CAPÍTULO 1: PROPUESTA DE TRADUCCIÓN DE EL HOTEL DE MÓNICA
5. Un angelo e tre fantasmi
Con tutte queste feste e tutti questi zii ti verrà da pensare che fosse difficile trovare il tempo per essere triste. A me però questo tempo non mancava. A volte, quando l’imbrunire e la pioggia si portavano via i paesaggi e le luci, io mi sedevo sulle scale dell’hotel e pensavo a mio padre. O mentre mi dondolavo sull’altalena ossidata del giardino sul retro ed il vento mi imponeva di socchiudere gli occhi. O quando premevo il naso contro il vetro e lasciavo vagare lo sguardo sull’orizzonte verde e nuvoloso. E in qualsiasi altro momento. Perché a volte l’immagine di mio padre arrivava senza previo avviso, come un raggio che mi attraversava e mi lasciava sospesa, facendomi credere che sarebbe entrato da un momento all’altro da quella porta, quella dell’hotel, e che avrebbe detto allegramente: —Ho fatto così tardi a causa di questa maledetta pioggia. Però non arrivava. C’erano giorni in cui guardavo così intensamente la porta della casa che tutti, inclusa mamma Leo, si voltano verso di essa e si creava un silenzio angelico, come diceva il nonno Aquilino. E in quei momenti sentivo dell’aria soffiare sulle mie guance, simile ad una presenza eterea ed amichevole. Io provavo dispiacere ma anche una felicità segreta perché notavo che, in qualche modo, mio padre era lì con me ed era quell’angelo di cui parlava il nonno. Sembrava che i miei fratelli l’avessero dimenticato, ma in effetti loro erano piccoli. Oltre all’angelo, che era mio padre, nell’hotel vivevano anche tre fantasmi. Li si sentiva ululare la notte e i loro passi facevano scricchiolare le assi di legno. Erano la nonna e i bisnonni. Questo era quello che diceva lo zio Servando, che era il maggiore e che sembrava molto saggio. Portava i baffi e provava a farli crescere lunghi quanto quelli del nonno, ma non ci riusciva. —Tutti morirono tra queste mura – diceva, cercando di trattenere la risata per qualche motivo che io non conoscevo –. E siccome furono tanto felici, si fermarono qui, piccola. Però non devi aver paura di loro, sono di famiglia. E quando si trovavano dei calzini spaiati o si moltiplicavano gli spazzolini da denti o sparivano bottiglie di vino e piatti della cena, lo zio Servando diceva: – Di nuovo i bisnonni! E alzava gli occhi al cielo sospirando con rassegnazione davanti all’insistenza dei brutti scherzi dei fantasmi.
Quindi l’hotel era pieno di vivi ed anche di morti, e tutti eravamo una grande famiglia. Nel frattempo, cominciò la scuola.
Mis hermanos y yo íbamos de la mano y nos mojábamos, porque casi siempre llovía. A veces llevábamos un paraguas y el viento lo empujaba tanto para arriba que parecía que íbamos a volar. Eso me gustaba; también los charcos que se formaban en el camino. Si podíamos, nos quedábamos un rato con las botas katiuskas enterradas en el barro, viendo los agujeros que formaba la lluvia a nuestro alrededor.
No sé por qué mojarse la cara y que haga viento produce alegría. En el colegio tuve que presentarme y me puse colorada.
Un día, de regreso a casa, tirando de las manos de mis hermanos, vi que un niño de mi clase nos seguía.
Lo vi más veces, y una tarde me armé de arrojo, puse las manos en jarras y me encaré. –¡Y a ti qué te pasa!
–Eres del hotel, ¿verdad? preguntó tímidamente.
Y entonces, de no sé dónde, salió una mujer muy grande, con las mejillas coloradas, el pelo corto y la cara cuadrada, como una pizarra. Llevaba un sobretodo azul y sus hombros y su pecho abarcaban todo el horizonte al que llegaban mis ojos.
–Pues claro que ye del hotel. No hay más que ver esos ojos negros – dijo con una voz gruesa y bien sonora.
Después le dio tal palmada al niño que casi sale volando.
–Tú yes la fia de Lali, ¿verdad, neña? Y estos, los tus hermanos. Asentí tímidamente porque aquella señora daba mucho respeto.
–Pues dale recuerdos a la tu madre de parte de María, la farmacéutica, la de los botes. Y dile que se acerque a haceme una visitina, ho.
–Sí, señora.
–No me llames señora, que voy date. Prefieru que me llames gorda a que me llames señora. ¡Vamos, Goyo, a la farmacia!
Y, agarrando de la mano al chico, desapareció por el camino embarrado. El niño, antes de echar a volar, me dedicó una sonrisa.
Io e i miei fratelli ci andavamo tenendoci per mano e ci bagnavamo, perché pioveva quasi sempre. A volte ci portavamo un ombrello e il vento lo spingeva talmente tanto in alto che sembrava potessimo prendere il volo. Mi piaceva; così come le pozzanghere che si formavano lungo la strada. Se avevamo tempo, ci fermavamo qualche minuto con gli stivali di gomma immersi nel fango, guardando i buchetti che formava la pioggia attorno a noi.
Chissà perché la pioggia sul viso e il soffio del vento producono allegria. A scuola dovetti presentarmi e arrossii.
Un giorno, tornando a casa da scuola, tirando mio fratello per le mani, vidi un bambino della mia classe che ci seguiva.
Mi capitò di vederlo più volte, così un pomeriggio mi feci coraggio, misi le mani sui fianchi e lo affrontai:
–Qual è il tuo problema?
–Sei dell’hotel, vero? Chiese timidamente.
A quel punto uscì da non so dove una donna molto grande, con le guance rosse, i capelli corti e il viso quadrato, come una lavagna. Indossava un impermeabile blu e le sue spalle ed il suo petto coprivano tutto l’orizzonte al quale arrivava il mio sguardo.
–Ma certo che è dell’hotel. Quegli occhi neri sono inconfondibili – disse con voce grossa e sonora.
Poi diede una pacca così forte al bambino che ci mancava poco prendesse il volo. –Tu sei la figlia di Lali, vero piccola? E questi i tuoi fratelli.
Annuii timidamente perché quella signora mi portava molto rispetto.
–Allora saluta tua madre da parte di Maria, la farmacista, quella dei vasi. E dille che passi a farmi una visita, eh.
–Sì, signora.
–Non chiamarmi signora, che ti strangolo. Preferisco che mi chiami cicciona piuttosto che signora.
Dai, Goyo, andiamo in farmacia!
E, prendendo il bambino per mano, sparì lungo la strada infangata. Il ragazzino, prima di volare via, mi dedicò un sorriso.
No sé por qué, aquella noche, mientras escuchaba el ulular de los fantasmas y sentía el ala de mi padre posarse en la almohada, pensé en aquel chico que se llamaba Goyo. Había algo en él que me gustaba, como si intuyera que iba a ser mi mejor amigo.
Non so perché, quella notte, mentre ascoltavo i fantasmi ululare e sentivo l’ala di mio padre appoggiarsi sul cuscino, pensai a quel bambino di nome Goyo. C’era qualcosa in lui che mi piaceva, avevo la percezione che sarebbe diventato il mio migliore amico.