L O SVILUPPO DELL ’ ORDINAMENTO SOCIALE CAPITALISTA
16. Anarchia della produzione, concorrenza, crisi
La miseria della classe operaia aumenta sempre più con lo svilupparsi della tecnica, la quale, invece di essere utile a tutta la società, sotto il capitalismo è apportatrice di maggiore guadagno ai capitalisti e di disoccupazione e rovina a molti operai. Ma questa miseria aumenta anche per altre ragioni.
Noi abbiamo visto sopra che la società capitalistica è assai male costruita. Vi domina la proprietà privata, senza alcun piano generale.
Ogni intraprenditore conduce la sua azienda indipendentemente dall’altro. Egli lotta contro gli altri, sta in rapporto di “concorrenza” con essi.
Ora si presenta il quesito se questa lotta vada o no attenuandosi. Il numero dei capitalisti diventa infatti sempre più piccolo; i grandi capitalisti divorano i piccoli; prima, quando lottavano tra loro decine di migliaia di capitalisti, la concorrenza era accanita, quindi ora che non vi sono più tanti concorrenti la lotta dovrebbe essere meno aspra. Ma la realtà è diversa, anzi contraria. Il numero dei concorrenti è infatti minore, ma ognuno di essi è diventato molto più grande e più forte di quanto fossero i suoi concorrenti di un tempo. E la loro lotta è diventata non minore ma maggiore, non più umana ma più aspra. Se nel mondo vi fossero soltanto due Stati lotterebbero l’uno contro l’altro. In ultima
analisi siamo infatti arrivati a questo punto. La lotta fra i grandi gruppi capitalistici si manifesta nell’antagonismo fra i vari gruppi di Stati capitalistici, antagonismo che conduce dalla guerra commerciale alla guerra armata. La concorrenza diminuisce quindi con lo svilupparsi del capitalismo soltanto se si considera il numero dei concorrenti, ma si accentua avuto riguardo al suo accanimento e alle sue disastrose conseguenze . 5
Bisogna in ultimo rilevare ancora un fenomeno: le cosiddette crisi. Che cosa sono le crisi? Ecco come va la cosa. Un bel giorno risulta che alcune merci sono state prodotte in quantità troppo grandi. I prezzi diminuiscono, e tuttavia le merci non possono trovare compratori. Tutti i magazzini sono ricolmi. Molti operai sono ridotti in misere condizioni e non possono più comperare nemmeno quel poco che essi acquistavano in altri tempi. Allora comincia la miseria. Cominciano in un ramo d’industria i fallimenti; prima delle piccole e medie aziende, poi di quelle grandi. Ma una industria è dipendente dall’altra per l’acquisto delle merci: per esempio le sartorie comprano le stoffe dalle fabbriche di tessuti; queste comprano la lana da altri produttori e così via. Se le sartorie fanno fallimento, le fabbriche di tessuti non troveranno compratori per i loro prodotti ed andranno in rovina, e lo stesso avverrà per i produttori di lana. Dappertutto si chiudono le fabbriche e le officine, la disoccupazione aumenta all’estremo, le condizioni degli operai peggiorano. E con tutto ciò vi è abbondanza di merci; tutti i magazzini sono ricolmi. Questo fenomeno si verificò ripetutamente prima della guerra: l’industria fiorisce, gli affari degli industriali vanno benissimo, tutto ad un tratto fallimenti, disoccupazione, miseria; poi l’industria si riprende di nuovo e rifiorisce, per andare incontro ad una nuova crisi, e così di seguito.
Come si spiega questo paradossale fenomeno per cui gli uomini diventano mendicanti in mezzo all’abbondanza ed alle ricchezze?
La risposta a questa domanda non è tanto facile. Noi abbiamo visto già più sopra che nella società capitalista regna il caos, l’anarchia della produzione. Ogni imprenditore produce merci indipendentemente dagli altri, a proprio rischio e sotto la propria responsabilità. Con questo
Tratteremo più diffusamente questo argomento nel capitolo sulla guerra
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imperialista.
sistema di produzione si arriva al punto che la produzione esorbita la richiesta. Quando si producevano beni e non merci, cioè quando la produzione non era destinata per il mercato, la sovrapproduzione non poteva riuscire pericolosa. Nella produzione delle merci invece le cose sono diverse. Ogni industriale deve vendere le merci già prodotte, prima di poter acquistare altre merci per l’ulteriore produzione. Ma quando la macchina si arresta in un punto, la stasi si ripercuote subito su un’altra industria, e cos’ via: scoppia una crisi generale.
Le conseguenze di queste crisi sono disastrose. Grandi quantità di merci vanno perdute. I residui della piccola industria vengono spazzati via. Anche grandi aziende non possono mantenersi in piedi e fanno fallimento.
Alcune fabbriche cessano la produzione completamente, altre riducono la produzione e gli orari, altre sospendono temporaneamente i lavori. Il numero dei disoccupati aumenta di giorno in giorno. La riserva industriale s’accresce. E nello stesso tempo aumenta la miseria e l’oppressione della classe operaia. Durante le crisi peggiorano ancora di più le già cattive condizioni della classe operaia.
Qui vogliamo citare alcuni dati sulla crisi che nel 1907-1910 si verificò in tutta Europa ed America, cioè in tutto il mondo capitalistico. Negli Stati Uniti il numero dei disoccupati fra gli operai organizzati crebbe nella seguente misura: nel giugno 1907 l’8,1 per cento; nell’ottobre il 18,5 per cento; nel novembre il 22 per cento; nel dicembre il 32,7 per cento (nell’industria edile il 42 per cento, nell’industria dell’abbigliamento il 43,6 per cento, nell’industria del tabacco il 55 per cento); s’intende che la disoccupazione generale, compresi i non organizzati, era molto maggiore.
In Inghilterra i disoccupati raggiunsero nell’estate 1907 il 3,4 per cento;
nel novembre il 5 per cento; nel dicembre il 6,1 per cento; nel luglio 1908 l’8,2 per cento; in Germania la percentuale dei disoccupati nel gennaio 1908 era raddoppiata in confronto agli anni precedenti. Lo stesso fenomeno si poteva osservare anche negli altri paesi.
Per quanto riguarda la diminuzione della produzione, vogliamo soltanto accennare che la produzione della ghisa discese da 26 milioni di tonnellate nel 1907 a 16 milioni nel 1908.
Durante le crisi diminuiscono i prezzi delle merci. Per non perdere il loro profitto i signori capitalisti sono anche pronti a rovinare la
produzione. In America per esempio essi lasciarono spegnere gli alti forni.
I proprietari delle grandi piantagioni di caffè del Brasile fecero gettare in mare i sacchi di caffè per mantenere alti i prezzi. Attualmente tutto il mondo soffre della mancanza di prodotti in seguito alla guerra capitalistica. La fame e la carestia sono il frutto del capitalismo che provocò questa guerra distruttrice. Nei tempi di pace il capitalismo affogava nell’abbondanza di prodotti, che non andavano però a beneficio degli operai, i quali non potevano acquistarli per mancanza di denaro. Di questa abbondanza l’operaio sentì una sola conseguenza: la disoccupazione con tutte le sue miserie.