell'adozione: anche in questo caso, infatti, la genitorialità non è di tipo genetico. È vero che le finalità dei due istituti sono diverse, in quanto l'adozione intende dare una famiglia ad un bambino abbandonato, mentre la fecondazione eterologa permette di soddisfare il desiderio di generare un figlio proprio da parte di una coppia affetta da forme di infertilità senza rimedio, tuttavia l'istituto dell'adozione ci consente di evidenziare come ormai, per il nostro ordinamento, il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa: non è corretto affermare che se manca il legame biologico – genetico non si possa parlare di famiglia, dal momento che la famiglia stessa si basa su relazioni psicologiche e sociali e non è necessario tale legame biologico.

In questo senso va letta, ad esempio, la riforma in materia di azione di disconoscimento della paternità35: il legislatore ha introdotto un termine

massimo di 5 anni dalla nascita del figlio, superato il quale il legittimato

35 D. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, il quale ha modificato l’articolo 244 del codice

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28 attivo non avrà più la possibilità di esperire l’azione di disconoscimento. Questa riforma può esser letta nel senso che il legislatore ha voluto privilegiare la certezza dei rapporti (ormai consolidatisi e rafforzatisi in un periodo di tempo abbastanza significativo) a scapito della verità biologica (valore che, invece, suggerirebbe di non prevedere un limite massimo per poter esperire un'azione volta a far emergere la presenza o meno del legame biologico).

Dunque, la legge italiana, nel vietare tecniche eterologhe, sacrificava la libertà delle persone che avrebbero voluto fare ricorso ad essa in omaggio alla così detta "naturalità" della procreazione che, tuttavia, non trova alcun fondamento costituzionale.

Per quanto riguarda il diritto di conoscere le proprie origini genetiche, c'è da dire che la legge 40 non affronta direttamente il tema dell'anonimato del donatore. Tuttavia, come rileva la Corte, tale questione non è affatto nuova, in quanto essa era già stata presa in considerazione dal legislatore nell'ambito della disciplina sull'adozione36. Fatte le debite proporzioni tra adozione e fecondazione

eterologa, il problema del bilanciamento degli interessi in gioco si pone in maniera non molto dissimile: è necessario contemperare il diritto del figlio a sapere e quello del donatore a restare in un cono d'ombra. Ritorneremo più approfonditamente sull'argomento in un capitolo apposito: ciò che occorre adesso evidenziare è che la Consulta rileva che il divieto di fecondazione eterologa, nella sua assolutezza, non è altro che il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco. Il divieto in questione, infatti, cagiona una lesione della libertà fondamentale della coppia destinataria della legge 40 del 2004 di formare una famiglia con dei figli, senza che la sua assolutezza sia giustificata da esigenze di tutela del nato.

L'irragionevolezza della decisione adottata dal legislatore emerge anche

36 La legge 184 del 1983, all’articolo 28, considera proprio il problema relativo alle

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29 da due ulteriori considerazioni. Anzitutto, la Corte evidenzia come vi sia una palese contraddizione tra il divieto assoluto di eterologa e quello che è lo scopo dichiarato della legge 40: la normativa, infatti, ha come obiettivo quello di "favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o infertilità umana"37, ma paradossalmente

impedisce proprio alle coppie affette da una infertilità o sterilità totali di accedere alla tecnica dell'eterologa, la quale è l'unica pratica che può permettere di superare l'ostacolo. Un'ulteriore contraddizione (che costituisce, peraltro, una palese discriminazione) la rinveniamo se facciamo riferimento alla possibilità per le coppie italiane di recarsi all'estero al fine di sottoporsi a pratiche di fecondazione eterologa. Nell'ottica della libera circolazione europea, i cittadini dell'UE possono liberamente circolare sul territorio dell'Unione e accedere ai servizi sanitari che i Paesi di arrivo offrono, dunque è possibile che una coppia decida di recarsi in uno Stato che permette la fecondazione eterologa al fine di poter accedere a tale pratica. Questo comportamento non è oggetto di sanzioni da parte della legge 40: ciò comporta un'evidente disparità di trattamento basata sulla condizione economica, in quanto se una coppia sterile ha una solida capacità economica potrà recarsi all'estero al fine di accedere alle pratiche in questione, altrimenti anche questa via le sarà preclusa38. Il numero di coloro che hanno deciso di

intraprendere la strada del turismo procreativo ha subito una crescita importante proprio a seguito dell'introduzione del divieto nel 2004: da studi effettuati da parte dell'Osservatorio sul Turismo Procreativo risulta che nel 2006 le coppie italiane trattate nei centri di procreazione assistita presi in considerazione (27 strutture tra Europa e Stati Uniti) sono state 4.173, mentre prima dell'introduzione della legge 40 presso le stesse

37 Ciò è espressamente dichiarato all'articolo 1 della legge 40/2004

38 Il legislatore del 2004 ha mostrato consapevolezza dell’esistenza di questa pratica:

temendo possibili situazioni sfavorevoli per il nato a seguito di eterologa praticata all’estero, il legislatore ha previsto, all’articolo 9 della legge 40, la disciplina dello status del soggetto in questione, affinché quest’ultimo non subisse un affievolimento di tutela derivante da uno status non certo.

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30 strutture l'affluenza degli italiani era decisamente inferiore (1.066 coppie)39.

3.4. UN NUOVO MODELLO DI FAMIGLIA: LA COPERTURA COSTITUZIONALE

Le obiezioni mosse dall'Avvocatura dello Stato, cioè quella relativa alla possibilità di costruzione di modelli familiari atipici e il problema del vuoto normativo che si verrebbe a creare a seguito della dichiarazione di incostituzionalità del divieto assoluto di eterologa, non sono state considerate da parte della Corte Costituzionale come decisive al fine di non dichiarare l’illegittimità delle disposizioni censurate.

Per quanto riguarda la possibilità di costituire modelli familiari atipici, occorre anzitutto evidenziare che nella società moderna assistiamo alla moltiplicazione dei modelli familiari in forme che erano impensabili all'epoca in cui la Costituzione è stata scritta. Lo stesso legislatore ne prende atto, mediante un percorso che ha portato all'elaborazione di testi di legge che hanno percepito tali cambiamenti nella società e, di conseguenza, hanno predisposto una tutela via via maggiore. Ne è un esempio la stessa legge 40 del 2004, la quale ammette alle tecniche di procreazione medicalmente assistita anche le coppie conviventi (dunque non coniugate); oppure ricordiamo la legge 54/2006, che disciplina in modo unitario gli effetti della crisi della coppia (sposata o non sposata) con riguardo alla prole; infine, la legge 219/2012, che ha equiparato lo status giuridico dei figli a prescindere dai modi della sua costituzione nel matrimonio, fuori da esso o per adozione (compiendo quella separazione tra matrimonio e filiazione che ha portato a ritenere la condizione giuridica del figlio come tutelata in qualità di valore autonomo ed indipendente dal matrimonio). Lo studioso di diritto civile

39 Osservatorio Turismo Procreativo, conferenza stampa di giovedì 30 novembre

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31 oggi parla di “famiglie” al plurale, dato che al tradizionale modello di famiglia fondata sul matrimonio si sono affiancate numerose nuove tipologie di famiglia che trovano tutela sia a livello interno (come “formazioni sociali”, ex articolo 2 della Costituzione) sia a livello europeo (l’articolo 9 della Carta di Nizza tutela il diritto di sposarsi e “di costituire una famiglia”)40.

Occorre evidenziare che il fatto che tali modelli di famiglia non fossero nemmeno immaginabili nel periodo in cui è stato predisposto il testo della carta costituzionale non comporta, come conseguenza, il fatto che questi modelli non possano in alcun modo trovare uno spazio di tutela all’interno della Costituzione. Il Costituente, infatti, ci ha lasciato un disegno elastico, capace di abbracciare nuove esigenze di tutela che vengono in considerazione nel tempo: abbiamo, infatti, l'articolo 2, che prevede un catalogo aperto di diritti inviolabili e tutela tali diritti anche nell'ambito delle "formazioni sociali"; la garanzia di pari dignità di cui all'articolo 3; il riconoscimento dello spazio di autonomia per la famiglia ex articolo 29; la garanzia dell'eguale tutela dei figli ex articolo 30. La Costituzione, dunque, non pone ostacoli insormontabili, semplicemente sollecita un confronto con le nuove realtà e con i nuovi interessi che si generano con l'avvento di nuove tecnologie.

3.5. QUALE DISCIPLINA PER LA FECONDAZIONE

ETEROLOGA? IL PROBLEMA DEL VUOTO NORMATIVO

Nemmeno l'argomento riguardante i vuoti normativi che si verrebbero a creare viene accolto dalla Consulta: anzi, la Corte dedica gran parte della sentenza proprio all’individuazione di quelle regole che possono essere applicate alla pratica dell’eterologa. Essa, anzitutto, richiama la sentenza 58 del 195841, nella quale ha affermato che il potere "di dichiarare

40 F. D. Busnelli, M. C. Vitucci, Frantumi europei di famiglia, in Riv. dir. civ., 2013,

4, pagg. 771 e ss.

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32 l'illegittimità costituzionale delle leggi non può trovare ostacolo nella carenza legislativa che, in ordine a dati rapporti, possa derivarne; mentre spetta alla saggezza del legislatore [...] di eliminarla nel modo più sollecito ed opportuno". Inoltre, nella sentenza 113 del 201142, la Corte

ha ribadito che "di fronte a un vulnus costituzionale, non sanabile in via interpretativa – tanto più se attinente a diritti fondamentali – la Corte è tenuta comunque a porvi rimedio". Viene dunque evidenziato il potere – dovere della Corte di intervenire su situazioni di illegittimità costituzionale: se la Consulta non intervenisse, si determinerebbe una "intollerabile lesione per l'ordinamento costituzionale complessivamente considerato, soprattutto quando risulti accertata la violazione di una libertà fondamentale, che non può mai essere giustificata con l'eventuale inerzia del legislatore ordinario".

Dopo aver effettuato queste considerazioni, la Corte procede cercando di individuare quali potrebbero essere i problemi derivanti dall'eliminazione del divieto assoluto di eterologa e, contemporaneamente, indicando quali sono le discipline applicabili al fine di colmare questi vuoti normativi.

Anzitutto, si prende in considerazione il presupposto oggettivo, dunque quand'è che una coppia ha la possibilità di accedere alle pratiche di fecondazione eterologa. È la stessa legge 40 del 2004 che ci dà la soluzione, dato che la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo può essere considerata come una species del più ampio genus della fecondazione assistita. Per questo motivo, secondo quanto stabilito dagli articoli 1, comma 2, e 4, comma 1 (direttamente riferibili, secondo la Corte, anche alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo), il ricorso all'eterologa, una volta venuto meno il divieto, deve ritenersi consentito solo "qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere" le cause di sterilità o infertilità e sia stato accertato il carattere assoluto delle stesse, dovendo siffatte circostanze

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33 essere "documentate da atto medico" e da questo certificate. Inoltre, il ricorso a questa tecnica deve osservare i principi di gradualità e del consenso informato stabiliti dall'articolo 4 comma 2.

Per quanto concerne, invece, i requisiti soggettivi, anche questi saranno disciplinati dalla stessa legge 40 del 2004: all'articolo 5, comma 1, applicabile anche alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, si stabilisce che possono fare ricorso esclusivamente le "coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi". Ma la legge 40, secondo la Consulta, può dare una soluzione anche per la disciplina di altre questioni che vengono in considerazione a seguito del superamento del divieto assoluto di eterologa. In primis, la disciplina del consenso, in quanto la Corte evidenzia che "la regolamentazione stabilita all'articolo 6 della legge 40 del 2004 – una volta venuto meno, nei limiti precisati, il censurato divieto – riguarda evidentemente anche la tecnica in esame, in quanto costituisce una particolare metodica di PMA"43. Inoltre la

Corte richiama gli articoli 7 (che offre base giuridica alle linee guida emanate dal Ministero della salute, le quali indicano le procedure e le tecniche di procreazione medicalmente assistita) e gli articoli 10 e 11 (in tema di individuazione delle strutture autorizzate a praticare la procreazione medicalmente assistita e di documentazione dei relativi interventi). È da sottolineare ancora una volta che la Consulta ritiene che il vuoto normativo possa essere colmato grazie alle disposizioni contenute nella legge 40 proprio in quanto l'eterologa costituisce una species del genus della procreazione medicalmente assistita.

La stessa legge, tuttavia, non può aiutare con riguardo alla disciplina relativa alla donazione dei gameti: mentre la fecondazione omologa non pone questo problema (in quanto i gameti provengono dai soggetti che si sottopongono alla pratica in questione), nell'ambito della fecondazione eterologa si pone il problema della regolamentazione da

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34 applicare alla pratica della donazione dei gameti. Ovviamente la soluzione a questo problema non può essere rinvenuta nella legge 40, in quanto essa aveva predisposto un divieto assoluto di eterologa, dunque sarebbe stato contraddittorio predisporre, assieme al divieto, una disciplina relativa alla donazione di spermatozoi e ovociti. Tuttavia, la Corte Costituzionale ritiene che tale regolamentazione possa essere ricavata, mediante gli ordinari strumenti interpretativi, dalla disciplina concernente in linea generale la donazione di tessuti e cellule umani, "in quanto espressiva di principi generali pur nelle diversità della fattispecie"44. Torneremo più approfonditamente sulla questione in un

apposito capitolo.

Come abbiamo già avuto modo di constatare, nemmeno il problema relativo al diritto all'identità del figlio, nonché al suo diritto ad accedere alle informazioni sui genitori genetici, rimarrebbe privo di disciplina: la Corte effettua un parallelismo tra la fattispecie della fecondazione eterologa e quella dell'adozione, facendo notare che lo stesso problema si è presentato proprio in quest'ambito, dove abbiamo a che fare con un soggetto che, accolto in un contesto familiare diverso rispetto a quello di cui facevano parte i suoi genitori genetici, può maturare nel corso della sua esistenza il desiderio di ottenere informazioni circa le proprie origini. Anche su questo argomento torneremo più approfonditamente in un capitolo dedicato.

3.6. (SEGUE) LA QUESTIONE RELATIVA

ALL’ATTRIBUZIONE DI UNO STATUS GIURIDICO AL FIGLIO NATO DA ETEROLOGA

L’utilizzo di tecniche di procreazione assistita di tipo eterologo pone inoltre il problema della certezza dello status della persona nata tramite l’apporto di un donatore. Tale problema non si pone nel caso di

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