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Il capitalismo di Stato e le classi

Nel documento Impaginato e pubblicato da M 48 (pagine 96-99)

C OME LO SVILUPPO DEL CAPITALISMO CONDUCA ALLA RIVOLUZIONE COMUNISTA

30. Il capitalismo di Stato e le classi

Il metodo di guerra imperialista non si distingue soltanto per le sue dimensioni e distruzioni, ma anche per il fatto che l’intera economia dei paesi belligeranti viene subordinata agli interessi di guerra. In altri tempi bastava avere del denaro per condurre una guerra. Ma la guerra mondiale è stata così enorme, e venne condotta da paesi così poco sviluppati, che il solo denaro non poteva bastare. Questa guerra esigeva che le fabbriche metallurgiche costruissero soltanto armi e munizioni, che tutti i prodotti, metalli, tessuti, pellami, servissero soltanto per i bisogni degli eserciti. È perciò naturale che potesse sperare nella vittoria finale quello dei trusts capitalistico-statali, presso il quale l’industria ed i mezzi di trasporto sarebbero stati meglio conformati alle esigenze della guerra. Come si poteva ottenere ciò? Soltanto mediante la centralizzazione dell’intera produzione. La produzione doveva svolgersi senza ostacoli, essere ben organizzata, e direttamente sottoposta al Comando supremo.

Per raggiungere questo fine la borghesia ebbe un mezzo molto semplice: mettere la produzione privata ed i singoli sindacati e trusts privati a disposizione dello Stato brigantesco borghese.

Ciò avvenne infatti durante la guerra. L'industria venne “mobilitata” e

“militarizzata”, vale a dire messa a disposizione dello Stato e delle autorità militari. Come, potrebbe obbiettare qualcuno, la borghesia non perde in tal caso i suoi profitti? Non è ciò forse una nazionalizzazione dei mezzi di produzione? Se tutta la produzione viene messa nelle mani dello Stato, che cosa ci guadagna la borghesia? Ma la borghesia accettò volentieri le nuove condizioni; e non c’è punto da meravigliarsene, poiché i sindacati privati consegnarono tutto ciò, non già allo Stato operaio, ma al proprio Stato imperialista. Che cosa poteva trattenere la borghesia da questo passo? Essa non fece altro che passare le sue ricchezze da una delle sue tasche in un’altra, senza che perciò ilo contenuto diminuisse.

Bisogna sempre tener presente il carattere classista dello Stato. Lo Stato non è una “terza potenza” che stia al di fuori, al di sopra delle classi, ma una organizzazione classista per eccellenza. Sotto la dittatura della classe operaia esso è una organizzazione degli operai, sotto il

dominio della borghesia è una organizzazione di imprenditori, come un trust o un sindacato.

Per questa ragione la borghesia non perdette nulla quando essa affidò la gestione dei sindacati privati al proprio Stato (non a quello proletario, ma a quello capitalistico). Poco importava all’industriale di ritirare i suoi profitti dalla cassa del sindacato o da quella dello Stato. La borghesia anzi ci guadagnò. Ci guadagnò per il semplice motivo che con una simile centralizzazione la macchina di guerra funzionava meglio e rendeva più probabile la vittoria.

Non c’è quindi da stupirsi se durante la guerra si sviluppò, in luogo dei sindacati privati, il capitalismo di Stato. La Germania, per esempio, non avrebbe potuto conseguire tante vittorie e resistere per così lungo tempo alla pressione di forze preponderanti, se la sua borghesia non avesse saputo organizzare il capitalismo di Stato in un modo così geniale.

Il passaggio al capitalismo di Stato si verificò sotto varie forme ed in vari modi. Le forme più frequenti furono i monopoli di Stato nel dominio della produzione e del commercio, vale a dire che la produzione ed il commercio nella sua totalità passò nelle mani dello Stato. Talvolta questo passaggio non avvenne di colpo, ma gradatamente, in quanto lo Stato acquistò soltanto una parte delle azioni di un sindacato o trust.

Una impresa di questo genere era per metà statale e per metà privata, e lo Stato borghese attuava in essa la sua politica. Alle imprese che rimasero di proprietà privata lo Stato imponeva ordinamenti coercitivi, obbligando, per esempio, date imprese ad approvvigionarsi presso dati fornitori, e questi a vendere soltanto determinati quantitativi ed a determinati prezzi; lo Stato prescriveva determinati metodi di lavoro, dati materiali, e razionava tutti i prodotti più importanti. Così si sviluppò, in luogo del capitalismo privato, quello statale.

Sotto il dominio del capitalismo di Stato le organizzazioni indipendenti della borghesia vengono sostituite dalla sua organizzazione unitaria, lo Stato. Prima della guerra esistevano negli Stati capitalistici le organizzazioni statali borghesi ed indipendentemente da esse si organizzavano i sindacati, i trusts, le associazioni di imprenditori e di latifondisti, i partiti politici borghesi, le organizzazioni di giornalisti, di scienziati, di artisti, società religiose, organizzazioni giovanili borghesi, uffici di detectives privati, ecc. Nel capitalismo di Stato tutte queste

organizzazioni indipendenti si fondono con lo Stato borghese, diventano le sue succursali, seguono i suoi piani, si subordinano al suo “comando supremo”. Nelle fabbriche e nelle miniere si eseguiscono gli ordini dello stato maggiore; i giornali pubblicano ciò che vuole lo stato maggiore;

nelle chiese si predica ciò che ritiene utile lo stato maggiore; si disegna, si verseggia, si canta ciò che prescrive lo stato maggiore; si inventano cannoni, proiettili, gas che fanno bisogno allo stato maggiore. In questo modo tutta la vita viene militarizzata per assicurare alla borghesia il profitto del suo sanguinoso mercato.

Il capitalismo di Stato significa un formidabile rafforzamento della grande borghesia. Analogamente alla dittatura proletaria, che è tanto più forte quanto più intima è la collaborazione fra il potere dei Soviet, i sindacati, il partito comunista, ecc., anche la dittatura borghese è tanto più potente quanto più strettamente sono collegate tutte le organizzazioni borghesi. Il capitalismo di Stato, centralizzando le organizzazioni borghesi e trasformandole in elementi di un unico organismo integrale, conferisce al capitale una enorme potenza. Proprio qui la dittatura della borghesia raggiunge il suo apice.

Il capitalismo di Stato nacque durante la guerra in tutti i grandi paesi capitalistici. Anche nella Russia zarista esso stava sviluppandosi (Comitati per l’industria di guerra, monopoli, ecc.) Più tardi però la borghesia, intimorita dalla rivoluzione, cominciò a temere che col potere statale anche la produzione potesse passare nelle mani del proletariato. Dopo la rivoluzione di febbraio essa impedì perciò l’organizzazione della produzione.

Noi vediamo che il capitalismo di Stato, anziché eliminare lo sfruttamento, rafforza enormemente il potere della borghesia. Ciò non ostante gli Scheidemann in Germania ed i socialpatrioti degli altri paesi chiamarono questi lavori forzati socialismo. Una volta che tutti i mezzi di produzione si troveranno in possesso dello Stato il socialismo sarà realizzato, dicevano, non comprendendo di avere a che fare non con lo Stato proletario, ma con un’organizzazione, nella quale l’intero apparato statale si trova nelle mani dei nemici ed assassini del proletariato.

Il capitalismo di Stato, che unendo ed organizzando la borghesia ne aumenta il potere, indebolisce per conseguenza la forza della classe operaia. Gli operai sotto il capitalismo di Stato divennero gli schiavi bianchi dello Stato oppressore. Essi vennero privati del diritto di

sciopero, mobilitati e militarizzati; chi si dichiarò contrario alla guerra venne subito condannato per alto tradimento; in molti paesi gli operai perdettero il diritto di libertà di scelta del lavoro e del luogo del lavoro. Il

“libero” operaio salariato divenne proprietà dello Stato, fu costretto a farsi uccidere sui campi di battaglia, non per la propria causa, ma per quella dei suoi nemici, o ad esaurirsi sul lavoro, ma non per il proprio interesse bensì per quello dei suoi sfruttatori.

Nel documento Impaginato e pubblicato da M 48 (pagine 96-99)