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La «comunicatività» tra lo Sconosciuto e Berardo

II. LO SCONOSCIUTO

II.4) La «comunicatività» tra lo Sconosciuto e Berardo

L'incontro tra questi due personaggi è decisivo, ma non è del tutto vero che “in

Fontamara la figura che tormenta l'esistenza di Berardo Viola, che lo rende irrequieto, fino

a convincerlo della necessità politica del martirio, è quella dello Sconosciuto”69, perché

l'esistenza di Berardo era sempre stata tormentata e irrequieta. Né sappiamo se in effetti sia lo Sconosciuto “che carica di responsabilità politica quella refrattaria pasta d'uomo di Berardo” (ibid.), frase che oltretutto ci sembra in contraddizione con l'analisi del personaggio fatta dallo stesso Atzeni70, in cui viene messa in luce una certa componente

marxiana precedente all'incontro, seppur “rozza e primitiva”, ma comunque indicante “i primi segnali di una coscienza di classe”71; mentre è sicuramente vero che l'incontro con lo

Sconosciuto rende Berardo “indocile al giogo della rassegnazione civile” e “esemplare vittima di ideali rivoluzionari”, sempre tenendo ben chiaro, però, che la responsabilità dello Sconosciuto, stando al testo, non è piena, bensì si arresta laddove si consideri la predisposizione o, potremmo dire, predestinazione di Berardo ad essere un “diverso”72.

Alla luce sia degli elementi testuali, sia del parallelismo con la figura di don Orione, risulta fondamentale il fatto che le parole dello Sconosciuto attecchiscano su un terreno già fertile, su un animo già in qualche modo predisposto a quelle verità, un animo di per sé sensibile all'ingiustizia, come quello di Berardo che, grazie a quest'incontro, sveglia la sua «intelligenza»73, riscoprendo un se stesso dimenticato, e si riconosce nello Sconosciuto, si 69 F. ATZENI, Ignazio Silone. Vocazione educativa e messaggio politico e sociale, Poggiponsi : Lalli

Editore, 1991 p.144

70 F. ATZENI, Op. cit., pp.78 e sgg. 71 F. ATZENI, Op. cit., p.81

72 “Era un 'diverso' nel senso positivo e più nobile del termine” (F. ATZENI, Op. cit., p.79)

73 Berardo aveva rinunciato alla battaglia per i diritti proprio come Nunzio di Vino e pane, un atteggiamento che Pietro Spina stigmatizza così: «Ah, com’è miserabile un’intelligenza che non serve che a fabbricare

scopre della sua stessa «razza»74.

Berardo, infatti, è sempre stato il membro più attivo della comunità di Fontamara contro i soprusi di cui erano da sempre vittime i «cafoni» ed è diventato il punto di riferimento per i contadini, tant'è che quando decide di 'mettere la testa a posto' per procurarsi un minimo di dote per sposare Elvira, il suo rifiuto di partecipare a un movimento ne causa il fallimento a priori:

«Sentite» egli disse spiegandosi ancora meglio con un tono di voce da non lasciare dubbi. «Io non ho nessuna voglia di andare in galera per la vostra acqua e per la vostra terra. Io devo occuparmi dei fatti miei.»[..]

Cosa sarebbe successo? Per i giovanotti di Fontamara, Berardo era un dio. Sotto la guida di Berardo, essi sarebbero corsi a farsi ammazzare. Senza di lui, era facile prevedere che neanche gli altri avrebbero osato di tentare qualche cosa. 75

E poi, quando decide di partire per Roma in cerca di lavoro, Scarpone lo prega addirittura «con le lacrime agli occhi»:

«Oggi verranno i carabinieri a Fontamara, per Teofilo» disse ancora Scarpone. «Berardo, non partire, non lasciarci soli, partirai domani».

Ma noi partimmo.76

Berardo è insomma un personaggio già di per sé predisposto a recepire il messaggio dello Sconosciuto ed è per questo motivo che l'amicizia che nasce tra i due ha un effetto così dirompente. Per Berardo, infatti, l'amicizia non ha un valore di superficie: come dice sua madre, la vecchia Maria Rosa, egli «era nato per gli amici»77. L'amicizia nel senso

siloniano è condivisione di un'idea di umanità, condivisione di valori profondi, è appartenenza a uno stesso modo di sentire i rapporti tra gli uomini e proprio questo tipo di amicizia è quello che Berardo sente nei confronti dello Sconosciuto, se dopo l'incontro con lui arriverà a dire che la sua vita «forse soltanto adesso comincerà ad avere un senso»78.

Tra i due si instaura quel rapporto che Silone definisce, in Uscita di sicurezza, come

alibi per far tacere la coscienza.» (Vino e Pane, RS I, p.240-1) 74 Vino e Pane, RS I, p.240

75 RS I, p.157 76 RS I, p.161 77 RS I, p.190 78 RS I, p.181

«comunicatività delle anime», cioè un rapporto pieno di condivisione al di là dei sotterfugi e delle falsità consueti nei rapporti sociali. Questa convinzione di una possibilità comunicativa vera tra gli individui è così forte in Silone che si eleva a principio etico:

La possibilità della comunicatività delle anime non è una prova irrefutabile della fraternità degli uomini? Questa certezza contiene anche una regola di vita. L’amore per gli oppressi nasce da ciò come un corollario che nessuna delusione storica può mettere in dubbio non essendo amore d’interesse.79

Il rapporto tra Berardo e lo Sconosciuto è di questo tipo ed è un'esperienza così importante che permette al fontamarese di riconnettersi al suo destino, tant'è che trovando quest'amicizia Berardo trova se stesso:

«Fin da ragazzo mi era stato predetto che sarei morto in carcere.» Questa persuasione gli diede una grande pace.80

E ancora:

«E Berardo si è salvato?» mormorò una donna.

«Forse» rispose la vecchia Maria Rosa. «Nessuno può sapere.» «Strana salvezza morire in carcere» disse l’altra sottovoce. [..]

«Nessuno può sapere» continuò la madre con voce di collera. «Forse la salvezza di Berardo è stata di essere restituito al suo destino. La salvezza dei Viola non è mai stata della stessa specie degli altri cristiani. I Viola non muoiono come gli altri. Essi non muoiono di tosse o di febbre, col vaso pieno di piscio sotto il letto. Essi non sanno stare a letto. I vostri vecchi non vi hanno mai raccontato come morì suo nonno? E del padre nessuno ha mai saputo come sia morto.»81

In queste parole la salvezza di Berardo si configura esattamente come fedeltà a se stessi e al proprio «destino», un destino tragico simile a quello del nonno, «il famoso brigante Viola, l’ultimo brigante delle nostre parti giustiziato dai Piemontesi»82 e grazie a

questa paradossale tragica salvezza i fontamaresi sono spinti all'azione e fondano quel «foglio» dal significativo titolo «Che fare?»83. Così, in questo «foglio», Berardo in qualche

modo continua a vivere perché c'è scritto sopra il suo nome e proprio il fatto che ci sia

79 Uscita di sicurezza, RS II, p.893 80 RS I, p.187

81 RS I, p.190-1 82 RS I, p.71

83 Evidente il richiamo al Che fare? di Lenin (titolo a sua volta ripreso dal romanzo di Nikolaj Gavrilovič Černyševskij), testo politico in cui si affrontano i problemi dell'organizzazione di un partito rivoluzionario, pubblicato a Stoccarda nel 1902.

scritto quel nome viene usato come motivazione dal narratore per il suo impegno nella distribuzione del giornalino:

«C’è il nome di Berardo» io mi scusai. «Non per altro.» [..]

«Hai ragione» io ripetei. «Non è il nostro mestiere. Ma c’è il nome di Berardo. Solo per questo.»84