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con Andrea Zanzotto e Mirco De Stefani realizzate da Guido Barbieri

I - Dal programma RadioTre Suite del 01.09.1995

GUIDOBARBIERI…Ventidue e quaranta minuti, quasi: RadioTre Suite apre una

pic-cola pausa prima di entrare nel segmento finale, una pausa che forse non sa molto di radio, anzi sa di poesia, sa di musica, anzi sa proprio di un incontro tra la poesia e la musica, ma soprattutto sa di una voce che ha il tono, il calore di questa voce:

(ANTICICLONI, INVERNI)

Raccolgo, è certo, nel bello dello stordimento, col più granulato impetrare

quanto v’è di silenzio – ed è tanto Dove si forma l’intorno e s’acclima ad altri sottili doveri e diritti O nelle sperperate del greto tesaurizzazioni

cui vitreocupo s’avvena quanto v’è d’acqua – ed è tanto Orientata da folli fierezze e deficienze e cupi idiomi

precipitata entro l’idioma a moltiplicarne le spine i ghiaccioli Pare che rarità fischi tra i vischi del vento e staffilano, tutti quei vinchi piegati nel greto,

ma misteriosissimamente ribelli

Qualunque e dovunque cosa in vecchiezze s’allevia davanti a ciò che vecchio non sarà mai né mai, è meno insecchita di quel che tutto all’intorno si creda;

sterile, non perde brio feconda, in esempli si stempera E la luna facella frine e galaverna

nell’abbassarsi del sì di passata inopinata con opposizione come facendosi animo da dove più digiuna è la montagna

sorti guadagna immobile scia sul pendio

La voce, dunque, di Andrea Zanzotto… Forse qualcuno di voi l’avrà riconosciuta, anche se è una voce lontana, quasi un po’ ombra tra le ombre, e la musica, i suoni, di Mirco De Stefani. Questo che abbiamo ascoltato è un frammento tratto da Fosfeni – il secondo episodio, diciamo così, di una trilogia, della trilogia di Andrea Zanzotto, iniziata con Il Galateo in Bosco e conclusa poi con Idioma. Una parte, dunque, di Fosfeni che si intitola Anticicloni, inverni e che Mirco De Stefani ha inse-rito in questa intonazione generale della nuova raccolta di Andrea Zanzotto. Ne parliamo perché questo disco innanzitutto è giovanissimo, è appena uscito, e sta già creando un piccolo caso molto originale forse anche irripetibile nella musica con-temporanea italiana, nella musica che ancora insiste nell’intonare testi poetici. È ormai la seconda volta che la musica di Mirco De Stefani e la poesia di Andrea Zanzotto si incontrano; era già successo con Il Galateo in Bosco e forse l’incontro si ripeterà qui, non sappiamo quando, ma in un futuro speriamo vicino anche, per Idioma. È il caso di una vicinanza, di una vicinanza stretta, tra un musicista e un poeta, una vicinanza che prescinde anche i limiti geografici, perché Mirco De Stefani e Andrea Zanzotto sono vicini anche geograficamente, abitano in quel luogo natale di cui Contini ha parlato a proposito di Zanzotto. Noi proprio in questo nido natale siamo andati a trovare Andrea Zanzotto, che è, spero, al telefono con noi: buonasera Zanzotto.

ANDREAZANZOTTOAh caro, son qua, son qua ad ascoltarvi e a seguire il discorso,

per quel che posso…

BARBIERIQuesta volta il discorso è entrato con la voce di Andrea Zanzotto, che non è una voce che siamo abituati ad ascoltare tanto spesso.

ZANZOTTOAh, direi di no proprio, in realtà.

BARBIERIE nello stesso nido natale, a pochi metri di distanza, anche se in un altro cavo, c’è Mirco De Stefani, buonasera Mirco.

MIRCODESTEFANIBuonasera Guido.

BARBIERIDicevo appunto che, senza esagerare, questo è un caso irripetibile, e non tanto per la vicinanza, i rapporti diretti – anche se io credo che la vicinanza e la con-suetudine tra di voi siano tra i motivi fondatori della nascita di questa intonazione generale della trilogia di Zanzotto. E allora, vorrei che Mirco prima di tutto cercas-se di dicercas-segnare il tragitto che l’ha portato dal Galateo a Fosfeni, due raccolte che pur appartenendo a quella che Zanzotto ha definito ‘improbabile trilogia’, sono però due testi molto diversi: il primo, Il Galateo in Bosco, è una poesia della terra, delle contraddizioni, dei mali, delle malattie della terra; è quindi una raccolta che sta sotto, scorre dentro la terra, anche se viene fuori, rampolla, butta su, come dice Zanzotto. Fosfeni, invece, (fosfeni vuol dire baluginii, piccole luci) è una poesia meno di terra e più di luce, e quindi di sostanza anche diversa. Allora, di fronte a questa diversità, che tipo di lavoro hai fatto?

DE STEFANI È stata una fortuna per me aver potuto collaborare con Andrea Zanzotto e conoscere in questi anni, lavorando sui suoi versi, sia la poesia che l’uo-mo. Questo lavoro si identifica, forse, nella ricerca di un orizzonte comune che potrebbe accomunare la ricerca sul verso compiuta dal poeta e la progressiva iden-72 G U I D O B A R B I E R I

tificazione della musica con la poesia che il musicista ha tentato di fare. Questo pro-getto, nato alla fine degli anni ’80, nell’86-87, quando ho cominciato a lavorare al Galateo, si è protratto poi per circa sei anni, fino al ’93, anno in cui ho terminato la composizione di Idioma. La ricerca musicale che ho compiuto intorno a queste rac-colte mi ha portato all’interno dei tre momenti della creatività zanzottiana, cercan-do di dare loro una certa caratteristica. Come è stato detto, Il Galateo in Bosco nasce da un sostrato terrigno, i percorsi sono sotterranei, attraversano le ife fungine, pas-sano lungo percorsi boschivi, mentre Fosfeni guarda ad un orizzonte astratto, alle vette dolomitiche, alla neve e al ghiaccio; quindi, mentre nel Galateo in Bosco c’è un continuo ribollire, c’è un magma fonico, in Fosfeni questo magma tende a trascen-dere e a svilupparsi in cristalli puri, la scrittura si fa sempre più sottile, più astratta, più caotica, e tutto va ad assumere la dimensione di strutture galleggianti in una specie di caos primordiale nel quale fanno un po’ a gara, a lotta, i versi con la musi-ca. Si è tentato di creare un equilibrio altamente instabile, come può essere quello dei gas. È un vero e proprio braccio di ferro che la musica intrattiene con la poesia, nel rispetto però – per quanto mi è stato possibile ottenere – sia degli elementi pro-pri della musica, sia degli elementi propro-pri del verso. Il verso di Zanzotto non viene stravolto, non viene soffocato dalla musica, ma è rivestito di un tessuto musicale che cerca di metterne in risalto alcuni aspetti più importanti, creando attorno ad esso una forma di alone che ne amplifichi il più possibile le fantasie, le assonanze, le dis-sonanze. In pratica è stato un vero e proprio processo di autoidentificazione della poesia con la musica.

BARBIERIAnche i sistemi di scrittura che sono stati adottati conservano la perfetta intelligibilità del verso, sia quando viene affidato alla voce recitante che noi abbia-mo ascoltato, la voce di Andrea Zanzotto – che in realtà interviene soltanto in uno dei numeri poetici di questo disco – sia negli altri numeri, quando intervengono voci recitanti e voci cantanti. In ogni caso, la sostanza, anche fonica, del verso, sia in Galateo che in Fosfeni, viene assolutamente rispettata. Però, Andrea Zanzotto, nei casi migliori dell’incontro e dell’intonazione della poesia attraverso la musica, la musica non è mai un semplice habitus, ma è un po’ anche critica della poesia, criti-ca con parole diverse dalle parole comuni, dal linguaggio del bar… Ecco, come ha sentito Lei in questi anni la crescita delle Sue creature che hanno cominciato ad imparare anche un’altra voce? In fondo, hanno imparato a parlare con un’altra lin-gua, oltre che con la lingua con la quale sono nate; parlano adesso, in alcune occa-sioni specifiche, non le sole s’intende – la poesia deve pur sempre essere letta, maga-ri ad alta voce e camminando, come diceva Umberto Saba. Le sembra che questa musica possa anche essere una critica alla poesia, oppure è soltanto una voce in più che la sua poesia ha trovato quasi anche senza volerlo?

ZANZOTTOSono problemi gravi da precisare. Io ho sentito il lavoro di De Stefani

come un intelligentissimo alone musicale che attraversava, in un andirivieni di avvi-cinamento e di allontanamento, quello che io avevo scritto; e siccome la scrittura di Fosfeni rappresenta vari piani, uno dei quali è particolarmente teso verso una memoria dell’astrazione pura, di un logos quasi staccato da qualsiasi forma di

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tà, anche storica, ecco che il rapporto che si stabiliva con le musiche, era altrettan-to rivolaltrettan-to verso forme di inaccessibilità. Mi spiego meglio: il rapporaltrettan-to musica-poe-sia è difficilissimo perché la musica che è interna alla lingua, e che si avverte nei suoni e nei ritmi della poesia, può entrare in collisione con qualsiasi tipo di musica che le si sovrapponga. Ma c’è anche, di sopra, una musica mentale che risale anco-ra all’idea collegata a quella di poesie pure a sua volta collegata a quella di musica intelligibilis di cui parla Vladimir Weidlé, formata cioè da un accostamento di con-cetti. Ecco che allora quel tipo di autonomia che viene ad assumere la musica intel-ligibile – che è fatta di accordi di concetti, non di un procedimento discorsivo, si noti bene, può essere anche discorso, ma è soprattutto, o tenderebbe a essere, accordo di concetti – si pone accanto a quel tipo di inafferrabilissima autonomia che è quella della musica, che viene da un mondo parallelo rispetto al nostro. Io credo che, se si eccettuino certe musiche funzionali o imitative, ecc., la musica sia partenogenetica per natura. Forse qualcuno non troverà corretta questa mia espo-sizione di pensiero, ma la musica è ciò di cui non si può parlare con parole, e, vice-versa, la poesia, nel caso in cui sta creando dei castelli di parole, diventa ancora più autonoma e, diciamo pure, quasi ostile a una sovrapposizione di altri modi. Ma in questo caso si ha un fenomeno singolare: l’ho sentito con De Stefani per le mie cose, ma l’ho sentito anche per altri autori rispetto ad altre musiche. Siamo – mi si scusi un po’ di slittare in un vocabolario che forse può sembrare fuori luogo – nella situa-zione che richiama la struttura dell’‘iperbole’. Nell’iperbole, intesa come particola-re figura delle sezioni coniche, abbiamo, grosso modo, un asse mediano e due curve che non si toccheranno mai e sfiorano questo asse formando una curva sulla destra e una curva sulla sinistra dell’asse centrale. Musica e poesia si avvicinano all’infini-to, restano autonome, ma sono strutturate in un insieme che trova il suo avvicina-mento nella figura dell’iperbole. Nell’iperbole mi pare che si trovi l’autonomia pro-pria della musica e l’autonomia propro-pria della poesia, soprattutto in quanto musica intelligibilis, nel loro rispecchiarsi e allontanarsi contemporaneamente. Questo in senso generale. Nel caso tipico poi della collaborazione fra me e De Stefani, c’è stato però un fatto molto importante che io sottolineerei: siccome anche lui è nati-vo delle stesse mie zone e ha respirato le stesse atmosfere, ha vissuto gli stessi colo-ri e, direi, anche lo stesso paesaggio sonoro – perché esiste anche questo: ci sono solo degli scampoli del vecchio paesaggio sonoro, non c’è soltanto rombo di moto-ri o di trattomoto-ri, c’è un insieme di spunti che De Stefani ha vissuto nella sua espe-rienza, molti anni dopo di me naturalmente, ma ricollegandosi ad una fonte unica di esperienze. Mi è sembrato molto bello l’avvicinamento graduale che De Stefani ha compiuto verso il mio lavoro, perché sentivo, appunto, che era, pur nella sua autonomia, legato a motivazioni che nascevano dagli stessi impulsi interiori e espe-rienze esteriori, sensibili e intelligibili, che erano state comuni.

BARBIERIHo capito, e quindi questa è la sostanza che ha nutrito, in qualche modo, l’iperbole.

ZANZOTTOSì, sì. Sarebbe stata l’asse centrale, in termini impropri. 74 G U I D O B A R B I E R I

BARBIERIQuesta comunanza di esperienze, insomma. Allora io volevo adesso sem-plicemente chiedere a Mirco De Stefani, perché purtroppo ci dobbiamo lasciare – anche i tempi della radio spesso non coincidono con le armonie concettuali né, pur-troppo, con le armonie musicali. Io so che c’è una occasione vicina, tra pochissimi giorni, per poter ascoltare l’esecuzione dal vivo dei testi di Fosfeni intonati da Mirco De Stefani, martedì prossimo a Venezia alla Fondazione Cini. Ecco, Mirco, ci ricor-di in trenta seconricor-di l’occasione specifica?

DESTEFANISono stato invitato al convegno sul ‘Teatro musicale e movimenti

let-terari dal simbolismo ad oggi’, organizzato dalla Fondazione Cini di Venezia all’isola di San Giorgio. Nell’ambito della prima giornata di studi, si terrà il

con-certo di presentazione del CDdi Fosfeni con l’esecuzione dell’intera

rappresenta-zione musicale.

BARBIERI Allora possiamo dare anche questo appuntamento, che in fondo è un appuntamento anche pratico per avvicinarci alla figura dell’iperbole. Andrea Zanzotto… grazie infinite, alla prossima occasione; e grazie anche a Mirco De Stefani. Noi ci lasciamo con un altro frammento di Fosfeni intitolato Ben disposti silenzi: que-sta volta non con la voce di Andrea Zanzotto ma con una voce forse più dique-staccata, forse anche più astratta di quella di Zanzotto; non una voce recitante ma un quartet-to vocale femminile, impegnaquartet-to nell’inquartet-tonare una poesia che apparentemente sembra non intonabile: ma Mirco De Stefani e Andrea Zanzotto ci hanno aperto una piccola luce su come si possono incontrare oggi, per l’appunto, musica e poesia.

II - Dal programma RadioTre Suite del 19.10.1996

GUIDOBARBIERIIo ho qui sul tavolo tre libri e tre dischi: sono tre libri e tre dischi che, curiosamente, portano gli stessi nomi. Andrea Zanzotto: Il Galateo in Bosco, Fosfeni, Idioma; Mirco De Stefani, Andrea Zanzotto: Il Galateo in Bosco, Fosfeni, Idioma. Che cosa vuol dire? Vuol dire che siamo di fronte a due trilogie, anzi ad una pseudotrilogia, per rispettare la definizione originale di Andrea Zanzotto. Questi tre libri, usciti ormai negli anni passati, da una parte; dall’altra parte, l’intonazione musicale di questa trilogia. Oggi vorrei parlarvi proprio di questa impresa, che è un’impresa che non ha, per la verità, molti precedenti, speriamo abbia dei conse-guenti, ma precedenti no di sicuro, e che entra di diritto nella storia molto ricca dei rapporti tra musica e poesia del nostro secolo. Mirco De Stefani ha infatti comple-tato l’intonazione musicale della trilogia (o pseudotrilogia) di Andrea Zanzotto, composta per l’appunto dal Galateo in Bosco, Fosfeni e Idioma. Siamo arrivati all’ul-timo quadro, all’intonazione dell’ulall’ul-timo episodio della trilogia, che è recentissimo; ce l’ho qui sotto gli occhi, Idioma per l’appunto, con in copertina anche, fra l’altro, un autografo di Zanzotto, la scrittura abbastanza precisa e pulita di Andrea Zanzotto, e quindi di questo vogliamo parlare. Con chi? Naturalmente con loro due, con Andrea Zanzotto e con Mirco De Stefani, entrambi colti nel loro nido, per

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usare la vecchia espressione continiana, a Pieve di Soligo; entrambi sono lì e abita-no a pochi passi: credo che si incontriabita-no un po’ quasi tutti i giorni, se abita-non proprio tutti ma quasi; questa volta si parlano a distanza di telefono ma attraverso la nostra mediazione. Allora partirei con Mirco De Stefani che ha avuto la costanza, la pas-sione, l’interesse continuo nei confronti della poesia di Zanzotto che lo ha portato alla conclusione di questa trilogia. Ecco, Mirco, alla fine di questo lavoro che ti ha accompagnato per tanti anni, quando è cominciato il lavoro sulla poesia di Zanzotto? So che ci sono stati altri episodi prima della trilogia, ma partendo pro-prio dal Galateo in Bosco…

MIRCODESTEFANIIl Galateo in Bosco è iniziato verso il 1987-88; si è conclusa que-sta trilogia con Idioma che ho finito di comporre nel 1993 – quindi la vedo già un po’ lontana nel tempo: ad essa ha fatto seguito un’altra diversa esperienza. Sono stati sei anni di piacevole lavoro, di approfondimento di tematiche che il poeta offri-va e che mi hanno portato non soltanto a scoprire contenuti nuovi nella poesia di Zanzotto ma a chiarire certe fasi dello sviluppo musicale che io andavo scoprendo proprio nel fare, nell’elaborare, nel costruire questa musica, creando quei sincroni-smi che potevano essere efficaci sia per la comprensione del poeta, del testo poeti-co, sia per l’autodisvelamento delle possibilità intrinseche alla musica stessa. BARBIERICerto. L’intonazione, io uso questa parola un po’ arcaica per parlare dei rapporti tra musica e poesia, perché francamente nessuna parola migliore mi pare che sia stata inventata fino ad ora; e poi è una parola molto bella: intonare, quasi come si partisse da dissonanze che vanno intonate, o comunque sussistono anche rimanendo dissonanze, non necessariamente diventando assonanze… Però, ecco, l’intonazione parte sicuramente da un dato primo, da un materiale primo che è la parola, o forse anche dagli interstizi tra le parole, dai silenzi, dalle pause, dai vuoti. Le parole, in questi tre episodi della pseudotrilogia di Andrea Zanzotto, non sono sempre uguali: sono parole che hanno un peso e un carattere, un profilo che cam-bia di episodio in episodio, di libro in libro, e adesso io non voglio fare finta di trop-po forzare – sarebbe paradossale – però, magari Andrea Zanzotto mi scuserà per la violenza, un po’, della sintesi… insomma ci provo. La parola di Galateo è sicura-mente una parola ribollente, è una parola che pulsa, una parola che butta fuori, che butta su; la parola di Fosfeni mi sembra, invece, una parola quasi più filamentosa, più gelida, più luminescente, meno pulsante; la parola di Idioma, alla quale riman-da l’episodio al quale arriviamo, è una parola che riassume dentro di sé tante paro-le, tante lingue: la lingua privata e la lingua pubblica, la lingua intima che introflet-te, ma anche la lingua che pure ‘butta fuori’ i vari idiomi, i diversi idiomi. Ecco, tu Mirco, hai tenuto presente questi diversi spessori della parola e ti sei comportato di conseguenza? Oppure la tua attenzione più che alla parola è andata alla struttura, per esempio, delle raccolte – altra scelta legittima; insomma, vorrei sapere come ti sei comportato nella differenza, nel differenziare l’intonazione di questi tre libri. DESTEFANII primi due libri, Il Galateo in Bosco e Fosfeni, non hanno una vera e propria strutturazione interna, presente invece in Idioma, che è strutturato proprio in tre parti, con al centro la parte dialettale. Ma, al di là di questo, direi che ogni 76 G U I D O B A R B I E R I

parola di Zanzotto possiede un potenziale energetico quasi infinito: da essa si può partire per sviluppare, attraverso percorsi più o meno complicati, più o meno con-torti, più o meno autoriflettentisi in diverse direzioni, quell’alone che è il vero campo di interesse della musica. La musica dovrebbe cioè, al di là del contenu-to, al di là della strutturazione del verso e anche dell’opera nella sua interezza, cercare di ricavare dalle parole che il poeta usa e dalle loro interazioni, ciò che in esse è detto ma che non è detto: ecco, dovrebbe aggiungere un qualcos’altro per poter andare al di là dell’idioma, del significato intrinseco, letterale della parola, per utilizzare la forza concentrata come un potenziale biologico all’inter-no della parola, per sviluppare da essa ciò che solo il musicista può fare con i materiali che ha a disposizione, con le strutture che riesce ad elaborare, a descri-vere. E questo è veramente, credo, il lavoro più importante, più appagante, più interessante, che possa stare al centro di un rapporto di collaborazione creativo tra la musica e la poesia. C’è sempre un sottofondo di violenza, in fondo, che forse il poeta può ricevere, può subire da parte del musicista; tuttavia, penso che