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Lo sfacelo della II. Internazionale e le sue cause

Nel documento Impaginato e pubblicato da M 48 (pagine 119-122)

L A SECONDA E LA TERZA INTERNAZIONALE

36. Lo sfacelo della II. Internazionale e le sue cause

Allorché nell’Agosto del 1914 cominciò la guerra mondiale, i partiti socialdemocratici di tutti i paesi si misero a fianco dei loro governi, rendendosi in questo modo correi della immane carneficina. Soltanto il proletariato russo e serbo e più tardi quello italiano dichiararono la guerra alla guerra dei loro governi. I deputati social-democratici della Francia e della Germania nello stesso giorno votarono i crediti di guerra dei loro governi. Invece di insorgere insieme contro la borghesia criminale, i partiti socialisti si dispersero, ciascuno sotto la bandiera del proprio governo borghese. La guerra imperialista ebbe il diretto appoggio dei partiti socialisti, i cui dirigenti rinnegarono e tradirono il socialismo.

La II Internazionale ebbe così una fine ingloriosa.

È abbastanza curioso che la stampa dei partiti socialisti ed i loro dirigenti ancora poco prima del loro tradimento abbiano condannato la guerra. G. Hervé, il traditore del socialismo francese, scriveva nel suo giornale “La guerra sociale” (allo scoppio della guerra egli ne cambiò il titolo in “La Vittoria”): «Battersi per salvare il prestigio dello zar… Quale gioia morire per una causa così nobile!». Il Partito socialista francese tre giorni prima dell’inizio della guerra pubblicò un manifesto contro la guerra ed i sindacalisti francesi dissero agli operai nel loro giornale:

«Operai, se non siete dei vigliacchi… protestate!» La socialdemocrazia tedesca convocò numerosi comizi di protesta. Presso tutti era ancora fresca la decisione del Congresso internazionale di Basilea. In quella decisione si diceva che in caso di guerra si dovessero impiegare tutti i mezzi per «far insorgere il popolo ed accelerare la disfatta del capitalismo». Ma già il giorno appresso gli stessi partiti e gli stessi dirigenti scrivevano sulla necessità di “difendere la patria” (vale a dire lo Stato-brigante della propria borghesia) e la “Arbeiter Zeitung” di Vienna affermava che bisognava difendere la “umanità tedesca” (!!).

Per comprendere lo sfacelo e la ingloriosa morte della II Internazionale, dobbiamo renderci conto delle condizioni, nelle quali si sviluppò il movimento operaio prima della guerra. Fino a quel momento il capitalismo dei paesi europei e degli Stati Uniti si sviluppò a spese delle colonie. E qui esso si manifestò nel suo aspetto più brutale ed inumano.

Con tutti i sistemi i mezzi dello sfruttamento, della rapina, dell’inganno, della violenza vennero spremuti dai popoli coloniali valori che procuravano ricchi profitti al capitale finanziario europeo ed americano.

Quanto più forte e più potente si sentiva un trust capitalistico-statale sul mercato mondiale, tanto maggiori erano i profitti che esso intascava mediante lo sfruttamento delle colonie. Questo soprapprofitto gli permetteva di concedere ai suoi schiavi salariati una mercede superiore alla normale. S’intende non a tutti, ma soltanto agli operai qualificati.

Questi strati della classe operaia vennero corrotti col denaro dal capitale.

Questi operai ragionavano così: “Se la nostra industria possiede mercati di vendita nelle colonie africane, questo è un vantaggio anche per noi.

L'industria si svilupperà, i guadagni dei padroni aumenteranno e così qualcosa ci sarà anche per noi”. In questo modo il capitale incatena i suoi schiavi salariati al proprio carro.

Questo fenomeno era già stato notato dai fondatori del comunismo scientifico. Così, per esempio, F. Engels scrisse in una lettera a Kautsky nel 1882:

«Mi chiedete cosa pensano i lavoratori inglesi della politica coloniale?

Beh, esattamente lo stesso che pensano della politica in generale: lo stesso che pensano i borghesi. Qui non c’è un partito dei lavoratori, ci sono solo conservatori e liberal-radicali, e i lavoratori partecipano assiduamente del monopolio inglese del mercato mondiale e del colonialismo.»

La peculiare cafonaggine, l’attaccamento degli operai alla loro borghesia, la meschinità nei suoi confronti, si è sviluppata su questo terreno. Lo stesso Engels scriveva nel 1889:

«La cosa più ripugnante qui è il “perbenismo” borghese che è cresciuto profondamente nella carne dei lavoratori. Socialmente, la divisione della società in innumerevoli gradazioni indiscutibilmente riconosciute, ognuna con il suo orgoglio, ma anche il suo innato rispetto per i suoi

‹migliori› e ‹superiori›, è così vecchia e radicata che i borghesi la trovano

ancora abbastanza facile da abboccare. Non sono affatto sicuro, per esempio, che John Burns non sia più tranquillamente orgoglioso della sua popolarità presso il cardinale Manning, il sindaco e i borghesi in generale, che di quella presso la sua stessa classe».

Le masse operaie non erano abituate – e non ne avevano neppure l’occasione – a condurre una lotta su scala internazionale. L'attività delle loro organizzazioni nella maggior parte dei casi era circoscritta al territorio dello Stato della propria borghesia. E questa “propria”

borghesia seppe guadagnare una parte della classe operaia, e specialmente gli operai qualificati, alla sua politica coloniale. Anche i dirigenti delle organizzazioni operaie, la burocrazia sindacale ed i rappresentanti parlamentari, che occupavano posticini più o meno comodi ed erano abituati ad un’attività “pacifica”, e “legale”, caddero nella pania tesa dalla borghesia. Il lato brutale del capitalismo, del resto, si manifestava spiccatamente nelle colonie. Nell’Europa e nell’America l’industria si sviluppava rapidamente, e la lotta della classe operaia assumeva forme più o meno pacifiche. Grandi rivoluzioni non si erano più verificate dopo il 1871, e per la maggior parte dei paesi dopo il 1848 (ad eccezione della Russia). Tutti si erano ormai familiarizzati col pensiero che il capitalismo si sarebbe anche nell’avvenire pacificamente evoluto, ed anche quando si parlava di future guerre, nessuno ci pensava seriamente. Una parte degli operai e fra essi anche i dirigenti, sempre più si abituarono all’idea, che anche la classe operaia fosse interessata alla politica coloniale e che essa dovesse perciò assecondare le iniziative e le azioni della propria borghesia tendenti a dare sviluppo e prosperità a

“questo interesse di tutta la nazione”. Per conseguenza anche le masse piccolo-borghesi cominciarono ad affluire nella socialdemocrazia.

Nessuna meraviglia, quindi, se nel momento decisivo l’attaccamento allo Stato imperialista ebbe il sopravvento sulla solidarietà internazionale della classe operaia.

La causa precipua dello sfacelo della II Internazionale era dunque dovuta al fatto che la politica coloniale e la posizione monopolistica dei maggiori trusts capitalistico-statali legavano gli operai e soprattutto le

“aristocrazie” della classe operaia allo Stato imperialista della borghesia.

Nella storia del movimento operaio troviamo anche altri casi in cui gli operai cooperarono con i loro sfruttatori. Per esempio ai tempi in cui

operaio e padrone sedevano ancora al medesimo tavolo. Allora l’operaio considerava la fabbrica del suo padrone quasi come la sua; il padrone non era il nemico per lui, ma il “fornitore di lavoro”. Soltanto col correre del tempo gli operai delle diverse fabbriche cominciarono ad unirsi contro tutti i padroni. Allorché i grandi paesi si trasformarono in “trusts capitalistico-statali” gli operai diedero prova dinanzi ad essi dello stesso attaccamento, che li aveva già legati ai singoli padroni.

È stata necessaria la guerra per insegnare alla classe operaia che non le conviene assecondare la politica del proprio Stato borghese, ma che è anzi suo dovere di abbattere in blocco questi Stati borghesi e di accingersi all’instaurazione della dittatura proletaria.

Nel documento Impaginato e pubblicato da M 48 (pagine 119-122)