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CAPITOLO III- Dall’alterità alla soggettività: un io “femminile”?

3.3. La metafora della maternità

3.3.1. Mater nità

Il primo significato della metafora della maternità si ritrova relativamente alla possibilità di rappresentare il soggetto come corpo materno, vulnerabile, sensibile e offerto all’altro. La metafora viene inizialmente introdotta da Levinas nel terzo capitolo di Altrimenti che essere, dedicato al tema della sensibilità, in riferimento ad una modalità concreta della soggettività etica: la materialità. Da questo punto di vista, Salmeri nota come sia forse troppo facile, ma proprio per questo anche a rischio di passare inosservato, il gioco etimologico mater-materia366.

365

E. Levinas, Totalità e Infinito, op. cit., p. 287. 366

Infatti, il filosofo introduce per la prima volta il concetto di “gestazione” parlando della passività del soggetto della sensibilità, riferendosi all’io come mano che dona il pane strappato dalla propria bocca e psichismo come corpo materno367. Levinas identifica quindi sensibilità, vulnerabilità e maternità, elaborando questo accostamento perché, come si è visto nello scorso paragrafo, la sensibilità viene interpretata non come “ricettività”, ma pura passione, sofferenza, esposizione all’altro. La mater-nità rimanda, dunque, proprio al significato autentico della “materialità della materia”, evocata dal pensatore per indicare come nella

sensibilità si realizzi una inversione del soggetto dall’attività alla passività:

dal prendere all’essere preso, dall’attività del cacciatore di immagini alla passività della preda, dalla mira alla ferita, dall’atto intellettuale dell’apprensione all’apprensione in quanto ossessione per un altro che non si manifesta. Al di qua del punto zero che segna l’assenza di protezione e di copertura, la sensibilità è affezione attraverso il non-fenomeno, una messa in causa attraverso l’alterità dell’altro, prima dell’intervento della causa, prima dell’apparire dell’altro; un pre- originale non-riposare su di sé, l’inquietudine del perseguitato – dove essere? come essere? – cioè contorsione nelle dimensioni anguste del dolore, dimensioni insospettate dell’al di qua; sradicamento da sé, meno che niente, reiezione del negativo – dietro al nulla – maternità, gestazione dell’altro nel medesimo368.

La vulnerabilità del soggetto sensibile, incarnato può essere, dunque, identificata proprio come la gestazione dell’altro nel Medesimo. Il corpo, infatti, non è il luogo dell’io chiuso in sé, protetto dalla propria pelle come da un guscio, ma significa proprio l’uno-per-l’altro, un soggetto che dà all’altro non il superfluo, ma ciò che è più essenziale: la sensibilità è la sofferenza del dare il pane della propria bocca e la propria pelle369, intendendo con queste immagini il dono totale di sé che si realizza nella prossimità, ovvero lo sradicamento totale dell’io dal proprio egoismo.

Dunque, il corpo “materno/materiale” è quello che soffre, che subisce e che, malgrado sé, è per l’altro. La materia diventa il luogo stesso nel quale il soggetto è chiamato alla responsabilità irrevocabile per Altri, in modo che l’incarnazione non è da considerarsi come l’ingresso nello spazio geometrico di un soggetto astratto, di una coscienza precostituita. Se la materia fosse solo un attributo secondario

367

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, op. cit., p. 84. 368

Ivi, p. 94. La sottolineatura è mia. 369

aggiunto all’io come coscienza, il soggetto sarebbe ancora origine e libertà grazie alla possibilità di prendere distanza dal proprio corpo.

Piuttosto, la soggettività materiale è la possibilità stessa di comprendere l’io in modo diverso rispetto alla filosofia occidentale, perché proprio in quanto materialità, io di carne e sangue, la soggettività significa la non libertà e il non

inizio per eccellenza, la passività di una responsabilità irrevocabile che significa

l’offerta gratuita di sé ad Altri.

Proprio per questo motivo la “maternità” rappresenta un’immagine eloquente della soggettività etica, in quanto il corpo nella maternità è l’esempio fondamentale di una corporeità vulnerabile e offerta all’altro. Levinas la definisce come un “portare per eccellenza”370

e, in effetti, se ci si riferisce concretamente alla gestazione, la corporeità femminile è l’esempio più eloquente della sofferenza e del sacrificio.

La madre porta in sé un altro, lo nutre, è offerta all’altro come luogo affinché questi possa crescere ed è sofferenza della carne, emorragia affinché il figlio possa nascere. Da questo punto di vista, la madre è corpo ospitale e, dunque, può offrire il “paradigma” di una sensibilità sofferente, dedita estremamente all’altro.

A tal proposito risulta interessante un’immagine utilizzata da Levinas sia in

Umanesimo dell’altro uomo che in Altrimenti che essere, nel primo caso associata

più in generale alla vulnerabilità, nel secondo esplicitamente accostata alla maternità: “gemito” e “commozione” dei visceri”371

. Si tratta di un’espressione tratta dal libro di Geremia che Levinas accosta alla misericordia. Il filosofo può elaborare questo accostamento fra maternità e misericordia perché quest’ultimo termine si riferisce alla parola biblica “Rachamìn” che deriva da “Rechém”, ovvero utero372. Inoltre, ricorda Levinas, la misericordia nel Talmud è di fondamentale importanza, in quanto sorveglia la giustizia ed è l’attributo principale di Dio. Proprio per questo che egli si chiama “Rachmana”, il

Misericordioso373.

370

Cfr. Ivi, p. 94. 371

Cfr. Ibidem e E. Levinas, Umanesimo dell’altro uomo, op. cit., p. 128. 372

Cfr. E. Levinas, Umanesimo dell’altro uomo, op. cit., p. 151, nota 10. 373

Cfr. E. Levinas, Filosofia, giustizia e amore, in E. Levinas, Tra noi. Saggi sul pensare all’altro, op. cit., p. 142.

Dunque, il modello dell’amore senza Eros a cui si faceva riferimento nello scorso paragrafo è proprio inteso come misericordia, sinonimo di una responsabilità grave, severa, comandata374 della quale la maternità diventa simbolo fondamentale. Il soggetto, infatti, si espone ad altri sin nella sfera apparentemente più intima, la corporeità. L’io è per altri pur non avendolo “concepito” o “partorito”, perché l’altro non si riconduce a oggetto tematizzato dalla coscienza, ma: «l’ho già in braccio, già lo porto, secondo la formula biblica, “al collo come una balia porta un bambino lattante”»375

.

Orietta Ombrosi nota come, in questo passaggio, la traduzione italiana abbia modificato il significato letterale della citazione levinassiana dal libro dei Numeri, che rimanda non al portare al “collo” il bambino, ma “dans mon sein”, con il più forte rimando dell’originale alla sensibilità di un corpo di carne, di sudore e secrezioni, capace di “emorragia”, ovvero di dare nella sofferenza376

. Infatti, come dicevo, la corporeità della donna offre un modello importante per pensare la struttura della soggettività etica proprio in quanto sensibilità passiva e vulnerabile. Ritornerò più avanti sul problema legato proprio al debito della metafora della maternità rispetto alla corporeità della donna e alla possibilità di estendere all’umanità dell’essere umano, anche se solo simbolicamente, un evento biologico che ha dei rimandi ad un genere sessuale. Tuttavia, è prima necessario chiarire che la gestazione offre anche un’immagine che consente non solo di pensare all’io come “madre” di Altri in quanto soggetto di carne e sangue, esposto, sofferente, ma anche come “figlio di Altri”, ovvero generato dal prossimo alla responsabilità. Questo legame sarà più evidente attraverso l’analisi della relazione fra “maternità” e “sostituzione”.

3.3.2. “Maternità” e “sostituzione”

La metafora della maternità viene riproposta da Levinas nel capitolo centrale di

Altrimenti che essere, il quarto, dedicato al tema della sostituzione. Si tratta,

peraltro, del capitolo che costituisce il nucleo originario di tutta l’opera, derivata

374

Cfr. Ibidem. 375

E. Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, op. cit., p. 114. 376

Cfr. O. Ombrosi, L’umano ritrovato. Saggio su Emmanuel Levinas, op. cit., pp. 156-157, nota 37.

dall’ampliamento di due conferenze tenute all’università S. Louis a Bruxelles nel 1967 sui temi della “prossimità” e della “sostituzione”.

È interessante notare come proprio la “sostituzione” venga presentata sin dalla

Nota preliminare del testo come possibilità di ritrovare nell’identità del soggetto

l’eccezione all’essenza377

e come, nel capitolo ad essa specificamente dedicato, la maternità venga suggerita come metafora che restituisce il senso proprio del se

stesso378. Prima di affrontare più nello specifico il secondo significato della gestazione al quale accennavo poco fa è, dunque, necessario chiarire più puntualmente il significato della “sostituzione”.

Attraverso il concetto di “sostituzione” Levinas chiarisce la struttura etica della soggettività nel suo stesso “movimento” di soggettivazione, che viene ricondotto al di là della coscienza.

L’identità del soggetto viene, infatti, ricercata in quella che Levinas definisce una

ricorrenza anteriore all’io come intenzionalità. La “ricorrenza” propria della

coscienza consiste, infatti, nel muoversi verso l’oggetto: movimento che, tuttavia, non interrompe il gioco per sé della coscienza stessa perché, riconoscendo nel pensato un proprio progetto o oggetto, la coscienza si ritrova379. Tale nozione della soggettività, dominante nel pensiero occidentale, riduce l’io ad un avvolgimento su di sé, ma per Levinas non è la condizione sulla quale il se stesso del soggetto riposa. Infatti, egli esplicita come la “soggettività del soggetto” consista in una espulsione, in un “ondeggiamento” che non ricade in coscienza. L’io, infatti, non si pone da se stesso o, per usare l’espressione di Leibniz che Levinas richiama, «l’io è innato a se stesso»380

, in quanto la sua unicità di

soggetto consiste nell’essere convocato an-archicamente, prima della coscienza e

della libertà, alla responsabilità per Altri.

Dunque, la stessa ipostasi del sé non consiste nel porsi attivamente come coscienza, tema questo che aveva avuto grande importanza negli scritti degli anni Quaranta e che, in Altrimenti che essere, subisce una inversione radicale. Il soggetto si ipostatizza nella convocazione alla responsabilità, nella provocazione

377

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, op. cit., p. 2. 378 Cfr. Ivi, pp. 130-131. 379 Cfr. Ivi, p. 127. 380 Ivi, p. 130.

di Altri senza poter resistere o farsi sostituire da altri: «l’ipostasi si espone secondo la modalità di un accusativo come se stesso, prima di apparire nel Detto del sapere, come portatore di un nome. È questa modalità dell’offrire la propria passività»381. Il soggetto, dunque, è unico nella modalità dell’Uno senza l’Essere già teorizzato da Platone nel Parmenide perché la sua identità non si dice come egoismo perseverante nell’essere, ma come responsabilità, esposizione, vulnerabilità.

La soggettività del soggetto, come dicevo già nel primo paragrafo, consiste in un transfert totale per cui il principio di identificazione non è più in sé, ma proviene dall’esterno e dal passato, da una elezione che egli non ha scelto e che lo identifica come l’uno insostituibile nella propria responsabilità, spinta all’estremo fino alla sostituzione. Levinas specifica chiaramente che l’unicità del soggetto consiste nella sostituzione, intesa come portare la colpa di altri, nell’essere in sé attraverso gli altri dei quali il soggetto è responsabile. Si tratta di una condizione pre-originaria proprio perché il soggetto si ritrova come colpevole senza aver propriamente fatto nulla, responsabile di tutti, sostituto di altri nelle loro responsabilità.

Dunque, il sé della sostituzione è un Sub-jectum nel senso letterale del termine: «è sotto il peso dell’universo –responsabile di tutto. L’unità dell’universo non è ciò che il mio sguardo abbraccia nella sua unità d’appercezione, ma ciò che da tutte le parti m’incombe»382. L’io è “tutti gli altri” ed è proprio grazie alla sostituzione,

condizione pre-originaria più antica di ogni scelta, che la soggettività del soggetto si compie.

L’io della sostituzione, contrariamente a quanto in apparenza si potrebbe pensare, non si aliena. Infatti, solo lui può sostituirsi a tutti, senza che gli altri possano sostituirsi a lui in questa estrema espiazione non scelta: l’asimmetria, già presentata negli scritti degli anni precedenti come elemento fondamentale della relazione etica, viene spinta all’estremo proprio grazie alla nozione di sostituzione. Naturalmente, risulta chiaro da questi passaggi come Levinas, mediante il concetto di sostituzione, metta in atto una profonda rilettura del concetto di responsabilità personale. Infatti, il soggetto etico non è “responsabile”

381

Ivi, p. 132. 382

secondo il modo tradizionale di intendere il significato del termine, ovvero un’assunzione di colpevolezza per un’azione compiuta, ma esattamente il contrario. L’io è responsabile per ciò che non ha commesso:

appena altri mi guarda io ne sono responsabile, anche senza dover assumere nessuna responsabilità nei suoi confronti: la sua responsabilità mi incombe. Si tratta di una responsabilità che va al di là di ciò che faccio. Di solito si è responsabili di ciò che si fa in prima persona. In Altrimenti che essere o al di là dell’essenza sostengo che la responsabilità è all’origine un per altri, vale a dire che sono responsabile della sua stessa responsabilità383.

Dunque, proprio la sostituzione rende conto di un io come altrimenti-che-essere, perché egli non è unico in relazione al proprio egoismo, ma proprio come sostituto di altri. L’io non è l’ego della coscienza, ma il me dell’Eccomi, espressione tratta dal libro di Isaia384 e che significa: «portare la miseria e il fallimento dell’altro e anche la responsabilità che l’altro può avere di me, [...] è sempre avere un grado di responsabilità in più, la responsabilità per la responsabilità dell’altro»385

. Dunque la sostituzione, come ipseità stessa del soggetto, è ciò senza cui non sarebbe possibile neanche il più semplice gesto quotidiano del saluto, del dire “Dopo di voi, signore” perché dire Io è già dire per-Altri386

.

A questo punto è necessario, dopo aver chiarito il senso della “sostituzione”, ritornare all’immagine della maternità. Apparentemente, infatti, le caratteristiche della sostituzione fin qui presentate non spiegano ancora il legame con la metafora della maternità che, in più di un’occasione, viene evocata da Levinas come spiegazione del senso più profondo del soggetto etico. Perché proprio la “gestazione” dovrebbe essere emblema di un io che trae la propria unicità dal sostituirsi ad altri?

Il senso della metafora è chiaro se si ripensa al movimento di “soggettivazione” del soggetto appena descritto. Infatti, è il soggetto etico stesso, nella sostituzione, a nascere in quanto tale. Come la madre, in quanto madre, non è tale prima di avere in sé il figlio, così anche il soggetto non si produce da se stesso, non può

porsi, ma è essenzialmente passivo.

383

E. Levinas, Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo , op. cit., p. 96. 384

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, op. cit., p. 183, nota 11. 385

Ivi, p. 147. 386

Pertanto, è nella responsabilità per altri, spinta all’estremo fino all’espiazione per le loro colpe, che l’io trae la propria unicità. La metafora della maternità, dunque, è il vero modello della sostituzione387 in quanto suggerisce il radicale per-l’altro che costituisce il “soggettivarsi del soggetto” in modo che, nel portare Altri e le sue responsabilità su di sé, il soggetto stesso può venire ad essere senza radicare questa nascita in sé.

La metafora della maternità rimanda, dunque, ad una nozione non autoreferenziale di soggettività: la madre non è madre di per sé , ma lo diventa portando in sé il figlio ed è chiamata, in questo portare, ad una responsabilità irrecusabile che la convoca a rispondere di un altro senza potersi tirare indietro388. Labate pone giustamente l’accento sulla metafora della maternità in questo senso:

Il primo elemento che rende la maternità esperienza privilegiata è precisamente la paradossale designazione del soggetto: chi è il soggetto della maternità? È certo la madre. Ma la madre nasce, in quanto madre, nella maternità. La gestazione in cui consiste la maternità è insieme nascita del figlio come figlio e nascita della madre come madre [...]. La maternità fissa la madre alla propria responsabilità, la unicizza nell’impossibilità di farsi da parte, d’essere sostituita389

.

Inoltre, a conferma della considerazione secondo la quale, nella sostituzione, è il soggetto a nascere in quanto convocato da un ordine che non potrebbe declinare, si può ricordare come un termine associato alla soggettività materna sia quello di

creatura. Infatti, per Levinas la creazione ex-nihilo fornisce il modello stesso

della passività del sé, dal momento che la creatura che viene ad essere nasce senza aver udito l’ordine che la porta ad esistere, obbedendo ad un comando che non si traduce mai in una libera scelta. Il soggetto è, dunque, una creatura, ma orfana di

387

Cfr. C. Chalier, Éthique et féminin, in «Les Cahiers du GRIF», 32 (1985), p. 128.

388 Pensare alla maternità in questi termini, in una realtà attuale che ha fatto propria l’idea della riproduzione consapevole e, finanche, della decisione programmata di diventare genitori, mediante l’ausilio di nuove tecnologie di intervento sull’inizio della vita, rende di difficile applicazione il senso della metafora levinassiana. In particolare, relativamente al dibattito attuale sull’aborto, l’idea di una inalienabile responsabilità per l’altro può entrare in contrasto con il principio di autodeterminazione del soggetto. A tal proposito, Gambino evoca questo controverso tema, suggerendo la possibilità di ripensare il concetto di maternità riscoprendone l’originaria matrice di accoglienza e sottraendolo alla “perversa logica dei diritti”. Per approfondire la questione si rimanda a G. Gambino, Il moderno diritto al figlio. Riflessioni biogiuridiche a partire dal Giudizio

delle due madri di Re Salomone, in «Medicina e morale», 2 (2013), pp. 311-328.

389

S. Labate, La nascita latente del soggetto. Uno studio su Altrimenti che essere, op. cit., pp. 192- 193.

nascita perché se conoscesse il suo creatore, il “da dove proviene” potrebbe

ancora essere, in quanto coscienza, inizio di se stessa390.

Naturalmente, il termine “creatura” contiene un rimando religioso e la stessa soggettività etica, nelle pagine finali del testo, viene indicata come “profetica”391 proprio perché la provocazione al soggetto nella prossimità di Altri proviene dal Volto come traccia dell’Infinito, illeità che turba il presente assentandosi dalla tematizzazione e, tuttavia, significando positivamente una responsabilità infinita per Altri. Il termine “Dio”, pur non essendo utilizzato di frequente fra le pagine di

Altrimenti che essere, rimane un riferimento importante del testo. Come Levinas

chiarisce nelle ultime pagine dell’opera, il significato autentico di Dio è nell’Eccomi “detto” agli uomini, nel dire pre-originario della prossimità. Non posso approfondire in questa sede il tema del divino nelle opere più mature di Levinas, problema complesso che richiederebbe una trattazione a sé. Tuttavia era necessario accennarvi brevemente perché il concetto di creatura fornisce un ulteriore elemento per sostenere che l’aspetto fondamentale della metafora della maternità consiste nel nuovo modo di Levinas di pensare l’ipostatizzazione del soggetto in termini di assoluta passività, come responsabilità per Altri che risponde ad una convocazione pre-originaria, proveniente da un passato immemorabile.

Per avviarmi alla conclusione del discorso sulla maternità è adesso necessario esaminare un aspetto importante legato al tema, al fine di dare un ulteriore elemento al discorso sulla “femminilità” del soggetto. Infatti, un concetto che in passato era stato associato alla paternità adesso viene collocato nella dimensione della maternità: il rapporto fraterno.

In Totalità e Infinito la fraternità si origina dalla paternità: infatti, l’elezione paterna rende il figlio unico e, insieme non unico, in quanto la paternità stessa si produce non una, ma molte volte facendo del figlio un eletto fra eletti, ovvero tra

fratelli.

In Altrimenti che essere scompare la figura della paternità e la fraternità viene riportata direttamente alla prossimità. La prossimità, di cui la maternità è sinonimo, significa per Levinas una speciale parentela fra gli uomini, un legame

390

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, op. cit., pp. 131-134. 391

di “fraternità” che non ha nulla a che vedere con la biologia. Infatti, significa una convocazione alla responsabilità, il prossimo è fratello in quanto il soggetto è obbligato infinitamente nei suoi riguardi. La domanda di Caino nella Genesi, “sono io il custode di mio fratello?” per Levinas è di fondamentale importanza, in

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