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Iperboli della passività

CAPITOLO III- Dall’alterità alla soggettività: un io “femminile”?

3.2. Un soggetto “femminile”: passività e vulnerabilità

3.2.1. Iperboli della passività

La condizione del soggetto etico viene presentata da Levinas come passività

più passiva di ogni passività. Si tratta di un’espressione che indica il tentativo del

filosofo di attuare una radicalizzazione estrema del concetto di “passività”. Il soggetto chiamato alla responsabilità, infatti, non si trova in una condizione riassumibile nel semplice subire. A tal proposito, Levinas chiarisce come non si possa parlare della condizione di passività del soggetto come se gli si opponesse una forza materiale esterna o interna, quest’ultima rappresentata dal proprio corpo che “affliggerebbe”, con il proprio andare in rovina, il soggetto. La passività non può essere neanche pensata come opposizione alla società che costringe l’uomo al lavoro327. Sebbene Levinas non dedichi molto spazio alla spiegazione di questi esempi, si può sostenere che li evochi per indicare che, quando si pensa la passività in questi termini, questa non è radicale perché rimane assumibile. Rispetto ad una materia esterna, il soggetto si porrebbe ancora a partire da un “interno”, da una chiusura in sé e, nel subire, potrebbe opporre una forma di resistenza. Nel caso della corporeità che impedisce il soggetto, l’assunzione consiste nella capacità di rappresentarsi il proprio impedimento, prendendo in questo modo distanza dalla propria corporeità. Nel caso della lotta sociale, il soggetto si pone ancora come colui che è oppresso e che può reagire, lottando. Invece, la passività più passiva consiste nella «mia ossessione per la responsabilità per l’oppresso altro da me»328

.

Dunque, la passività del soggetto si spiega in termini etici e significa non poter riposare nell’identità, essere impossibilitato a sottrarsi al per-Altri che significa la bontà stessa come ciò che il soggetto non ha voluto perché «il Bene non potrebbe farsi presente, né rappresentarsi. Il presente è il principio della mia libertà, mentre

327

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, op. cit., p. 70. 328

il Bene non si offre alla libertà: mi ha scelto prima che io lo abbia scelto. Nessuno è buono volontariamente»329.

Hofmeyr sottolinea come proprio l’antecedenza della convocazione alla responsabilità rispetto alla libertà costituisca il nucleo della passività più passiva del soggetto etico:

the antecedence of responsibility to freedom signifies the Goodness of the Good: the necessity that the Good chooses me first before I can be in a position to choose, that is, welcome its choice. This is my pre-originary susceptiveness. My radical passivity consists in facing a responsibility that I cannot shoulder, for something that I have not done but which I cannot deny without denying myself330.

Ciò significa sradicare il soggetto da se stesso e non poterlo rappresentare come un’intimità ripiegata su di sé. Dunque, si tratta di rintracciare la soggettività non nella coscienza “virile”, ma nella passività dell’elezione da parte del Bene e «da ciò l’abbandono della soggettività sovrana ed attiva della coscienza di sé, indeclinata, come il soggetto al nominativo dell’apophansis»331

.

Si potrebbe forse contestare, rispetto alla lettura di quest’ultimo passaggio, che non solo la soggettività non è esplicitamente indicata come femminile, ma come Levinas non menzioni neanche la sua virilità. Tuttavia, sin dalle opere degli anni Quaranta e anche in Totalità e Infinito332, l’io saldo nella coscienza era stato indicato con termini come “sovranità” ed “attività”, tratti questi da sempre associati dal filosofo alla dimensione virile e che vengono riproposti anche in

Altrimenti che essere. Scrive a tal proposito Orietta Ombrosi: «lo sforzo principale

di Levinas in Altrimenti che essere è proprio la destituzione totale di un soggetto che, dopo secoli di storia della filosofia, è sempre stato pensato attraverso le categorie virili del sapere, del potere, e perfino della guerra»333.

All’inizio degli anni Settanta, dunque, si compie il tentativo fondamentale di ripensamento del soggetto in termini passivi già rintracciabile in Totalità e

Infinito, spinto all’estremo grazie all’utilizzo che Levinas fa di iperboli come

l’ossessione, il malgrado sé e la sostituzione. Quest’ultimo, in particolare, è un

329

Ivi, p. 15. 330

B. Hofmeyr, Radical Passivity: Ethical Problem or Solution? , in B. Hofmeyr (a cura di),

Radical Passivity. Rethink ing Ethical Agency in Levinas, Springer, Berlino 2009, p. 19.

331

E. Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, op. cit., p. 60. 332

Cfr. E. Levinas, Totalità e Infinito, op. cit., p. 279. Scrive Levinas: “Il turbamento del soggetto non è assunto dalla sua signoria di soggetto, ma è la sua commozione, la sua effeminatezza, di cui l’io eroico e virile si ricorderà come di una di quelle cose che sporgono dalle «cose serie»”. 333

termine chiave della riflessione del filosofo che indica tutta l’incombenza del compito etico dell’io come sacrificio non volontario del sé. La “sostituzione ad Altri” significa, infatti, la donazione totale di sé fino a soffrire della sofferenza dell’Altro e ad una responsabilità per le sue responsabilità. Ritornerò più puntualmente nel prossimo paragrafo su questo concetto, strettamente collegato alla metafora della maternità, concentrandomi adesso sulle altre caratteristiche che specificano la condizione di passività più passiva di ogni passività del soggetto, iniziando dalla prossimità.

Il concetto di prossimità ha un ruolo fondamentale rispetto alla riflessione levinassiana sulla soggettività etica perché rappresenta il nucleo delle immagini iperboliche più celebri del pensiero del filosofo quali l’ossessione, la condizione di ostaggio e il malgrado sé. Il termine “prossimità”, che Levinas identifica con il dire, non indica, come si potrebbe pensare, una contiguità spaziale fra io e Altri. Il senso della prossimità, infatti, non viene rintracciato nella dimensione della geometria euclidea, ma «suppone l’ “umanità”»334

.

Levinas, infatti, ritiene che la prossimità non si collochi in un luogo fisico, ma sia l’evento etico per eccellenza: il soggetto che si approssima e, nell’approssimarsi, viene rigettato fuori dalla coscienza. Infatti, approssimarsi significa tutto il contrario del prendere coscienza della vicinanza spaziale di un altro essere che può diventare oggetto di conoscenza o di possesso. La prossimità significa propriamente la differenza dell’uno e dell’Altro, non soltanto nel senso “negativo” della impossibilità di tematizzare Altri che si segnala, come si è già visto, nella traccia di un passato irrappresentabile e irriducibile al presente della coscienza. Il concetto di prossimità permette di chiarire “positivamente” che la differenza fra Io e Altri è immediatamente non-indifferenza, impegno non scelto, responsabilità mai contratta che, tuttavia, non può essere rifiutata.

L’io della prossimità non è più la coscienza salda in sé, ma un io che si scopre e si espone all’altro fino a poter parlare di ossessione. Levinas può utilizzare questo termine per indicare la non-reciprocità dell’affezione dell’altro, l’irreversibilità della responsabilità per cui l’io, convocato al bene prima di averlo scelto, arriva a dare e a darsi senza la preoccupazione di ricevere qualcosa in

334

cambio da parte dell’altro. Da questo punto di vista, in quanto “non scelto” e “assolutamente passato” il dovere dell’io è propriamente senza inizio né fine, egli non è mai sdebitato, in modo che l’ossessione si spinge fino al limite della

persecuzione e dell’assillo da parte degli Altri335, tutti termini che indicano una soggettività colpita da Altri senza poter ridurre ciò che la tocca ad oggetto di conoscenza e senza potersi rinchiudere in sé.

È proprio questa incapacità di sottrarsi che segna il punto di rottura della sovranità del soggetto e una possibilità diversa dal tempo sincronico della coscienza: la differenza, che significa allo stesso tempo non-indifferenza dell’Io per Altri nella prossimità, è infatti il modo della temporalizzazione diacronica, l’inassumibile nel presente perché l’io «si imbatte, traumaticamente, in un passato più profondo di tutto ciò che sono in grado di raccogliere attraverso la memoria, la storiografia, di dominare attraverso l’a priori»336

.

In alcuni corsi tenuti tra il 1975 e il 1976 durante il primo anno di insegnamento alla Sorbona, poi pubblicati con il titolo Dio, la morte e il tempo, Levinas preciserà questo concetto affermando che la vera essenza del tempo risiede nella differenza fra il Medesimo e l’Altro nel modo dell’Autre dans le Même, che significa una differenza insormontabile per l’intenzionalità perché l’altro è nel medesimo senza propriamente poter “essere lì”, senza diventare tema, ma nella modalità dell’inquietante dell’io337

. A tal proposito, Birtolo fa notare come ci sia un legame indissolubile fra la dia-cronia e la responsabilità etica, allorché quest’ultima non riguarda il soggetto isolato nella linearità del tempo della coscienza, ma si origina proprio nel tempo discontinuo del coinvolgimento per- Altri che rompe con la logica del “presente” come ritorno dell’io a sé338

.

Si può, dunque, comprendere anche perché Levinas possa parlare della soggettività come ostaggio, proprio perché l’io non si decide per la responsabilità, ma è convocato con urgenza, senza possibilità di assunzione o rifiuto, ingombrato dal prossimo verso il quale in nessun caso può essere indifferente. Naturalmente l’immagine estrema dell’ostaggio fa pensare ad un’etica dai toni molto severi, un

335

Cfr. E. Levinas, Umanesimo dell’altro uomo, op. cit., p. 128. 336

E. Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, op. cit., p. 110. 337

Cfr. E. Levinas, Dieu, la mort et le temps [1975-76], Grasset & Fasquelle, Parigi 1993, p. 163. 338

Cfr. P. Birtolo, La nuova concezione della soggettività in Emmanuel Levinas, in «Idee», 42 (1999), p. 154.

invito ad una condizione di masochismo del soggetto, come lo stesso Levinas riconosce:

è una rottura di questa salute facile, che è soprattutto la mia salute, è una preoccupazione. Non tutte le malattie sono da curare. Masochismo? Io non temo questa parola. Che cos'è l'umano? È lì dove l'altro è l'indesiderato per eccellenza, dove l'altro è il disturbatore, ciò che mi limita. Nulla può limitarmi maggiormente che un altro uomo. Per questa umanità-natura, per questa umanità vegetale, per questa umanità-essere, l'altro è l'indesiderabile per eccellenza. 339.

La soggettività è, dunque, un io ostaggio dell’altro o, seguendo più precisamente il senso dell’iperbole levinassiana, di tutti. Infatti, il soggetto non è responsabile solo di coloro che conosce, ma per il primo venuto, intendendo con questo termine non soltanto coloro che per l’io effettivamente sono estranei, ma esattamente tutti gli altri perché, anche quando si trovasse accanto ad un amico, ad un parente o ad un innamorato, è come se l’io si trovasse in prossimità di un altro che incontra per la prima volta. L’altro in quanto tale è sempre l’estraneo, colui che non può essere preso di mira dall’intenzionalità e, dunque, tematizzato, ma che si è già presentato come altro che ordina l’io alla responsabilità prima ancora di essere conosciuto come tema.

Si tratta di una condizione che Levinas ritiene perfettamente sintetizzata in una celebre frase del romanzo I Fratelli Karamazov di Dostoevskij: «Siamo tutti colpevoli di tutto e di tutti davanti a tutti, e io più degli altri». Essere “colpevole di tutti”, responsabile fino al punto da espiare per altri è il significato stesso dell’umano, un io che è unico proprio nel non poter delegare ad altri la propria responsabilità per tutti.

Rispetto alle considerazioni precedenti appare chiaro che le immagini dell’ostaggio, dell’ossessione e, seppur ancora solo accennata, della sostituzione delineano la fisionomia di un io impossibilitato a tornare a sé e, all’estremo, che non ha un proprio sé, intendendo con questo termine un’intimità chiusa, perché il sé è già apertura ad Altri. In effetti, le iperboli usate da Levinas per esplicitare la condizione di estrema passività del soggetto nella prossimità ricalcano l’impossibilità di riposo in sé, della chiusura e possono essere tutte sintetizzate nella condizione di non-luogo, termine che ricorre più volte nella descrizione della soggettività.

339

Può essere interessante, al fine della presente tesi, notare come il “non-luogo”, concetto più volte associato alla soggettività etica, fosse già stato utilizzato da Levinas fra le pagine di Totalità e Infinito dedicate all’erotico. Qui, Levinas faceva riferimento ad una no man’s land per indicare il modo del femminile di mantenersi fra essere e non-ancora-essere, una tensione fra il presente del godimento e il futuro al di là del possibile offerto dal figlio340. In Altrimenti che

essere la no man’s land indica una tensione interna al soggetto stesso, non più

rivolta al futuro, ma al passato assoluto dal quale proviene una responsabilità illimitata che impedisce la chiusura in sé e il ritorno al presente della coscienza.

Inoltre, un’altra caratteristica prima associata al femminile nell’erotico che si ritrova nelle descrizioni levinassiane della soggettività è la debolezza, la fragilità estrema e la vulnerabilità341. Infatti, la passività più passiva del soggetto viene anche indicata, oltreché come non-luogo (nonché mediante le iperboli che, come si è visto, specificano questa “dislocazione”) anche come una estrema

vulnerabilità342. Il tema della vulnerabilità, sinonimo della prossimità, si ricollega direttamente alla centralità dell’esistenza corporea del soggetto.

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