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Angolo di scrittura e di inclinazione

L’angolo di scrittura del testo di PGM VIII, complice anche la scarsa competenza dello scriba, sembra mantenersi sempre costante, sebbene la pessima grafia renda difficile stabilire ciò con certezza.

Nonostante il ductus molto rapido, le lettere non sembrano presentare una spiccata inclinazione nonostante alcune irregolarità e addirittura qualche accenno di inclinazione a sinistra, sicuramente imputabili all’imperizia di chi scriveva.

In conclusione, PGM VIII si presenta come un testo particolare. Breve, per gli standard dei Testi Magici, potrebbe, forse, aver fatto parte di un rotolo più grande oggi perduto, ma non ci sono prove a riguardo. Presenta due incantesimi lunghi e complessi, uno dei quali contiene un Inno che sembra collegarlo a diversi altri esemplari della tradizione magica tardo antica. Punto dolente la scrittura che, a differenza della semplice, ma chiara scrittura di PGM IV, risulta rozza, disordinata e non priva di grossolani errori. Ciò sembra essere segnale di una scarsa formazione culturale dello scriba, per lo meno per quanto riguarda la cultura greca, fatto, questo, che sembra in linea con i mutamenti occorsi tra la fine del III e il IV secolo d.C., quando il numero di persone alfabetizzate crollò drasticamente e il calamo rimase un accessorio utilizzato abitualmente soltanto da ristrette minoranze di “addetti ai lavori”, impegnati all’interno di cancellerie pubbliche o stipendiati da ricchi privati per tenere traccia dei propri beni e dei propri affari167.

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3.3.3- L’INNO

L'Inno Magico qui presentato, catalogato da Karl Preisendanz come H.4, è un componimento per noi di grande interesse. Si tratta di un poema in esametri di poco più di venti versi dedicato ad Helios, il quale però, come è tipico della poetica e della devozione presentate all’interno degli Inni Magici e dei Papiri Magici, non corrisponde del tutto all'Helios "ellenico" della tradizione letteraria greca, ma fonde in sé caratteristiche proprie delle divinità solari egizie (Amon e Ra in primis168), nonché spunti monoteistici e "cosmici" tipici della riflessione filosofica e religiosa tardo- antica. A livello stilistico, si distingue per una forma metrica abbastanza corretta, fatto non sempre riscontrato in un Papiro Magico e per l'utilizzo di parole che rimandano alla tradizione poetica greca più antica, in particolare Omero. Infine, sempre su questo fronte si registra una certa convergenza stilistica con i cosiddetti Inni Orfici, una raccolta di componimenti in esametri legata al culto orfico e giunta a noi attraverso la tradizione manoscritta, di provenienza e datazione non del tutto chiarite169.

Un altro dato di grande interesse risulta dal fatto che l'inno H4 è conservato in ben 4 varianti, attestate in tre Papiri Magici differenti: le cosiddette Variante A e Variante B, in PGM IV, la variante C in PGM VIII, mentre un piccolo estratto del testo compare anche nell'Inno H.8 presente in PGM I. Le quattro varianti presentano un certo grado

168L'"egizianità" di certi aspetti dell'Inno verranno approfonditi nel commento, ma, intanto, si può dire

brevemente che dalla divinità solare egizia vengono mutuati soprattutto l'idea del dio come figura che nutre e protegge il devoto e il suo ruolo di garante, con la sua presenza e i suoi atti, dell'equilibrio cosmico. Tali aspetti, peraltro, non sono esclusivi della devozione egiziana, ma costituiscono alcuni dei tratti fondamentali delle divinità secondo l’interpretazione fornita all’interno degli Inni Orfici, testi che hanno più di un punto di contatto con i documenti di natura magica.

169 Peraltro, l’affinità linguistica e di contenuto con gli Inni Orfici non è esclusiva di questo inno. Anzi,

come già abbiamo potuto accennare all’interno del Capitolo 1, Inni Magici ed Inni Orfici presentano diversi punti di contatto per quanto riguarda la struttura e lo stile di composizione. È possibile che questa somiglianza sia dovuta ad un’imitazione deliberata dei testi orfici da parte dei compositori di testi magici, tuttavia ritengo più probabile che siamo di fronte ad una somiglianza dovuta a convergenza. Infatti, sia gli Inni Orfici che gli Inni Magici basano la propria struttura, e presumibilmente, almeno in parte, il proprio linguaggio su quella della preghiera devozionale in esametri, ossia inni di natura religiosa.

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di differenza, indizio, questo, di una certa distanza tra loro, segno, probabilmente, che un ampio divario le separa dall'archetipo comune. Andando ad effettuare una prima analisi testuale, si nota come le varianti A e B siano le maggiori e più complete, in particolare A contiene tutto il testo dell'Inno H.4, mentre C si compone di una sorta di "versione sintetica" e abbreviata dell'Inno stesso, condensata in poche righe. Il breve estratto presente in PGM I, infine, non ha nemmeno il rango di testo autonomo, ma si inserisce come interpolazione all'interno di un altro inno170. Osservando, poi, il contesto, cioè gli incantesimi in cui questi Inni si ritrovano, si nota come ognuna delle tre varianti faccia parte di una diversa formula magica: la variante A di H.4 fa parte di un incantesimo erotico, la variante B si inserisce all'interno dell'evocazione di un paredros, la variante C in un Oneiromanzia, infine, come già abbiamo detto, H. 8, che contiene un estratto dell'Inno Magico H.4, è il cuore di una Lycnomanzia171. Da ciò

possiamo dedurre, innanzitutto, come dovesse esistere una vera e propria "letteratura di genere", con testi circolanti ed interessati da una certa diffusione, almeno nell'ambito di nicchia dei praticanti di magia. In secondo luogo, notiamo che i testi magici possedevano una componente di fluidità molto interessante, di cui ritroviamo una similitudine, nella letteratura greca, solo all'interno dei Poemi Omerici, ciò in quanto un professionista, nello scrivere i propri testi, poteva avvalersi di Inni Magici utilizzati da sé o da altri per intenti diversi, come è il caso delle tre varianti di H.4 giunte fino a noi. Talvolta poteva succedere che non si volesse o non si ritenesse necessario ricopiare un intero inno e così da questo venivano estratti pochi versi, o anche uno solo, ed inseriti in altri componimenti, creati ex novo o "centoni" risultanti dalla fusione di versi presi da molti inni diversi.

170La stessa qualifica di interpolazione potrebbe essere errata, dal momento che, probabilmente non si

tratta di un'aggiunta posteriore ad un testo già composto, ma un'inserzione, quasi una "citazione". Situazioni del genere, dove singoli versi o anche piccoli gruppi, si ritrovano in più Papiri Magici sono abbastanza frequenti, evidenziando come gli anonimi "maghi-poeti" lavorassero soprattutto per compilazione, traendo i versi per creare i propri inni da una sorta di "serbatoio".

171Questo può essere osservato all'interno dei due volumi del Papyri Graecae Magicae, di Preisendanz,

oppure, se interessati alla sola traduzione inglese, nel volume unico Greek Magical Papyri in

Translation, curato da H.D. Betz, che ha il pregio di evidenziare in grassetto il titolo, e quindi la

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Può venire il sospetto che l'origine delle tre varianti di H.4 sia da reputare ad una derivazione da una (presumibilmente A, la variante maggiore) delle altre due. Alla prova dei fatti ciò risulta, in realtà, improbabile o comunque impossibile da dimostrare, per una serie di fattori. Il primo sta nella natura degli incantesimi di cui le tre varianti fanno parte, i quali, come abbiamo detto, sono tutti diversi negli intenti e nella forma, altro problema è di natura geografica e cronologica: i tre testi sono piuttosto lontani nel tempo, l'uno dall'altro e la loro origine geografica è ignota, per cui sarebbero potuti essere stati rinvenuti in luoghi molto lontani tra loro, in terzo luogo, incorrono differenze importanti tra le tre varianti, in particolare nel contenuto, dal momento che le tre versioni dell'Inno non risultano perfettamente coincidenti, possedendo ognuna linee di testo uniche e non riscontrate nelle altre varianti dell'Inno. Una simile manipolazione del testo poetico è indizio, a mio parere, di un lungo lavoro su di esso, iniziato magari secoli prima che l'Inno che noi conosciamo fosse ricopiato nei Papiri Magici in nostro possesso, che sarebbero una sorta di "ultima evoluzione" del lavoro di adattamento stilistico operato dai maghi, sul proprio materiale letterario. Penso, dunque, che, rispetto ad una derivazione diretta di una variante dall'altra, tramite copiatura (nel caso, ad esempio, lo scrittore di PGM VIII avesse ottenuto la sua versione dell'Inno copiandola da PGM IV e adattandola ai suoi scopi), sia più probabile che le tre versioni dell'Inno nascano da un progenitore comune, un archetipo, da cui si sarebbero separati tre rami, evolutisi indipendentemente l'uno dall'altro, che sarebbero stati all'origine delle tre Varianti A, B e C così come le conosciamo.

COMMENTO

vv.1-“Ἀεροφοιτήτων ἀνέμων ἐποχούμενος αὔραις”: L'incipit dell'Inno risulta di

particolare interesse: l'intero primo verso è dedicato ad una sorta di introduzione, in cui il dio viene evocato attraverso una perifrasi che lo identifica con sicurezza, senza tuttavia nominarlo apertamente. Infatti, il nome del dio compare solo nel verso successivo. Questo procedimento non è comune all'interno dell'Innografia in esametri: non è utilizzata da Esiodo, né dai cosiddetti Inni Omerici. Non si ritrovano esempi nemmeno nella prima poesia ellenistica, dal momento che Callimaco, nei suoi Inni, rispetta la maniera “tradizionale”, riservando sempre il nome della divinità protagonista del componimento al primo verso. Diverso esito dà l'osservazione degli

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Inni Orfici, raccolta miscellanea, di varia provenienza e datazione, di componimenti poetici provenienti dalla liturgia orfica, o meglio, dalle liturgie di diverse comunità orfiche indipendenti, messa assieme da un anonimo compilatore verso la fine dell'età antica. In questa raccolta, notiamo come buona parte degli inni presenti una struttura assolutamente analoga a quella dell'Inno Magico H.4 e, anzi, talvolta questo incipit “introduttivo” si estenda anche su più versi, occupando buona parte del componimento, mentre in certi casi il nome della divinità che viene fatta oggetto di venerazione è omesso del tutto172. Un altro celebre esempio di questo particolare modo di comporre può essere osservato nella letteratura latina, in particolare nell'incipit del De rerum natura di Lucrezio173 dove Venere, protagonista dell'Inno, prima ancora di essere nominata, viene descritta attraverso alcune caratteristiche che la rendono identificabile senza ombra di dubbio.

Non è chiaro se questo modo di procedere sia da ritenere un semplice vezzo poetico, o vi siano dietro ragioni più profonde. A questo proposito è necessario fare una premessa: gli Inni esametrici provenienti dalle fasi più tarde della letteratura greca, quali sono gli Inni Orfici o gli Inni Magici, sono privi della componente spiccatamente narrativa, ereditata dall'epica, che invece è parte centrale degli Inni Omerici, della Teogonia di Esiodo o degli Inni di Callimaco. In questo modo, i componimenti si risolvono, essenzialmente, in un lungo elenco di epiteti volti a magnificare la divinità al centro dell'invocazione. La dimensione più intima e religiosa di questa categoria più tarda è, a mio parere, evidente: l'idea di raccontare un avvenimento mitico o di

172Per l'osservazione di questi fenomeni, mi sono avvalso dell'edizione critica italiana degli Inni Orfici,

edita dalla Fondazione Lorenzo Valla e curata da Gabriella Ricciardelli. In particolare, le osservazioni di Ricciardelli sull'epoca di composizione e formazione della raccolta, che lei porta al III secolo d.C., risultano di particolare interesse, dal momento che della stessa epoca sono i maggiori Testi Magici ritrovati su papiro. Ciò sembra suggerire che l'influenza, spesso evidente, che gli Inni Orfici hanno sugli

Inni Magici, dal punto di vista stilistico, sia dovuta ad una vicinanza cronologica e forse anche

geografica, dal momento che almeno una parte dei poemi orfici della raccolta sembrano aver avuto la propria origine in Egitto. Una vicinanza ideologica tra questi tardi iniziati alla religione orfica e i maghi dei Papiri Magici, se non addirittura, in taluni casi, un'identificazione, è ipotesi affascinante sebbene impossibile da provare.

173 (Aeneadum genitrix, hominum divomque voluptas,/ Alma Venus (...))dove si può constatare con

chiarezza il come il nome della divinità sia messo in posizione incipitaria, ma nel secondo verso.

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trasmettere una forma di conoscenza o educazione è del tutto assente. Al centro del poema sta la divinità, onnipotente, cui l'uomo deve solo obbedienza, timore e riconoscenza. L'inno assume il connotato di una preghiera e come tale, la sua funzione principale sta nel venerare la divinità, ingraziarla per ottenere da lei aiuto e favore. In ciò, dunque, sarebbe da ricercare l'origine di una componente introduttiva più lunga, all'interno dei componimenti Magici ed Orfici: essendo innanzitutto preghiere, un'introduzione più lunga e celebrativa dei poteri del dio, risulta necessaria per renderlo propizio e “facilitare” la risoluzione delle preghiere dell'invocatore.

Se negli Inni Orfici siamo di fronte ad una scelta poetica consapevole, non è così sicuro che sia lo stesso all'interno degli Inni Magici. È possibile, infatti, che la responsabilità di questo particolare “stile”, se così lo vogliamo chiamare, sia dovuta al fatto che gli inni utilizzati all'interno dei testi magici sono spesso collazioni e integrazioni di poemi diversi, che vengono “tagliati e cuciti” addosso alla formula magica. Con qualche modifica e integrazione, lo stesso inno magico può comparire all'interno di incantesimi di natura molto diversa (come è il caso dell'Inno magico qui considerato). Risulta quindi possibile che l'invocazione al dio, normalmente presente in ogni inno in esametri, spesso sia assente a causa qualche taglio maldestro, o perché ritenuta superflua, dal momento che, all'inno magico viene fatto precedere, con una certa frequenza, un “titolo” in cui viene inserito anche il nome del dio che il mago intende richiamare per eseguire una specifica magia.

Lasciando da parte le interpretazioni testuali, è possibile notare come, a livello stilistico, questo primo verso presenti un accumulo di parole facenti riferimento all'elemento aeriforme: Ἀεροφοιτήτων, ἀνέμων, αὔραις174; legate alla presentazione della figura di Helios, come a voler accentuare l'appartenenza del dio all'aria non tanto come elemento atmosferico, ma come componente fondamentale della materia assieme agli altri tre principi primi della Fisica greca tradizionale, ossia Acqua, Terra e Fuoco. Queste parole servono, inoltre, per mettere in chiaro la superiorità, anche

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elementale, di Helios, rispetto ai comuni esseri umani che calcano la terra, laddove il dio muove i suoi passi nel cielo.

vv.2-Ἥλιε χρυσοκόμα: l'epiteto χρυσοκόμης, per quanto sporadicamente attribuito

anche ad altre divinità (Esiodo, ad esempio, lo utilizza in riferimento a Dioniso175, cerca a casa alcmane nei PGM), è in genere prerogativa di Apollo. Il fatto che, in questo inno, sia attribuito ad Helios sembra suggerire un'avvenuta identificazione, ormai completa, delle due divinità.

Διέπων φλογὸς ἀκάματον πῦρ: Bortolani ritiene che questo emistichio sia correlato,

o addirittura ispirato, ad alcuni versi dell'innografia tradizionale egizia, in particolare, in riferimento alla parola ἀκάματον, attribuita al fuoco, un epiteto che sembrerebbe rieccheggiare altri simili riferiti ad Horus176. In realtà, la parola metrica ἀκάματον πῦρ

è di uso molto antico e viene abbondantemente utilizzata già da Omero, seppur non in diretto riferimento ad una divinità (come, invece, succede in poeti successivi). Apollonio Rodio177 e Teocrito178 già lo usano anche attribuito alla divinità. In epoca più vicina al papiro, il nesso ha fortuna presso gli Orfici, è utilizzato da Quinto Smirneo179 e trova un'attestazione massiccia negli Oracoli Sibillini.

Pertanto, non posso che essere cauto rispetto alle affermazioni di Bortolani, dal momento che il nesso è talmente comune nella letteratura greca che non è necessario, per giustificarlo, ricorrere ad un'interpretazione egizia.

È possibile, infine, ravvisare in queste espressioni, in cui il fuoco appare come un elemento divinizzato, una certa influenza del mondo iranico sulla cultura greca. Ciò è plausibile, in quanto fin dalla fine dell'età arcaica i Magi persiani erano noti come gli adoratori del fuoco per eccellenza. Il gusto per l'esotico e la curiosità per le culture lontane, aveva reso queste figure estremamente popolari fin da età abbastanza antiche

175Esiodo, Theog. vv.947 ss.

176 Cfr. L. M. Bortolani 2016, pag. 163-164 per la trattazione estesa di quest'interpretazione del testo. 177Apollonio Rodio, Argonautica, Libro III, rigo 531.

178Teocrito, Idyll. XI, vv. 51.

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(cfr. Aristofane). È possibile, quindi, che le conquiste di Alessandro Magno e il successivo stabilirsi di un regno ellenistico, quello Seleucide, nella regione iranica, abbiano accentuato un interesse già esistente, facendo sì che espressioni "magizzanti", se così si può dire, entrassero nel repertorio dei maghi greci, tanto più che i Magi avevano fama di essere potenti incantatori; un sortilegio la cui origine fosse attribuita alla Persia, avrebbe di certo riscosso un grande successo e sarebbe stato ritenuto alquanto affidabile180.

vv.3- C in questo punto contiene l'interessante variante: "αἰθερίαις τροπαῖς μέγαν

πόλον ἀμφὶς ἐλάων” ossia "Che spinge il grande Polo in cerchi celesti". La concisione della frase, permette che essa sia interpretata in due differenti maniere: la prima interpretazione vede questo verso come un'allusione al moto del Sole attorno alla terra, secondo il modello tolemaico. L'utilizzo del verbo ἐλάυνω, richiamerebbe l'iconografia tradizionale del dio come guida del carro solare (immagine di grande fortuna, che fa risalire la sua origine almeno ad Omero). Un'altra interpretazione, piuttosto affascinante, attribuisce il moto non al Polo celeste, bensì al Polo terrestre, pertanto il dio del Sole farebbe muovere la Terra attorno a sé stesso, collocato al centro del creato. Tale teoria, che possiamo definire “eliocentrica” non sarebbe da intendere scientificamente, ma farebbe ugualmente parte di un complesso di credenze, in cui il Sole, la divinità principale, viene posto al centro del cosmo, in posizione preminente. Bortolani esprime dubbi sul fatto che, in questo verso, πόλον sia da intendere come l'Asse terrestre, secondo il suo significato usuale, per il fatto che, a suo parere, l'aggettivo che gli è attribuito, μέγαν, non sarebbe adatto ad identificare la parola in tal senso181, bensì sembrerebbe piuttosto suggerire che, in questo caso, πόλον stia ad indicare la volta celeste, che avvolge la Terra, separandola dai mondi iperuranici, un significato che è ben attestato all'interno della trattatistica astronomica e filosofica del

180A questo proposito, è interessante notare come Apuleio, nel De Magia, si difenda dall'accusa di

"magia" anche evidenziando il fatto di non essere Persiano, segno di quanto la "magia" fosse sentita, da Greci e Romani, come fortemente connotata sotto il profilo etnico. Ciò dovrebbe invitare ulteriormente a riflettere sulla reale rilevanza dell'elemento egizio nell'immaginario soprannaturale del mondo tardo- antico.

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mondo antico. Tuttavia, il verbo ἀμφιελίσσω, qui utilizzato, sembra comunque far riferimento ad un movimento rotatorio che mal si concilia con l'idea geocentrica del sistema tolemaico dove la Terra è un pianeta immobile attorno al quale ruotano gli altri astri. Secondo questa ricostruzione, se la Terra è avvolta da una sorta di sfera, a separarla dagli altri cieli, questa stessa sfera non può che essere immobile.

vv. 4- “γεννῶν αὐτὸς ἅπαντα, ἅπερ πάλιν ἐξαναλύεις”: l'idea, espressa in questo

verso, che il dio “sovrano” il quale è stato protagonista della creazione del mondo, sarà anche colui che ne decreterà la fine, è centrale all'interno della religione egizia, come non manca di sottolineare Bortolani182. In particolare, si sottolinea come l'idea di sovranità, nel pantheon egizio, appartenga alla divinità solare, ossia Amon-Ra, il più importante tra gli dei del paese del Nilo, creando così, un interessante parallelo con il nostro papiro, in cui il ruolo di divinità “sovrana” è espresso dalla divinità solare greca Helios.

È bene sottolineare, tuttavia, come questa tematica non sia esclusiva della cultura egizia, ma si riscontri anche nel mondo ellenico: a Eraclito sono attribuite le più antiche attestazioni di un simile pensiero, una delle massime che gli veniva attribuita era, per l'appunto, “ἐκ πυρὸς γὰρ τὰ πάντα καὶ εἰς πῦρ πάντα τελευτᾷ"183, che può

essere sommariamente tradotto come: “ogni cosa è generata dal fuoco e ogni cosa torna nel fuoco”. L'influenza del grande filosofo presocratico fu percepita dagli Stoici, i quali, nella propria costruzione filosofica, arrivarono a teorizzare come la divinità periodicamente creasse e distruggesse il mondo. Inoltre, pare che anche la religione

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