• Non ci sono risultati.

L’ultimo capitolo delle dispense bobbiane riproduce in gran parte il saggio Sul principio di legittimità, pubblicato nel 1964 e poi incluso negli Studi per una teoria generale del diritto (1970, nuova edizione 2012). Si tratta di uno scritto di cui è difficile sopravvalutare l’importanza: esso rappresenta né più né meno che la summa del percorso di Bobbio all’interno della teoria giuridica e politica; con riferimento non solo al trentennio pre-cedente, ma – si può dire – anche a quello successivo (se si fosse letto con attenzione questo saggio, ad esempio, si sarebbe evita-to di accusare Bobbio di incoerenza in occasione della giustifi-cazione non solo della Guerra del Golfo, ma anche, e soprattut-to, di quella del Kosovo 91). Ed è significativo che Bobbio abbia

cui è stata di recente pubblicata la terza edizione: Bloomsbury Publishing, London 2013. Sul percorso storico che ha portato il baricentro del concetto di politica dalla libertà al potere si può leggere M.VIROLI, Dalla politica alla ra-gion di stato. La scienza di governo tra XIII e XVII secolo, Donzelli, Roma 1994.

90 MATTEUCCI, La scienza politica, cit., p. 223. Corsivo mio.

91 Per lo sviluppo di questo argomento sono costretto a rinviare a A. T HO-MAS-T.GRECO,Le difficili vie della pace, un dialogo a cura di T. Casadei, in

«Una Città», dicembre 2005, pp. 24-25.Gli interventi di Bobbio sulla guerra del 1990-91 sono raccolti in Una guerra giusta? Sulla guerra del golfo, Marsilio,

Ve-Norberto Bobbio e la scienza del potere XLI voluto riproporlo come parte finale di queste lezioni: segno che

egli lo reputa il punto di arrivo delle sue riflessioni sul potere.

In effetti, la considerazione univoca e per certi versi ‘lineare’ del potere che contraddistingue le pagine precedenti, e che facen-dosi largo in mezzo ai valori punta dritta all’elemento oggettivo della coazione, qui si fa plurale e circolare. Non solo, infatti, l’immagine monolitica del potere si scinde nei tre momenti tra loro legati della legittimità, della legalità e della effettività; ma questi tre momenti sono messi in diretta correlazione con i cor-rispondenti momenti giuridici della giustizia, della validità e della efficacia. Ne nasce un quadro decisamente più dinamico della vita degli ordinamenti politici e giuridici, nel quale un ele-mento rimanda continuamente all’altro, impedendo in tal modo di venire individuato e rinchiuso dentro i confini definiti da un singolo criterio (si veda infra a p. 75 la descrizione della dispo-sizione «a zig zag» dei vari elementi).

È appena il caso di ricordare nuovamente quanto già detto all’inizio di questa introduzione: alla necessità di questo ulte-riore sforzo analitico Bobbio è condotto anche dagli esiti della sua teoria giuridica, nel contesto della quale il diritto veniva ad essere «fondato in ultima analisi sul potere […], intenden-do per potere il potere coercitivo» 92. Egli muove da una lettu-ra anche stavolta realistica, che lo porta a vedere nella norma fondamentale kelseniana «una legittimazione giuridica [e] non morale del potere», con la conclusione di sapore pascaliano che «il diritto qual è, è espressione dei più forti, non dei più giusti» 93. Se la norma fondamentale «sta a fondamento del

di-nezia 1991; quelli sulla guerra in Kosovo del 1998-99 possono essere reperiti sulla pagina dedicata a Bobbio sul sito internet del Centro Gobetti, nella sezio-ne “I grandi dibattiti”. Segnalo in particolare l’intervista a cura di G. BOSETTI, L’Otan au Kosovo: une guerre juste?: entretien avec Norberto Bobbio, in «Esprit», Juillet 1999, pp. 6-19. Una testimonianza delle discussioni con Bobbio è in D.

ZOLO, L’alito della libertà. Su Bobbio, Feltrinelli, Milano 2008, su cui si veda la lucida lettura di P.COSTA, Le promesse della democrazia e le minacce della guer-ra: un dialogo fra Norberto Bobbio e Danilo Zolo, in «Iride», 2008, n. 3, pp. 713-718.

92 N. BOBBIO, Teoria dell’ordinamento giuridico, Giappichelli, Torino 1960, p. 62 (ora in ID., Teoria generale del diritto, cit., p. 196).

93 Ivi, rispettivamente p. 64 e p. 197.

XLII Il problema del potere

ritto quale esso è (il diritto positivo), non del diritto quale do-vrebbe essere (il diritto giusto)», allora è chiaro che essa ha il compito di autorizzare «coloro che detengono il potere a eser-citare la forza», senza che ciò comporti naturalmente che l’uso della forza sia giusto «per il solo fatto di essere stato voluto dal potere originario» 94.

Anche passi come questi danno conto dei rapporti quasi ine-stricabili tra diritto e potere, ai quali Bobbio si dedica ora con la consueta acribia analitica ma anche con un inedito (almeno su questo piano) piglio sistematico. La frase tante volte ripetu-ta, secondo la quale «diritto e potere sono due facce della stessa medaglia», si trasforma qui in uno schema nel quale nessun elemento del diritto o del potere può essere pensato e definito se non a partire dagli altri con i quali si trova collegato. Si con-sideri, ad esempio, come vengono a configurarsi legittimità e legalità ora che sono messe in collegamento con la giustizia e la validità:

il collegamento tra i due requisiti del potere e i due requisiti della norma può essere stabilito in questo modo: 1) la legalità del potere presuppone la validità della norma entro cui quel potere viene eser-citato; la validità della norma rende possibile il giudizio sulla lega-lità o illegalega-lità di un potere; 2) la validità della norma presuppone la legittimità del potere; norme valide sono quelle emanate da un potere legittimo; 3) la legittimità del potere presuppone la giustizia delle norme emanate da quel potere; potere legittimo è in ultima istanza quello che emana soltanto norme giuste. Come si vede, pro-cedendo dal basso in alto, la legalità rinvia alla validità, la validità alla legittimità, la legittimità alla giustizia. Procedendo dall’alto in basso, invece, si trova che la giustizia fonda la legittimità, la legit-timità fonda la validità, la validità fonda la legalità. I termini delle due coppie s’intrecciano in modo che passando dall’uno all’altro si passa dalla linea del potere a quella della norma.

94 Ivi, pp. 63-64 e p. 197. Sulla teoria bobbiana della norma fondamentale, cfr. J.RUIZ MANERO, Bobbio y los conceptos de norma jurídicamente última, in ANSUÁTEGUI ROIG-IGLESIAS GARZON (eds), Norberto Bobbio, cit., pp. 113-127.

Norberto Bobbio e la scienza del potere XLIII Uno schema così ben congegnato, mediante il quale si dà

plastica dimostrazione dell’intreccio tra poteri e norme di cui è costituito ogni ordinamento, sembra fatto apposta per rispon-dere una volta per tutte a quella che per Bobbio rimane la do-manda delle domande: cosa c’è all’origine di un ordinamento? È un potere o una norma a porre le premesse necessarie per lo sviluppo dell’intreccio successivo? Forse Bobbio avrebbe potuto sottolineare da subito che l’unica risposta possibile sta nel-l’unione tra il potere e il diritto: l’ordinamento nasce e si svilup-pa solo quando questo intreccio si stabilisce, e quindi non può che procedere da un potere giuridico. Prima di questo non c’è ordinamento, ma solo un ‘fatto’, che rimarrà tale fino a quando non sarà l’ordinamento stesso a qualificarlo diversamente (da questo punto di vista non ha torto chi sottolinea come sia sem-pre il potere costituito a rendere costituente il potere originario:

come direbbe Santi Romano, è questo «uno dei casi in cui l’ef-fetto retroagisce sulla causa» 95). Tuttavia, forse la circostanza che i diversi punti dello schema non siano posti su una perpen-dicolare alle rette parallele del potere e del diritto, ma siano col-locati secondo una disposizione sfasata e a “zig-zag” – in altre parole: il fatto che i diversi momenti siano organizzati secondo precedenze e successioni e non si diano insieme e contempora-neamente – conduce Bobbio verso quelli che lo stesso Romano chiamava i «più alti culmini» e «gli estremi confini» del dirit-to 96, per tentare di risolvere il problema di cosa ci sia in cima alla “scala”. Nonostante la considerazione più volte ripetuta che sia solo il punto di vista (del giurista o del politologo) a deter-minare che all’origine si ponga una norma o un potere 97, Bob-bio propende chiaramente per una soluzione più radicale che privilegia la priorità del potere: una priorità per così dire logica e cronologica e non assiologica, fondata su una critica ‘definitiva’

95 S. ROMANO, L’instaurazione di fatto di un ordinamento costituzionale e la sua legittimazione (1901), in ID., Lo Stato moderno e la sua crisi. Saggi di diritto costituzionale, a cura di A.E. Cammarata, Giuffrè, Milano 1969, p. 102. Inte-ressanti considerazioni sono in R.ESPOSITO, Immunitas. Protezione e negazio-ne della vita, Einaudi, Torino 2002, p. 41 s.

96 ROMANO, L’instaurazione di fatto di un ordinamento costituzionale, cit., p. 29.

97 Cfr. anche BOBBIO, Diritto e potere. Saggi su Kelsen, cit., p. 138.

XLIV Il problema del potere

alla norma fondamentale kelseniana 98. Dal momento che il vero fondamento del potere ultimo sembra essere la sua effettività,

la norma fondamentale è diventata perfettamente superflua: il compito che le viene assegnato è quello di legittimare un potere, il quale trova la sua legittimità non nel fatto di essere autorizzato da una norma superiore ma nel fatto di essere effettivamente ubbidi-to. Si potrebbe dire in breve che la norma fondamentale è quella norma cui viene assegnata la funzione di legittimare giuridicamen-te un pogiuridicamen-tere che non ha bisogno di alcuna legittimazione giuridica perché trova la sua legittimazione nel fatto stesso di esistere. Se il potere ultimo è un potere la cui caratteristica particolare consiste nel fatto che la sua validità dipende dalla sua efficacia, che bisogno c’è di convalidarlo attraverso una norma superiore? Più brevemen-te, se il potere ultimo è e non può non essere un potere di fatto, che bisogno c’è di una norma che lo autorizzi? 99

Non è il caso di soffermarsi su questo argomento: che si può definire problematico, non tanto perché stabilisce «un rapporto di vera e propria dipendenza del diritto dalla politica» 100, quan-to perché sembra minaquan-to da una contraddizione. Se infatti nel-l’effettività dell’ordinamento norma fondamentale e potere su-premo si incontrano, tanto da portare ad affermare che lex e po-testas convertuntur, allora non è possibile sostenere, al

contem-98 Anche se forse non si può arrivare a dire che «ad un certo punto del suo cammino [Bobbio] abbia avvertito la sensazione della sterilità dell’impresa kel-seniana», si può certamente affermare che egli sia stato, almeno da un certo momento in poi, «un kelseniano insoddisfatto» (PORTINARO, Realismo politico e dottrina dello Stato, cit., rispettivamente p. 145 e 144). Sergio Cotta aveva parlato di Bobbio come del «maggior kelseniano italiano» che però «non è né un mero esegeta né un mero ripetitore, piuttosto un dialogante critico» (Bob-bio: un positivista inquieto, cit., p. 42). Su un Bobbio che sarebbe meno kelse-niano di quanto appare insiste A.CARRINO, Norberto Bobbio testimone del seco-lo, in «Lo Stato», 12, 2019, pp. 381-408.

99 Infra, p. 77. Lo stesso ragionamento verrà ripetuto in Diritto e potere. Sag-gi su Kelsen, cit., p. 145.

100 COTTA, Bobbio: un positivista inquieto, cit., p. 49, il quale si spinge ad af-fermare che quella di Bobbio «riecheggia la posizione dei filosofi del diritto gentiliani» (ivi, p. 51). Sulla lettura di Bobbio da parte di Cotta, cfr. A.PUNZI, L’essenza e il senso. Bobbio, Cotta e la fenomenologia del diritto, in ID.(a cura di), Metodo Linguaggio Scienza del diritto, cit., pp. 353-381, in particolare, per quel che qui interessa, pp. 357-359.

Norberto Bobbio e la scienza del potere XLV po, che l’uno stia a fondamento dell’altra. Semplicemente, si

tratterebbe di constatare che il potere supremo è tale solo in quanto si accompagni ad una norma fondamentale che lo quali-fichi; e dunque non può essere supremo prima che quella nor-ma vi sia.

Tale conclusione – alla quale Bobbio arriverà, come vedre-mo, solo molto più tardi – sarebbe suffragata peraltro da quan-to segue poco più avanti, quando Bobbio è chiarissimo nel dire che, così come non c’è nessuna norma che si possa dire efficace senza rinviare agli aspetti della validità e della giustizia (perché

«un ordinamento è tanto più efficace quanto più è giusto, cioè quanto più è corrispondente ai bisogni e alle aspirazioni dei consociati»), allo stesso modo non c’è alcun potere di cui si pos-sa dire che è effettivo, senza richiamare immediatamente i livel-li della legalivel-lità e della legittimità: né l’efficacia, né l’effettività possono quindi valere in virtù della mera fattualità. Essi sono inevitabilmente catturati dal circolo che li “costringe” nello stes-so recinto di un ordinamento che può dirsi dinamico proprio perché soggetto ad un movimento continuo che va incessante-mente dalla legittimità all’effettività e viceversa, passando per la legalità 101. Ogni potere che si pretenda tale ha bisogno di quelle che Gaetano Mosca chiamava “formule politiche” e Guglielmo Ferrero “geni della città”, e che rappresentano le ineludibili e necessarie giustificazioni «del diritto di comandare; perché fra tutte le ineguaglianze umane nessuna ha conseguenze tanto im-portanti e perciò tanto più bisogno di giustificarsi, come l’ine-guaglianza derivante dal potere» 102. Come scriverà un venten-nio più tardi lo stesso Bobbio, «solo il riferimento a un princi-pio di legittimazione fa del potere di imporre obblighi un diritto e della obbedienza dei destinatari dell’imposizione un dovere, trasforma un rapporto di mera forza in un rapporto giuridi-co» 103.

101 Cfr. infra l’importante passo di pp. 80-81.

102 FERRERO, Potere, cit., p. 59. Su questo punto insiste Pecora nella sua in-troduzione a Potere politico e legittimità, cit.

103 BOBBIO, La politica, cit., in ID., Teoria generale della politica, cit., p. 180.

XLVI Il problema del potere

Il circolo che va dalla effettività alla legittimità, in altre paro-le, rende evidente come non sia possibile considerare valido (da qualunque punto di vista) un ordinamento che si fondi soltanto sul fatto della forza (ed era forse questo il senso ultimo della Grundnorm kelseniana) 104. Alla generica considerazione secon-do cui ogni ordinamento rinvia sempre ad una adesione spon-tanea dei consociati 105, Bobbio sostituisce quindi una conside-razione teoricamente più chiara in base alla quale solo un pote-re che è in grado di far accettapote-re come giusta l’obbedienza nei suoi confronti può considerarsi effettivamente tale:

si comincia di solito con l’instaurazione di un potere di fatto (effet-tività), il quale non può fare a meno di restaurare la legalità (viola-ta) e quindi di ricomporre un sistema normativo per la sua stessa disciplina, per giungere alla fine a proporre e a inculcare i propri titoli di legittimi di cui l’effettività, come si è detto nel paragrafo precedente, è una prova. Qui, giunti in cima alla scala, bisogna ri-discendere al fondo, ricominciare da capo. Una dottrina del potere non è completa se non la si considera in questi tre aspetti e nel mo-vimento circolare che procede dall’uno all’altro 106.

A ben vedere, la considerazione di Bobbio sembra richiama-re quella che Costantino Mortati faceva a proposito della costi-tuzione materiale. Nel momento in cui riconduceva l’origine e i fondamenti dello stato al «formarsi nel seno della comunità di una forza politica» tale da permettere ad alcuni di «esercitare un potere sugli altri in modo da ottenere obbedienza», il costi-tuzionalista calabrese chiariva come il concetto di forza che qui entrava in gioco dovesse essere «ulteriormente determinato, at-traverso una duplice qualificazione: da una parte, dalla sua for-ma, dall’essere cioè costante nel suo esercizio, capace di ottene-re obbedienza non accidentalmente, ma di solito, e pottene-revalente,

104 Rinvio alle considerazioni di E. RIPEPE, La questione della crisi del diritto e dello Stato come messa in questione dell’obbligazione giuridica e dell’obbliga-zione politica, in ID.Riforma della costituzione o assalto alla costituzione? (e al-tre riflessioni in pubblico), Cedam, Padova 2000, in particolare pp. 107-128.

105 Cfr. ad es. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, cit., p. 220.

106 Infra, p. 81.

Norberto Bobbio e la scienza del potere XLVII nel senso di imporsi alle altre; dall’altra parte, dal suo

contenu-to, dalla specie di ordine, che essa intende realizzare nella co-munità, al fine di raggiungere una complessiva unità dei vari interessi, propri di questa» 107. La forza deve fare i conti con di-ritto e giustizia, potremmo dire, se vuole essere fondamento di una comunità politica e di un ordinamento giuridico.

Se ne potrebbe dedurre, finalmente, un allontanamento dal principio realista (almeno nella sua forma ‘trasimachea’), nel momento in cui viene invocato come necessario quel riconosci-mento che passa attraverso il rinvio alla legalità e alla legittimi-tà. Rimane però un’ultima problematica considerazione. Non si può non sottolineare come il circolo stabilito da Bobbio appaia, per così dire, chiuso in se stesso. Non ci sono cioè contenuti materiali o valori determinati e predefiniti a garantire la corri-spondenza tra potere e legittimità, tra norme e giustizia: ancora una volta, si tratta di constatare il mero fatto che un potere rie-sca a farsi ubbidire e a fare in modo (magari anche manipolan-do le coscienze) che le sue politiche siano supportate da un con-senso più o meno diffuso. L’esito dello schema bobbiano non appare diverso, in altre parole, da quello della lunga analisi che Santi Romano aveva dedicato all’instaurazione di fatto di un or-dinamento costituzionale. Per il giurista siciliano, legittimo è

«quell’ordinamento cui non fa difetto non solo la vita attuale ma altresì la vitalità», là dove quest’ultimo aspetto richiama la mera capacità dell’ordinamento di corrispondere «alla coscien-za generale o popolare» dalla quale esso «trae il fondamento della sua giuridicità» 108. Allo stesso modo, per Bobbio l’effettivi-tà è una prova della legittimil’effettivi-tà, a prescindere da quale sia il principio in base al quale quest’ultima viene ad essere fondata.

Su questa base, qualunque ordinamento può essere effettivo e legittimo allo stesso tempo, purché sia in grado di farsi accetta-re dai consociati.

Ciò che qui si vuole sottolineare è che anche la legittimità,

107 C.MORTATI, La costituzione in senso materiale (1940), ristampa inaltera-ta con una premessa di G. Zagrebelsky, Giuffrè, Milano 1998, p. 62.

108 ROMANO, L’instaurazione di fatto di un ordinamento costituzionale, cit., p.

97-98.

XLVIII Il problema del potere

per questa via, diviene un mero fatto, con conseguenze che an-cora una volta possono risultare indigeste per chi si ponga dal punto di vista particolare della difesa di uno stato costituziona-le 109, ma che appaiono coerenti con le premesse del discorso bobbiano. La stessa legalità assume le vesti di semplice con-formità alle leggi stabilite, facendo di nuovo misurare la distan-za rispetto ad altre impostazioni teoriche, nelle quali il potere è sottoposto a criteri di giudizio che non sono da esso stesso posti e governati 110. Si pensi soprattutto all’idea del rule of law, nella quale appare fondamentale la distinzione tra gubernaculum e iurisdictio e dunque la convinzione che esista un invalicabile limite giuridico che il potere non può superare, a meno di per-dere la sua legittimità 111. Un’idea come questa, almeno finché si rimane sul piano descrittivo, non è condivisa da Bobbio che an-zi sembra criticarla esplicitamente in un saggio appartenente a questo stesso torno di anni:

109 Si pensi, ad esempio, al tentativo teorico di Luigi Ferrajoli di perseguire, come nota Portinaro proprio confrontandone il pensiero con quello bobbiano,

«una chiusura rigorosa dell’ordinamento giuridico, il cui funzionamento non deve essere intralciato da “poteri-residui” né minacciato da alcun “potere stra-ordinario”» (Introduzione a Bobbio, cit., p. 169).

110 Per una disamina delle numerose problematiche implicate nel concetto di legalità, sul quale esiste ovviamente una letteratura sterminata, rinvio alla lettura dei seguenti recenti lavori, a cominciare da L. FERRAJOLI, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Laterza, Roma-Bari 2007 (in part. Vol. I. Teoria del diritto, p. 846 ss.); M. VOGLIOTTI, Legalità, in Enciclopedia del diritto, Annali VI, Giuffrè, Milano 2013, pp. 371-435, e poi più estesamente in ID., Le nouveaux chemins de la légalité. Au-delà de la modernité juridique, Presses de l’Université Saint-Louis, Bruxelles 2019; G.PINO-V.VILLA (a cura di), Rule of law. L’ideale della legalità, Il Mulino, Bologna 2016; Grossi, Oltre la legalità, cit. Un ampio quadro storico, teorico e comparatistico è nei due volumi collettanei di J.R.S

110 Per una disamina delle numerose problematiche implicate nel concetto di legalità, sul quale esiste ovviamente una letteratura sterminata, rinvio alla lettura dei seguenti recenti lavori, a cominciare da L. FERRAJOLI, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Laterza, Roma-Bari 2007 (in part. Vol. I. Teoria del diritto, p. 846 ss.); M. VOGLIOTTI, Legalità, in Enciclopedia del diritto, Annali VI, Giuffrè, Milano 2013, pp. 371-435, e poi più estesamente in ID., Le nouveaux chemins de la légalité. Au-delà de la modernité juridique, Presses de l’Université Saint-Louis, Bruxelles 2019; G.PINO-V.VILLA (a cura di), Rule of law. L’ideale della legalità, Il Mulino, Bologna 2016; Grossi, Oltre la legalità, cit. Un ampio quadro storico, teorico e comparatistico è nei due volumi collettanei di J.R.S

Documenti correlati