INTRODUZIONE
Quando si parla di scienza politica ci si trova, si può dire, di fronte ad una scienza ‘nuova’. Non sempre si ha un concetto esatto del suo oggetto – dimensioni e peculiarità. Qual è vera-mente, la materia della scienza politica?
Per rispondere, forse occorre richiamarsi all’autore che è considerato, di fatto, il suo fondatore: Machiavelli.
Il Machiavelli stabilisce un punto chiaro di riferimento: la
‘verità effettuale’.
La nuova scienza è lo studio obiettivo della politica. Il Prin-cipe è un’analisi scientifica della prassi politica. È il primo esempio di esame del ‘fatto’, concreto, non del ‘modello’ astrat-to, di Stato e potere politico. Al suo autore va, quindi, attribui-ta la paternità del metodo freddo, disattribui-taccato, con cui è neces-sario procedere alla indagine di questo nuovo ambito di feno-meni
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Il Machiavelli è lo “scopritore della politica come momento dello spirito che sta al di qua del bene e del male; l’indagatore positivo di questa politica nelle sue varie forme talvolta anche contrastanti, ma tutte legittime dal punto di vista obiettivamen-te scientifico” (Russo).
La novità di atteggiamento, dimostrata nel Principe, indicava già l’avvento di un nuovo campo di conoscenza. Questa ‘nuova scienza’ nasceva da un diverso criterio di osservazione e da una differente considerazione della ‘materia politica’; tanto differen-te, che fu facile una interpretazione ‘svisata’ delle intenzioni del Machiavelli, nell’epoca a lui immediatamente successiva, e nac-que il cosiddetto ‘machiavellismo’.
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Ma la scienza politica non conosce uno sviluppo notevole subito dopo la ‘proposta’ del Machiavelli. Bisogna giungere alla fine dell’800-inizio del ’900: è in quest’epoca che si vede una ri-presa decisa dello studio della ‘verità effettuale’; non solo nel-l’ambito della cultura italiana, ma anche al di fuori del nostro paese. La scienza politica comincia un nuovo corso, dopo una lunga parentesi in cui era prevalso l’interesse per la ‘filosofia politica’.
Nel 1895 viene pubblicata un’opera di importanza basilare:
gli Elementi di scienza politica di Gaetano Mosca. Una ventina d’anni dopo, compaiono altre due opere significative: La socio-logia del partito politico nella democrazia moderna di Roberto Michels (1910), e il Trattato di sociologia generale di Vilfredo Pa-reto (1916).
È proprio in quest’ultimo – forse, il più importante di tutti –, che vien formulata una delle teorie-cardine della scienza politi-ca moderna: la teoria delle élites politiche. Diversi autori stra-nieri la riprendono dal Pareto, in seguito; il Lasswell, america-no, innanzitutto, nel suo libro sul potere (Power and Society, 1952).
Dire, però, che il campo di osservazione della scienza poli-tica è la ‘verità effettuale’ machiavelliana, potrebbe sembrare troppo generico. Non si tratta solo di riconoscerle un atteg-giamento critico ‘realistico’ nei confronti della politica. Stabi-lito l’oggetto di studio, bisogna vedere anche con quali criteri questa scienza lo analizzi; da quali presupposti parta. È stata a lungo dibattuta la questione della ‘somiglianza o diversità d’impostazione’ della scienza politica, nell’Europa e nell’Ame-rica.
Un esame di questo genere vien fatto in un libro, apparso re-centemente, di Giulio Bruni Roccia: Il fondamento della scienza politica.
L’autore vede, fondamentalmente, un’antitesi fra la tradizio-ne europea tradizio-negli studi politici, e la scienza politica americana.
Due sono le impostazioni rilevabili nello stesso campo scientifi-co, considerato nell’uno e nell’altro contesto culturale; e sono ben diverse tra loro.
Introduzione 3 1) Scienza politica in Europa: rimane vincolata ad una
dot-trina dominante: la ‘teoria generale dello Stato’, di origine tedesca.
2) Scienza politica in America: procede sulla linea della tradizione culturale anglosassone. È nel mondo anglosassone che si sviluppa la ‘vera’ scienza politica. La teoria politica ame-ricana ha una ‘vocazione democratica’: il potere vi è concepito come consenso e partecipazione.
Questa è la prima osservazione – di base –.
La seconda si può considerare chiarimento e sviluppo della prima. È questa:
1) In Europa: l’attenzione degli studiosi politici è rivolta e-sclusivamente alla realtà Stato. Lo Stato è visto come l’elemento unico che comprende tutti i fenomeni politici che si manifesta-no in una società:
Stato = espressione ‘tipica’ del potere.
2) Nel mondo anglosassone: si dissociano i due concetti di Stato e di Potere. Il potere non vien riconosciuto solo al livello dello Stato.
‘La teoria politica si libera del fantasma dello Stato’.
‘Pluralità’ di gradi del potere = disarticolazione del primiti-vo ‘modello’ unico in una molteplicità di immagini del feno-meno.
Sono due considerazioni da tener presenti.
Per quanto riguarda la prima, si può fare però un’obbiezione:
Nella scienza politica, che per definizione è studio obiettivo della realtà politica stessa, non ci si può distaccare totalmente dalla concezione realistica del potere.
Proprio a questo proposito Lasswell, riprendendo dal Pareto la ‘teoria delle élites’, afferma in Power and Society che c’è sem-pre, in ogniregime, una classe politica minoritaria che detiene il potere, anche in un regime democratico. È possibile notare, qui, quanto sia realistica la ‘teoria delle élites politiche’: ‘sma-schera’ l’interpretazione seducente, ma falsa, del potere, così
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com’è data dagli scrittori democratici. Il suo realismo deriva proprio dalla sua funzione e dalla sua forza di confutazione di una ideologia.
Riguardo al secondo punto, invece, non si possono fare osser-vazioni. È giusta e necessaria la distinzione tra Stato e Potere. È vero che, inizialmente, gli studiosi han rivolto la loro attenzione all’ordinamento dello Stato (la Politica di Aristotele lo dimostra).
Ma ad un certo punto è intervenuta una nuova consapevolezza:
sison notate, in tutto il loro rilievo, quelle forme di organizza-zione ‘civile’ (‘intermedia’) che comportano dei rapporti specifici tra individui anche se non necessariamente politici.
È stata la prima rivoluzione industriale che ha messo in evi-denza l’esistenza di questi rapporti sociali, strettamente connessi col concetto di ‘potere’, rientranti nelle sue possibili manifesta-zioni; e che, tuttavia, solo in un secondo tempo potrebbero assu-mere carattere politico. Hegel individua, già al di sotto dello Sta-to, quella che è la Società; e molti dei fenomeni che si rilevano nella ‘società’ sono da qualificarsi come ‘forme varie di potere’.
In tale scala di gradazioni, il cosiddetto Potere politico non è altro cheil tipo di potere che sta al livello supremo. In una so-cietà non ci sono soltanto fenomeni di potere politico. Il pro-blema del potere non è ridotto, e non è riducibile, solo allo Sta-to; è molto amplificato.
Potere = concetto estremamente esteso; genus di cui il pote-re politico rapppote-resenta semplicemente una species. Nello stu-dio di queste realtà, si giunge, appunto, a dissolvere il proble-ma del ‘potere politico’ (‘particolare’) in quello del ‘potere’
(‘generale’).