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Ai fini dell’analisi statistica le variabili inserite nel database sono state espres- se in forma differente a seconda della loro tipologia: quelle discrete, “bina- rie”, sono state rappresentate in termini di frequenza assoluta e di preva- lenza percentuale; quelle continue, invece, una volta appurato grazie al test di Kolmogorov-Smirnov che erano tutte caratterizzate da una distribuzio- ne non gaussiana, sono state espresse in termini di mediana ed intervallo interquartile.

Nella sezione precedente si `e diffusamente e puntualmente spiegato come gli obiettivi di questo lavoro fossero sostanzialmente due: in primo luogo, individuare i fattori correlati ad un aumento del tasso di mortalit`a intra- ospedaliera per sepsi; in seconda istanza, cercare dei parametri utili a valutare nella maniera pi`u accurata possibile il rischio di outcome sfavorevole nei soggetti ammessi in Pronto Soccorso con una diagnosi di sospetta infezione. Per rispondere al primo quesito, si sono innanzitutto suddivisi i pazienti in due gruppi in base all’esito della malattia (guarigione o decesso); in un

secondo momento sono stati quindi utilizzati i test statistici pi`u opportuni per individuare tutti i parametri per i quali sussisteva una differenza significativa fra i soggetti sopravvissuti e quelli andati invece incontro ad exitus. Per il confronto delle variabili continue a distribuzione non gaussiana si `e impiegato il test non parametrico di Mann- Whitney, mentre per quelle binarie si `e fatto ricorso al test del chi-quadrato (χ2) con correzione di continuit`a (di Yate).

Per quanto riguarda invece il secondo obiettivo di questo lavoro, ovvero l’individuazione del metodo migliore per stratificare nel modo pi`u opportu- no e preciso possibile il rischio di mortalit`a intra- ospedaliera associata alla sepsi, si `e deciso di procedere mediante due passaggi successivi.

In una prima fase, ci si `e concentrati sullo studio della capacit`a predittiva nei confronti dell’evento “decesso” delle variabili ottenibili in maniera sem- plice e rapida in occasione del triage: concentrazione plasmatica dei lattati, punteggi quick SOFA e MEWS, ed infine lo shock index.

Per indagare questo aspetto, si `e deciso di costruire la curva ROC (Receiver Operating Characteristic, o anche Relative Operating Characteristic) relati- va da un lato a ciascuno dei quattro parametri sopraddetti, e dall’altro ad alcune combinazioni di questi ultimi, in particolare: quick SOFA + lattati, shock index + lattati, MEWS + lattati e MEWS + shock index.

In un secondo momento, una volta nota la variabile (o la combinazione di variabili) per cui l’area sotto la curva (AUROC, acronimo per Area under the Receiver Operating Characteristic) risultava maggiore, si `e cercato un valore di tale parametro dotato di una sensibilit`a piuttosto elevata, anche al prezzo di una specificit`a sub- ottimale, ma comunque non eccessivamente bassa, nell’identificare i soggetti in maggior pericolo di vita; in particolare, la scelta `e ricaduta sulla somma di “Shock index + lattati”.

Detto “X” il valore- limite cos`ı trovato, si sono selezionati tutti i pazienti per cui era soddisfatta la relazione “Shock index + lattati”≥X, per poter poi proseguire l’analisi solo su di essi. In questo modo, infatti, data l’elevata sensibilit`a propria del cut off prescelto, si sarebbe compreso il numero mag- giore possibile di individui a rischio di decesso; purtroppo, considerata la sua scarsa specificit`a, nel sottogruppo creatosi sarebbero finiti anche soggetti poi sopravvissuti e guariti. A questo punto, si `e cercato di identificare ulteriori fattori capaci di permettere una migliore discriminazione dei soggetti desti- nati alla guarigione da quelli invece condannati ad un esito infausto.

In altri termini, per concludere il lavoro, occorreva focalizzare l’attenzione sui soggetti che soddisfacevano il requisito sopraddetto e ricercare in que- sto sottogruppo ulteriori fattori predittivi di mortalit`a intra- ospedaliera. In questa fase si `e deciso di estendere la gamma delle variabili da indagare per includere anche tutti i dati non ricavabili in maniera immediata nell’arco di

pochi minuti, ma ottenibili solo dopo un tempo di attesa maggiore, come, ad esempio, i risultati degli esami di laboratorio. A tale scopo, i pazienti sono stati innanzitutto divisi in due gruppi a seconda dell’esito del ricovero (guari- gione o decesso) e si `e effettuato fra di essi un confronto preliminare inerente diverse variabili, dicotomiche e continue, mediante test del chi quadrato e di Mann Whitney, rispettivamente.

Successivamente, per ciascun parametro prescelto sono stati calcolati l’odds ratio “crudo”, ottenuto da una analisi univariata, e quello “corretto”, rica- vato grazie ad una analisi multivariata, ovvero la regressione logistica. Infine, per verificare la bont`a del modello nell’adattarsi ai dati reali, si `e fat- to ricorso al test di Hosmer e Lemeshow. Quest’ultimo `e appunto un test statistico utile a confermare il potere predittivo di un determinato evento da parte di modelli ottenuti mediante regressione logistica; esso prevede in- nanzitutto una suddivisione della popolazione oggetto di analisi in diversi sottogruppi, ed in secondo luogo un processo di controllo, in ogni sottogrup- po, della correttezza dell’esito previsto in base alla presenza/ assenza dei fattori di rischio e/o protettivi identificati mediante la regressione logistica. In altre parole, per ciascun paziente, si mettono a confronto l’evento atteso previsto sulla base del modello e quello effettivamente occorso: se le differen- ze sono poche, significa che il modello `e ben calibrato; in tal caso, quindi, la p ottenuta deve risultare non significativa (l’ipotesi nulla di equivalenza non `

e rigettata e quindi l’outcome dedotto partendo dai fattori di rischio risulta sovrapponibile a quello reale).

Tutte le analisi sono state effettuate utilizzando il programma SPSS; in ciascuna di esse, un valore di p< 0, 05 `e stato considerato statisticamente significativo.

Capitolo 4

Risultati

4.1

Aspetti epidemiologici e clinici

Nel complesso i soggetti arruolati nello studio sono stati 571, di cui 329 uomini e 242 donne, per un rapporto maschi/ femmine pari a 1.36:1.

Per quanto riguarda l’et`a dei pazienti oggetto della presente indagine, la mediana `e risultata uguale ad 80 anni, mentre il 25o ed il 75o percentile si sono collocati, rispettivamente, in corrispondenza dei valori di 71 ed 87 anni. La distribuzione dei casi di malattia nelle diverse decadi `e riportata nella figura sottostante (Fig. 4.1):

Figura 4.1: Distribuzione dei pazienti nelle diverse decadi di vita

Come si pu`o apprezzare dal grafico, 1 solo paziente ha un’et`a inferiore o uguale a 30 anni, 12 stanno fra i 31 ed i 40, 11 fra i 41 ed i 50, 41 fra i 51 ed i 60, 68 fra i 61 ed i 70, 163 fra i 71 e gli 80, 197 fra gli 81 e i 90, ed infine 78 sono ultra- novantenni.

Molti dei soggetti inclusi nello studio presentavano almeno un fattore di rischio per lo sviluppo di infezione: 60 erano portatori di un catetere endove- noso (22 di tipo CVC [catetere venoso centrale], 31 di PICC [catetere centrale inserito dalla periferia] e 5 di PORT; i rimanenti non erano specificati), 95 di un catetere vescicale a permanenza e 93 di dispositivi protesici o intra- cardiaci impiantabili.

Inoltre, nei 30 giorni precedenti al ricovero, 91 pazienti erano stati sottoposti a una terapia corticosteroidea, 34 ad un trauma e 42 ad un intervento chirur- gico; per quanto riguarda in particolare quest’ultimo evento, si sono segnalati 15 interventi ortopedici, 14 di chirurgia addominale, 5 di cardiochirurgia, 3 di chirurgia urologica, 2 di chirurgia toracica ed altrettanti di chirurgia maxillo- faciale, ed infine una tiroidectomia.

I due grafici sottostanti riassumono quanto esplicitato a parole in questo pa- ragrafo: quello sopra (Fig. 4.2) riassume i vari fattori di rischio per infezione riscontrati nella popolazione analizzata e la loro frequenza assoluta, mentre quello sotto (Fig. 4.3) riporta i dati relativi ai tipi di interventi chirurgici effettuati nel corso del mese antecedente l’accesso al DEA.

Figura 4.2: Fattori di rischio per infezione riscontrati nella popolazione in esame

Figura 4.3: Tipi di intervento chirurgico effettuati dai pazienti nei 30 giorni precedenti l’accesso in Pronto Soccorso

Di tutti i soggetti presi in esame, la stragrande maggioranza (429/571) presentava, oltre all’infezione, un punteggio al SOFA score superiore di alme- no due punti rispetto al valore basale, rientrando quindi a pieno titolo nella definizione di paziente settico promulgata dalla Task Force riunitasi nel 2016 (“Sepsis- 3”).

Soltanto 30 (5,25%) di tutti i malati studiati, invece, possedevano i requisiti necessari per rientrare nella definizione di “shock settico” data dall’ultimo Consensus Conference.

Se si sposta l’attenzione sugli aspetti pi`u schiettamente clinici ed ezio- logici, si pu`o notare come una buona parte delle prime ipotesi diagnostiche effettuate in Pronto Soccorso sia rappresentata dalle infezioni polmonari e da quelle urinarie.

In particolare, 138 soggetti (pari al 24,17% del totale) hanno ricevuto una diagnosi di infezione a carico delle vie aeree, 131 (22,94%) di infezione delle vie urinarie, 55 (9,63%) di shock settico, 25 (4,38%) di un’infezione che ri- chiede un controllo chirurgico della fonte (colecistite, ascesso, appendicite) e 1 solo (0,18%) di meningite/ encefalite.

4 pazienti (0,70%) sono stati etichettati come affetti da “sepsi severa”, men- tre in ben 186 individui (32,57%) non si `e riusciti ad identificare subito nel dipartimento di Emergenza ed Accettazione l’origine dell’infezione.

Infine, nei rimanenti 31 casi (5,43%) sono comprese infezioni originatesi da siti anatomici differenti da quelli sinora menzionati, quali la cute e gli or-

gani endo- addominali, e non bisognose di un intervento chirurgico, oppure infezioni probabilmente associate all’uso di cateteri endovenosi o vescicali a permanenza.

Nella figura sottostante (Fig. 4.4) sono riassunti tutti i dati appena elencati:

Figura 4.4: Diagnosi eziologica di sospetto posta in Pronto Soccorso; le in- fezioni pi`u frequentemente chiamate in causa sono quelle a carico delle vie aeree ed urinarie

Per quanto attiene la parte pi`u prettamente diagnostico- terapeutica, si deve constatare come sia stato possibile effettuare le emocolture soltanto in poco pi`u della met`a dei casi (50,26%); altro dato rilevante, a questo proposito, `

e rappresentato dal fatto che, di tutti i prelievi per emocolture effettuati (287 in tutto), solo 185 (64,46%) sono stati antecedenti la somministrazione della terapia antibiotica.

Per concludere la disamina delle variabili meramente “descrittive”, non dicotomiche n´e quantificabili sotto forma di cifre nude e schiette, si pu`o passare brevemente in rassegna l’esito finale del percorso in DEA dei portatori di infezione presi in considerazione.

La stragrande maggioranza dei pazienti (549/ 571, ovvero il 96,15%) `e stata destinata al ricovero ospedaliero, mentre 17 soggetti (2,98%) sono deceduti direttamente in PS, e 5 (0,88%) sono stati dimessi al proprio domicilio. Dei soggetti trasferiti in un reparto d’ospedale, 347 (63,79%) sono finiti in una medicina interna/ geriatria, 125 (22,98%) in medicina d’urgenza o in

Osservazione Breve Intensiva (OBI), 51 (9,38%) in medicina specialistica, 18 (3,31%) in terapia intensiva e 3 (0,55%) in un reparto chirurgico, come illustrato nel grafico sottostante (Fig. 4.5).

Figura 4.5: Reparti di destinazione dei pazienti indirizzati al ricovero ospedaliero in seguito alla valutazione effettuata in Pronto Soccorso

17 dei pazienti inizialmente indirizzati in un reparto di degenza ordinaria hanno successivamente sviluppato una condizione tale da richiedere un loro trasferimento in terapia intensiva.

In conclusione, quindi, 35 dei soggetti costituenti la popolazione analizzata hanno avuto bisogno, nel corso della propria degenza, di cure intensivistiche.

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