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Quando si parla di Scienza Politica, si è portati subito a pen-sare ad una contrapposizione con l’altra disciplina che tratta dei problemi politici: la Filosofia politica.

In realtà, si osserva effettivamente che gli autori che trattano di scienza politica son soliti assumere un atteggiamento pole-mico nei confronti dei ‘filosofi della politica’. Soprattutto, la

dif-Introduzione 5 ferenza esiste sul piano degli oggetti di indagine, tra le due

di-scipline.

La scienza politica non si occupa del ‘modello astratto’ di Stato, dell’optima respublica, o Stato ideale perfetto. Questo è un problema esclusivamente filosofico; la sua risoluzione rap-presenta uno dei compiti peculiari per la filosofia politica.

Da una tale presa di posizione degli studiosi di scienza poli-tica, diventa immediatamente più facile riconoscere tratti che distinguono la scienza politica medesima. Si prospetta una sua netta contrapposizione con la filosofia politica: e da ciò si rica-va un chiarimento per quello che è il ‘suo’ rica-valore e il ‘suo’ signi-ficato. La sua, è una concezione realistica della politica; non idealistica, o idealizzante.

Ma a questo punto, però, si potrebbe avanzare una obbie-zione: anche nell’ambito della filosofia politica, non si ricerca solo l’‘ottima repubblica’.

La verità è che con la denominazione Filosofia Politica si comprendono degli atteggiamenti di pensiero, che sono molto diversi tra loro: è espressione da intendersi in molti sensi.

Se ne possono distinguere quattro, soprattutto: ognuno, in-confondibile e differente degli altri:

Per ‘Filosofia Politica’ si può’ intendere:

I) la descrizione dell’ottima Repubblica (esempio classico: la filosofia di Platone);

II) si può intendere: lo studio del fondamento dello Stato;

III) si può indicare: la teoria della politica in generale, cioè della categoria politica: la categoria del polˆtikon;

IV) si può definire, con accezione attuale: la metodologia del-le scienze politiche.

I Accezione

Descrizione dell’ottima repubblica

Platone si è occupato anche della politica sua contempora-nea. Ma, nella sua opera Repubblica, il filosofo non si occupa affatto del regime politico in cui vive: disegna un modello ideale di repubblica, valido e perfetto, nella stessa misura, sia per sé e per i suoi tempi, che per i suoi successori. Lo è, infatti, in

quan-6 Introduzione

to‘realizzazione dell’ideale di giustizia’, secondo la convinzione di Platone.

In che senso, allora, il suo modo di procedere si contrappone a quello adottato dallostudioso di ‘scienza politica’?

La contrapposizione sta in questo: un modello di Stato come quello platonico è costruito, non sulla osservazione concreta dei fatti, della ‘verità effettuale’, ma è ricostruito, ristrutturato più su processi logici di carattere deduttivo, ideale,astratto, che di carattere induttivo.

Nella Repubblica si è compiuta una ‘operazione mentale’, ri-gorosa e coerente quanto mai; ma non si è effettuata un’opera di induzione, un processo dalla realtà di fatto, così come la si osserva, all’individuazione del modo di accostarvisi e di agire su di essa, di ‘operare in pratica’.

II Accezione

Studio del fondamento dello Stato

Il problema si presenta diverso. Quando si parla di Filosofia politica con questo significato e finalità, non si tende più ad elaborare un programma ideale. Si parte dall’osservazione di-retta della situazione, del ‘modo d’essere’ di uno Stato reale; e se ne chiede la giustificazione.

Se è vero che lo Stato è ‘l’organizzazione di un potere’, l’ordi-namento costituito in cui si distinguono degli individui che de-tengono il potere, e degli altri individui che invece vi rimangono sottomessi, qual è la ragione perché debba esserci chi comanda e chi ubbidisce? Se c’è questo potere, se esiste ‘di fatto’, quale ne è la legittimazione?

Ecco il problema da risolvere, in questo caso.

La scienza politica, in fondo, è essenzialmente una disciplina descrittiva, esplicativa. La sua finalità è quella di cercare di spiegare i fenomeni che si presentano alla sua osservazione.

Ma, oltre alla necessità della spiegazione della realtà, esiste un altro problema: quello della legittimazione. Non è possibile ri-solverlo unicamente con l’osservazione empirica del ‘dato di fat-to’ della situazione reale.

Introduzione 7 Lo si può fare solo facendo appello a certi ‘valori’: cioè,

at-traverso una determinata concezione dell’uomo e della realtà.

Si tratta, appunto, di problemi filosofici, di argomenti di speci-fica pertinenza della filosofia.

Il fatto di porsi il problema della legittimazione del potere implica la possibilità di una duplice soluzione: una risposta po-sitiva, affermativa, oppure una risposta negativa: una giustifi-cazione, una non-giustificazione del potere. È possibile tanto una approvazione, un riconoscimento, quanto una condanna: si può anche rifiutare una giustificazione al potere constatabile di fatto.

Ma allora, la questione non è più quella che pone la scienza politica. Qui si verifica una ‘presa di posizione’ di fronte alla realtà. Non c’è più constatazione oggettiva, ‘scientifica’ di un fatto; ma un confronto soggettivo del fatto stesso con un siste-ma di principi: un ‘giudizio di valore’ espresso alla luce di una concezione generale. Solo facendo appello a una concezione generale dell’uomo e della storia si può giungere a una simile soluzione.

Questo problema della ‘legittimazione del potere’ si indica con untermine preciso, dalla fine dell’800. Vien chiamato ‘pro-blema della obbligazione politica’ (espressione derivata dalla filosofia politica inglese). Il rapporto che ci lega con lo Stato, in quanto suoi cittadini, dà origine a un tipo particolare di obbli-go, di ‘vincolo’: l’obbligazione politica (cioè: il dovere di fedeltà allo Stato stesso).

Vedere se questa ‘obbligazione’ abbia un fondamento di giu-stificazione di carattere utilitaristico, o morale, o giuridico, è una questione che rientra nei compiti della filosofia.

III Accezione

La teoria della politica in generale, o della categoria politica:

la categoria del polˆtikon

La sfera delle ‘cose politiche’ (istituti, rapporti, realtà politi-che) ha una sua autonomia? In che cosa si distingue dalle altre sfere, quelle dell’economia, del diritto, della morale, ad esempio?

8 Introduzione

Questo, in realtà, è il problema primo – o si potrebbe dire anche il problema ‘ultimo’ – che si presenta in qualsiasi tratta-zione della politica. Non ci si può occupare di fenomeni politici, senza prima rendersi conto della loro natura e peculiarità, sen-za avere un concetto di ‘politica’.

Il problema originario, che sta proprio alla base dello studio di questa realtà, la ‘condizione di comprensibilità’, è di rispon-dere alla domanda: Cos’è la politica?

Bisogna valutare esattamente tutta l’importanza di questo problema. Si pensi al Machiavelli; al significato di una ‘sua’ in-terpretazione della realtà politica, del polˆtikon.

Si afferma comunemente che l’importanza e il valore del suo apporto di pensiero, nella storia della filosofia politica, stanno nel fatto di ‘aver distinto’ la politica dalla morale; di avere, cioè, individuato la sfera della politica, separandola da quelle delle altre attività umane. Il Machiavelli ha scoperto la categoria del-la politica (come afferma il Croce), facendodel-la emergere tra le altre, con le quali prima la si confondeva.

Avviene dunque una disgiunzione fondamentale: il criterio di valutazione delleazioni politiche non coincide col criterio di va-lutazione morale. Un’azione può risultare politicamente ‘buo-na’, valida, anche se dal punto di vista della morale è cattiva. Se lapolitica fosse subordinata all’etica, non sarebbe possibile una scissione di valutazioni di questo genere. La distinzione dei due criteri di giudizio diventa invece un imperativo netto, dal mo-mento in cui si opera, con Machiavelli, la frattura tra le due sfe-re: morale e politica.

Verso la fine del ’600, si afferma una teoria politica ben pre-cisa, proprio sulla base della distinzione machiavelliana. È la teoria della Ragion di Stato. Lo Stato ha una sua ragione. Esi-ste una ragione che giustifica le azioni compiute per lo Stato, in vista degli obiettivi e delle necessità sue particolari. Si tratta di una ‘ragione’ diversa da quella che vale per il comportamen-to dell’individuo. Ecco che non è più possibile, allora, tacciare di ‘immoralità’ l’azione politica che non si conformi più ai principi della morale. La morale rientra nella sfera dell’‘in-dividuo privato’.

Introduzione 9 Oggi, in Italia, la filosofia politica si può ridurre proprio, in

definitiva, a quest’ambito di ricerca: si identifica come ‘la teoria’

della ‘categoria politica’, del polˆtikon considerato ‘sfera auto-noma’.

IV Accezione

Metodologia delle scienze politiche

C’è tutta una corrente di pensiero filosofico contemporaneo che intende la filosofia politica in questo senso.

Si rinuncia ad intendere lafilosofia nel suo significato tradi-zionale, estensivo, di concezione generale del mondo.

In realtà, questo indirizzo contemporaneo non esclude la possibilità che vi siano, tuttora, delle ‘concezioni generali’, delle Weltanschauungen. Però, esso sostiene, in un senso più rigoroso la filosofia deve abbandonare i suoi propositi e programmi di soluzione universale; deve rinunziare alla convinzione che si possa dare una concezione globale della realtà. Il suo ambito operativo si restringe, e nello stesso tempo si caratterizza me-glio, con una maggior concretezza. Compito della filosofia poli-tica è di limitarsi a riflettere sull’attività della scienza polipoli-tica, per dirigerla a fini sempre più utili.

È l’impostazione nuovadella filosofia, proposta e adottata dalle correnti neoempiristiche, dei cosiddetti ‘neopositivisti’.

Si afferma inevitabile e necessaria la rinuncia alla metafisica.

La si critica, come frutto di una elaborazione mentale astrat-ta, e improduttiva, tanto ai fini conoscitivi che ai fini ‘operati-vi’. La metafisica ha compiuto il suo corso. La sua storia si è conclusa con la ‘sistemazione finale’ hegeliana: Hegel è stato, effettivamente, l’ultimo filosofo che ha creduto di poter com-porre organicamente in un sistema la realtà; di poterla far coincidere con il suo sistema filosofico medesimo. Nella Fe-nomenologia dello spirito, egli ha visto il processo dello Spiri-to, che si attua nella storia progressivamente fino alla ‘sintesi conclusiva’ dello Spirito assoluto: la filosofia. ‘Filosofia’, co-m’èconcepita da Hegel: appunto, sintesi, somma finale di tut-ta la realtà.

10 Introduzione

Oggi l’atteggiamento del pensiero filosofico è cambiato, radi-calmente. Non si pensa più all’uomo ‘finito in contatto continuo e indissolubile con l’infinito’. Nemmeno si considera più lo Sta-to come ‘realizzazione dello SpiriSta-to Oggettivo’, concetSta-to metafi-sico in cui si astrae una realtà determinata, un ‘fatto concreto’.

Si prende atto, invece, dell’esistenza delle scienze che stu-diano la realtà politica; ed osservando i loro procedimenti me-todologici, se ne individuano i ‘rischi’. Si offrono loro i criteri direttivi generali, una base solida che la ‘filosofia politica’ così concepita può dare, con una capacità di operare, atta a renderle più efficaci.

Si parte da un concetto-cardine: quello della conoscenza em-pirica come ‘unica’ forma valida di conoscenza; l’esigenza cono-scitiva del ‘verificabile’. Stabilito questo, si prospetta la nuova funzione della filosofia: il suo compito è quello di mettere con-tinuamente in guardia lo scienziato, a non lasciarsi condurre oltre i limiti implicati dai suoi oggetti e strumenti operativi.

Spetta alla filosofia di mantener nitida nello scienziato la consapevolezza di quelli che sono i suoi confini invalicabili; di ammonirlo a non far passi più lunghi della sua possibilità uma-na di conoscenza, che è condiziouma-nata; tanto, che l’inosservanza di tali sue ‘condizioni’ porta a sconfinare nel ‘puro opinabile’.

I ‘neopositivisti’ sono oggi, appunto, i pensatori che consi-derano la filosofia in questo modo: come dottrina capace di fornire i criteri per l’osservazione e l’intervento operativo sulla realtà.

Visti questi quattro possibili significati della filosofia, biso-gna trarne le conseguenze logiche.

A seconda dell’accezione che si considera, cambia il rapporto tra la scienza politica e la filosofia politica.

1) Nel primo caso (Descrizione dell’ottima repubblica): c’è de-ciso contrasto.

La scienza politica non si propone di fornir delle ‘definizio-ni’, e delle ‘descrizioni’ di Stato ideale. La scienza politica non descrive e non prescrive nulla; né se lo propone mai, non è que-sto il suo obiettivo, né la sua ragion di essere.

Introduzione 11 2) Nel secondo caso (Studio del fondamento dello Stato):

esi-ste, qui, un rapporto diverso. Non si può più, parlare di ‘antite-si’. Quando si vuol giudicare del fondamento del potere, non si parte dal concetto del ‘potere in astratto’, ma dalla realtà di fat-to del potere esistente.

Ora, dall’altra parte: cercare di capire le condizioni in cui si realizza questo potere, è problema specifico della scienza poli-tica. Il suo compito è la conoscenza integrale del potere. In que-sto caso, si parte evidentemente da una considerazione realisti-ca del potere; e, a un tale punto, i due problemi, della scienza e della filosofia politica, non sono più separati: risultano stretta-mente connessi.

Si può stabilire, caso mai, una indipendenza fra di essi, una diversità di punti di vista adottati e di aspetti presi in esame;

ma non una separazione totale, o tanto meno una contrapposi-zione.

Scienza politica e filosofia politica non sono lo stesso campo di studio, i loro problemi quindi non si identificano né si so-vrappongono.La scienza, come non ha funzioni prescrittive, co-sì non ne ha nemmeno di valutative; non si preoccupa di ‘giusti-ficare’ o di ‘ingiusti‘giusti-ficare’. La scienza, in genere, non è ‘giusti-ziera’ (per usar l’espressione del Croce), né giustificatrice: quel che essa cerca, è soltanto di ‘rendersi conto’ dei dati reali; non di valutare, di prender posizione esprimendo un giudizio.

3) Nel terzo caso (Teoria politica in generale): si può afferma-re che intercorafferma-re un rapporto più stafferma-retto, tra i due campi. Qui c’è una connessione, anche sul piano del contenuto. Non si po-trebbe neanche definire con certezza la possibilità di una di-stinzione. È un fatto, che non ci si può porre con chiarezza dei problemi particolari della scienza politica, se prima non si ha un concetto chiaro di quello che è la politica stessa. Occorre possedere il concetto di ‘politica’ per prospettarsi delle questio-ni ‘scientifiche’ ad essa pertinenti. La teoria della categoria della politica, del polˆtikon, è in realtà il primo capitolo della scienza politica; o si può definire anche ‘teoria generale della politica’.

Bisogna prima costruire questa ‘teoria generale’, tracciarne le linee precise; poi si procede allo studio di problemi specifici, che son propri della politica.

12 Introduzione

Non si tratta quindi di dover fare una distinzione qualitativa tra il campo della filosofia e quello della scienza politica; ma, piuttosto, una distinzione di grado d’ampiezza.

Si passa dal ‘grande’ al ‘piccolo’, dal ‘generale’ al ‘particolare’.

4) Nel quarto caso (Metodologia delle scienze politiche): esiste un rapporto stretto; una ‘connessione di reciproco servizio’.

Qui, però, è da precisare che si tratta di due ricerche diverse.

C’è una prima ricerca: lo studio del fenomeno politico (e questo costituisce il compito della scienza politica).

Ma ce n’è poi una seconda: uno ‘studio di seconda istanza’

sulla metodologia della politica. La filosofia politica si avvale dello studio di tutte le tecniche di ricerca che sono sperimentate e adottate nei vari campi, per stabilirne l’applicabilità nella sci-enza politica.

Le due discipline procedono parallelamente. Il modo miglio-re di far della scienza politica è, in fondo, quello di far della

‘metodologia della scienza politica’; e viceversa: se si vuol stabi-lire una valida metodologia politica, bisogna basarsi sulle effet-tive esigenze ed interessi della scienza politica.

Finora si è cercato di dare un concetto della scienza politica, di definirne la posizione e le caratteristiche. Per giungere a que-sto, è risultato utile adottare un procedimento, che si può chia-mare: ‘criterio del confronto e della caratterizzazione negativa’

rispetto alla filosofia politica.

Dai risultati che si sono ottenuti, bisogna ora individuare tre elementi distintivi. Sono quelli che permettono di dare una ri-sposta alla domanda di base: ‘Che cos’è la scienza politica? ’

Si tratta dei criteri della: 1) ‘Empiricità’, della 2) ‘Non Pre-scrittività’, della 3) ‘Avalutatività’.

1) Empiricità della scienza politica

La scienza politica è una scienza ‘empirica’: è uno studio di fatti che è fondato su una ‘osservazione controllata’.

Esiste un continuo ‘controllo’ sulle considerazioni ed enun-ciazioni fatte da essa: controllo che viene sempre da nuove os-servazioni empiriche. Il risultato della ricerca è continuamente sottoposto e sottoponibile ad una revisione.

Introduzione 13 È proprio questo, ciò che contraddistingue la scienza

politi-ca: la continua ‘rivedibilità’ dei suoi risultati. È sempre il ‘fatto osservato’ che deve far ricontrollare, correggere ed adeguare sulla propria misura stessa, i risultati prima raggiunti dallo sci-enziato politico. C’è una continua ‘disponibilità’ da parte del ri-cercatore nei riguardi dei fatti.

Questo non si verifica nella filosofia politica. La filosofia po-litica è, piuttosto, la disciplina che, sistematicamente, ‘costrui-sce un risultato su una concezione aprioristica’. È l’ambito in cui si ricavano delle dottrine o dei sistemi politici, partendo da postulati fondamentali di natura teoretica.

Basta considerare il Leviatano di Hobbes (‘ossia la materia, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e civile’). La

‘forma e organizzazione dello Stato’ hobbesiana è costruita secondo un metodo razionalistico. Il modello di scienza che si pone di fronte al filosofo, nel delineare il suo ‘tipo’ di stato, non è quello di una scienza empirica; sono la geometria e la matematica, le scienze basate sul procedimento deduttivo, a-stratto, per eccellenza. Da alcuni postulati di base, si cerca di ricavare una ‘teoria generale dello stato’. Si può riuscire, in questo modo, ad ottenere un ‘modello’ universalmente valido, per qualsiasi ‘Stato storico’ si possa costruire. È l’elaborazio-ne coerente e rigorosa del ‘modello di Stato’, perché il punto di partenza, da cui Hobbes procede, è costituito da alcune ipotesi ‘essenziali’, ‘fondamentali’, ‘basilari’. Sono le ‘osserva-zioni sulla natura dell’uomo’: l’uomo, in quanto ‘costituito per natura’ con una precisa fisionomia, che non si modifica. Su questa considerazione ‘a priori’, Hobbes costruisce ‘more geo-metrico’ la propria ‘teoria generale’, il suo ‘Stato-schema’ di validità universale.

2) Non prescrittività [della scienza politica]

La scienza politica, a differenza della filosofia politica, non ha una funzione prescrittiva. Non si occupa di dare dei precetti, delle regole di azione e di comportamento, ai governanti. Il suo scopo non è quello di ‘dettare norme’ per coloro che devono agire nell’ambito della vita politica, nella prassi politica. Si

po-14 Introduzione

trebbe dire, al limite, che la desunzione di regole di comporta-mento, il ‘ricavar regole’, si riduce ad esser scopo ‘indiretto’, del-la scienza politica. La scienza non ha carattere prescrittivo ma descrittivo.

La scienza politica descrive ‘i fenomeni reali’, verificabili, constatabili; o ancor meglio, forse, svolge una funzione esplica-tiva riguardo a questi medesimi fenomeni. Li registra; se ne rende ragione, se ne dà una spiegazione. Una volta che ne abbia presa conoscenza ‘scientifica’, è in grado di trarne dei suggeri-menti di revisione ai suoi risultati acquisiti, e si porta al livello della nuova realtàdi fatto.

3)Avalutatività della scienza politica

La scienza politica è avalutativa, non dà giudizi di valore.

Essa studia i ‘fatti’, li esamina, li analizza. Cerca di offrirne una interpretazione, orientandosi attraverso una concatenazio-ne di elementi e di avvenimenti, intervenuti a determinare un fatto. Mediante tale concatenazione, la scienza politica può giungere alla conoscenza obiettiva del dato rilevato; può arriva-re ad una comparriva-rensione generale dei fatti che studia. Può rica-vare, dalla considerazione di una pluralità di fenomeni reali, una teoria interpretativa di questi stessi fatti.

Però non prende posizione di fronte ad essi: non li approva, né li condanna; si astiene dal giudizio.

Affermare, a questo punto, che la scienza politica è ‘avalu-tativa’ non significa però soltanto dire che essa non esprime giudizi di valore. Si tratta di implicare, in ciò, qualcosa di più, di precedente: una ‘condizione preliminare’. Essa non deve

Affermare, a questo punto, che la scienza politica è ‘avalu-tativa’ non significa però soltanto dire che essa non esprime giudizi di valore. Si tratta di implicare, in ciò, qualcosa di più, di precedente: una ‘condizione preliminare’. Essa non deve

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