L’importanza del percorso che porta un individuo a prendere conoscenza di sé e alla formazione della propria identità sta acquisendo, nel corso degli anni, un valore sempre maggiore, dovuto anche alla considerazione che sta ricevendo la persona umana, ormai al centro dell’ordinamento, costruito al fine di servirla. Fin dall’antichità, l’uomo ha dato maggiore importanza ai legami genetici, considerati come la base dell’istituto familiare, e ha concepito le relazioni “sociali”, costruite mediante istituti quali l’adozione e, più recentemente, l’eterologa, come legami “meno forti”. Ciò ha fatto sì che in un primo momento la direttiva fosse quella di mantenere il segreto, suggerendo ai genitori riceventi di non rivelare alcuna informazione ai figli196. Tuttavia, la situazione sta lentamente cambiando: il diritto a conoscere le proprie origini genetiche è sempre più al centro dell’attenzione, sia a livello internazionale, con le disposizioni contenute all’interno delle varie fonti pattizie e le pronunce dei giudici (tra cui: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) in cui tale diritto viene sancito e rafforzato sempre di più, sia a livello nazionale, dato che sempre più Stati stanno sperimentando un percorso di riforme che vede un nuovo bilanciamento di interessi che dà maggiore spazio alla conoscenza delle origini, superando il principio dell’anonimato assoluto a difesa del donatore dei gameti.
Ovviamente stiamo discutendo di un diritto che deve “scontrarsi” con altri, delicati interessi: molte sono le persone coinvolte nella materia che abbiamo esaminato e le loro prerogative non possono essere ignorate197.
196 P. Nordqvist, Op. cit.; A. Diver, A law of Blood-ties – The “Right” to Acces
Genetic Ancestry, Springer International Publishing, 2014
142 Nonostante il dibattito rimanga ancora aperto (solo recentemente vi è stata una attenzione maggiore riguardo al problema della conoscenza delle origini, dunque ci troviamo sempre all’inizio della sua analisi), possiamo prendere atto della tendenza di molti Stati che stanno modificando la propria legislazione in materia, optando per il superamento di un anonimato assoluto del donatore dei gameti e aprendo spazi alla possibilità per i figli di accedere ad alcune tipologie di informazioni relative ai soggetti donanti.
Purtroppo, la situazione italiana non può dirsi del tutto chiara: soprattutto riguardo questo aspetto, la sentenza 162 del 2014 della Consulta non sembra aver chiarito perfettamente quale debba essere la disciplina da applicare al diritto in questione. Per questo motivo, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore, il quale, analizzando le decisioni prese in altri Stati dove esiste una legge a riguardo e recependo i principi contenuti all’interno delle pronunce sia della Corte Costituzionale sia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dovrà considerare le posizioni di tutti i soggetti coinvolti e effettuare un bilanciamento di interessi che consenta di superare la attuale situazione di incertezza interpretativa con una tutela più precisa e dettagliata.
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