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Analogie funzionali tra Cristina e Berardo

III. PIETRO SPINA IN VINO E PANE

III.5) Analogie funzionali tra Cristina e Berardo

Se si pensa al fatto che sarà Cristina a compiere il sacrificio finale125, chiara

ripetizione (secondo modalità allegorica) del sacrificio di Berardo, da questa analogia strutturale emerge il parallelismo tra le due coppie Pietro-Cristina e Sconosciuto-Berardo. Questo parallelismo da un lato aumenta di valore il personaggio di Cristina, dall'altro costituisce un nuovo argomento a favore di quell'identificazione tra Berardo e lo Sconosciuto da noi sostenuta in virtù della concezione siloniana dell'amicizia, laddove si consideri che, in Vino e pane, l'identificazione è palesata dalle già citate parole di Pietro nel suo diario. Però in questo parallelismo c'è una differenza lampante e significativa: il sacrificio di Berardo spinge i fontamaresi all'azione anti-governativa, quello di Cristina porta al vuoto più profondo di cui un romanzo sia capace: il bianco pagina della sua stessa fine.

Se è vero che proprio Pietro, attraverso “il suo esempio e le sue parole, provocherà in lei quel gesto di dedizione all'uomo”126, è anche vero che il sacrificio di Cristina è

anticipato da un episodio della sua infanzia neonatale raccontato dal padre don Pasquale Colamartini: un lupo era entrato nell'ovile in cui stava la piccola, tranquillamente seduta nella culla, che «aveva visto il lupo senza spaventarsi, scambiandolo probabilmente per un cane cattivo, che mangiava le pecore.» L'espediente tipico della tragedia di anticipare il corso degli avvenimenti in maniera allusiva, che si rifà a una concezione ciclica del tempo e

125 Questo è il finale del romanzo: Pietro, informato di essere stato scoperto, è costretto a scappare sulla montagna; Cristina, venuta a conoscenza del fatto, dopo aver ricevuto i suoi Dialoghi, decide di andare sulle sue tracce per portargli viveri e degl'indumenti pesanti, ma sopraggiunge la notte e un branco di lupi si avvicina, richiamati dall'«invito al banchetto comune». (Vino e pane, RS I, p.514)

all'idea di un destino ineluttabile, già incontrato per quanto riguarda la vicenda di Berardo, viene qui riusato con più aderenza al modello127. Al di là del problema se il sacrificio di

Cristina sia da vedere in un'ottica catartica o meno, la cosa certa è che questo non genera nessun'azione conseguente nello sviluppo narrativo: si pone come epilogo di tutta la vicenda lasciando il paradosso come unica risposta – proprio quel paradosso alla base della tragedia greca. Ma a stemperare quest'effetto narrativo di anticipazione interviene una ben calibrata e spiazzante ironia, tipicamente siloniana, sia in apertura del racconto dell'aneddoto del lupo:

«A me perfino i lupi mi rifiutano» disse Cristina in tono scherzoso. «Lupi veri o metaforici?» disse don Paolo.128

sia in chiusura:

«Forse» disse don Paolo «il lupo capì che era ancora piccola e pensò di tornare quando fosse più grande.»

«Se aspetta ancora un po', non mi acchiapperà più» disse Cristina ridendo. «Le finestre dei conventi hanno solide inferriate.»129

Ciò che conta, in ogni caso, è che vale lo stesso discorso che abbiamo fatto per Berardo, anche se in modo meno esplicito: la responsabilità di Pietro nella sorte di Cristina è limitata, dal momento che la sue parole irrigano un campo già seminato e di per sé fertile (l'animo della ragazza), in virtù di quella sua più volte citata «disponibilità al sacrificio»130.

Del resto, a conclusione di una bella serata in cui i cafoni si sono riuniti nella locanda di Matalena per festeggiare la prima neve e don Paolo ha letto loro alcune storie di martiri, quando oramai «il caldo del camino conciliava il sonno» (un'ora classicamente propizia alle rivelazioni), è la stessa Cristina a dire:

«In ogni tempo e in qualunque società l'atto supremo dell'anima è di darsi, di perdersi per trovarsi. Si ha solo quello che si dona.»131

127 Si vedano anche le parole della fattucchiera Cassarola (una versione paesana della più famosa Cassandra): « “Per te vedo qualcosa in più” essa disse a don Paolo. [..] “Sopra la montagna ci sta una bianca agnella e un lupo nero la guarda.”» (RS I, p.421)

128 RS I, p.317 129 RS I, p.318 130 RS I, pp.304, 499 131 RS I, p.499

esprimendo in questo modo a priori il senso paradossale del suo sacrificio, ovverosia il donare la sua vita sarà il suo modo di 'avere' una vita significativa, cioè dotata di senso. Coerentemente la totale assenza di connotazioni psicologiche nella scena finale, in cui la ragazza decide improvvisamente di seguire il fuggiasco per aiutarlo, è significativa proprio in questo senso, dal momento che esprime l'assoluta naturalezza di questa scelta di Cristina che non ha bisogno di pensare per agire, perché, come dice Silone in Uscita di sicurezza, «l'amore per gli oppressi nasce come un corollario» da quella «certezza» della «comunicatività delle anime» e della «fraternità degli uomini»132: un'anima come quella

non poteva comportarsi diversamente.

Se il destino della ragazza è diverso da quello del protagonista, tuttavia identico è il percorso di conoscenza, tant'è che proprio nel contatto con Cristina Pietro scopre, ma sarebbe forse meglio dire, chiarisce a se stesso il senso della sua esistenza:

“Il nostro amore, la nostra disposizione al sacrificio e all’abnegazione di noi stessi fruttificano solo se portati nei rapporti con i nostri simili. La moralità non può vivere e fiorire che nella vita pratica. Noi siamo responsabili anche per gli altri. [..]

“Il male da combattere non è quella triste astrazione che si chiama il Diavolo; il male è tutto ciò che impedisce a milioni di uomini di umanizzarsi. Anche noi ne siamo responsabili…

“Non credo che ci sia, oggi, un’altra maniera di salvarsi l’anima. Si salva l’uomo che supera il proprio egoismo d’individuo, di famiglia, di casta, e che libera la propria anima dall’idea di rassegnazione alla malvagità esistente. [..]

“Cara Cristina, non bisogna essere ossessionati dall’idea di sicurezza, neppure dalla sicurezza delle proprie virtù. Vita spirituale e vita sicura, non stanno assieme. Per salvarsi bisogna rischiare.”133

È evidente la vicinanza con quel Berardo «nato per gli amici»134 e l'approfondimento

della problematica 'berardesca' di essere «il primo cafone che non muore per sé, ma per gli altri»135, in cui l'alternativa umana era proposta in termini ingenui, mentre ora si chiarisce

sia narrativamente, nel conflitto istituzionale che coinvolge Cristina, in dubbio se lasciare la famiglia per il convento, sia concettualmente, nella scoperta di Pietro che «Per salvarsi

132 Uscita di sicurezza, RS II, p.893 133 RS I, p.499

134 Fontamara, RS I, p.190 135 RS I, p.187

bisogna rischiare», cui farà eco don Benedetto in quel suo «Non c'è altra salvezza che andare allo sbaraglio»136, e di cui la frase di Cristina costituirà una limpida variante

femminile: «Si dà solo quel che si dona»137.

136 Vino e pane, RS I, p.464 137 RS I, p.499