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Osservazioni a margine per un’analisi futura 1

DI STEFANO PROCACCIOLI

Premesse2

Il presente intervento persegue un fine particolare. Volendo illustrare l’utilizzazio-ne di alcuni versi di Andrea Zanzotto all’interno di L’esequie della luna di Francesco

Pennisi,3si cercherà di delineare alcuni tratti essenziali di quest’opera, quasi a

pre-ludio di una sua vera e propria analisi. Non si vuole pertanto tentare di esporre un’analisi completa ed esaustiva; anche alla luce delle sole premesse che verranno esposte in seguito, appare subito chiaro che l’operazione risulterebbe di una com-plessità tale da prevedere dimensioni che esulano dalla presente destinazione ma, anche e soprattutto, di grandissima ‘delicatezza’. Date le premesse pertanto, foca-lizzeremo la nostra attenzione su alcuni dettagli che, emergendo spesso dalla trama musicale, tendono a diventare veri e propri segnali sonori che possono essere inte-si come inte-sintomi dell’einte-sistenza di strutture muinte-sicali senza, al contempo, rivelarne direttamente la natura. Paradossalmente, l’oggetto principale di questo interven-to, l’utilizzazione dei testi di Andrea Zanzotinterven-to, comparirà solo alla fine. In effet-ti, nel mondo espressivo nel quale ci accingiamo a entrare è quasi impossibile comprendere il senso delle parti che lo costituiscono se di esso non se ne pren-dono in considerazione le peculiari caratteristiche generali e viceversa. Per que-sto motivo, il modo di procedere sarà forse un po’ singolare. Dopo un brevissi-mo accenno ad alcuni aspetti più generali, osserverebrevissi-mo prima la parte dell’ope-ra all’interno della quale compare il breve momento che ci interessa più specifi-catamente; passeremo quindi a una breve descrizione di alcune relazioni che è possibile riscontrare tra la sezione esaminata e l’inizio della composizione; solo alla fine arriveremo a una più dettagliata trattazione del momento ‘zanzottiano’ che, alla luce delle osservazioni esposte, risulterà quindi meglio comprensibile. Proprio per la particolare struttura del suo percorso, questo lavoro può quindi esse-re letto, oltesse-re che come un’indagine sull’utilizzazione dei testi di Andesse-rea Zanzotto

1Dedicato alla memoria di Francesco Pennisi nel quinto anniversario della sua prematura scomparsa. Ringrazio senti-tamente la mia cara Elisa, i miei familiari e il mio caro amico Paolo Longo, senza i quali questo mio lavoro non sareb-be potuto giungere a compimento.

2Il presente lavoro è stato concepito per rivolgersi anche a una platea non necessariamente addentro alle cose della cosiddetta ‘musica contemporanea’. Questa mia precisazione vuole spiegare, almeno in parte, la presenza, soprattutto nelle note, di un certo mio dilungarmi, forse un po’ pedante, su questioni riguardanti alcune concezioni della forma musicale piuttosto che altre. Questo è dovuto alla volontà di cercar di illustrare il più chiaramente possibile, pur nel breve spazio dell’articolo, la poetica del compositore anche a chi non lo conosce; questo è infatti un presupposto irri-nunciabile alla comprensione dell’utilizzazione da lui fatta dei versi di Andrea Zanzotto.

all’interno de L’esequie della luna, anche come una sorta di preparazione all’analisi vera e propria di quest’opera che per molti aspetti pare volersi porre come vero e proprio

paradigma del mondo espressivo pennisiano.4

Alcuni aspetti della poetica di Francesco Pennisi

Quando incontrai Francesco Pennisi io, giovane compositore, rimasi subito affasci-nato da quella figura così inusuale di musicista che sembrava così lontano dalle soli-te questioni ‘masoli-teriali’ della musica e che, al consoli-tempo, era capace di essere così umanamente ‘vicino’; così profondamente assorto negli aspetti più sottili e alti della Cultura e al tempo stesso così vicino a chi entrava in contatto con lui; una figura che talvolta non sembrava nemmeno un musicista talmente vasti e paritari erano i suoi interessi culturali. Fu inevitabile per me tentare di approfittarne e finire per chie-dergli se fosse stato disponibile a tenere uno o più incontri in Conservatorio duran-te i quali proporre alcune analisi di sue composizioni. La risposta fu spiazzanduran-te, tal-mente sorprendente che la ricordo ancora quasi esattatal-mente: «Non so se la mia musica sia analizzabile». Cosa intendeva dire Pennisi con questo? Veramente nelle sue opere non erano ravvisabili procedimenti di ‘costruzione’ della musica? Evidentemente no, la musica di Pennisi infatti mi ‘parlava’, per cui

un’organizza-zione del materiale che guidava l’ascolto ci doveva essere.5

In quel momento non mi soffermai troppo sulla questione, ma quando mi accinsi a iniziare questo lavoro invece, l’episodio appena citato mi tornò subito alla mente, quasi prepotente. Col tempo infatti avevo imparato a conoscere un po’ meglio Pennisi e il suo personalissimo mondo sonoro, ma l’osservazione di quest’opera mi pose di fronte alla necessità di mettere a fuoco, almeno in parte, quegli elementi ai quali di solito si fa sempre riferimento in maniera molto più generica. Se infatti parve subito impossibile risalire a un qualsiasi sistema rigidamente organizzato di elaborazione delle altezze, e la cosa non mi stupì affatto, alcuni elementi tendevano

4Mentre ero intento a lavorare su questo articolo, mi capitò di parlarne con il mio caro amico Paolo Longo, giovane compositore triestino, pluripremiato in concorsi internazionali, pianista e direttore. Egli molto gentilmente mi comu-nicò subito alcuni frammenti tratti da lettere che Pennisi gli spedì dopo che ci eravamo conosciuti in occasione dell’e-secuzione di Cartolina dall’ombra del faggio, brano che Pennisi compose per il ‘Taukayensemble’, gruppo musicale dallo stesso Longo diretto oltre che, assieme allo scrivente, fondato. Uno di questi frammenti riguarda proprio L’esequie della luna e conferma questa mia ultima supposizione: «...spero che nel frattempo le sia arrivata da Ricordi qualche mia par-titura, spero Le esequie della luna [sic.], che è una sorta di summa del mio fantasticare...». Da una lettera a Paolo Longo datata 27 dicembre 1998.

5Questo mio riferirmi all’importanza dell’ascolto vuole ricollegarsi direttamente alla precisa posizione che caratteriz-zava Pennisi a tal proposito. È interessante infatti notare quanto esso fosse importante per il compositore; è questo che per lui rappresenta la realizzazione concreta finale dell’opera e che dà ragione dei suoi processi costitutivi: «Chiunque, ascoltando una musica, se davvero è una musica, ne coglie la giustificazione». DINOVILLATICO, Colloquio con Francesco Pennisi, in AA.VV., Orestiadi di Gibellina 1991, a cura di Roberto Doati, Milano, Ricordi & C., 1991, p. 75. A tal pro-posito si veda anche la nota n. 11. Ovviamente, nel nostro caso non si tratterà di illustrare solo alcuni tra gli elementi che macroscopicamente possono influenzare tali dinamiche, ma anche alcuni aspetti che potrebbero concorrere all’in-staurarsi di una coerenza più nascosta della musica.

a manifestarsi come presenze significative in maniera determinante, ma anche incre-dibilmente sfuggente.

Non era quindi possibile comprendere meglio su quali principi costruttivi generali poggiava questa musica se non si mettevano meglio a fuoco quegli elementi musi-cali che potevano rivelarsi importanti per la dinamica dell’opera. Paradossalmente però, per fare questo, quest’ultima andava al tempo stesso considerata anche su un piano più ampio, tenendo sempre in considerazione gli aspetti sui quali si fonda la poetica generale dell’autore che determina il contesto all’interno del quale tali ele-menti acquistano il loro senso.

A cosa si riferiva allora Pennisi con «non analizzabile»?

Quando manifestava il dubbio sulla possibilità di analizzare la sua musica, egli vole-va sicuramente intendere che in essa non è possibile riscontrare un rigido e obbiet-tivo procedimento di manipolazione delle altezze, un qualsivoglia sistema razional-mente organizzato secondo schemi in qualche maniera (pre)stabiliti e destinato a far

sì che la musica manifesti specifiche proprietà geometriche.6Posto di fronte al

pro-blema rappresentato dalla scelta della chiave da utilizzare per leggere questa musi-ca così affascinante, interpellai anche Robert W. Mann, che di Pennisi fu maestro; egli mi confermò una volta di più che questi fu sempre assolutamente restio a entra-re dettagliatamente nel merito di questo geneentra-re di argomenti così squisitamente tec-nici, quasi che questo fosse contro la sua natura; nel corso delle loro discussioni infatti, li aveva sempre evitati in maniera piuttosto decisa. Inoltre, proprio in

que-sta occasione il mio caro amico Paolo Longo7mi fece avere un’ulteriore

indicazio-ne diretta, iindicazio-nedita, di Francesco Pennisi.8Queste ulteriori testimonianze mi

indus-sero a mettere definitivamente in secondo piano ogni tentativo di analisi in tal senso

6Per cercar di comprendere meglio quanto Pennisi intendeva con la sua affermazione, conviene tener presente che spesso usiamo in modo indistinto parole che possono avere significati leggermente ma sostanzialmente diversi; termini come ‘struttura’, ‘forma’ e, di conseguenza, ‘analisi’ spesso sono usati sottintendendo di volta in volta vari significati e questo può creare una certa confusione. Con la parola analisi si intende, il più delle volte, il risalire ai processi di orga-nizzazione delle altezze attuati dal compositore per gestire il proprio materiale ma, storicamente, soprattutto in ambi-to scolastico, tanambi-to più questi manifestano proprietà ‘simmetriche’, ‘matematiche’, ‘geometriche’, tanambi-to più vengono inconsciamente percepiti come ‘portatori di senso musicale’ e, contemporaneamente, come termometri dell’esattezza dell’analisi stessa. Questa concezione è, logicamente, solo una delle possibili, ma rappresenta una parte ‘pesante’ del-l’eredità giunta fino a noi dal passato e viene spesso ‘frequentata’ in maniera rigida e spesso riduttiva ancor oggi. Pennisi, quando mi rispose, aveva in mente con tutta probabilità questo significato che, come vedremo, risulta del tutto insufficiente se riferito alla sua poetica. Riguardo a questo, lo stesso Pennisi infatti ci dice: «A me stesso riesce difficile analizzare le mie partiture, almeno in senso strutturalistico. Il che non significa che manchino di struttura: che dire? Come Debussy, si parva licet, amo nascondere i punti che sorreggono la costruzione. Ma il nascondimento non è l’as-senza. E, del resto, che cosa è la struttura?». VILLATICO, Colloquio con Francesco Pennisi cit., p. 75.

7Cfr. nota n. 4.

8«La mia non è musica di progetto – ovvero non è costruita con serrati criteri strutturalistici – se non per quel delimi-tare un’area entro la quale muoversi: l’organico, l’andamento generale. L’irrinunciabile rigore rimane in un controllo delle altezze, per mezzo di una serie di gabbie. Il totale cromatico appare sempre nello stesso registro per poi uscire dalla gabbia ed entrare in un’altra, costituendo così tra loro un nuovo ordine congelato nello stesso o in un altro regi-stro. Devo ammettere che, spesso in segmenti rapidi, mi consento di violare con cautela queste regole, che quindi costi-tuiscono un falso meccanismo, ma un vero controllo di una materia sempre duttile. Nessuna analisi avrebbe senso in questa direzione, ed una ricostruzione di queste ‘gabbie’ spiegherebbe ben poco». Da una lettera a Paolo Longo data-ta 10 [?] marzo 1999.

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e a focalizzare maggiormente l’attenzione su altri dettagli, più generali forse, ma non per questo meno significativi. Anche la sola lettura congiunta della partitura e del

programma della manifestazione per la quale la composizione fu concepita, infatti,9

ci conferma una volta di più come tutto risponda a una volontà e a una poetica ben precise (cfr. le citazioni presenti nelle note n. 6, n. 8, n. 11 e n. 18). Tuttavia, se cer-care a priori ‘certe’ cose può significer-care tradire l’autore stesso che ha operato con-sapevolmente per evitarle o nasconderle, ciò nondimeno il tentativo di mettere in luce i sintomi più evidenti della probabile esistenza di strutture soggiacenti l’opera musicale può aiutarci a rendere ancora più chiara la natura dell’atto creativo di un autore che in più di un’occasione ha sottolineato il suo essere figlio sia dello strut-turalismo che dell’alea.

Alcuni aspetti generali

Nel breve percorso che ci accingiamo a intraprendere ci aiutano moltissimo le paro-le che lo stesso autore antepone alla partitura musicaparo-le. Riferendosi ai testi di Lucio Piccolo sui quali si basa l’impianto del libretto scritto da Roberto Andò, Pennisi dice di collocarli «in quello spazio vertiginoso dove ombre inquiete si allungano fino a non potersene vedere i confini [...] nel quale da sempre si muove la lettera-tura in Sicilia»; definisce L’esequie della luna «difficilmente ascrivibile a una preci-sa categoria» poiché «la forma come non mai qui si confonde con la visionaria sostanza»; considera il lavoro come «lunga didascalia cangiante di volute barocche, di parole suggerite e non scritte»; parla di «magmatica e fascinosa materia teatrale», di «una materia [...] in molti parametri indefinita».

Mancanza di confini, spazi vertiginosi, visionaria sostanza che si confonde con la forma, didascalia cangiante, volute barocche, parole suggerite e non scritte, materia magmatica, materia indefinita; è evidente che la mancanza di contorni precisi, di chiara e didascalica definizione di oggetti situazioni e azioni, è uno dei tratti carat-teristici di tutta l’impostazione poetica dell’opera. Forte e, soprattutto, consapevo-le è quindi il desiderio di evitare di ‘esplicare’, sia a livello verbaconsapevo-le e teatraconsapevo-le, «con parole aggiuntive dando voce precisa ai personaggi», sia a livello tecnico musicale, dato che lo stesso autore definisce per lui fondamentale la necessità di non fare del testo piccoliano ‘altra cosa’ e manifesta in maniera esplicita l’intento «di lavorare ‘altrove’ su ‘monti analoghi’, con la musica e con la visione, materializzando i

fan-tasmi che attraversano la pagina del poeta».10

Ecco che tutto questo è direttamente riconducibile al modo con cui Pennisi orga-nizza la sua musica.

9La sezione musicale della decima edizione delle Orestiadi di Gibellina (1991).

10In questi due paragrafi il testo citato è tratto sempre dalla prefazione che Pennisi antepone alla partitura.

L’indeterminatezza, la mancanza di contorni, l’allusione nella musica

A livello macro-strutturale manca, com’era prevedibile, una qualsiasi chiara e pale-se periodicità degli eventi; chiare riprepale-se più o meno elaborate di organismi macro-scopici sono di fatto assenti o quasi, ciò nonostante è possibile trovare agganci sono-ri che sembrano voler essere gli elementi stabilizzanti di una matesono-ria sempre mobi-le, indefinita, ma pur tuttavia riconoscibile e coerente; questi, oltre a vere figure musicali, possono essere di volta in volta singole altezze, intervalli, dettagli timbri-co-armonici, ritmici. Sostanzialmente, quindi, la musica sembra essere trattata come vera e propria materia che cambia continuamente il proprio stato fisico. La texture può allora diventare la classe operativa analitica predominante; all’interno di questa musica infatti, singoli elementi, anche molto semplici, possono acquistare il ruolo di punto di riferimento a seconda di come sono trattati dal punto di vista della distribu-zione nel tempo e nello spazio (sonoro).

Tutto ciò sembra qui essere gestito in maniera piuttosto libera, come fosse control-lato dal compositore più a livello intuitivo che su base razional-geometrizzante ma, in questo caso, sottolineo ‘come se fosse’ poiché proprio l’autore confessa il consa-pevole controllo del suo modo d’agire che si rivela conscio dell’esistenza di una componente intuitiva che prende parte all’atto creativo rendendolo in parte

inaf-ferrabile a lui stesso.11Questo modo di procedere non riguarda solo quest’opera;

Pennisi stesso infatti quando ci parla si riferisce alla sua musica in generale più che a una specifica composizione. Proprio perché tutto ciò rappresenta un aspetto generale della sua poetica, non vi sono quindi grossi ostacoli per il compositore nel-l’utilizzare anche brani preesistenti senza intaccare la coerenza generale della com-posizione; grazie alle caratteristiche più generali di questo mondo sonoro infatti, questi, se pur accomunati più da tematiche piccoliane che da specifici materiali musicali, risulteranno facilmente utilizzabili dal compositore senza correre il rischio

di intaccare l’organicità poetica e musicale dell’opera.12

A livello micro-strutturale, come già detto, manca la possibilità di percepire chiara-mente un meccanismo basilare di funzionamento. Indipendentechiara-mente da quale sia l’algoritmo di elaborazione delle altezze, se esiste, la materia che ne deriva non con-sente una chiara percezione, intuitiva, della sua ipotetica esistenza; al tempo stesso, però, essa presenta molti sintomi che fanno comunque percepire in maniera più sfu-mata che ‘c’è sotto qualcosa’. In altri autori, la percezione, per esempio, di mecca-nismi di permutazione in una qualche maniera ‘filtrata’, si instaura subito facilmente

11Pennisi infatti dice: «La mia è una musica di frammenti, che però vuole imporre una sua coerenza. La tecnica può essere frammentaria, la tecnica cioè del mosaico, ma il momento dell’ascolto è l’organica percezione di una costruzio-ne assolutamente coerente. La saldatura talvolta sfugge anche a me stesso: ma c’è». VILLATICO, Colloquio con Francesco Pennisi cit., p. 75 (vedi anche la nota n. 18).

12Sempre nell’introduzione alla partitura, lo stesso Pennisi dice: «Alcune di queste sezioni erano state composte pre-cedentemente, ma sempre nell’àmbito di un mio fantasticare intorno alle invenzioni piccoliane: mi riferisco a quel-la indicata con quel-la lettera E (Duetto e Orizzonte per fquel-lauto, chitarra e strumenti) e a una parte delquel-la lettera D intito-lata Due poesie di Lucio Piccolo, una delle quali è la riscrittura di una mia partitura cameristica del 1985, I mando-lini e le chitarre».

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all’ascolto anche se, ovviamente, non è possibile risalire all’esatto procedimento che la determina; in altri ancora, questa percezione è del tutto assente. Il caso di Pennisi è estremamente singolare poiché, se pur viene a mancare una chiara percezione dell’esi-stenza di specifici processi, i punti di riferimento sonori, i rimandi, gli agganci sono numerosi, talvolta palesi, il più delle volte sfumati, mascherati, ma non cancellati.

La sezione contenente il ‘frammento zanzottiano’

La sezione che osserveremo per prima è quella all’interno della quale compare il breve momento nel quale echeggiano i versi di Andrea Zanzotto. Come vedremo, nell’ambito de L’esequie della luna essa occupa una sede chiave e non è un caso quindi se porta lo stesso titolo dell’intera opera.

Sul piano teatrale è una delle sezioni più movimentate, ma non è certo questo il motivo della sua rilevanza; ciò che è veramente importante infatti è che essa vuole

rappresentare il «segno chiassoso dell’avvenuta catastrofe».13Dopo il primo

movi-mento infatti (Il sonno) che ha delineato il contesto generale, il secondo (Alla luna che viene) che ha condotto all’avvenimento centrale dell’opera – la caduta della luna – e il terzo (L’Orto delle Esperidi) che ne ha manifestato gli effetti, quest’ultimo (L’esequie della luna, appunto) sigla l’esaurirsi, l’estinguersi definitivo dell’atto. A rendere chiara questa funzione parteciperanno, in maniera determinante, proprio i versi di Andrea Zanzotto.

Alcuni dettagli musicali

La sezione in esame presenta alcuni dettagli che possono essere molto utili proprio a fine esemplificativo sia riguardo alle peculiarità della materia sonora pennisiana in sé, sia riguardo a quanto appena detto. Ecco quindi che il soffermarsi brevemente su di essa non ci consentirà solamente di fornire alcuni esempi di quanto affermato riguar-do alle tecniche musicali, ma ci permetterà anche di cogliere meglio il ruolo che i versi di Zanzotto rivestono al suo interno e, di conseguenza, all’interno dell’intera opera. Questo sarà possibile proprio in seguito all’individuazione di alcune relazioni con quanto accaduto ‘prima’, relazioni che contribuiscono a sottolineare musicalmente proprio la funzione che i versi stessi possono avere in senso più generale.

Sul piano complessivo il materiale sonoro è caratterizzato dalla una particolare qualità armonica. Essa prevede una personalissima utilizzazione ‘plastica’ del totale cromati-co. Fin dalla prima battuta compaiono tutti i suoni della scala cromatica, ma è molto evidente il diverso modo con il quale essi partecipano all’atto musicale; alcuni sono protagonisti (mi b, la, si b, do, re, fa#) altri sembrano quasi non voler apparire (sol#).

13Così Roberto Andò nella didascalia del libretto relativa a questa sezione.

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I V E R S I D I A N D R E A Z A N ZOT TO N E L’ E S E Q U I E D E L L A LU N A D I F R A N C E S CO P E N N I S I

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