• Non ci sono risultati.

Il primo notevole risultato del nuovo approccio è quindi quello di spostare l’attenzione dallo stato, tradizionale oggetto della filosofia e della teoria politica, al potere. È merito della scienza politica americana, soprattutto, di aver realizzato tale spostamento dello sguardo scientifico, che permette di coglie-re l’ampiezza di un fenomeno che non è limitabile al solo pia-no delle istituzioni statuali. Bobbio naturalmente pia-non dimen-tica di sottolineare come la scienza polidimen-tica abbia avuto i suoi natali proprio in Italia grazie all’opera fondamentale di Gae-tano Mosca, che nel 1896 aveva pubblicato i suoi Elementi di scienza politica e al cui pensiero fra l’altro egli dedica diversi saggi 61; ma non è a questi che fa riferimento nel presentare il suo tema nel corso delle lezioni. Nemmeno egli si rifà ai recen-ti lavori europei sul potere, lontani nel metodo e nello srecen-tile da quelli ai quali ha deciso di attenersi. Si pensi ai due testi di cui Bobbio fa menzione: quelli di Bertrand de Jouvenel e di Gu-gliemo Ferrero (testi divenuti rapidamente quasi dei ‘classici’).

Il primo è «un libro di guerra», come dice da subito il suo auto-re; un libro animato da un «principio di collera» e costruito sul-la delusione estrema davanti al fatto che «il Potere aveva assun-to un volassun-to terribile e riusciva a fare il male con tutte le forze che gli erano state conferite dal bene» 62. Il secondo,

analoga-60 Ivi, rispettivamente p. 436 e p. 1000.

61 Si vedano i contributi raccolti in BOBBIO, Saggi sulla scienza politica in Italia, cit. In uno scritto panoramico sulla storia della scienza politica, Bob-bio scrive che «prima della pubblicazione dell’opera di Mosca, la scienza po-litica non aveva avuto in Italia (e forse neppure in Europa) né un nome ben definito, né uno statuto riconosciuto, né un contenuto dai contorni precisi»

(La scienza politica in Italia: da Mosca a Sartori, in «Mondoperaio»1985, nn.

4-5, p. 90).

62 B. DE JOUVENEL, Du pouvoir (1945), Hachette, Paris 1972; tr. it. Del pote-re. Storia naturale della sua crescita, SugarCo, Milano 1991, p. 7.

Norberto Bobbio e la scienza del potere XXXI mente, è tutto concentrato nella denuncia, attraverso la

rico-struzione storica e concettuale, del Potere come «manifestazio-ne suprema della paura che l’uomo fa a se stesso, malgrado gli sforzi per liberarsene» 63. Tali sentimenti appaiono estranei al Bobbio di queste lezioni, fortemente intenzionato ad attenersi ad un’analisi non pregiudiziale, che abbia come obiettivo la de-scrizione del potere come fenomeno sociale.

L’approccio di Bobbio al tema della ricerca è, si potrebbe di-re, piuttosto classico, basato cioè sulle categorie tipiche della ri-flessione politica e giuridica moderna, calate nel contesto della scienza politica del tempo. Sarebbe sbagliato, pertanto, leggere queste pagine muovendo dalle suggestioni che sul tema del po-tere sono state fornite da una letteratura successiva, come ad esempio quelle riconducibili da un lato a Michel Foucault, e dall’altro lato alla Begriffsgeschichte.

È dunque sul piano della scienza politica che Bobbio appor-ta il suo contributo originale per la comprensione della natura del potere: rifacendosi alla distinzione di Carl Friedrich tra una prospettiva sostanzialistica e una relazionale, egli nota come se ne debba inserire una terza, che definisce soggettivistica. Il po-tere può certamente essere inteso come una sostanza che può essere posseduta, oppure come una modalità del rapporto tra gli uomini; ma può essere inteso anche come una qualità parti-colare di un determinato soggetto, capace di produrre effetti vo-luti. Non è da trascurare il fatto che è la consuetudine con la materia giuridica a suggerire a Bobbio questa integrazione – la concezione soggettivistica è infatti «un concetto proprio di tutta la scienza giuridica» 64 – a riprova che non si può leggere il Bobbio politologo scindendolo dal Bobbio teorico del diritto, e viceversa (punto fondamentale sul quale torneremo nel para-grafo seguente).

Ad ogni modo, Bobbio sembra più intenzionato a mostrare l’utilità di integrare le varie prospettive piuttosto che di tenerle

63 G.FERRERO, Il potere (1946), a cura di G. Ferrero Lombroso, introduzio-ne di U. Campagnolo, Edizioni di Comunità, Milano 1959, p. 70.

64 Infra, p. 23.

XXXII Il problema del potere

distinte o addirittura contrapposte, salvo ordinarle in vista della preminenza di una sulle altre (anche stavolta, non diversamente da quanto aveva fatto in altre occasioni, ad esempio analizzan-do le diverse teorie della norma giuridica 65). Un’opera di inte-grazione che, come sempre, si realizza innanzi tutto mediante l’uso dei classici, con l’immancabile e sempre proficuo riferi-mento a Hobbes, ma anche mediante la discussione del contri-buto di Bertrand Russell, che nel 1938 aveva pubblicato Power.

A new social analysis. In entrambi i casi Bobbio può sottolinea-re come le varie concezioni siano compsottolinea-resenti: se in Hobbes si può rintracciare una convivenza tra concezione oggettivistica e soggettivistica, in Russell si ritrovano insieme la concezione oggettivistica e quella relazionale: «tanto la considerazione dei mezzi soggettivi ‘naturali’, quanto la considerazione dei mezzi oggettivi, implicano il risultato di una influenza e modificazio-ne del comportamento altrui; ed è in misura della loro implica-zione di questo rapporto tra soggetti, che esse hanno valore, nel campo della scienza politica» 66.

In ogni caso, sulla scia di autori come Lasswell e Kaplan e del loro lavoro Power and Society, è la prospettiva relazionale che Bobbio prende maggiormente in considerazione e che ritiene meritevole di analisi ulteriore sottolineandone i vari caratteri (irriflessività, intransitività, asimmetricità). Si tratta di una pro-spettiva che ci interessa soprattutto perché costringe ad affron-tare il nodo significativo del rapporto tra potere e libertà: un punto cruciale sul quale dobbiamo soffermarci per diverse ra-gioni, in quanto ci metterà in diretta comunicazione con le as-sunzioni più basilari della teoria giuridica e politica bobbiana.

Seguendo uno schema elaborato da Felix Oppenheim in Di-mensioni della libertà 67, Bobbio si sofferma sulle situazioni in

65 Cfr. N. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, Giappichelli, Torino 1958, cap. I, p. 3 ss., poi in ID., Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 1993, p. 3 ss., dove la teoria normativistica, istituzionalistica e del rapporto giuridico sono considerate convergenti, ma nella prospettiva di una riconduzione alla prima delle altre due.

66 Infra, p. 36.

67 Pubblicato in edizione italiana dall’editore Feltrinelli, Milano 1964 (se-conda edizione 1982).

Norberto Bobbio e la scienza del potere XXXIII cui si trovano i soggetti di una relazione di potere. Queste

si-tuazioni sono collocabili lungo una linea che dalla libertà porta alla non libertà: abbiamo a che fare quindi con concetti che si collocano in una disposizione ‘polare’ e non ‘dicotomica’, a dif-ferenza di quanto solitamente avviene nelle analisi bobbiane 68. Da tale disposizione emerge che, quanto più aumenta la possi-bilità di controllare l’azione di un soggetto, tanto più si può dire che aumenti il potere del controllore e diminuisca corrispon-dentemente la libertà del controllato. Così, da una forma ‘blan-da’ di influenza, che si serve di mezzi puramente intellettuali o mentali, si passa a livelli sempre più alti di costrizione (da quel-la psichica, mediante intimidazione, a quelquel-la fisica, nei vari li-velli della minaccia, della inabilitazione giuridica e della costri-zione vera e propria): ciò che si nota da un passaggio all’altro è il proporzionale restringersi della libertà del soggetto la cui azione è oggetto della relazione. A conclusione di questa analisi Bobbio sostiene che possiamo parlare di potere in senso pro-prio solo quando, a fronte di un soggetto che esercita il control-lo, si ha una non-libertà (= possibilità di costrizione) nell’azione del soggetto chiamato a tenere una determinata azione:

Il potere si esplica nell’istituzione di ‘obblighi’; e data l’impera-tività dell’obbligo, si esige (e si giustifica) il ricorso a misure coatti-ve drastiche. Ciò che specifica un rapporto di Potere è appunto l’u-so della coazione di carattere fisico, diretto o indiretto: dall’impie-go degli strumenti di coartazione corporale a quello della ‘inabili-tazione giuridica’.

Così delineata, la situazione del rapporto (generale) tra pote-re e libertà sembra calcata su quella del rapporto tra potepote-re (giuridico) e soggezione presentata da Wesley Hohfeld nei suoi

68 Cfr. NBOBBIO, Dell’uso delle grandi dicotomie nella teoria del diritto (1970), in ID., Dalla struttura alla funzione, cit., pp. 123-144. A proposito dell’uso delle dicotomie da parte di Bobbio si è parlato di «forma trascendentale (almeno pre-valente o privilegiata) del pensiero di Bobbio» (M.BOVERO, La teoria generale del-la politica. Per del-la ricostruzione del «modello bobbiano», in AA.VV., Norberto Bob-bio tra diritto e politica, cit., p. 86). Su distinzioni dicotomiche e/o polari, cfr. Gf.

ZANETTI, Eguaglianza come prassi. Teoria dell’argomentazione normativa, Il Mu-lino, Bologna 2015, p. 11 s.

XXXIV Il problema del potere

Concetti giuridici fondamentali 69. Al di là di questo, sono però i singoli concetti di libertà e di potere ad emergere come peculiari.

Perché se la prima viene riferita al più classico non-impedimento hobbesiano, considerato come l’unica concezione del tutto avalu-tativa della libertà 70, anche il secondo viene a trovarsi rappresen-tato in maniera forse riduttiva, attraverso il mero rinvio alla pos-sibilità della costrizione. Non si può non sottolineare come pro-prio in quanto concepiti in questo modo libertà e potere entrino in contraddizione, e al crescere dell’uno l’altro diminuisca, anche se mai fino a scomparire del tutto. Che alle spalle ci sia una tra-dizione risalente, e che si tratti di una concezione prevalente nel pensiero politico e giuridico dei secoli più recenti 71, non vuol di-re che si abbia qui a che fadi-re con l’unico modo possibile di con-cepire il rapporto tra potere (specialmente politico) e libertà. È merito soprattutto di Hannah Arendt, com’è noto, aver

ricorda-69 Un testo del 1913, tradotto in italiano da Einaudi nel 1969, «per consiglio di Norberto Bobbio», come dice l’Editore, e con la cura di M.G. Losano (sul ruolo avuto da Bobbio nella casa editrice si sofferma lo stesso Losano: Un se-colo di filosofia del diritto a Torino: 1871972, in «Teoria Politica», 1999, nn. 2-3, in particolare p. 495 ss.).

70 In questo senso è da leggere il contributo bobbiano, scritto in polemica con Uberto Scarpelli, su Libertà come fatto e come valore, in «Rivista di filosofia», 1965, n. 3, pp. 335-339, poi in A. PASSERIN D’ENTRÈVES (a cura di), La libertà po-litica, Edizioni di Comunità, Milano 1973, pp. 293-299. Nella seconda edizione italiana del suo libro Oppenheim ricorderà infatti come, diversamente da altri autori, Bobbio si sia «schierato dalla [sua] parte» (OPPENHEIM, Dimensioni della libertà, cit., p. XXXII, nota 1). Bobbio ricorda e ricostruisce i suoi rapporti con Oppenheim nel suo scritto Oppenheim in Italy: a Memoir, in I. CARTER-M.R IC-CIARDI (eds), Freedom, Power and Political Morality. Essays for Felix Oppenheim, Palgrave, New York 2011, pp. 207-217. Anche se non ci si può qui soffermare sul tema della libertà nel pensiero di Bobbio, si può però almeno ricordare che esso non si limita al principio del non-impedimento, come dimostrano innanzi tutto i densi saggi di Politica e cultura, cit. Su questo tema si possono comunque leggere E.LANFRANCHI, Un filosofo militante. Politica e cultura nel pensiero di Norberto Bobbio, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 119 ss.; S.F.MAGNI, Libertà negativa e positiva in Bobbio. Alcune osservazioni, in «Filosofia politica», XV (2001), n. 1, pp. 111-120, nonché C. BERNAL PULIDO, El concepto de libertad en la teoría políti-ca de Norberto Bobbio, in «Isonomía», n. 29, Octubre 2008, pp. 97-120.

71 Ne dà piena testimonianza l’antologia Potere, a cura di G. Preterossi, La-terza, Roma-Bari 2007, nella quale, fin dall’introduzione, si definisce il potere come «la capacità di ottenere obbedienza, se necessario con l’uso della forza, esercitando una coazione. Il potere è una volontà che si impone» (p. VII).

Norberto Bobbio e la scienza del potere XXXV to che l’essenza del potere non è da ricercare nell’«efficacia del

comando» 72. Per la studiosa tedesca, che è una delle voci più autorevoli della filosofia politica del Novecento, «c’è un’altra tradizione e un altro vocabolario non meno antico e rispettato nel tempo», al quale possiamo attingere. Sia gli antichi Greci, mediante il concetto di isonomia, sia gli antichi Romani, con l’idea di civitas, «avevano in mente un concetto di potere e di legge la cui essenza non si basava sul rapporto comando/ob-bedienza e che non identificava il potere col dominio né la legge col comando» 73. Il potere, allora, «corrisponde alla capacità umana non solo di agire ma di agire di concerto» 74, ed è per-tanto legato (e nient’affatto contrapposto) alla libertà, come del resto ha sottolineato insistentemente la tradizione repubblica-na 75: «il politico, nel senso greco, è incentrato sulla libertà; una libertà intesa in negativo come non-essere-dominati e non-do-minare, e, in positivo, come uno spazio che può essere creato solo da molti e nel quale ognuno si muove tra i suoi pari» 76. Quando usiamo la parola ‘potere’ riferendoci ad altro che a questo consenso e a questa libertà, per Arendt, stiamo confon-dendo il potere con altri concetti, come quelli di ‘potenza’, ‘for-za’, ‘autorità’ o addirittura ‘violenza’ 77.

72 H. ARENDT, On violence (1970), tr. it. Sulla violenza, Guanda Editore, Parma 1996, p. 33. Se vogliamo segnare un confine netto con la violenza, dice la studiosa tedesca, allora il potere non può sussistere nemmeno nella forza regolata di cui parlava Passerin d’Entrèves, che pure viene citato come «l’unico autore […] che si renda conto dell’importanza di distinguere tra violenza e po-tere».

73 Ivi, p. 36. È interessante notare come questa lettura della realtà antica sia riscontrabile anche in G.SARTORI, La scienza politica, in Storia delle idee politi-che, economiche e sociali, diretta da L. Firpo, Vol. VI. Il secolo ventesimo, Utet, Torino 1979, p. 739 s.

74 ARENDT, Sulla violenza, cit., p. 40.

75 Cfr. in particolare PH.PETTIT, Republicanism. A Theory of Freedom and Government (1997); tr. it. Il repubblicanesimo. Una teoria della libertà e del go-verno, a cura di M. Geuna, Feltrinelli, Milano 2000; Q. SKINNER, Liberty before Liberalism (1998); tr. it. La libertà prima del liberalismo, a cura di M. Geuna, Einaudi, Torino 2001; M.VIROLI, Repubblicanesimo, Laterza, Roma-Bari 1999.

76 H. ARENDT, Che cos’è la politica?, a cura di U. Ludz, Einaudi, Torino 2006, p. 30.

77 Tutti questi fenomeni sono ridefiniti dalla Arendt per segnarne la

diffe-XXXVI Il problema del potere

Di fronte a tali divaricazioni concettuali è ben possibile af-fermare, con Luhmann, che «il potere del potere sembra prin-cipalmente fondarsi sul fatto che nessuno sa dire esattamente di cosa si tratti in realtà» 78, oppure, parafrasando Sternber-ger 79, che «potere è ciò che noi chiamiamo potere». Se le cose stanno così, anziché domandarsi quale sia la definizione più

‘vera’, occorre cercare piuttosto le ragioni che di volta in volta conducono a chiamare “politica” o “potere politico” un certo fenomeno. Si tratta evidentemente di dare un’interpretazione ideologica di ciascuna scelta, tanto più necessaria se si ricorda che i tentativi di definizione fanno pienamente parte del “gioco del potere” nel momento in cui ci offrono lenti per riconoscer-lo: cioè, sia per individuarlo, sia per legittimarlo. Una tale con-sapevolezza ci serve quindi per comprendere appieno le ragio-ni dell’operazione intellettuale portata avanti da Bobbio, il qua-le è perfettamente cosciente, come afferma più volte anche in queste dispense, della natura stipulativa delle definizioni che del potere vengono date.

È del tutto conseguente allora sottolineare come la defini-zione del potere in generale, cui fa seguito quella più partico-lare relativa al potere politico, derivi ancora una volta dalla programmatica volontà di mantenersi sul terreno

«dell’osser-renza rispetto al potere: cfr. ivi, pp. 40-41. È interessante notare come una vi-sione per certi versi vicina a quella arendtiana sia presente in un filosofo del diritto ‘appartato’ come Rodolfo de Stefano, il quale nel 1962 pubblica un lavo-ro che, curiosamente, porta lo stesso titolo del corso bobbiano: cfr. Il plavo-roblema del potere, nuova edizione a cura di M. La Torre, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017. Un testo che Bobbio aveva certamente letto, come risulta da un appunto manoscritto conservato presso il Centro Piero Gobetti. Significativo che egli catalogasse la trattazione (prevalentemente storica) dello studioso calabrese come «tradizionale» e che si soffermasse soprattutto sulla parte finale del lavo-ro, nella quale si insiste sul potere di imperio del potere politico moderno. Sul lavoro (e la figura) di De Stefano, cfr. i contributi di La Torre nello stesso vo-lume.

78 N.LUHMANN, Klassische Theorie der Macht (1969), tr. it. in Potere e codice politico, a cura di G. Gozzi, Feltrinelli 1982, p. 21.

79 Il quale aveva affermato, nel suo notissimo studio su Le tre radici della po-litica, che «politica è ciò che noi chiamiamo politica» (D.STERNBERGER, Drei Wurzeln der Politik [1978]; tr. it. a cura di R. Scognamiglio, Il Mulino, Bologna 2001, p. 12).

Norberto Bobbio e la scienza del potere XXXVII vazione realistica e spregiudicata della realtà» 80, l’unica per

Bobbio che possa portare a parlare di un fenomeno come quello del potere. Nulla si può dire sull’opportunità di questa scelta, ovviamente, se non sottolineare come essa, concorde-mente con ogni approccio realistico, non faccia apparire «ne’

fatti del genere umano – come diceva Foscolo a proposito del-la giustizia – se non del-la fortuna delle armi e il calcolo dell’inte-resse» 81. Così, nel momento in cui imputa il vizio della inten-zione persuasiva ad altri approcci, Bobbio accetta di pagare un prezzo piuttosto elevato, spostando il baricentro del con-cetto di potere verso quello della forza (come Foscolo, egli po-trebbe dire – e talvolta implicitamente dice – «non mi dannate tra’ reprobi, ma compiangetemi co’ traviati» 82). A chi come Locke vuole distinguere il potere politico da altre forme di po-tere riferendosi all’elemento del consenso, Bobbio obietta, ad esempio, che si tratta di un elemento che può essere presente in varia misura, o addirittura assente, e perciò il «fondamento del potere si potrebbe identificare, in diversi casi, piuttosto nella forza, che nel consenso» 83. Nulla di più logico dunque che, una volta scartati i criteri della funzione e dello scopo, considerati entrambi inidonei a individuarne la specificità, il potere politico venga a caratterizzarsi weberianamente sulla base del mezzo impiegato: si tratta di un «rapporto di potere essenzialmente coattivo», un «potere che, nell’ambito del grup-po sociale, è caratterizzato sempre dalla grup-possibilità di ricorso, in extrema ratio, all’esercizio della forza» 84.

80 Infra, p. 61.

81 U.FOSCOLO, Sull’origine e i limiti della giustizia. Orazione per la laurea in Legge (1809), in Opere scelte di Ugo Foscolo. Poesie e prose, vol. II, Tipografia Sormani, Voghera 1829, p. 176 (ne esiste un’edizione recente, con prefazione di Carlo Galli, a cura di S. Gentili e C. Piola Caselli, Edizioni Storia e Lettera-tura, Roma 2012).

82 Ivi, p. 177.

83 Infra, p. 60. È appena il caso di ricordare che a Locke Bobbio ha dedicato il suo corso di filosofia del diritto del 1963: cfr. Locke e il diritto naturale, nuo-va ed. a cura di G. Pecora, Giappichelli, Torino 2017.

84 Infra, p. 61. Si tratta di convinzione più volte ripetuta da Bobbio anche negli anni successivi. Cfr. ad il saggio La politica (1987), in ID., Teoria generale

XXXVIII Il problema del potere

Se queste sono le conclusioni cui si addiviene, la situazione appare assai chiara anche con riguardo alle intenzioni di Bob-bio: abbiamo a che fare con una visione che fin dall’immediato dopoguerra, in un contesto storico e politico segnato da pro-fonde fratture ideologiche, pone al fondo delle analisi e delle definizioni il valore basilare della pace e dell’ordine. È questa scelta di fondo a guidare la ricerca di Bobbio 85, in una critica serrata di ogni criterio distintivo che finisce per lasciare in piedi soltanto quel minimo comun denominatore che la tradizione positivistica, talora teoricamente talaltra ideologicamente, ha considerato come fine di ogni ordinamento giuridico e politico.

Così, conseguentemente, se non è possibile addivenire ad una definizione della politica e del potere sulla base di determi-nati fini o valori, che non siano appunto l’ordine e la pace, l’a-nalisi realistica e avalutativa non può che rinviare ai criteri fat-tuali (e quindi ‘oggettivi’) della ‘esclusività’ e della ‘totalità’. Vale la pena di riportare un passo assai significativo, la cui lettura permette di cogliere tutta la distanza rispetto all’impostazione arendtiana 86:

della politica, cit., p. 161 ss. (ma prima contenuto in una antologia per le

della politica, cit., p. 161 ss. (ma prima contenuto in una antologia per le

Documenti correlati