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CAPÍTULO 1: PROPUESTA DE TRADUCCIÓN DE EL HOTEL DE MÓNICA

9. L’impiccione

ALL’INIZIO, con il nuovo ospite, la vita nell’hotel si fece semplicemente strana. Niente di grave. Tutti se ne andavano in giro un poco nervosi, e non per niente, perché quell’uomo risultò essere un impiccione, la zia Giovannina lo chiamava così. I canadesi dicevano:

–Lui piccione, sì.

E sorridevano socchiudendo i loro innocenti occhi canadesi.

L’ospite, che chiamerò signor X per non svelare la sua identità, lo vedevamo ovunque, con i suoi guanti bianchi e la sua valigetta. Ogni tanto tirava fuori un dito, avvolto in quella seta candida, e lo passava sui mobili, sui piatti, sul piano di cottura, e poi rimaneva a lungo guardandosi quel dito e scuotendo la testa.

Siccome era molto piccolo e camminava saltellando, capitava che lo perdevamo di vista. Ma quando meno te lo aspettavi lo ritrovavi dietro di te, spiando. Alla zia Violetta, che era la più paurosa di tutte, scappò un urlo più di una volta.

Il peggio però successe un venerdì in cucina. Ovviamente non eravamo ancora arrivati alla domenica.

Era venerdì. Lo zio Manolo, che si era messo una partitura nelle scarpe perché gli stavano grandi, stava tagliando la cipolla. Naturalmente, con il piagnisteo, gli venne voglia di cantare. Ovviamente lì c’era anche Currito, il nostro forense, che aiutava a pelare le patate, e appena sentì lo zio Manolo cantare, arrossì e cominciò a gridare: Che canzone è questa, perdìo! Questa non è maniera di cantare, Manolito!

E cominciò con una strofa:

così io mi arrendo,

la mia pazzia è talmente tanta, mi sento come una foglia portata via dal forte vento.

Dovevamo ammettere che quella strofa aveva un qualcosa, era come se fossimo tutti in mezzo a una tempesta di vento. La zia Giovannina ci spiegò che quella era poesia e fece gli occhi da

enamorada. Todos le sonreímos y estuvimos de acuerdo, aunque fuera una canción andaluza.

La tía Rosa ya iba a enroscar los brazos por bulerías cuando el tío Manolo, que veía más poesía en la suela de sus zapatos y en sus partituras arrugadas que en la canción del forense, cantó a voz en grito:

Aunque me cubra la nieve…

Si la nieve que cae cubre el sendero, ya no veré en el monte lo que más quiero. ¡Ay, amor! Si en la nieve resbalo… …qué haré yo.

Y era también bonito ese estribillo; por eso no entendimos lo que pasó.

De pronto, allí estaba el señor X, alzándose sobre las punteras de sus zapatos para parecer más alto. Ensanchaba el pecho y gritaba como un loco:

–¡Silencioooo! ¡Silenciooo!

Y a la tía Juanita, que ya tenía los ojos húmedos de tanta emoción, se le abrió la boca de puro pasmo. Y la tía Rosa, que comenzaba con un zapateado, se quedó petrificada con un pie en el aire.

–¡A partir de las ocho de la tarde en un hospedaje como Dios manda, no se hace ruido! – dijo el metomentodo, o sea, el señor X, o sea, el esmirriado ese.

Y guiñó mucho los ojos, que era un tic nervioso que tenía.

–Y si no se puede hacer ruido, ¿qué hacemos? – preguntó desconcertada la tía Rosa, recuperando la movilidad.

Todos nos miramos sin saber qué contestar. Al fin, mamá Leo dijo:

–¡Pues yo me voy a ver Copenhague! Y se fue.

Ese día cenamos la tortilla de patata con cebolla en silencio. –Ha pasado un ángel – dijo el señor X, haciéndose el simpático.

Y me dio tanta rabia que aquel hombre hablase de mi padre, que me levanté y me encerré en mi cuarto dando un portonazo.

innamorata. Tutti le sorridemmo e ci trovammo d’accordo, nonostante fosse una canzone andalusa.

La zia Rosa stava già per avvitare le braccia iniziando un ballo andaluso quando lo zio Manolo, che trovava ci fosse più poesia nelle suole delle sue scarpe e nelle sue partiture stropicciate piuttosto che nella canzone del forense, cantò a gran voce:

Anche se verrò sommerso dalla neve… Se la neve che cade coprirà il sentiero, non vedrò più sul monte il mio desiderio. Ah, amore! Se sulla neve scivolo… …che farò io.

Era anche un bel ritornello; per questo non capimmo cosa successe.

All’improvviso, il signor X si alzò sulle punte per sembrare più alto. Allargava il petto e strillava come un pazzo:

–Silenziooo! Silenziooo!

E la zia Juanita, che già aveva gli occhi lucidi da tanta emozione, aprì la bocca scioccata. E la zia Rosa, che stava cominciando con dei passi di flamenco, rimase pietrificata con un piede per aria.

–Dalle otto di sera, in un hotel come Dio comanda, non si fa rumore! – disse l’impiccione, ovvero, il signor X, ovvero, il piccoletto.

E strizzò gli occhi, era un suo tic nervoso.

–E se non si può fare rumore, che facciamo? –chiese sconcertata la zia Rosa, recuperando la mobilità.

Tutti ci guardammo senza sapere cosa rispondere. Alla fine, mamma Leo disse:

–Allora io vado a vedermi Copenhagen! E se ne andò.

Quella sera mangiammo la tortilla di patate e cipolla in silenzio. –È passato un angelo – disse il signor X, facendo il simpatico.

E mi fece tanta rabbia il fatto che quell’uomo parlasse di mio padre, che mi alzai e mi chiusi in camera sbattendo la porta.