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Gli inni ad Apollo nei papiri magici: il caso di PGM I, PGM IV, PGM VIII.

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PREMESSA

Questa trattazione ha come obiettivo quello di studiare quattro differenti versioni di un Inno Magico in esametri, conservato in tre diversi papiri, nella fattispecie PGM I (Pap. Berol 5025 A-B), PGM IV (Pap. Supplément Grec 574) e PGM VIII (Pap. British Museum 122) secondo la nomenclatura usata da Karl Preisendanz, nella sua raccolta Papyri Graecae Magicae, che risulta essere il principale punto di riferimento di questa trattazione, per quanto riguarda la numerazione e l’ordine dei testi considerati. Si è scelto di concentrare l'attenzione su questi testi per la loro peculiarità, dal momento che essi contengono quattro versioni dello stesso inno in esametri: una variante completa e una “incompleta” (identica alla prima, solo con un numero inferiore di versi) compaiono in PGM IV, una versione più breve e con alcune differenze compare in PGM VIII, mentre PGM I ne conserva solo una porzione, integrata all'interno di un componimento innodico più lungo.

Tale comunanza viene giudicata come possibile indizio di una circolazione dei testi magici più ampia di quanto finora supposto dagli studiosi, fino a pensare come possibile una certa ramificazione all’interno della tradizione dei testi magici, a partire dalla prima età romana, se non già dall’ultima fase dell’età ellenistica. All’interno dell’ambiente degli esecutori di magia, ritengo che possa essere stata favorita la diffusione di alcuni inni e incantesimi particolarmente apprezzati, modificati e adattati secondo bisogno dai maghi stessi. Questa duplice caratteristica di compositori e fruitori del materiale non solo magico, ma anche poetico a loro disposizione permette, a mio parere, di “rivalutare” in un certo senso, gli incantatori dell’età tardo antica. Studiando, infatti, i testi magici anche nella loro dimensione letteraria, oltre che materiale e “professionale”, e in particolare gli Inni Magici, i quali sono, forse, la manifestazione della produzione magica che più si accosta alla letteratura, è possibile apprezzare lo sforzo dei poeti-maghi di creare un prodotto che non solo fosse “professionalmente esatto”, cioè rispettoso delle norme e delle regole della magia tardo antica, ma che fosse anche letterariamente accurato e gradevole.

Lo studio effettuato su questi tre papiri propone, innanzitutto, la presentazione di un testo greco che tiene conto degli studi più recenti e cerca di essere il più possibile libero da errori. Oltre a questo, sarà fornita una dettagliata descrizione dei tre documenti, comprensiva di analisi papirologica ed analisi paleografica, finora mai effettuata in

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maniera approfondita su nessuno dei tre testi e una traduzione in lingua italiana, anch’essa mai fornita prima d’ora. Chiuderà l’analisi, un commento grammaticale e letterario, svolto verso per verso, per ciascun papiro.

La trattazione prevede che a precedere l’analisi dei papiri siano due capitoli funzionali alla contestualizzazione dei papiri stessi, dei problemi affrontati nello studio di essi e del mondo da cui sono provenuti: il primo capitolo, introduttivo, sarà costituito da un paragrafo riguardante la storia degli studi relativi ai papiri magici e gli altri strumenti del soprannaturale nel mondo greco-romano, comprensivo di un elenco contenente una bibliografia dei principali testi di riferimento, nonché da un paragrafo in cui si parlerà della cosiddetta Collezione Anastasi, “bacino” da cui proviene la maggior parte dei testi magici di maggior interesse e dove verrà spiegata, e criticata, la teoria, tutt’ora condivisa dalla maggior parte degli studiosi che si occupano di questa branca della papirologia, che vuole la Collezione stessa, in tutta o in parte, provenire da un unico, fortuito, ritrovamento archeologico.

Il secondo capitolo riguarderà, invece, l’Inno Magico in quanto particolare manifestazione all’interno del più generale insieme degli inni in esametri, così tipico della letteratura ellenica. Verrà chiarito quale rapporto lega l’Inno al testo magico che di norma lo contiene e in che modo l’inno e il testo magico, per così dire, “in prosa” si influenzano vicendevolmente. Si analizzerà la struttura dell’Inno Magico, mostrandone i caratteri di novità, ma anche la continuità con il passato, rispetto alla grande tradizione precedente, con riferimento particolare agli Inni Omerici e agli Inni Orfici.

1- INTRODUZIONE

1.1- Storia degli Studi

Aprendo un libro di Storia della Filologia e un manuale di Papirologia, risulta abbastanza chiaro come l'analisi e la pubblicazione dei primi papiri inizi piuttosto presto, già con la nascita della moderna filologia, eppure lo studio di questi documenti, e in particolare quella specifica branca di papiri che presentano un contenuto di natura

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magico-religiosa, non ebbe un esordio, facile andando incontro a pregiudizi, scarsa attenzione, se non addirittura aperta ostilità1.

Un esempio per tutti è il celebre “Papiro di Artemisia”: pubblicato poco dopo la sua scoperta, nel 1826, pur essendo, allora, il più antico papiro in lingua greca mai

rinvenuto, suscitò ben poco interesse o curiosità nella comunità scientifica dell'epoca, finendo in un dimenticatoio da cui uscì solo nel 1882 grazie ad una nuova edizione, questa di maggior successo, ad opera di Friedrich Blass2.

Gli ultimi decenni del diciannovesimo secolo e i primi del ventesimo videro crescere l'interesse nei confronti dell'aspetto magico-religioso della società antica, fino a quel momento sostanzialmente trascurato. Di conseguenza, gran parte dei testi magici ritrovati grazie alle scoperte papirologiche vennero pubblicati proprio in questo periodo, culminando nella monumentale opera di Karl Preisendanz Papyri Graecae

Magicae, la quale, in due volumi usciti tra il 1928 e il 19313 forniva l'edizione critica,

con relativo commento e traduzione in lingua tedesca, di tutti i papiri magici fino ad allora rinvenuti. Questo fervore degli studi fu accompagnato da un gran numero di saggi e discussioni relativi all'argomento4. Tuttavia, anche questo periodo così favorevole non fu privo di contrasti, tanto che, ad esempio, un filologo del calibro di Wilamowitz non si astenne dal definire “Filologia barbara” (letteralmente “Botokudenphilologie”, dove i Botocunden erano una tribù, ora estinta,

1 W. Brashear 1996, pag. 372.

2 K. Preisendanz- A. Henrichs 1974, pag. 177.

3 Un terzo volume, previsto, non vide mai la luce a causa della guerra: nel 1943 la città di Lipsia, dove

aveva sede la prestigiosa casa editrice Teubner, venne severamente danneggiata e la copia del terzo volume dell'opera di Preisendanz, custodito all'interno dell’edificio, in attesa di essere stampato fin dal 1941, venne distrutto. Di esso sopravvissero solo alcune copie xerografate che, ricopiate, a partire dalla fine del conflitto iniziarono a circolare all'interno del mondo accademico.

4 W. Brashear 1996, pag. 372. Non è sempre possibile definire scientifico questo interesse, in quanto,

molto spesso, era legato alla moda per l'esoterismo e l'occulto che attraversò l'Europa alla fine dell'800 e che gettò un’ombra di pregiudizio su questa branca degli studi antichi che per certi versi perdura tutt'ora

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dell'Amazzonia orientale5) i lavori compiuti da H. Usener6 e A. Dieterich7, pionieri nel campo degli studi sull'occulto e sulla religione antichi.

L’inizio di questo periodo di maggior attenzione da parte della comunità scientifica non solo dell’ambito magico-religioso antico, ma anche dei papiri che ne davano tangibile e diretta testimonianza, può essere ricondotto al momento in cui lo studioso C. Reuvens nel suo Lettres à M. Letronne commentò insieme al collega, allora direttore dell'École nationale des chartes, una parte del contenuto di un papiro dell'Università di Leida noto come J 3958 , ora conosciuto anche come PGM XIII. Nonostante questo, passeranno quasi quarant'anni prima di vedere l'edizione completa di quel papiro ad opera di C. Leemans, che ne fece anche una traduzione in latino9. Fu poi la volta di W. Goodwin, che, nel 1853, pubblicò per la Cambridge Antiquarian Society il Pap. British Museum 46 (PGM V) e di G. Parthey che, nel 1865, pubblicò due papiri magici custoditi allo Staatliche Museen di Berlino: Pap. Berol. 5025 e Pap. Berol. 5026 (PGM I, PGM II)10.

Dopo un periodo in cui non si registrano pubblicazioni di particolare rilievo, il papirologo viennese K. Wesseley, tra il 1888 e il 1893, curò l’edizione di gran parte dei papiri magici ancora inediti: Pap. Supplément Grec 574 (PGM IV)11, i papiri

londinesi Pap. British Museum 121, 122, 123, 124 (PGM VII-X)12, nonché una nuova edizione del Papiro Mimaut (PGM III13) e Pap. British Museum 46 (PGM V14). Indipendentemente da Wesseley, anche lo studioso F.G. Kenyon curò l'edizione dei Pap. British Museum 121-124, nel 1893.

5W. Brashear 1996, pag. 373 Citando una notizia riportata da Pfister.

6 Tra le opere più rappresentative di Usener nel campo dello studio delle religioni antiche voglio

ricordare: Religionsgeschichtliche Untersuchungen, del 1889 e Götternamen: Versuch einer Lehre von

der Religiösen Begriffsbildung del 1896.

7 Mi riferisco, nello specifico, ad Abraxas: Studien zur Religionsgeschichte des spätern Altertums,

saggio del 1891 e Eine Mithrasliturgie, del 1903, di cui verrà fatta menzione anche in seguito.

8 W. Brashear 1996, pag. 375. 9 H. D. Betz 1986, pag. XLIII. 10H. D. Betz 1986 XLIII. 11 M. Zago 2010, pag. 65. 12 H. D. Betz 1986, pag. XLIII. 13 M. Zago 2010, pag. 63. 14 M. Zago 2010, pag. 67.

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L'ultima notevole opera di pubblicazione prima della raccolta di Preisendanz, nel 1925, fu il lavoro di Samson Eitrem, studioso norvegese editore di buona parte dei papiri acquistati dall'Università di Oslo nel corso di diverse spedizioni in Egitto, ordinati nel corpus dei “Papyri Osloenses”, tra cui figurava anche un rotolo magico, acquistato nel 1920 nel Fayyum: Pap. Osloensis 1 (PGM XXXVI)15.

Tra gli altri studiosi degni di nota vanno menzionati: A. Audollent: epigrafista, archeologo e storico francese, specializzato nello studio del mondo romano. Egli curò, nel 1904, una monumentale edizione delle tabulae defixionum, tavolette metalliche incise contenenti maledizioni di vario tipo, che per la sua completezza rimase ineguagliata fino alle pubblicazioni più recenti16 e A. Dieterich. Professore ad Heidelberg, allievo di Usener, Dietrich si interessò alla mitologia greca e all'Orfismo ma alcune delle sue opere più rappresentative sono legate allo studio dei papiri magici: Abraxas: Studien zur Religionsgeschichte des spätern Altertums (1891) un saggio di analisi su un importante papiro custodito a Leida, il Pap. Leidensis J 395 (PGM XIII). Altra opera di grande importanza fu Eine Mithrasliturgie (1903), in cui propose un’interpretazione particolare dei righi 475-863 del Pap. Supplément Grec 574 (PGM IV) secondo la quale essi sarebbero appartenuti ad una particolare formula liturgica mitraica, incontrando però la dura opposizione della maggior parte degli studiosi di mitraismo17.

Non meno rappresentativi di questi, sono F. Ll. Griffith e H. Thompson, che tradussero il papiro bilingue Pap. British Museum 10070/Pap. Leidensis I 383 (PGM/PDM XIV), diviso, a causa dell'avidità dei venditori, in due metà vendute rispettivamente al British Museum e all'Università di Leida18; A. D. Nock, eminente studioso nel campo dello studio delle religioni, in particolare dell'Ermetismo, che insieme a H.Thompson e H.I. Bell curò l'edizione demotica di un altro testo bilingue, toccato dal lavoro di Preisendanz per il solo testo greco, il Pap. British Museum 10588 (PGM/PDM LXI)19.

15 M. Zago 2010, pag. 74. 16 M. Zago 2010, pag. 191. 17 M. Zago (B) 2010, pag. 20 ss. 18 M. Zago 2010, pag. 73. 19M. Zago 2010, pag. 74.

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Dopo la pausa provocata dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, a partire dagli ultimi decenni del ventesimo secolo ha ripreso forza un vero interesse per il mondo del soprannaturale greco-romano, alimentando riflessioni non solo nel campo degli studi classici, ma anche dell'Egittologia, Ebraismo, degli studi sul cristianesimo antico, della Psicologia, della Linguistica e dell'Antropologia20.

Questo nuovo interesse ha permesso l'edizione o riedizione di numerosi corpora con il proposito di radunare in un'opera organica la maggior documentazione possibile su questi argomenti.

Presento, di seguito, un elenco delle maggiori pubblicazioni che recentemente hanno visto la luce:

1- Papyri Graeca Magicae, vol. I-II di K. Preisendanz, riedito, con aggiunte e aggiornamenti, da A. Henrichs tra il 1973 e il 1974, raccoglie tutti i papiri magici scoperti tra il 1826 e l'inizio della Seconda Guerra Mondiale. All'interno del secondo volume troviamo, inoltre, un'appendice relativa agli ostraka21 recanti un testo magico,

una in cui sono analizzati in maniera specifica gli inni, prevalentemente in esametri o trimetri giambici, ritrovati all'interno dei papiri22, raggruppati seguendo come principio ordinatore la divinità cui l'inno era dedicato e, infine, una serie di fotografie riferite a documenti contenenti disegni particolarmente elaborati di natura simbolica ed esoterica23.

2-Greek Magical Papyri in translation: di H.D. Betz: fornisce una traduzione inglese, ma non una nuova edizione del testo antico, di tutti i papiri già editi da Preisendanz e di diversi nuovi papiri, scoperti successivamente. Cosa interessante, la traduzione non si limita al solo testo greco, bensì comprende anche le parti in demotico non considerate da Preisendanz, restituendo a diversi papiri bilingui il loro carattere unitario24.

20 W. Brashear 1996, pag. 373.

21 K. Preisendanz-A. Henrichs 1974, pag. 233-236. 22 K. Preisendanz-A. Henrichs 1974, pag. 237-270. 23 K. Preisendanz-A. Henrichs 1974, pag. 271 ss. 24 H. D. Betz 1986, pag. LV.

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3-Supplementum Magicum, vol. I-II: edito da R.W. Daniel e Franco Maltomini, continua l'opera iniziata da Preisendanz fornendo edizione critica e commento a 130 documenti tra papiri, ostraka e lamellae rinvenuti tra il 1941 e il 1989. Non sono stati oggetto di studio per l'edizione testi contenuti su gemme e altri gioielli, così come oracoli, oroscopi e testi astrologici12.

4- Magische Amulette und andere Gemmen des Instituts für Altertumskunde der Universtität zu Köln: edito da E. Zwierlein-Diehl nel 1992 è un catalogo di trentotto gioielli, in particolare gemme, custoditi all'interno dell'Università di Colonia, con funzione di amuleto protettivo25.

5- Curse Tablets and Binding Spells from the Ancient World: lavoro monumentale di John Gager e del suo entourage, del 1992, mirante a catalogare gli oltre mille documenti, ritrovati sui più vari supporti scrittori, dalla pietra, al cuoio, al papiro contenenti maledizioni e malocchi provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo, dall'antico territorio dell'Impero Romano e dal Vicino e Medio Oriente26.

6- Oroscopi greci. Documentazione papirologica: raccolta di oroscopi greci, restituiti dai reperti papirologici, pubblicata nel 1992 ad opera di Donata Baccani27.

7- Greek magical amulets. The inscribed gold, silver, copper and bronze lamellae I: published texts of known provenance: opera di R. Kotansky comparsa nel 1993, raccoglie amuleti magici dalle varie funzioni, in particolare apotropaici e protettivi, composti da un testo inciso su una tavoletta metallica, fornendo un particolareggiato commento e una traduzione in lingua inglese28.

8- Magische texte aus der Kairoer Geniza I: opera nata dalla collaborazione tra P. Schäfer e S.Shaked, patrocinata dalla Freieuniversität di Berlino e dall'Università Ebraica di Gerusalemme, pubblicata nel 1994. Si presenta come la prima parte di un'opera in tre volumi destinata a contenere l'intero corpus dei testi in lingua ebraica

25 W. Brashear 1996, pag. 377. 26 W. Brashear 1996, pag. 380. 27 W. Brashear 1996, pag. 374. 28 Kotansky 1993, pag. XV.

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ed aramaica della Ghenizah29 del Cairo, con allegata per ciascun testo una traduzione in lingua tedesca30. Ha messo in luce il grande tributo che la magia ebraica dovette, anche a distanza di secoli, a quella greco-romana.

9-Ancient Christian Magic. Coptic texts of ritual power: lavoro, pubblicato nel 1994, di undici studiosi coordinati da M. Meyer e R. Smith, è un'edizione critica di 135 testi copti, prevalentemente di età cristiana, su papiro o pergamena ed è la più grande raccolta finora disponibile di testi magici proveniente dalla letteratura tardo-egizia31.

Oltre a queste, altre opere moderne degne di nota che possono fare chiarezza sul mondo della magia e, in particolare, sui papiri magici sono:

-Tebe Magica e alchemica: opera di M. Zago, pubblicata nel 2010, che cerca di ricostruire la storia editoriale e l'unità originaria di uno dei nuclei più rappresentativi di papiri magici: la Collezione Anastasi.

-Magika Hiera di C.A. Faraone e D. Obbink, una raccolta di interventi di diversi studiosi, data alle stampe nel 1991, la quale si propone di dare informazioni e approfondimenti sulle diverse branche della produzione arcana, spaziando attraverso un arco temporale molto ampio, che va dalla Grecia classica al mondo tardo antico e considerando diverse branche della produzione magica, senza concentrarsi esclusivamente su quanto pervenuto attraverso i papiri.

-Arcana Mundi: è un’antologia di testi curata da G. Luck, in due volumi, il primo dedicato a magia, miracoli e demonologia, il secondo a divinazione, astrologia ed alchimia. Particolarmente interessante, in quest’opera, è l’accostamento di testi magici veri e propri, tavolette, papiri magici etc., a passi e citazioni della tradizione letteraria.

29 La Ghenizah è quella parte della sinagoga destinata a servire da deposito, principalmente delle opere

che trattino argomenti religiosi redatti in ebraico, divenuti inutilizzabili, in attesa che esse siano sotterrate in un cimitero, dal momento che è proibito categoricamente gettare documenti scritti in cui compaia uno dei sette Nomi sacri di Dio, ivi comprese le lettere personali e i contratti legali che si aprono con un'invocazione a Dio.

30 W. Brashear 1996, pag. 379. 31 W. Brashear 1996, pag. 382.

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Si cerca, quindi, di stabilire un fils rouge tra letteratura e magia o meglio tra il mondo magico e il mondo che meglio conosciamo attraverso la letteratura.

-Sorcers grecs di A. Bernard. In quest’opera, Bernard si prefigge di analizzare, nello specifico, la figura del mago osservandone l’evoluzione nel corso della storia greca antica, fino al trionfo del Cristianesimo. Inoltre, l’interesse dello studioso si rivolge a quelle opere letterarie in cui compaiono figure di incantatori ed incantatrici, con lo scopo di mostrare il legame, sottile, ma costantemente presente, tra magia e letteratura.

-Magical Hymns from Graeco-Roman Egypt: Ultima in ordine cronologico, ma non per importanza, opera di L. M. Bortolani, che fornisce, oltre ad una vasta trattazione sulla natura della magia in Egitto ai tempi della dominazione romana, traduzione inglese e commento di tutti gli Inni Magici presenti nella seconda edizione di Papyri Graecae Magicae di Preisendanz, mirando, in particolare, a legare questa letteratura con la precedente, antichissima, tradizione magica e religiosa egizia.

Questa ricca produzione relativa alla magia antica ha avuto il merito, inoltre, di delineare ed identificare i vari aspetti del mondo magico antico, incasellando ogni ambito (tabulae defixionum, manuali di magia greca, magia egizia etc.) in un proprio spazio, conferendo una precisa identità e direzione ad ogni disciplina di studio. Molto vi è ancora da studiare e da esplorare e la difficoltà nell’approccio e nell’interpretazione di molto materiale spesso è un grave ostacolo allo sviluppo della disciplina, tuttavia la strada è stata ormai ben segnata.

All’interno di questo modo, come detto, ancora in parte inesplorato, la nostra ricerca si propone di gettare luce, in generale, sul rapporto che lega gli Inni Magici come genere al resto della tradizione poetica e religiosa in esametri e in particolare cercherà di analizzare un Inno Magico particolarmente “fortunato”, nel senso che probabilmente doveva essere, in antico, piuttosto diffuso, per restituirne una dimensione letteraria, oltre che meramente magica.

1.2-La Collezione Anastasi

Prima di iniziare a parlare più diffusamente dei Testi Magici, ritengo sia opportuno gettare uno sguardo sull’uomo che permise all’Europa di conoscere questi Testi

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Magici, un uomo le cui azioni influenzano tutt’ora il corso degli studi: Giovanni Anastasi.

Di questa figura così centrale conosciamo in realtà molto poco, specie della prima parte della sua vita, prima del suo arrivo in Egitto32, tanto che è impossibile sapere con certezza anche solo come si chiamasse, dal momento che quello di Giovanni Anastasi era una sorta di nome d'arte utilizzato per rapportarsi con gli uomini d'affari e che modificava spesso, tanto da essere noto nei documenti anche con altri pseudonimi, Jean d’Anastasy o Yanni Athanasy33.

Sappiamo dai suoi, per molti versi autocelebrativi, diari che doveva essere figlio di un greco di Damasco, ma con legami commerciali con l'Egitto e che lui stesso nacque a Lemno, da cui si allontanò ancora giovinetto per seguire il padre nel paese del Nilo, attratti dalle opportunità date dal crescente interesse verso le antichità egizie cui la spedizione francese al seguito di Napoleone aveva dato vita34.

Grazie alla sua abilità negli affari riuscì prima a guadagnarsi il favore del Pascià e quindi farsi nominare console generale, una sorta di ambasciatore dotato di ampi poteri, per il Regno di Svezia e Norvegia nel 182135.

Approfittando dei contatti e della disponibilità economica che questo ruolo gli forniva, riuscì a creare un lucroso smercio di antichità, diretto in Europa, sia per compratori privati, sia per prestigiosi musei.

Nel corso della sua lunga “carriera” riuscì anche a costruire un’ampia collezione privata.

È importante sottolineare che oggetto principale di questo commercio furono soprattutto manufatti di vario tipo e oggetti preziosi, probabilmente perché più

32 Un merito particolare va a M. Zago, la quale tenta di ricostruirne la biografia tramite il confronto

incrociato tra diverse fonti dell'epoca cfr. Zago 2010, pag. 38 ss.

33 Dal momento che ciascuno di essi è un nome d’arte, in questa trattazione useremo sempre, per

semplicità, il nome di Giovanni Anastasi, nome con cui è comunemente citato nei testi italiani, sia nelle opere accademiche, sia nelle testimonianze dei contemporanei.

34M. Zago 2010, pag. 39. 35H. D. Betz 1986, pag. XLII.

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“appetibili” per i compratori privati e i musei europei in espansione, e non i papiri, che erano solo una piccola percentuale di tutto il materiale venduto e, per di più, i testi magici erano solo una frazione di questo insieme di documenti36. Pertanto, trovo alquanto impreciso e anche vagamente ironico che con il nome di “Collezione Anastasi” si faccia riferimento quasi esclusivamente a papiri di natura magica37,

ignorando o non tenendo conto del fatto che per questa “collezione”, se di questo si può parlare, passò un numero molto maggiore di documenti. Questo stato di cose, che considero una vera e propria leggerezza metodologica, è probabilmente da appuntare agli studiosi che per primi si interessarono ai papiri magici e alchemici commerciati da Anastasi e che, sulla base di alcune note e di collegamenti interni a dir poco labili e pretestuosi si lasciarono abbagliare dal miraggio di una “Biblioteca Magica Tebana” rinvenuta dall’avventuroso diplomatico. In questo modo, Collezione Anastasi e “Biblioteca Magica Tebana” finirono per diventare praticamente sinonimi, ignorando qualsiasi altro prodotto fosse mai passato tra le mani di Anastasi stesso.

Come è stato detto, Anastasi si arricchì con i suoi traffici, accumulando, nel frattempo, pare, anche una vasta collezione personale38 che, alla sua morte, venne battuta all'asta e suddivisa tra i maggiori musei del tempo (il British Museum, la Bibliotheque Nationale e il Louvre di Parigi, lo Staatliche Museen di Berlino e il Rijksmuseum di Leida)39.

Stabilire quali papiri abbiano fatto, originariamente, parte della Collezione Anastasi, o siano passati attraverso la mediazione del diplomatico greco, non è compito dei più facili. In questa trattazione cercheremo di delineare, in generale, il problema relativo all’attribuzione di testi alla Collezione e, nonché il dilemma dell’esistenza della Collezione stessa. Si cercherà di portare avanti un’analisi puntuale, facendo alcune

36 Ad esempio, come riporta Dosoo, nel 1839, Anastasi effettuò una vendita di, apre, 1326 oggetti, di

cui solo 44 erano papiri, pari solo a circa il 3% di tutto il materiale venduto. Cfr. K. Dosoo 2016, pag. 253-254.

37 A questo proposito, basti considerare che tra il 1828 e il 1839 abbiamo notizia che Anastasi vendette

almeno 191 papiri, divisi tra il British Museum e il Rijkmuseum di Leida, mentre nessuno studioso considera come parte della Collezione Anastasi più di venti testi. Cfr. K. Dosoo 2016 pag. 255-260 e Zago 2010, pag. 60 ss.

38 Per la notizia, cfr. M. Zago 2010, pag. 48 ss. 39 H. D. Betz 1986, pag. XLII ss.

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considerazioni ed ipotesi, sebbene il fatto che si tratti di una situazione assai complessa, che travalica il tema di questa trattazione, imporrà che lo studio non sia troppo approfondito. La natura privata e per certi versi clandestina di molte compravendite ha fatto sì che non sempre sia possibile ricondurre papiri attualmente facenti parte di questa o quella collezione museale alla loro originaria provenienza, o all’agente addetto alla loro vendita sul mercato europeo. Per quanto riguarda le collezioni private, ciò è ancora più difficile.

Concentrandoci sui soli papiri contenenti testi di natura magica o alchemica, che più interessano a questa trattazione, non si riscontra comunque un’unanimità di opinioni tra gli studiosi, bensì uno spettro abbastanza ampio di impressioni, che vede, da una parte, alcuni che vorrebbero attribuire molti testi, se non, addirittura, tutti i papiri magici o alchemici giunti dall’Egitto in Europa prima della seconda metà del 1800, alla Collezione Anastasi, dall’altra, personalità più scettiche che includono nella Collezione stessa solo quei documenti di cui sia possibile tracciare la provenienza per mezzo di fonti epistolari o documenti burocratici.

Senza entrare troppo nel dettaglio, attraverso documenti, notazioni di acquisizioni museali e notizie d’epoca fornite da epistole conservate40, segnaliamo che i Papiri

Magici che con una certa sicurezza passarono per le mani di Anastasi, sono: -Pap. Berolinensis 5025 (PGM I)

-Pap. Berolinensis 5026 (PGM II) -Pap. Supplément Grec 574 (PGM IV)

40 Per informazioni più dettagliate e precise, cfr. Zago, 2010, pag. 64 ss., che fornisce preziose notizie

riguardo la documentazione e i movimenti di questi testi, tenendo però presente che Zago tende a considerare come facenti parte della Collezione un numero molto elevato di papiri, usando considerazioni non sempre convincenti o determinanti. Un buon contraltare, per eventuali confronti, è Dosoo, molto più critico e più cauto di Zago nell’attribuire testi alla Collezione Anastasi (cfr. K. Dosoo 2016, pag.263-269), nonché Preisendanz, il quale ne Papyri Graecae Magicae fa numerose considerazioni ed ipotesi riguardo all’appartenenza o meno di diversi Papiri Magici alla Collezione. Infine, Garth Fowden, in Egyptian Hermes, fa una lista di testi che, secondo lui, apparterrebbero alla Collezione, senza, tuttavia, soffermarsi a lungo sulle motivazioni delle sue attribuzioni (G. Fowden, 1986, pag. 168 ss.).

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13 -Pap. British Museum 46 (PGM V)

-Pap. Leidensis V (PGM XII) -Pap. Leidensis W (PGM XIII)

-Pap. British Museum 10070 e Pap. Leidensis I 383 (PGM XIV / PDM XIV)

Altre trattazioni (che cito in nota41), servendosi di confronti linguistici (specialmente in quei documenti che risultano scritti, in parte o totalmente, in demotico o copto) e contenutistici, nonché delle carne informazioni tratte dai cataloghi delle collezioni, aggiungono altri testi a quelli sopra elencati.

Non è semplice capire quali documenti siano giunti in Europa attraverso la mediazione di Anastasi. Talvolta è possibile risalire all’operato del diplomatico greco attraverso fonti di prima mano (annotazioni di Anastasi, documenti d’asta del tempo, etc.) che provino in maniera sicura l’appartenenza di un documento alla Collezione, tuttavia, spesso simili fonti non esistono, rendendo l’attribuzione estremamente incerta. Proseguendo nella riflessione, lo stesso concetto e la stessa esistenza di una Collezione Anastasi potrebbe essere da riconsiderare nei suoi presupposti. Mi pare, infatti, che la Collezioni Anastasi manchi della finalità per cui normalmente una collezione va a costituirsi, ossia la volontà, da parte di un curatore, di radunare un certo numero di oggetti, legati da una qualche forma di analogia, in uno spazio comune, in quanto, come abbiamo avuto modo di constatare anche attraverso i dati documentari, la finalità del diplomatico greco non era quella di raccogliere reperti per “esposizione” o ostentazione privata, bensì su di essi aveva basato un vero e proprio commercio, su cui fondava le sue fortune economiche. Gli stessi reperti messi all’asta a Parigi, nel 1857, dopo la sua morte non erano altro che “merci” ancora da vendere. Collezioni sono, piuttosto, i luoghi in cui approdano i testi mossi da Anastasi, musei o case private.

41 In particolare, cfr. K. Preisendanz 1933, pag. 94; K. Preisendanz- A. Henrichs 1972 pag. 198 ss.; M.

Zago 2010, pag. 61 ss. per ritrovare informazioni e ipotesi sull’inserimento di altri papiri, oltre a quelli già elencati, all’interno del corpus della Biblioteca Magica Tebana. Rimando, invece, a K. Dosoo 2016, pag. 270 per un comodo schema di tutti i papiri di cui si sia ipotizzata l’appartenenza alla Biblioteca Magica Tebana, in cui vengono anche citati gli studiosi pro o contro l’attribuzione di un dato testo al corpus.

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Pertanto, ritengo che sia sbagliato attribuire ad Anastasi l’intenzione di creare una collezione organica.

Indubbiamente, il fascino di una figura pionieristica come, ai primi dell’800, Anastasi era, porta ad una certa influenza nel giudizio, però bisogna considerare che, probabilmente, finalità soprattutto economiche, piuttosto che umaniste o scientifiche, portavano Anastasi ad approcciarsi al commercio di antichità. Commercio che si svolgeva a tutto tondo, occupandosi non solo di papiri magici, ma anche, e soprattutto, di manufatti di artigianato e altri oggetti preziosi. Risulta, pertanto, a mio parere, difficile cercare un’unità nella Collezione Anastasi, poiché non era stata concepita per essere unitaria, bensì un insieme di oggetti e reperti rinvenuti, accumulati e rivenduti in Europa, secondo uno schema che, alla metà dell’800, non era ritenuto né insolito, né sconveniente. Lo stesso materiale messo all’asta a Parigi dopo la morte di Anastasi, nel 1857, non può dirsi tanto parte di un archivio privato, quanto piuttosto di merce in attesa di essere venduta, secondo uno schema che vediamo applicato dal mercante altre volte. Giudicare l’operato di Anastasi sotto la giusta prospettiva è, a mio parere, di importanza fondamentale per futuri studi e approcci sui testi da lui inviati in Europa. Prima di concludere definitivamente questo discorso, vorrei fare un’altra considerazione su un argomento complementare a questo, ossia sull’affidabilità di Anastasi in quanto fonte e, soprattutto, in quanto “archeologo”. Quando si parla di Anastasi e del suo lavoro nel raccogliere materiale archeologico42, si riscontra una tendenza a “elevare” la sua figura attribuendogli metodi e professionalità “moderne” tipiche di archeologi vissuti molti decenni dopo di lui. Eppure, egli, da come traspare dalla sua stessa biografia, non aveva compiuto alcuno studio, non aveva formazione accademica di alcun tipo e il suo apprendistato era avvenuto, per così dire, “sul campo” a seguito dell’archeologo Henry Salt, che aveva accompagnato come interprete.

42 In questo discorso sulla presunta figura di un Anastasi “archeologo” faccio riferimento soprattutto

alle ricostruzioni di

Preisendanz (cfr. K. Preisendanz 1933, pag. 91-95), al lavoro di Zago (cfr. in particolare Zago 2010, pag. 42-52), che ricostruisce, o per lo meno cerca di farlo, l’attività del diplomatico nella Tebaide, nonché il lavoro di Dosoo (cfr. K. Dosoo 2016, pag. 258 ss.), che fornisce anche dati numerici, che altrimenti sarebbero stati di difficile reperimento.

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Bisogna pensare che, nella prima metà del diciannovesimo secolo, periodo in cui opera Anastasi, l’archeologia era una disciplina ancora al suo nascere, ben lontana dal rigore scientifico e dalla precisione nella raccolta e conservazione dei dati che oggi è ritenuta così necessaria. Cercando, dunque, di delineare la figura di un archeologo dell’epoca quello che ci troveremmo davanti è qualcosa a metà tra un esploratore ed un cacciatore di tesori. Figure di questo tipo, quando si muovevano per spedizioni e campagne di scavo lo facevano con il preciso scopo di rinvenire oggetti preziosi, o luoghi di forte interesse simbolico, il fine principale era la fama e il guadagno. La precisione e la meticolosità nel raccogliere i dati, non solo non era richiesta, ma non doveva nemmeno essere ritenuta fondamentale.

Considerando tutto ciò, ritengo che le informazioni che Anastasi ci fornisce a proposito dei suoi scavi nella Tebaide e a Melfi vadano prese con le dovute cautele, senza contare, poi, che, avendo il diplomatico contatti con molti tombaroli e scavatori che svolgevano il ruolo di contrabbandieri, poteva risultare comodo per lui far risultare reperti di contrabbando come “reperti ritrovati” all’interno di scavi concessi in maniera ufficiale, onde sfuggire, così, a possibili sanzioni da parte del governo egiziano.

In conclusione, è bene guardarsi dall’attribuire ad Anastasi, ed in generale ad archeologi pionieristici dei primi anni del XIX secolo, metodologie moderne, applicando ad essi i nostri stessi metri di giudizio. È bene, piuttosto, cercare di portare queste figure nella giusta luce e nel giusto contesto storico, onde evitare di incorrere in errori di giudizio.

1.3-La Biblioteca Magica Tebana, un mito da sfatare

Le considerazioni e le riflessioni fin qui fatte a proposito di Giovanni Anastasi e del suo operato possono essere ritenute una sorta di introduzione a un interrogativo successivo, ossia se si possa dire con una certa sicurezza che sia esistita la cosiddetta Biblioteca Magica Tebana, vale a dire se possa essere considerato non solo plausibile, ma anche dimostrabile che Anastasi abbia ritrovato un consistente fondo papiraceo nel corso dei propri scavi tra le rovine di Tebe e le zone limitrofe.

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Per rispondere, è bene prima di tutto osservare quali siano state le motivazioni che hanno spinto a credere nell’esistenza di tale fondo. Esse possono essere divise, per semplicità, in tre categorie: motivazioni di ordine archeologico, di ordine contenutistico, di ordine linguistico e filologico. Procederemo analizzando di volta in volta ciascuna categoria, evidenziandone i punti di forza e le debolezze.

Con motivazioni di tipo archeologico, si intendono le modalità attraverso le quali i testi della Biblioteca Magica Tebana sarebbero stati rinvenuti, nonché considerazioni riguardo alla localizzazione, in origine, della Biblioteca stessa. Preisendanz, primo studioso a formulare l’ipotesi sull’esistenza della Biblioteca Magica Tebana43, fondava

la sua teoria unitaria anche sulla base di considerazioni di ordine archeologico. Avendo avuto modo di leggere i diari di Anastasi, non aveva potuto fare a meno di notare la lunga frequentazione, da parte del diplomatico, di diversi siti della Tebaide, iniziata almeno dal 1832, anno in cui giungeva in Europa il primo carico di testi magici dall’Egitto.

Tenendo conto della frequentazione tebana di Anastasi e sostenuto dalle informazioni rinvenute nei cataloghi d’asta della Collezione Anastasi, che rimandano quasi tutti alla Tebaide, Preisendanz arriva a supporre che egli abbia trovato, in uno dei suoi scavi, forse in una tomba, un fondo papiraceo unitario, che avrebbe poi negli anni venduto a pezzi nei mercati Europei. Tale teoria verrà accettata da tutti gli studiosi successivi che trattarono l’argomento, tanto che l’esistenza stessa della Biblioteca Magica e il suo ritrovamento in una tomba sono spesso considerati fatti ovvi e certi, senza alcuna riflessione critica, contro o a favore44.

43K. Preisendanz, 1933, pag. 91-95.

44 Ho notato come la riflessione si sia spostata non tanto sulla validità o meno della teoria, bensì sulla

natura del luogo di ritrovamento. Così, tra gli studiosi recenti, se Dieleman o Fowden sembrano dare credito a Preisendanz e alla sua teoria sul ritrovamento della Biblioteca in un contesto funerario (cfr. J. Dieleman 2005, pag. 40-41; G. Fowden 1986, pag. 168-173), di altro avviso sembra essere Zago, che, nel corso della sua trattazione, sebbene non rifiuti la teoria di Preisendanz, sembrerebbe piuttosto propendere per il rinvenimento di un deposito, in cui i libri di una biblioteca arcana, forse di un nucleo sacerdotale, sarebbero stati nascosti per sfuggire alla distruzione da parte di un organismo statale ormai cristianizzato, analogamente a quanto registrato a proposito della biblioteca gnostica di Nag Hammadi (cfr. M. Zago 2010, pag. 59-61 e 63-64).

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In realtà la teoria di Preisendanz, sebbene plausibile, incontra alcune difficoltà: la prima sta nella fonte che Preisendanz stesso utilizza come fondamentale, ossia Anastasi. Infatti, per quanto Anastasi, nei suoi diari, riporti notizia di diversi interventi e diverse scoperte, non fa mai menzione del ritrovamento di un fondo o di un sepolcro contenente molti testi magici. Tale silenzio risulta, a mio parere, sospetto, dal momento che Anastasi, lavorando, a Tebe e a Menfi, in scavi regolari e non clandestini45 non aveva particolari motivi per tacere su eventuali ritrovamenti archeologici. Pertanto, sebbene sia possibile che Anastasi abbia omesso una scoperta tanto importante come un fondo papiraceo di grandi dimensioni dai suoi resoconti, non penso che avrebbe avuto particolari motivi per farlo, dal momento che, anzi, un simile ritrovamento lo avrebbe reso famoso e non gli avrebbe impedito, come sembra postulare lo stesso Preisendanz e tutti gli studiosi successivi, di smembrare il fondo, una volta rinvenuto, e venderlo “a pezzi” ai migliori offerenti46.

Ammettendo che Anastasi avrebbe potuto tacere di una scoperta così importante per poter comodamente vendere il materiale attraverso i suoi canali commerciali, rimane, comunque per me non chiaro il motivo che lo avrebbe spinto a dilazionare la vendita in un così ampio arco di tempo.

Chiariamo questo punto: dai diari di Anastasi e dalle testimonianze di alcuni importanti interlocutori del tempo47, sappiamo di tre grosse spedizioni di reperti, sia papiri, sia, soprattutto, altri materiali, che Anastasi conduce dall’Egitto all’Europa: una nel 1827, destinata soprattutto a fornire materiale per il nascente Rijkmuseum di Leida, una a Londra nel 1838 e un’ultima nel 1846, di cui però non si hanno dati circa la natura

45 Cfr. M. Zago 2010, pag. 43-47 a proposito degli scavi frequentati da Anastasi e del suo rapporto con

le personalità europee impegnate in essi. Le considerazioni di Zago tendono a mettere in luce il fatto che, sebbene Anastasi possa aver avuto contatti con tombaroli e contrabbandieri, lui lavorò in prima persona sempre in scavi ufficiali.

46 All’epoca non esisteva una normativa precisa che regolasse il rapporto tra compagnie di scavo e paese

“ospite”, riguardo alla gestione dei reperti e la filosofia vigente può essere riassunta in un “chi trova, prende”. E se è vero che Anastasi era legato da vincoli professionali al regno di Svezia e Norvegia, questo non gli impedì mai di vendere il materiale da lui recuperato a privati, quali il protettore Henry Salt, o altri Stati, quali i Paesi Bassi o il Regno Unito.

47 Cfr. M. Zago 2010 (in particolare, le pagine 44-48), sia per i movimenti di materiali che Anastasi

compie dall’Egitto all’Europa, sia per notizie riguardo ai rapporti tra il console e importanti figure del tempo, quali Jean François Champollion, Henry Salt ed altri.

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delle merci e degli acquirenti. Nel 1857, o forse nel 1860, Anastasi muore e gran dei materiali ancora in suo possesso, compresi molti dei papiri che verranno etichettati come la cosiddetta Collezione Anastasi, vengono battuti all’asta a Parigi tra il 24 e il 27 Giugno del 1860.

Appare chiaro, quindi, che Anastasi operò il suo commercio antiquario attraverso molti decenni e che si dedicò alla vendita di papiri magici per un ampio arco di tempo, dal 1827 fino almeno al 1857. Tuttavia, non ritengo avesse alcun motivo per dilazionare in così tanti anni la vendita di un unico fondo di papiri, seppur accompagnato anche da altri documenti e oggettistica, come già rilevato48. È più plausibile, anzi, che Anastasi organizzasse spedizioni di materiale verso l’Europa ogni volta che gli fosse possibile, appena accumulato un sufficiente quantitativo di merce. Ricordiamo, poi, che egli non reperiva soltanto da sé i reperti che commerciava, bensì anche attraverso assidue frequentazioni con tombaroli e contrabbandieri, che possono aver fornito i suoi magazzini di materiale assai eterogeneo e proveniente da molti luoghi differenti. Ricordiamo, poi, che Anastasi non lavorò esclusivamente a Tebe, ma anche a Menfi e Abydos e che poteva contare su diversi collaboratori e affiliati, secondo quanto testimoniato da fonti oculari del tempo49.

Per quanto riguarda le motivazioni di tipo contenutistico, sono semplicemente insufficienti. Non è, infatti, sufficiente che una serie di testi abbia la stessa tematica, o siano affini per argomento e destinazione per postulare che abbiano un’origine comune. Analogamente, il fatto che alcuni inni magici o voces magicae si ripetano in più di un papiro, non è prova sufficiente ad attribuirli ad una produzione unitaria, ma piuttosto ad una tradizione comune. Sappiamo di voces magicae molto antiche e molto famose, capillarmente diffuse nei testi e nelle tavolette magiche di tutto il bacino del mediterraneo50. Inni magici celebri possono aver avuto un’ugualmente vasta diffusione.

48 Vedi nota n. 36.

49 Cfr. M. Zago 2010, pag. 43 ss.

50 Mi riferisco in special modo alle cosiddette Lettere Efesie, un insieme di sei lettere, prive di qualsiasi

significato apparente, che almeno fin dal IV secolo a.C., conoscono una grande popolarità e diffusione, come amuleti da incidere sui vestiti o ricopiare su piccoli amuleti. Per un approfondimento su di esse e circa le varie ipotesi effettuate sulla loro interpretazione e significato originario, rimando al lavoro di

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Per finire, le motivazioni linguistiche e paleografiche, particolarmente approfondite soprattutto negli ultimi decenni, sebbene possano far luce e magari anche permettere di collegare tra loro coppie di papiri, non permettono di legare tra loro corpora numerosi di testi, non avvalorando, di fatto, l’esistenza di una biblioteca magica. Trattando brevemente questo fatto, lo studio paleografico ha portato a ritenere con una certa sicurezza che due papiri magici della Collezione Anastasi, PGM/PDM XII e PGM/PDM XIV siano stati redatti da uno stesso scriba. Inoltre, lo studio linguistico dei due testi avrebbe evidenziato come essi siano stati composti utilizzando un dialetto tipico della regione di Tebe51. Ugualmente, venne notata da Preisendanz una certa

somiglianza tra la mano di PGM XIII e due papiri della Collezione Anastasi, conservanti ricette alchemiche, denominati Papyrus Homiensis e Pap. Leidensis X (i quali, non contenendo formule magiche in senso stretto, non sono entrati a far parte del Papyri Graecae Magicae)52. Tuttavia, queste permettono di legare tra loro solo due piccoli gruppi di testi, e non l’intero corpus di Papiri Magici attribuito alla Collezione Anastasi, nemmeno nell’insieme compilato dagli studiosi più scettici e selettivi. In definitiva, per quanto la teoria avviata da Preisendanz circa l’origine di buona parte della Collezione Anastasi da un unico ritrovamento sia interessante e per certi versi anche plausibile, non vedo, allo stato attuale delle ricerche, prove sufficientemente forti a sostenerla. Anzi, ritengo più probabile che Anastasi abbia formato la sua Collezione da fonti eterogenee, scavi ufficiali e clandestini, commerci con contrabbandieri e simili, provenienti da località diverse dell’Egitto, anche se forse con una certa prevalenza dalla zona alto egiziana.

In questo contesto, secondo quanto mi sembra essere più probabile, l’interesse e la pratica della magia non furono circoscritti alla sola area di Tebe, bensì abbracciarono l’intera dimensione nazionale del Paese del Nilo, con, forse, ramificazioni e profondità di tradizioni che ancora non sospettiamo.

A. Bernabè (The Ephesia Grammata: Genesis of a Magical Formula), svolto all’interno della raccolta

Getty Hexameters: Poetry, Magic and Mystery in Ancient Selinous.

51J. Dieleman 2005, pag. 36 ss. Ciò in realtà è meno rilevante di quanto potrebbe sembrare, dal momento

che il dialetto tebano era utilizzato all’interno di tutto l’alto Egitto, in un’area, quindi, molto ampia.

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2-CAPITOLO 1

2.1-GLI INNI MAGICI

Con il nome di Inni Magici si intende un particolare gruppo di componimenti in esametri, presenti all’interno di numerosi Papiri Magici, dedicati a una divinità e finalizzati ad ottenere il favore di essa e il suo intervento al fine di garantire il successo di un incantesimo.

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Fin dai primi studi sui testi magici e la loro composizione, svolti sui papiri della Collezione Anastasi, gli Inni Magici suscitarono un certo interesse53, ma fu solo con la pubblicazione del secondo volume del Papyri Graecae Magicae che essi incominciarono ad essere studiati nella loro globalità, confrontati tra loro e catalogati. Proprio per facilitarne lo studio comparato, Preisendanz dedicò loro un'intera sezione della sua opera, separandoli dai testi da cui provenivano e tentando anche una forma di catalogazione, ordinando gli inni all’interno di macro-famiglie il cui minimo comune denominatore era l’invocazione alla medesima divinità.

Complessivamente, Preisendanz raccolse un totale di trenta Inni Magici, divisi in tredici categorie54, per un totale di circa 880 versi.

Se da un lato questo lavoro ha avuto il merito di radunare in un unico prodotto tutti gli Inni, grazie alla pubblicazione di tutti i Papiri Magici ritrovati fino a quel momento in un'unica edizione, dall'altro, la suddivisione proposta dallo studioso tedesco risulta fin troppo spesso confusionaria e arbitraria, innanzitutto perché dividere gli Inni sulla base della divinità in essi invocati è criterio non sempre preciso, che, a mio parere, fa perdere di vista la destinazione soprattutto pratica di questi componimenti, motivo per cui preferirei che si affermasse una classificazione sulla base della tipologia di incantesimo (es: divinazione, filtro d’amore, fattura etc.) in cui essi si ritrovano ad essere contenuti55. In secondo luogo, l’idea maturata da Preisendanz che alcuni di questi inni fossero collazioni di inni precedenti ha portato lo studioso a cercare le “giunture” tra questi poemi, separando le diverse parti e classificando con diversi

53 A dimostrazione del grande interesse per questi brani poetici, rispetto all’insieme degli incantesimi

contenuti nei papiri della Collezione Anastasi, cfr. E. Miller, 1868, pag. 437 ss. il quale, avendo avuto modo di studiare il voluminoso PGM IV, ne pubblicò solo le parti in poesia, senza peraltro curarsi di specificare da dove traesse quei componimenti, guadagnandosi, negli anni successivi non poco biasimo (per quest’ultima considerazione cfr. M. Zago 2010, pag. 65).

54 Questi sono i nomi che K. Preisendanz attribuisce alle categorie da lui proposte: An den Allschöpfer;

an Helios; an Helios und die Algötter; an Typhon; an Apollon und Apollon-Helios; an Apollon und Daphne; an Daphne; an Hermes; an Hekate-Selene-Artemis; an Aphrodite; an die Algötter; an die Unterirdischen; Historiolae Magicae, cfr. K. Preisendanz-E.Heitsch 1974, pag. 237-266.

55 Una delle conseguenze di questo criterio è che, per esempio, inni magici che compaiono all’interno

di incantesimi magici diversi, vengono registrati come un unico inno, con un solo numero di classificazione, di fatto non considerando le differenze e le varianti testuali che spesso si riscontrano.

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numeri poesie che erano pensate come unitarie56. Per di più, Preisendanz classifica come “inni” sia componimenti in metro vario, che brevi composizioni in prosa, ma dal carattere fortemente ritmato (più simili, quindi, a filastrocche, che a poesie vere e proprie) denominate Historiolae Magicae. In entrambi i casi, queste produzioni non possono essere considerate inni propriamente detti57, dal momento che l’inno ad una divinità, come genere letterario, risulta essere sempre una composizione in esametri. Tali opere risultano essere una sorta di brevi encomi e preghiere alla divinità e contengono, spesso, racconti a carattere mitologico.

È stato supposto, per quanto riguarda i testi in prosa, che possa trattarsi di parafrasi di più antichi poemi in esametri, simili per struttura agli Inni Omerici58. Tuttavia, sia la

56 In generale, come fa ben notare I. Petrovic 2015, pag. 247-248, all’interno di un componimento

magico le parti in prosa e in poesia si alternano senza soluzione di continuità, come parti di un unico fluido corpo. È possibile, come suppone Petrovic stesso, che le parti in prosa siano la parafrasi e la “corruzione” di precedenti sezioni poetiche, tuttavia credo che sia altrettanto possibile che questa struttura a prosimetro esistesse fin dall’origine dei testi magici, per lo meno da come li conosciamo attraverso i papiri egiziani e servisse a scandire momenti diversi del rituale, dividendo le fasi in cui l’incantatore recitava le parole da quelli in cui invece cantava o cantilenava. Una simile struttura, in cui la parola recitata si alternava alla parola cantata, potrebbe essere stata mutuata dai rituali religiosi “tradizionali” a cui il rituale magico si ispirava. Cercando un esempio contemporaneo, è possibile constatare che anche la Messa cristiana presenta momenti in cui l’officiante o l’auditorio recitano delle frasi e momenti, invece, di canto.

57 In particolare, PGM I, vv. 296, il cosiddetto H. 8, secondo la nomenclatura di Preisendanz e PGM IV,

vv. 2242-2417, il cosiddetto h. 17. La presenza di simili componimenti, non rispettosi dello schema tradizionale dell’inno in esametri, all’interno dei testi del corpus dei Papiri Magici non è di facile spiegazione. Per quanto riguarda H. 8 spiegazioni più particolareggiate verranno date in seguito, in questa trattazione; su H. 17, la cui scansione metrica è alquanto incerta, è bene precisare che si tratta di un testo di lunghezza decisamente anomala rispetto sia alla media degli altri componimenti del corpus, sia in confronto a inni in esametri coevi provenienti da altre raccolte, come ad esempio gli Inni Orfici. Quello che si può supporre è che il testo tramandato nel papiro sia piuttosto corrotto, per imperizia nella scansione metrica da parte del mago-poeta ideatore del componimento e dei copisti successivi. È però evidente l’intento lirico di questi versi, attraverso i quali il poeta-mago voleva forse creare qualcosa dal forte impatto emotivo, ispirandosi non tanto, in questo caso, alla tradizione religiosa dell’inno, quanto piuttosto al mondo della lirica e del teatro. Cfr. K.Preisendanz-A. Henrichs 1974, pag. 244 e 250-253.

58 Cfr. I. Petrovic 2015, pag. 247. Lo stesso Petrovic, tuttavia, ipotizza che almeno alcuni di questi brani

potrebbero essere stati costruiti come veri e propri inni in prosa, seguendo una tendenza portata avanti dalla Seconda Sofistica, contemporanea di molti dei testi contenuti nei Papiri Magici. Cfr. I. Petrovic 2015, pag. 256-257.

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mancanza di paralleli certi, sia la difficoltà, per non dire l’impossibilità, di identificare gli “originali” poemi da cui sarebbero state tratte le versioni in prosa, non permettono di dare conferma a questa teoria.

L'idea stessa di separare gli inni dal resto del testo, per quanto non priva di comodità al fine della ricerca, rischia fin troppo facilmente di far perdere di vista il legame imprescindibile del componimento con l'incantesimo di cui fa parte. Infatti, è necessario ricordare che gli Inni Magici non esistono come testi letterari a sé stanti, come può accadere per altre raccolte di testi poetici, come per esempio gli Inni Omerici, ma fanno tutti parte di un'architettura più ampia, in cui un incantesimo all’interno di un rituale è adoperato al fine di evocare una divinità ed entrare con essa in contatto. Questa particolare relazione tra Inno Magico e divinità risulta un fondamentale aspetto caratterizzante di questo genere letterario, che lo avvicina soprattutto alla letteratura di carattere sacro, all’interno della quale una forte relazione sembra esistere, ad esempio, con gli Inni Orfici, testi riservati al culto e che solo nel culto trovavano la propria ragion d'essere, così come gli Inni Magici la trovavano nel compimento dell'incantesimo.

2.2-LA STRUTTURA DELL’INNO MAGICO

La prima importante considerazione da fare, all’interno di questo paragrafo, è che non bisogna vedere l’Inno Magico, preso nei suoi aspetti tecnici e stilistici, come qualcosa di eccentrico, anormale, o eccezionale, ma come l’ultima e coerente evoluzione di un genere antico ed illustre, l’inno in esametri, o ὕμνος, in greco59, del quale, pur

mostrando un certo carattere di originalità nel contenuto, mantiene la struttura fondamentale.

All’interno della letteratura greca, l’ὕμνος è un particolare componimento in esametri, destinato ad invocazioni e preghiere nei confronti degli dèi. Le più antiche testimonianze letterarie di questo genere sono probabilmente gli Inni Omerici, sorta di invocazioni propiziatorie ad un dio, che venivano recitate, nel corso di feste religiose, prima della declamazione da parte di un rapsodo, di un passo proveniente dal ciclo

59 Per uno studio sull’etimologia del termine ὕμνος rimando a F. Cassola 1974, in cui la parola viene

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epico60. Ma il genere doveva ricorrere comunemente nell’ambito del culto civico, attraverso componimenti di cui non ci è giunto nulla o quasi61.

A livello generale, l’inno in esametri si presenta suddiviso in tre parti, ognuna con caratteristiche ben precise. Questo particolare schema tripartito è stato teorizzato per la prima volta da Ausfeld, sebbene egli lo applicasse, per la natura dei suoi studi, esclusivamente agli Inni Omerici62 e successivamente perfezionato da Bremer, alle cui definizioni mi rifaccio in questa discussione63:

-Invocation: Bremer, dunque, definisce così la sezione iniziale di un ὕμνος. In essa, il poeta nomina la divinità a cui dedicherà il componimento. Chiamare una divinità con il suo nome e i suoi epiteti è il primo passo per stabilire un legame con essa, che possa essere rafforzato nella fase successiva. Talvolta, la divinità viene enunciata solo tramite l’uso di uno o più epiteti, mentre il suo nome viene esplicitato successivamente, o talvolta non esplicitato affatto, forse perché gli epiteti erano ritenuti un mezzo di identificazione sufficientemente adeguato64.

-Argument: secondo una felice definizione di Petrovic65, la seconda sezione di un inno serve ad illustrare i poteri e le prerogative di un dio, sia attraverso un racconto mitico, come avviene, ad esempio, per gli Inni Omerici, sia attraverso un’elencazione delle sue capacità (in questo caso, l’Argument viene talvolta definito, dagli studiosi moderni,

60 Per maggiori informazioni a proposito degli Inni Omerici e la loro genesi, cfr. F. Cassola 1974, mentre

per la struttura dell’Inno Omerico cfr. E. Evans 2001, pag. 62 ss.

61 A questo proposito, cfr. J. M. Bremer 1981, pag. 203 ss.

62 Cfr. K. Ausfeld 1903, pag. 505 ss. Infatti, la struttura di inno, secondo Ausfeld, prevede un’iniziale

Invocatio alla divinità, un corpo centrale denominato Pars Epica, in cui è presente il racconto di un

episodio mitico e una Precatio finale, in cui il poeta manifesta una richiesta alla divinità. Sebbene la prima e la terza categoria di Ausfeld possano definirsi valide e generali per qualsiasi inno in esametri, la parte centrale narrativa risulta invece specifica solo di alcuni Inni Omerici e quindi non più accettata all’interno di uno schema generale del genere.

63 Cfr. J. M. Bremer 1981, pag. 196-197.

64 Numerose manifestazioni di questo modus operandi sono riscontrabili, in particolare, all’interno degli

Inni Orfici, di cui vorrei segnalare alcuni componimenti (faccio riferimento, per la nomenclatura, a Ricciardelli 2001), a titolo di esempio: il numero 52 (questo caso, nello specifico, per la presenza all’interno del componimento dei soli epiteti della divinità e non del nome) e i numeri 63, 64 e 65 in Ricciardelli 2001, pag. 138-139 e 164-169.

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aretalogia66). In questo, che è il cuore dell’inno, non solo viene rafforzato il legame tra la divinità e il poeta, che dimostra la propria devozione mostrando di conoscere gli onori che essa possiede, le sue τιμαί e il suo ruolo all’interno dell’ordine cosmico67, ma viene data una forma all’identità del dio, nominata precedentemente. Infatti, come è compito dell’Invocation stabilire l’identità della divinità chiamata, ruolo dell’Argument è invece definire la sfera d’azione all’interno della quale la divinità stessa si muove.

-Petition: la chiusa dell’inno, infine, contiene la richiesta che il poeta rivolge alla divinità e che prega di esaudire. Si può dire che l’intero componimento tenda a quest’ultima parte finale; l’invocazione, l’elenco delle prerogative del dio, sono mezzi per ottenere il favore della divinità, renderla benevola, cosicché esaudisca la preghiera. Talvolta, il poeta può fare un accenno ad una possibile ricompensa, nel caso la sua preghiera venisse esaudita, secondo il principio del do ut des68, talvolta non esiste una

vera e propria richiesta se non il desiderio che la divinità discenda a far percepire la propria presenza.

Questo schema generale, si presenta in maniera peculiare all’interno degli Inni Magici, nei quali il rispetto di motivi e figure tradizionali si accompagna ad una decisa spinta innovativa, frutto di suggestioni ed influenze molteplici:

-La prima parte dell’inno, ossia l’Invocation, definita, talvolta, con il termine greco ἐπίκλησιϛ, dal medesimo significato, si presenta, in genere, coerente con la forma tradizionale dell’inno in esametri, sebbene esistano casi in cui l’invocazione viene fatta

66 Secondo una definizione data da Reitzenstein, con aretalogia si intende un inno in cui sia presente un

elenco, quanto si vuole ampio e dettagliato, delle facoltà, o delle ἀρεταί, di una divinità. Cfr. R. Reitzenstein 1906, pag. 9-18.

67 L’idea di un cosmo ordinato, in cui ogni divinità agisce in concordia con le altre, sulla base delle

prerogative da essa ricoperte, le cosiddette τιμαί, parola che sta ad indicare sia l’onore connesso ad un ruolo, sia lo svolgimento del ruolo stesso, è esplicitata per la prima volta nella Teogonia esiodea e continua ad essere sentita nella devozione greca fino alla fine dell’età antica. Questo schema, in cui ogni divinità occupa un ruolo diverso e agisce su cose diverse del mondo, mi pare influenzare profondamente la struttura della magia tardo antica e ritengo che ciò derivi dal fatto che doveva essere a fondamento anche della magia greca più antica, di cui abbiamo, tuttavia, scarse informazioni.

68 È questo, ad esempio, il caso degli Inni Omerici, nei quali è tipica una chiusa del tipo “Se mi renderai

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precedere da un’introduzione ad elaborato sfoggio retorico, sorta di solenni premesse prima dell’inno vero e proprio69. L’invocazione al dio, come abbiamo detto, risulta

importante poiché è in questo momento iniziale che la divinità viene chiamata per nome e quindi identificata. In un contesto magico, ciò riveste un’importanza del tutto particolare; mostrando di conoscere il nome, o i nomi di una divinità, secondo una credenza che affonda le sue radici in un remoto passato di religiosità arcaica, l’incantatore mostra di avere potere sulla divinità stessa. Infatti, secondo un processo che potremmo definire di trasferimento dell’identità, conoscere il nome del dio significa avere conoscenza del dio stesso e quindi avere potere su di esso. Così, all’interno dell’Inno Magico, l’Invocation, il momento in cui si instaura un primo legame tra uomo e divinità, diventa quel momento in cui l’incantatore si inizia ad accostare all’entità soprannaturale che vuole richiamare, facendo percepire, attraverso la sua conoscenza70, il proprio potere su di essa.

-Argument: la parte centrale dello schema, dove vengono presentati i poteri e le prerogative del dio invocato, in un Inno Magico riveste un ruolo ben più pratico rispetto a quanto accade in un inno religioso. Infatti, delineare i ruoli e le capacità di un dio ha il preciso scopo di definire la sua sfera di intervento, che in un testo magico ha una conseguenza ben specifica: descrivere i poteri di un dio, o per lo meno i poteri che vengono presentati in quel preciso componimento, risulta necessario per mostrare la natura del rituale magico. Le prerogative del dio si riflettono, o meglio riflettono e rendono effettivo, l’incantesimo che sta per essere compiuto.

Appare, dunque, chiaro come un Inno Magico non sia un semplice elemento estetico, un momento lirico separato dal testo che lo circonda, ma anzi ne sia parte integrante e

69 Cfr. M. Blanco Cesteros 2012, pag. 57 ss.

70 Questo processo di identificazione e controllo sugli esseri superiori non si instaura solo attraverso la

conoscenza dei nomi “tradizionali” delle divinità, bensì attraverso la conoscenza e la pronuncia dei loro “nomi segreti”, che potevano anche essere numerosi, e che si riteneva contenessero la vera essenza del divino. Questi nomi spesso non hanno riscontro con nomi noti in alcuna lingua e vanno considerati all’interno del vasto alveo delle voces magicae. Erano custoditi con estrema gelosia dai maghi, i quali, talvolta, nemmeno li trascrivono sui loro manuali, segnalandoli genericamente come “nomi segreti” e “parole segrete”. Da ciò, ipotizzo che tali nomi venissero imparati a memoria e che la memorizzazione di essi costituisse un passaggio importante dell’apprendistato di un discepolo.

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fondamentale, al cuore della sua identità e intrattenga con il rituale di cui fa parte uno stretto rapporto.

A livello strutturale, in un inno magico, l’Argument non risulta distaccarsi in maniera netta, dall’invocazione precedente, dal momento che in entrambe si ritrovano liste di epiteti onorifici e nomi divini, raccolti in lunghe elencazioni. Ciò che, effettivamente, risulta diverso dall’una all’altra categoria è come questi epiteti vengono utilizzati: nell’invocazione, come già abbiamo ribadito, essi servono ad identificare la divinità richiamata, indirettamente manifestando una forma di controllo su di essa, mentre nell’Argument la loro funzione è quella di delineare le competenze del dio. Descrivere le capacità di un dio, implicitamente stabilisce l’area di azione che esso ha, ciò che gli è concesso fare, ossia che fa parte delle sue τιμαί, e ciò che non lo è.

Attraverso l’Argument, quindi, il mago descrive la natura dell’incantesimo che sta svolgendo, nel rispetto delle prerogative del dio che sta richiamando.

-La parte finale dell’Inno, quella che Bremer definisce Petition, il mago fa, infine, la sua richiesta alla divinità. È probabilmente qui che si vede la più grande differenza, a livello concettuale, tra un inno magico ed un inno, per così dire, tradizionale: se, infatti, in quest’ultimo il poeta implora, nella Petition, di ascoltare la sua preghiera, che sia una vittoria in un agone, una benedizione o altro ancora, per poi devotamente rimettersi al giudizio imperscrutabile ed inappellabile della divinità, in un inno magico le prospettive sono completamente stravolte. È vero che, nel corso del componimento, il mago costantemente pare blandire il dio, cercare la sua benevolenza tramite devote invocazioni o facendo mostra della sua conoscenza e dei suoi meriti, ma è altrettanto vero che quella del mago non è una preghiera, dal momento che egli non si rivolge ad un’entità superiore con la speranza di vedere esaudito un desiderio. Il mago pone alla divinità una richiesta ben precisa e non è disposto a chinare devotamente il capo di fronte al silenzio o ad un gesto di diniego, bensì ha con sé le armi per piegare la volontà del dio, nel caso fosse recalcitrante, al suo volere71. Ciò accade in quanto il mago è in

71 È bene, comunque, precisare come i maghi non percepissero sé stessi come empi, né vedessero le

divinità come semplici utensili da usare quando richiesto e riporre o buttare, una volta serviti allo scopo. Come è possibile osservare dalle prescrizioni presenti in alcuni testi magici, pare che i maghi non giudicassero così alla leggera avere a che fare con una divinità e che decidessero di ricorrere alle “maniere forti” solo nel momento in cui qualsiasi altro incantesimo fosse fallito. D’altronde, i lunghi

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una condizione privilegiata rispetto a qualsiasi altro comune mortale; i suoi poteri e la sua conoscenza gli permettono di elevarsi fino a trattare da pari con le potenze del cosmo.

È errato e sostanzialmente banalizzante ritenere che la differenza principale tra inno magico e inno religioso propriamente detto sia nel tipo di richiesta impetrata nel corso dell’invocazione, di natura privata ed egoista in un Inno Magico, di interesse collettivo per un inno religioso, poiché, se si osserva, ad esempio, la Petition di molti Inni Omerici72, si constata come nell’assoluta maggioranza dei casi il poeta preghi il dio di assegnare a lui la vittoria sugli avversari, una richiesta assolutamente individuale, senza alcun riscontro di utilità civica.

Tenendo presente ciò, risulta, a mio parere, chiaro come la vera differenza tra un inno magico e un inno “tradizionale” non sia tanto nel tipo di richieste rivolte, dal momento che anche nell’inno religioso è possibile constatare rapporti di tipo individuale tra il poeta e il dio, quanto nel nesso instaurato tra il mago e la potenza sovrannaturale. Un uomo “comune” non ha alcun modo di “sollecitare” l’intervento divino, mentre il mago, all’occorrenza, ha a disposizione un vasto arsenale di incantesimi e formule, vere e proprie minacce capaci di incutere terrore negli dèi e per di più è anche in grado di difendersi dalla loro collera, nel caso essi provino a punirlo. Ciò, tuttavia, non deve far apparire i maghi come figure blasfeme e fosche sul modello della strega Erictò della Pharsalia. Le azioni di un mago, infatti, erano mosse dalla consapevolezza di essere in una condizione di superiorità, rispetto ad un qualsiasi uomo, condizione che,

elenchi di epiteti onorifici e professioni di fede che si dipanano attraverso gli Inni Magici non devono essere considerati come una forma di ipocrisia, ma come una via per ottenere in maniera “spontanea” il favore della divinità, senza ricorrere a minacce o coercizione.

72 Cfr. Zanetto 1996, pag. 196-197, ma appelli simili si trovano in pressoché tutti gli Inni Omerici, segno

che la natura pubblica di un agone, come di una cerimonia religiosa, non doveva essere un freno a richieste individuali di questo tipo. Ritenere, poi, che gli Inni Omerici riflettano gli usi di una società arcaica, sarebbe un errore. Fino alla fine dell’età antica, non solo i poemi omerici, ma anche il ciclo epico che ruotava attorno ad essi godette di grande fortuna. Perciò, se è vero che gli inni maggiori risultano essere stati composti in età arcaica, i proemi minori e più brevi dovrebbero essere notevolmente più recenti.

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