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Sono due gli articoli principali scritti esplicitamente con l’intento di prende- re nette distanze ed esprimere un risoluto dissenso nei confronti di quanto concluso nel corso della Terza Assemblea Internazionale sulla Sepsi (“Sepsis- 3”); entrambi americani, si sono rivelati piuttosto critici e decisi, per quanto ragionevoli, nelle loro posizioni [26] [27].

Il primo `e stato pubblicato su Chest nel maggio 2016, a pochi mesi di distanza dalla Consensus Conference della Society of Critical Care Medicine e dell’European Society of Intensive Care Medicine; esso `e opera dell’Ameri- can College of Chest Physicians (ACCP), che aveva partecipato alla stesura delle precedenti definizioni di sepsi, nel 1991 e nel 2001 [26].

La prima contestazione avanzata alle conclusioni tratte dalla terza Consensus Conference riguarda l’eliminazione del concetto di “sepsi severa” e, pi`u spe- cificatamente, la negazione dell’esistenza di un processo continuo che dalla sepsi porta allo shock settico attraversando stadi progressivamente maggiori di gravit`a clinica. Sebbene imperfetto, tale concetto si era rivelato fino ad allora molto utile nella pratica clinica per impostare correttamente la terapia e distinguere condizioni diverse, gravate da un tasso crescente di complicanze ed esito infausto [28] [29]; l’adozione di misure interventistiche precise dirette contro ciascuna di esse aveva inoltre portato ad una sensibile riduzione della mortalit`a ospedaliera nel corso degli anni precedenti [30] [31].

Il timore, implicito, degli autori dell’articolo `e da ricercarsi nella possibilit`a che, una volta eliminata la categoria di “sepsi severa”, si generi una certa confusione e sia pi`u difficile identificare, fra tutti i pazienti settici, quelli in maggiore pericolo di vita, che necessiterebbero di un monitoraggio pi`u at- tento e di un approccio terapeutico pi`u aggressivo. Dal momento in cui la fisiopatologia della sepsi non `e ancora chiara e conosciuta con esattezza, mo-

dificare cos`ı radicalmente i concetti sanciti in precedenza senza una solida base scientifica e finire magari per trattare tutti i soggetti categorizzati come “settici” allo stesso modo, senza alcun riguardo particolare per quelli in con- dizioni pi`u critiche, potrebbe costituire solo un rischio e mettere a repentaglio vite umane [26].

Il secondo punto di disaccordo individuato dai clinici americani `e rap- presentato proprio dall’adozione, nella pratica clinica, del SOFA score e del quick SOFA. L’assemblea dei 19 membri della Sepsis- 3 aveva giustificato la propria scelta sulla base di studi che avevano retrospettivamente dimostrato come questi fossero dotati di un miglior potere predittivo nei confronti di eventi critici (mortalit`a intra- ospedaliera e necessit`a di ricovero in terapia intensiva per pi`u di 72 ore) rispetto ai criteri SIRS [2]. Tale conclusione `e incontestabile ed inoppugnabile, ma, se la si osserva da un punto di vista dif- ferente, si capisce come i nuovi criteri siano pi`u specifici (e non pi`u sensibili) rispetto a quelli vecchi: questo significa che essi presentano l’indubitabile vantaggio di etichettare come “settici” un numero inferiore di pazienti con un’infezione non complicata, ma, allo stesso tempo, potrebbero non essere in grado di riconoscere abbastanza in fretta una condizione potenzialmente fatale. In altri termini, abbandonare i criteri SIRS, molto sensibili ma poco specifici, a favore di altri strumenti dotati di maggiore specificit`a ma peggiori in termini di sensibilit`a, pare una tattica poco ragionevole e forse addirittura un po’ azzardata, in una patologia tempo- dipendente come la sepsi, in cui il sospetto e la diagnosi precoce si rivelano cruciali per consentire un tratta- mento adeguato e migliorare la sopravvivenza dei pazienti.

A proposito dell’adozione del SOFA score al posto dei criteri SIRS quale si- stema di valutazione del danno d’organo, gli autori americani sostengono che questa rappresenti una scelta poco sensata anche per un altro motivo: men- tre i criteri SIRS sono ben conosciuti e diffusi nella pratica clinica, il SOFA score `e utilizzato esclusivamente nelle terapie intensive e quindi meno noto, per cui un simile cambiamento potrebbe spiazzare e mettere in difficolt`a al- cuni medici [26]. Data la semplicit`a di calcolo del SOFA score, tuttavia, tale ragionamento pare debole e vagamente forzato.

Pi`u forte e strutturata `e invece l’ultima critica mossa all’approccio adottato nel corso della terza conferenza sulla sepsi: questa ha infatti voluto creare una drammatica frattura con il passato, rivoluzionando completamente i con- cetti definiti in precedenza ed annullando quasi venticinque anni di tentativi di perfezionamento della strategia terapeutica pi`u adatta in corso di infezioni complicate. Restituendo nuovi strumenti diagnostici la cui efficacia era stata provata solo su studi retrospettivi, si `e aperta la strada ad anni di ricerca volta esclusivamente alla validazione di questi stessi criteri. Gli autori ameri-

cani avrebbero auspicato un tentativo di ricongiunzione e progresso rispetto alla “Sepsis- 2”, magari con un aggiustamento del sistema di stratificazione prognostica proposto nel 2001 (il PIRO) ed uno studio pi`u approfondito di quei fattori molecolari, non ancora noti con esattezza ma da esso ipotizzati, che potrebbero condizionare la risposta individuale all’infezione e permettere l’adozione di terapie pi`u mirate, ritagliate ad hoc sul singolo paziente [26]. Il secondo lavoro di dissenso nei confronti della “Sepsis- 3” `e uscito sulla rivista “Clinical Infectious Diseases” l’anno successivo ed `e stato pubblicato allo scopo di esplicitare le ragioni per cui la Societ`a americana di malattie infettive non ha voluto adottare le nuove linee guida della “Surviving Sepsis Campaign”, pubblicate nel 2016 [27] [32].

La prima e pi`u importante critica avanzata nei confronti della terza Consen- sus Conference sulla sepsi riguarda la sua mancanza di attenzione e consa- pevolezza dei problemi pratici che i medici devono affrontare per riconoscere e diagnosticare con certezza una simile condizione clinica.

Come gi`a accennato in precedenza, `e spesso difficile identificare una infezione, e risulta ancora pi`u ostico il compito di dimostrare che essa sia effettivamente responsabile di una compromissione d’organo [27]. Alcuni studi hanno infatti stimato che fino al 40% dei pazienti ammessi in una unit`a di terapia intensiva con la diagnosi di sepsi in realt`a non abbia un’infezione sottostante, e quindi sia affetto da una semplice disfunzione tissutale sistemica, ma non da una vera e propria sepsi [33].

In altri termini, la Task Force del 2016 avrebbe convogliato tutti i propri sfor- zi nel cercare di offrire un modello efficace di valutazione del danno d’organo, tralasciando e dimenticando per`o in misura eccessiva la seconda, importante componente della sepsi, ovvero l’infezione. La mancanza di indicazioni chia- re e precise inerenti il sospetto e l’identificazione delle possibili sorgenti di infezione potrebbe portare a errori diagnostici e, di conseguenza, terapeutici, per nulla indifferenti e di non trascurabile importanza.

Per quanto la sepsi rappresenti una condizione critica e tempo- dipendente, occorre valutare attentamente il rapporto fra i benefici derivanti da un tempe- stivo trattamento dei pazienti infetti che potrebbero andare incontro ad un’e- voluzione clinica non particolarmente felice, ed i costi connessi all’adozione di una terapia aggressiva nei confronti di soggetti che in realt`a non sono infet- ti. Considerato, ad esempio, il possibile aumento delle antibiotico- resistenze secondario ad un uso estensivo ed esagerato di molecole ad ampio spettro anche qualora non indispensabile n´e necessario, un’eccessiva semplificazione del percorso diagnostico della sepsi potrebbe rivelarsi controproducente. In quest’ottica, un simile approccio potrebbe addirittura, paradossalmente, fini- re per ridurre ulteriormente la disponibilit`a delle armi a nostra disposizione, utili a combattere le infezioni pi`u aggressive.

Gli autori suggeriscono che, di fronte ad un paziente con sospetta infezio- ne, sia giustificato assumersi il rischio di somministrare immediatamente una terapia antibiotica empirica ad ampio spettro solo in presenza di shock; in caso le condizioni generali del soggetto fossero meno critiche, sarebbe invece preferibile aspettare a classificarlo come “settico”, anche in presenza di una positivit`a al SOFA score, per prendersi il tempo necessario ad approfondire le indagini diagnostiche e comprendere se egli `e realmente portatore di un’in- fezione oppure no, evitando cos`ı di somministrare una terapia antibiotica inutile.

Altre obiezioni mosse dai membri della Societ`a americana di malattie infetti- ve riguardano pi`u specificatamente aspetti peculiari delle linee guida e alcuni dettagli del trattamento della sepsi non strettamente inerenti lo studio og- getto di questa tesi, e quindi trascurabili ai fini della presente introduzione [27].

Le criticit`a emerse grazie a questi due lavori, unite al costante incremen- to delle prove a sostegno della scarsa affidabilit`a del quick SOFA ai fini del processo di definizione diagnostica e stratificazione prognostica dei pazienti settici e/o infetti ricoverati al di fuori della terapia intensiva, hanno senza dubbio contribuito a delineare un quadro di incertezza e profondo disorien- tamento nel periodo successivo alla stesura della Sepsis- 3.

In quest’ottica risulta facile ed immediato comprendere come la letteratura risulti piuttosto carente di linee guida precise ed istruzioni universalmente valide circa il corretto inquadramento del paziente con sospetta infezione complicata da una compromissione d’organo.

In Italia, la mancanza di una chiara esplicitazione dell’approccio pi`u oppor- tuno da adottare di fronte ad un caso di sospetta sepsi si `e tradotta nell’a- dozione, da parte delle singole regioni, di protocolli personalizzati e ritagliati sulla base delle esperienze locali pregresse. In Toscana, `e cos`ı stato messo a punto il cosiddetto “percorso sepsi” [5].

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