CAPITOLO III- Dall’alterità alla soggettività: un io “femminile”?
3.4. Ancora ebraismo: l’umanità oltre la differenza di genere
Come dicevo negli scorsi paragrafi, il femminile scompare da una trattazione esplicita nelle opere filosofiche levinassiane successive a Totalità e Infinito. Tuttavia, indicazioni importanti sul tema sono contenute in due letture talmudiche pubblicate nel 1973 e tenute durante i Colloqui degli intellettuali ebrei di lingua
francese presso la Sezione Francese del Congresso Mondiale Ebraico.
La prima si intitola Desacralizzazione e liberazione dalla magia e si concentra, appunto, sul tema della magia come ciò che opera all’ombra del “sacro”, il quale per Levinas si oppone al “santo”. La santità è intesa dal filosofo come sinonimo della relazione etica, del dovere infinito verso l’altro: «è esigenza di santità. Nessuno può mai affermare: ho fatto tutto il mio dovere. Tranne l’ipocrita [...] quando in presenza degli altri dico “Eccomi!”, questo “Eccomi!” è il luogo attraverso il quale l’Infinito entra nel linguaggio, ma senza darsi a vedere»403
. In realtà, come Levinas chiarisce sin dall’inizio della lettura, il testo che commenta (Trattato Sanhedrin, 67a-68a), non parla del sacro. Tuttavia, il filosofo intende la magia come una pratica vicina ad esso. Come fa notare Cavalletti, proprio il binomio sacro/santo che guida questa lettura talmudica offre un importante esempio dell’atteggiamento levinassiano di fronte al testo, perché il filosofo vuole “desacralizzare” il Talmud, ampliandone gli orizzonti e dispiegandone tutta la ricchezza al di là dei confini del culto religioso e recuperando il senso più propriamente umano, etico della scrittura404. Dunque,
402
E. Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, op. cit., p. 229. 403
E. Levinas, Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo , op. cit., pp. 101-102. 404
Cfr. S. Cavalletti, Introduzione, in E. Levinas, Dal sacro al santo. Cinque nuove letture
non è nella dimensione del sacro che si incontra il divino, ma nella relazione con gli uomini, nella quale per Levinas si compie autenticamente il significato dell’ebraismo.
Al di là del tema generale della lettura, ciò che è interessante in questa sede non riguarda tanto il seguirne l’andamento specifico, che giunge a considerazioni e tematiche che vanno oltre il tema della presente tesi, quanto piuttosto una considerazione che Levinas elabora brevemente nelle prime pagine del testo e che riguarda direttamente il tema del femminile.
Il filosofo commenta, come dicevo, un brano che identifica la magia con una pratica avente una parentela con il sacro e, punto centrale della questione, prevalentemente esercitata dalla donna. La Bibbia condanna, dunque, la magia ritenendo che chi la pratica debba essere chiamato “maga” perché la maggior parte delle donne si occupa di magia.
Identificando le caratteristiche della maga, Levinas ripropone quasi alla lettera i tratti di ambiguità che avevano caratterizzato la trattazione del femminile nell’erotico:
incanto o subdolo spostamento del Senso, nascita dell’ambiguità stessa, dell’espressione che rinnega il pensiero; la grazia del volto che già si decompone nel ghigno orribile delle streghe nei loro covi nel Macbeth o nel Faust, ove i discorsi si dissolvono, incapaci di contenere un senso corrente, e si smarriscono in allusioni, in rime senza ragione, in sghignazzamenti, in non-detto405.
Dunque, la magia è una forma di “apparenza”, di “non-significato” e di
degradazione del femminile, indicazione importante perché non è più il femminile
in quanto tale, come avveniva nella fenomenologia dell’erotico, ad essere ambiguo, ma la magia è una sua possibile degradazione.
Ci si potrebbe chiedere se, commentando un passo che fa della donna un’esercitatrice di incanti, Levinas intenda identificare il femminile con la donna empirica.
A sostegno di questa tesi, si potrebbe osservare che il filosofo si preoccupa immediatamente di chiarire che la dignità della donna in generale non viene affatto compromessa da queste considerazioni, riproponendo gli esempi delle grandi figure bibliche di Sara, Lia, Ruth e Betsabea già presentate nell’articolo Le
judaisme et le féminin. Tuttavia, una considerazione che Levinas elabora poche
405
pagine dopo sembrerebbe smentire questa identificazione. Infatti, commenta il filosofo, la maga nell’Esodo viene condannata a morte per lapidazione e l’espressione “Tu non la lascerai vivere” somiglia molto ad un altro passaggio del testo, dove si dice che gli Israeliti riuniti ai piedi del Sinai vengono minacciati di lapidazione per aver oltrepassato i limiti della Rivelazione. Nel secondo passaggio, oltre al riferimento alla stessa pena per lapidazione attribuita alla maga, si legge “Cesseranno di vivere”. Dunque, le illusioni della magia non sono tanto un problema relativo alla natura della donna, quanto piuttosto la tentazione del popolo ebraico, il depositario della rivelazione divina406. Vi è in questo passaggio un riferimento alla necessità di rimanere sensibili di fronte al mistero, di non violare il segreto del divino, di non “proiettare un fascio di luce”407
su cose che vanno pudicamente avvicinate. Si potrebbe sostenere che questa idea sia conforme alla presentazione dell’ambiguità dell’erotico presente in Umanesimo dell’altro
uomo e Altrimenti che essere, testi nei quali l’erotico non è tanto riportato alla
sfera sessuale in quanto tale, ma piuttosto alla tentazione del male che consiste nell’anteporre il proprio egoismo alla responsabilità per altri, nel far sì che il “fascino luciferino” dell’irresponsabilità turbi l’obbedienza an-archica al bene. L’immagine del “fascio di luce proiettato sul mistero” può essere riportata alla coscienza che, pretendendo di essere origine e principio, riduce l’altro a proprio tema e turba il mistero, allontanandosi dalla traccia nella quale l’Infinito si segnala.
Un altro elemento favorevole alla possibilità di non sovrapporre il femminile alla donna empirica riguarda il particolare contesto nel quale Levinas evoca le figure bibliche precedentemente menzionate. Infatti, egli sta proponendo un’interpretazione di un brano del Talmud, quindi il contesto dell’esegesi della scrittura giustifica questo accostamento, essendo il femminile nell’ebraismo rappresentato da caratteristiche della donna e, in particolare, delle grandi figure dell’Antico Testamento.
Tuttavia, come si era già detto relativamente all’articolo del 1960, non si può intendere il rapporto fra la filosofia di Levinas e l’ebraismo in modo rigido, come se le categorie del secondo si riversassero semplicemente nella prima. Lo stesso
406
Cfr. Ivi, pp. 91-92. 407
Levinas non si rivolge al giudaismo parlando di “filosofia ebraica”, espressione complessa e che riunisce due orizzonti culturali in parte diversi, appunto la filosofia occidentale e l’esperienza dell’ebraismo408
, ma preferisce il termine
pensiero ebraico:
Car la vie intellectuelle du judaisme resté juif ne se présente pas, et ne se juge pas, à partir des principes. L’exégese des textes, l’assomption – comme on dit aujourd’hui – de sa propre historie [...]. Aujourd’hui, come toujours, la pensée juive est par excellence un dialogue avec l’autre que soi409.
Dunque, si può parlare di una interpretazione ed estensione da parte di Levinas di alcune categorie tratte dall’orizzonte culturale e religioso del giudaismo.
Per riferirmi al tema specifico della presente tesi, il concetto del femminile, pur traendo ispirazione da alcuni elementi fondamentali dell’esegesi talmudica relativi a caratteristiche proprie delle figure femminili bibliche, è emerso negli scorsi capitoli come molto più complesso della semplice riconduzione ai tratti della donna empirica.
Tuttavia, se si ritorna al tema della magia, una considerazione di Levinas fa sorgere qualche perplessità riguardo la condizione della donna. Il filosofo ammette che, dovunque gli uomini dominano, la donna risulta equivoca, sensuale, erotica, per cui la sua umanità diventa ambigua, si duplica a causa di una compresenza di pudore e oscenità. Certo, Levinas continua le proprie riflessioni ammettendo che il dominio maschile possa essere contingente, ma chiedendosi anche se la donna debba emanciparsi entrando, a pieno titolo, in un’universalità della quale gli uomini hanno fissato una forma più significativa rispetto alla sessualità per definire l’essenza umana410
.
Si tratta di elementi che potrebbero far pensare alla possibilità che la donna, per emanciparsi, debba in qualche modo rinunciare al proprio “essere donna” e diventare maschile. Senza ulteriori precisazioni, dunque, l’accusa di maschilismo rivolta contro Levinas potrebbe sembrare fondata.
408
Per approfondire la complessa questione legata al rapporto fra ebraismo e filosofia si rimanda a A. Fabris, Introduzione, in A. Fabris (a cura di), Il pensiero ebraico nel Novecento, op. cit., pp. 9- 21.
409
E. Levinas, Hour sujet, Fata Morgana, Montpellier 1987, p. 15. 410
Cfr. E. Levinas, Desacralizzazione e liberazione dalla magia, in E. Levinas, Dal sacro al santo.
È necessario, a questo punto, rivolgersi alla lettura talmudica E Dio creò la
donna, testo che costituisce un commento al racconto della creazione della Genesi
e, in questo modo, chiarire il senso del passaggio enigmatico nel quale il filosofo si riferiva alla necessità di un ingresso delle donne in un’universalità della quale gli uomini hanno fissato la forma.
Levinas prende in considerazione un testo, il Trattato Berakhoth 61 a, un commento al racconto della creazione dell’uomo e della donna.
Tuttavia, prima di parlare della differenza dei sessi, Levinas commenta tre enunciati che rimandano alla natura umana in generale, notando che la differenza sessuale compare soltanto alla fine e, precedentemente a questa, una dualità viene già riscontrata dai commentatori nell’umano senza che intervengano le differenze fra uomo e donna.
Il commentatore scrive che Dio “ha creato due inclinazioni, quella buona e quella cattiva”, traducendo jetzer come “inclinazione” anche se, nota Levinas, il termine significa anche “creatura”411
. Nello stesso essere umano, si tratta di rintracciare due creature diverse, una buona ed una cattiva.
Le tue tendenze che si ritrovano nell’essere umano non sono, come si potrebbe pensare, l’animalità e la coscienza perché Levinas osserva che l’animale può obbedire e, dunque, ha una qualche forma di coscienza e di ragione. Perciò, il tratto distintivo dell’umano rispetto alle altre creature va cercato altrove e non nella coscienza.
La seconda osservazione riguarda la risposta di Rav Shimon ben Pazzi che dice: “Guai a me da parte del mio Creatore, guai a me da parte della mia cattiva inclinazione”. Levinas commenta facendo osservare che la tensione interna agli esseri umani è quella fra la Legge che proviene da Dio e quello che si può chiamare erotismo nel significato più ampio che ricordavo precedentemente, ovvero l’egoismo, il vivere unicamente per se stessi. Levinas riprende in questi passaggi l’idea, presente anche nei testi filosofici più importanti di questi anni, che quella della creatura sia una condizione severa, costretta, non votata alla libertà, ma vincolata al rispetto della legge divina.
411
Il terzo detto che Levinas commenta giunge a trattare il problema della creazione, senza riportare però il passo della Genesi che vuole che Dio abbia creato l’uomo come maschio e femmina. Invece, il testo del Talmud ricorda che Dio ha creato nel primo uomo due volti, serrando dietro e davanti l’uomo e
passando su di lui la sua mano. Si tratta di una citazione del Salmo 139 che
rappresenta un importante punto di riferimento relativamente alle descrizioni levinassiane della soggettività etica. Infatti, per Levinas si può ritrovare proprio in questo salmo ciò che distingue l’umanità dell’essere umano. Si tratta di pensare l’interiorità del soggetto come apertura radicale fino ad essere attraversato totalmente da Dio e toccato dalla sua mano. Le due facce significano che, se la prima è l’interiorità, il pensiero e il rifugio del soggetto, la seconda è espropriazione dell’intimità: tutto è aperto e tutto deve rispondere a Dio. Sono termini analoghi a quelli con i quali, in Altrimenti che essere, viene descritta l’interiorità come espropriazione radicale del soggetto, esposizione ad altri e sostituzione fino all’espiazione per le loro colpe. Infatti, Levinas ritiene che questa doppia faccia del primo essere umano significhi portare un altro in sé, portare il viso di un altro che non si lascia vedere, come se la sua invisibilità provocasse insonnia nel soggetto412.
È interessante notare come, sin da subito, Levinas ponga l’attenzione sull’assenza della donna, in quanto l’essere umano creato non è contraddistinto dalla differenza sessuale. Infatti, nei commenti del Talmud è solo dopo questi tre detti, che riguardano l’umanità in generale, che si parla per la prima volta della creazione della donna.
Il volto originario è un volto “continuo”, le sue due “facce” non indicano la distinzione fra uomo e donna, ma le due inclinazioni dell’umano: l’egoismo e l’apertura ad Altri. Che la differenza sessuale sia considerata in secondo piano rispetto alla questione dell’umanità dell’essere umano è evidente anche dal commento dei dottori del Talmud al brano della Genesi che parla della creazione della donna. I commenti sono diversi e, come Levinas ricordava anche nell’articolo del 1960, ci sono due racconti della creazione che vogliono uno che la creazione di uomo e donna sia contemporanea (“maschio e femmina li creò”),
412
l’altro che la donna sia nata da una costola e, quindi, dopo l’uomo. In quel contesto, Levinas aveva dato, come si è visto, maggiore rilevanza al primo racconto.
In questa lettura, invece, il pensatore propende per la seconda interpretazione. La donna fu tratta dalla costola di Adamo, “costola” che alcuni commentatori traducono come “coda”, ovvero non una vertebra portante dello scheletro, ma un accessorio, qualcosa di trascurabile. Ciò significa che Levinas intenda, effettivamente, sostenere un’inferiorità della donna rispetto all’uomo? In realtà, sottolinea Levinas, i due racconti della Genesi hanno un significato più profondo. Propendere per la contemporaneità della creazione di maschio e femmina significa sostenere che la differenza sessuale è una distinzione fondamentale dell’essenza umana. Invece, considerare la donna “in quanto donna” un’appendice, significa che la particolarità del “femminile” è secondaria, che il rapporto fra i sessi deve essere subordinato al rapporto fra persone: «in primo piano sono i compiti che perfezionano l’uomo come essere umano e la donna come essere umano»413
. Infatti, il dovere dell’essere umano è essere per gli altri, l’umanità autentica è nella responsabilità etica che precede i rapporti fra i sessi. Dunque, una rivoluzione sessuale da sola, per Levinas, non è sufficiente e, di più, con una espressione dai toni severi il filosofo ritiene che non sia degna della specie
umana.
Un’indicazione interessante, a proposito, è contenuta in una riflessione del filosofo sul “maggio francese” del 1968. Levinas ritiene che il sentimento dominante della rivoluzione fosse il rifiuto della vulnerabilità dell’umano, del debito verso l’altro e il tentativo di far trionfare l’appagamento e la gerarchizzazione di una società colma di essere, priva di aneliti religiosi: sotto il capitale in avere, pesava un capitale in essere414. Dunque, qualsiasi rivoluzione meramente sessuale, politica, economica, che cioè non si fondi sulla riscoperta dell’umanità dell’uomo come sua pre-originaria responsabilità per altri, non è una “rivoluzione umana”.
Tuttavia, nonostante queste considerazioni di Levinas, il problema della “donna” non sembra, fino a questo momento, trovare una soluzione soddisfacente.
413
Ivi, p. 122. 414
Di più, Levinas elabora alcune considerazioni che potrebbero addirittura aggravare le accuse di maschilismo. Infatti, il pensatore richiama il libro dei
Proverbi dove si dice che la donna rende intima la dimora degli uomini, ma il
marito ha anche una vita pubblica, siede nel Consiglio cittadino a servizio dell’universale. Avrebbe, dunque, apparentemente ragione Chanter quando critica Levinas ritenendo che riproponga l’androcentrismo tipico dell’ebraismo tradizionale, contesto nel quale alla donna è interdetto l’esercizio di funzioni pubbliche415. Di più, le considerazioni di Levinas si spingono fino a considerare esplicitamente una priorità dello spirito maschile.
Infatti, trovandosi di fronte alle due letture della creazione, il filosofo si chiede come sia possibile conciliare l’idea che uomo e donna siano stati creati insieme con l’altro racconto, dove la donna viene tratta da una costola, ovvero da un’appendice. Dunque, si deve conciliare l’idea che ci sia un’umanità comune a uomini e donne con quella di una certa subordinazione del femminile al maschile, quest’ultimo identificato con la spiritualità: «domanda ardita: come può l’uguaglianza dei sessi derivare dalla priorità del maschile?»416
Ci sono, ad una prima lettura, degli elementi a forte sostegno dell’idea che il femminile si identifichi con la donna empirica e che non riceva adeguata considerazione da parte del filosofo. Infatti, per entrare a far parte della spiritualità umana, la donna dovrebbe “maschilizzarsi”.
Tuttavia, ritengo che il significato delle espressioni spiritualità del maschile e
priorità del maschile risieda nella interpretazione del termine Ish con il quale,
nella Bibbia e nel Talmud, si indica il primo essere umano, antecedente alla differenza sessuale. Come fa notare Sandford, infatti, il filosofo si starebbe riferendo al
conventional Hebrew usage, where 'Ish' apparently refers not only to the masculine gendered person and the husband, but also to a person generically, without emphasis on gender, or to each person, everyone, or someone. 'Ish' can also mean 'a
415
Cfr. T. Chanter, Ontological difference, sexual difference, and time, in C. E. Kats e L. Trout (a cura di), Emmanuel Levinas. Critical assessments of leading Philosophers (Vol. IV - Beyond
Levinas), op. cit., p. 114.
416
E. Levinas, E Dio creò la donna, in E. Levinas, Dal sacro al santo. Cinque nuove letture
mortal', and it was of course the curse of all mortals that they should know death as their proper punishment for disobedience417.
Sandford ritiene, comunque, che Levinas non riesca a restituire “neutralità” ad
Ish per via del fatto che, sovente, nel corso del commento ed anche nelle sue opere
più propriamente filosofiche, il femminile è associato all’erotico e al rapporto fra i sessi e viene indicato come “donna”418
. In effetti, nel corso della lettura Levinas parla della “femminilità della donna” e anche nelle opere dove il femminile veniva affrontato come modo dell’alterità dell’intimità e dell’erotico Levinas vi si riferiva, a volte, con il termine “donna” e attraverso immagini bibliche o letterarie di donne.
Si può osservare, tuttavia, che l’ambiguità del femminile in Altri è una questione ineludibile, alla luce del fatto che, come si è visto negli scorsi capitoli, nonostante ci siano molti elementi a favore di un’interpretazione metaforica del concetto come modo dell’alterità non sovrapponibile ad un sesso o all’altro, quando un pensatore maschile esercita il metodo fenomenologico risulta difficile la possibilità di estraniarsi completamente da un punto di vista di genere. Tuttavia, Levinas stesso parla sovente del femminile come “modo di Altri”, “altri in quanto femminile”, “Amato che è amata” fino a dire esplicitamente, nelle pagine di
Totalità e Infinito dedicate alla dimora, che risulta ridicolo pensare che un
rapporto di intimità in una casa sia impossibile senza una donna empirica al suo interno.
Si potrebbe, forse, ribattere che Levinas nella lettura E Dio creò la donna avrebbe potuto essere più chiaro o scegliere di evitare espressioni come “la femminilità della donna viene dopo”419
e parlare, piuttosto, di “sessualità dell’umano come secondaria”. Tuttavia, come ricordavo anche in precedenza, è necessario contestualizzare le riflessioni del filosofo. Infatti, in questo caso specifico, sta commentando un brano del Talmud in un congresso di intellettuali ebrei, di “specialisti” di studi ebraici e, per l’ebraismo, la “femminilità” è
417
S. Sandford, The Metaphysics of Love. Gender and Transcendence in Levinas, op. cit., pp. 55- 56.
418
Cfr. Ibidem. 419
Cfr. E. Levinas, E Dio creò la donna, in E. Levinas, Dal sacro al santo. Cinque nuove letture
caratterizzata attraverso i tratti della donna. Dunque, il più frequente riferimento al femminile come donna può essere comprensibile.
A ciò si aggiunga che, come dicevo, la “maschilità” dello spirito traduce il termine ebraico Ish, che si riferisce ad un essere umano non sessualmente caratterizzato. Si può accogliere l’idea che, probabilmente, non sia stata una scelta di termini riuscita pienamente e sarebbe stato, forse, preferibile usare espressioni