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Capitolo V: Donne e società nella visione di Gaetano

1.1 Gli anni Cinquanta

Durante gli anni Cinquanta si assistette in Italia ad un progressivo cambiamento che toccò diversi aspetti della vita quotidiana, da quelli culturali a quelli economici e politici. La percentuale di famiglie costruite sul modello patriarcale contadino andava ridimensionandosi, lasciando spazio al modello nucleare, che specie nei contesti urbani si affermava sempre più rapidamente. Un simile cambiamento era dovuto al massiccio incremento della popolazione urbana, dovuto all’ondata migratoria dalle campagne alle città e in particolare dal Sud verso il Nord Italia282. Nell’arco di tempo che va dal 1950 al 1977

cambiarono comune di residenza circa venticinque milioni di italiani. Specialmente nelle città cominciava a delinearsi, nei primi anni Cinquanta, la “società dei consumi” che avrebbe caratterizzato le città italiane in misura sempre maggiore, fino a toccare l’apice negli anni che vanno dal 1958 al 1963, ovvero il periodo del cosiddetto “miracolo economico”283. Le dinamiche

culturali in corso in questi anni produssero un singolare intreccio tra modernità e tradizione; la coesistenza di modelli culturali vecchi e nuovi provocò numerose contraddizioni. Tali mutamenti, infatti, non si affermarono in modo indolore, specie per quanto interessò l’universo femminile, poiché si trattava di congedare i ruoli tradizionali, cari alla maggior parte della

282 Perry Wilson, Italiane. Biografia del Novecento, Bari, Laterza, 2011, pp.199,202.

Sull’emigrazione italiana degli anni Cinquanta si veda: Andreina De Clementi, L’assalto al cielo.

Donne e uomini nell’emigrazione italiana, Roma, Donzelli, 2014.

283 Sulla società dei consumi: Victoria De Grazia, L’impero irresistibile. La società americana

alla conquista del mondo, Torino, Einaudi, 2006; Emanuela Scarpellini, L’Italia dei consumi. Dalla Belle époque al nuovo millennio, Roma-Bari, Laterza, 2008;

123 popolazione maschile italiana284. Le donne alla fine degli anni Quaranta e

durante gli anni Cinquanta, ottennero numerosi riconoscimenti nel settore politico e in quello del lavoro: nel 1945 le donne ottennero il diritto di voto285;

nel 1946, con una rettifica a quella che parve essere una mancata precisazione della Costituzione, venne puntualizzato il diritto delle donne di essere elette; nel 1950, sotto proposta della senatrice Teresa Noce, fu perfezionata la protezione per le lavoratrici madri; nel 1956 le donne vennero ammesse alle giurie popolari delle Corti di assise e venne loro concesso di diventare giudici onorari nei Tribunali per i minorenni; nel 1959 furono ammesse nelle forze di polizia; nel 1960 furono abolite le qualificazioni specificatamente femminili nei lavori collettivi; nel 1961 la Corte Costituzionale annullava l’idea che l’adulterio femminile fosse punibile con pene più severe che per quello maschile; finalmente nel 1963 veniva approvata una legge che ammetteva le donne alla magistratura 286. Nonostante queste conquiste, moltissimi

rimanevano i passi da fare, ad esempio il diritto di famiglia che rimase in vigore per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, risaliva al 1942 e manteneva le donne in una posizione giuridica nettamente inferiore, fino al 1975, quando venne riformato287. Il discorso politico oscillava, infatti, fra la retorica

emancipazionista e i richiami alla vocazione domestica e materna delle donne288. Era dura a morire l’idea che l’uomo capofamiglia fosse

giuridicamente responsabile della moglie, e che quest’ultima fosse “naturalmente” legata alla casa. Queste tendenze si riflettono nell’art. 37.

284 Sandro Bellassai, La legge del desiderio. Il progetto Merlin e l’Italia degli anni Cinquanta,

Roma, Carocci, 2006, pag.55.

285 Il diritto di voto non fu riconosciuto proprio a tutte le italiane; non potevano votare le

prostitute “vaganti”. Si veda: Vinzia Fiorino, Una donna, un voto. Diritti, utopie, opacità, in <<Athenet>>, numero 17, 2006; consultabile sul web:

https://www.unipi.it/web/athenet/17/art1.htm (consultato e verificato nel marzo 2016); Cfr. Annamaria Galoppini, Il lungo viaggio verso la parità. I diritti civili e politici delle donne

dall’Unità ad oggi, Bologna, Zanichelli, 1980.

286 Perry Wilson, Italiane…, cit., pp. 211-261; 287 Ivi, pag.218.

124 della Costituzione italiana, la quale, se per un verso proclama che: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.”, poi aggiunge “Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Sebbene la tutela della maternità non fosse un elemento negativo, i termini “essenziale funzione familiare” riflettevano la tendenza a far ricadere, ancora una volta, la responsabilità dell’unità familiare e della salute del bambino esclusivamente sulle donne289. Se, dunque, si fecero in quegl’anni dei passi avanti da un punto

di vista giuridico e legislativo, immobile rimase la condizione femminile nella sfera privata.

E’ bene ricordare che i dati statistici testimoniano che il numero delle donne lavoratrici in quegli anni non salì vertiginosamente, tuttavia la comparsa di “nuovi impieghi” dalla particolare visibilità aumentò l’allarmismo dei convinti sostenitori del ruolo tradizionale che spettava alle donne, più o meno mantenuto fino a quel momento290. Si diffuse l’idea che stessero per crollare i

postulati della società patriarcale e che questo avrebbe provocato la disgregazione della famiglia, fondamento della società; in quest’ottica, era esclusivamente alle donne, “angeli del focolare”, che erano rivolti gli appelli per tenere unita la famiglia. Gli accaniti avversari dell’emancipazionismo si scagliarono con veemenza contro quelle donne che timidamente cercavano di conquistare un briciolo di indipendenza tramite il lavoro extradomestico, attaccando il fenomeno da diversi punti di vista: ribadendo l’inferiorità biologica femminile, sottolineando le negative ripercussioni economiche dell’entrata delle donne nel mondo del lavoro e prevedendo la disgregazione familiare che ne sarebbe conseguita. Un elemento di novità, rispetto ai decenni precedenti, che caratterizza l’attacco dei “misogini” degli anni

289 Ivi, pag.240. 290 Ivi, pag.207.

125 Cinquanta all’emancipazione femminile, è la posizione difensiva che questi ultimi assumono. Come saggiamente espone lo storico Sandro Bellassai, di fronte ad un evoluzione complessiva della società, dell’economia, della politica che spinge, sebbene lentamente, nella direzione di ridurre la disuguaglianza formale e reale fra uomini e donne; i più convinti sostenitori dell’inferiorità femminile si barricano in una posizione difensiva, sostenuta grazie ai “solidi” pilastri della scienza ottocentesca, predicando gli effetti disastrosi che avrebbero provocato la negazione della “natura femminile” e la conseguente “mutazione” che ne sarebbe derivata, conseguenze che sarebbero ricadute sulla famiglia e sulla società intera, provocando un rilassamento dei costumi che fino ad allora era stato arginato291. Già dall’inizio

del Novecento si era venuto configurando un nuovo particolare tipo di misoginia, che non puntava più semplicemente a svalorizzare la donna, ma si trattava di un atteggiamento politico di reazione a processi di modernizzazione in corso sia sul piano sociale che su quello culturale che intaccavano l’equilibrio di potere fra uomini e donne292. Dunque, se prima

l’obiettivo delle argomentazioni misogine era esprimere un dominio stabile, adesso l’obiettivo diventava combattere e resistere di fronte ad una messa in discussione dell’ordine costituito già avviata293.La diffusa preoccupazione per

la perdita di potere dell’uomo all’interno dell’istituto familiare e l’ampliarsi delle possibilità lavorative per le donne si riflettono negli articoli dei principali quotidiani italiani:

“Si possono ritenere acquisiti alcuni punti: 1. Nessuna politica legislativa potrà mai consentire durevolmente una profonda modificazione del costume né violare le leggi della biologia e della economia, pur essendo possibile che certi orientamenti possano consolidare il costume ed ottenere determinati risultati economici piuttosto che altri; 2. Se ciò è vero, è tuttaltro che inutile studiare, sotto ogni aspetto, il lavoro

291Sandro Bellassai, La legge del desiderio…, cit., pag.76.

292 Sandro Bellassai, Un mondo senza Wanda. Opinione maschile e legge Merlin (1948-1958),

in <<Genesis>> , A.II, 2003, n.2 ,pag.71.

126 femminile, sia per individuare i settori in cui non è possibile o non è utile prescindere dal suo apporto, sia per enumerare quelli che possono presentarsi elettivi per l’attività professionale della donna. 3. La massa delle donne occupate non è ancora, tanto cospicua da far respingere a priori l’idea di provvedimenti che valgano a consigliare alle spose-madri l’abbandono di certi tipi di occupazioni attraverso una radicale riforma dell’istituto degli assegni familiari. 4. Non è azzardato pensare che tali provvedimenti, se bene congegnati, potrebbero avere una notevole efficacia nella lotta contro la disoccupazione, senza abbassare il livello della produzione nazionale e senza provocare oneri irresponsabili per l’economia del paese”294

Agli occhi dell’autore di questo articolo tali argomentazioni non intaccano le libertà femminili, appena conquistate, al contrario la posizione delle donne risulterebbe irrobustita dal:

“rispetto della biologia e da una politica di occupazione che, pur senza condizioni, si proponga di cooperare al mantenimento di un costume conforme alla natura e tale da non compromettere i doveri, i diritti e la responsabilità del lavoro.”295

Rientrano ancora nel calderone del dibattito sull’emancipazione femminile i termini “natura” e “biologia” per giustificare il ruolo subalterno delle donne nella società; il fatto stesso che tali questioni non furono trattate solo nei giornali scientifici, di nicchia, ma comparvero nelle principali testate giornalistiche dell’epoca, dimostra l’interesse che tale dibattito suscitava nell’opinione pubblica. Naturalmente, posizioni tanto conservatrici furono contraddette da più voci e vennero accusate di voler riesumare i concetti, da poco seppelliti, che il numero è potenza e che alle donne non spetti la parità dei diritti. Lo stesso autore dell’articolo precedentemente citato si difese mettendo in gioco la bassa natalità italiana in confronto con le altre nazioni europee, ragion per cui sarebbe giustificabile, secondo il Baldi, preoccuparsi

294 Guido Maria Baldi, Dare lavoro alle donne ma senza disgregare le famiglie. Il problema

della manodopera femminile è essenzialmente politico perché spetta al legislatore trovare un equilibrio tra gli interessi economici e gli interessi biologici e morali, spesso contrastanti, in

<<Il nuovo Corriere della sera>>, anno79, n.132, 4 giugno 1954, cit. pag. 5.

127 delle nascite e cercare di creare condizioni “favorevoli” per le madri e per la prole; e aggiunse che riconoscere un ruolo fondamentale alle donne all’interno dell’istituto familiare rispetto alle questioni delle cure domestiche e dell’allevamento e dell’educazione della prole non significava violare i diritti femminili e che il riconoscimento di queste specificità non umiliava le donne, ma consentiva loro di affermare i propri diritti296. Rispetto alla questione della

natalità lo stesso Pieraccini si espresse nella pubblicazione del 1952 La

natalità mondiale umana e la natura equilibratrice. Il medico toscano, tuttavia

non appare preoccupato del calo delle nascite suddetto, poiché considera la bassa natalità inversamente proporzionale rispetto al livello evolutivo di una popolazione. Non stupisce che un eugenista sostenitore delle posizioni negative si preoccupasse più della “qualità” che della “quantità” della popolazione.

Non è difficile scorgere il nesso fra le tesi dei “moderni misogini” e le considerazioni degli scienziati positivisti; nesso attorno al quale vennero ribaditi i più classici stereotipi sulle donne: quello della madre angelica; quello della femminista; quello della sciantosa; quello della prostituta, ovvero della deviante.

All’interno di questa cornice si inserisce l’allora ottuagenario Gaetano Pieraccini. Egli prende posizione rispetto le già citate questioni di genere, non solo tramite nuove pubblicazioni che riprendono le conclusioni scientifiche a cui il medico toscano era giunto in La stirpe de’Medici di Cafaggiolo e in La

donna nella conservazione e nel perfezionamento della specie, ma anche

attraverso i suoi interventi in Senato. Dopo essere stato sindaco della città di Firenze nel 1946, nel 1948 Pieraccini è eletto senatore nelle liste di Unità socialista; nello stesso anno viene presentato al secondo scrutinio nelle

296 Guido Maria Baldi, Il problema del lavoro femminile. Obiezioni infondate al progetto per

128 votazioni per il Presidente delle Repubblica; gli incarichi di cui è investito segnalano l’autorevolezza che caratterizza la sua figura di politico, nonostante l’età avanzata. Elevatissimo è anche il numero dei riconoscimenti conferitigli dalla comunità scientifica: nel 1950 Pieraccini è proclamato Presidente onorario permanente dell’Associazione della medicina del lavoro in Italia; nel 1951 è membro onorario della società internazionale permanente per la Medicina del lavoro; nel 1952 gli è conferito il titolo di “professore emerito” presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze; nello stesso anno riceve il titolo di “accademico d’onore” presso l’accademia delle arti del disegno di Firenze; nel 1953 è socio onorario della società romana di medicina e delle assicurazioni; nel 1955 vince il premio Feltrinelli assegnato dall’accademia dei Lincei297. Negli anni Cinquanta le considerazioni di

Gaetano Pieraccini riguardo al ruolo della donna si inserivano in un contesto medico, ma anche politico. Nella pubblicazione Lavoro casalingo ed

extracasalingo. Eugenica ed eutenica, il medico toscano si esprimeva a favore

di uno “stipendio maritale” che permettesse di mantenere la donna fra le mura domestiche per dedicarsi al ruolo, stabilito per lei dalla natura, di sposa e madre. Questa pubblicazione riscosse una notevole eco nel contesto italiano, questione che dimostra l’attenzione per l’eugenetica e il lavoro femminile non ancora tramontata. La condivisione delle posizioni di Pieraccini è dimostrata dall’attenzione che dedicarono a questa pubblicazione scienziati e politici. Questi fatti rivelano l’enorme peso che ancora avevano in quegli anni le considerazioni scientifiche di Pieraccini, elaborate secondo un metodo ottocentesco e intrise di prescrizioni di eugenica ed eutenica.

297 Francesco Carnevale, Zeffiro Ciuffoletti, Mariella Migliorini Mazzini, Maura Rolih (a cura di),

Gaetano Pieraccini. L’uomo, il medico, il politico (1864-1957), Firenze, Olschki, 2003, pp.76-

129 1.2 Lavoro femminile casalingo ed estracasalingo

Nel 1953 Pieraccini pubblicava Lavoro femminile casalingo ed estracasalingo.

Eugenica ed eutenica, uno studio scientifico dalla vocazione prettamente

sociale che, riprendendo le conclusioni esposte in La stirpe de’Medici di

Cafaggiolo e in La donna nella conservazione e nel perfezionamento della specie, affrontava più dettagliatamente la questione del lavoro femminile. In

questo studio si conciliano perfettamente la vocazione di Gaetano Pieraccini per la medicina sociale e le sue considerazioni rispetto il ruolo eugenico della donna nella riproduzione della specie. Nelle intenzioni dell’autore vi è l’obbiettivo di prescrivere delle norme di medicina sociale, ovvero medicina politica; non si tratta quindi di semplici considerazioni scientifiche, ma Pieraccini si pone una finalità collettiva di prevenzione e profilassi che deve avvalersi del potere legislativo e finanziario dello Stato. A guidare l’intervento legislativo dovrebbero essere, nelle intenzioni di Pieraccini, le considerazioni di eugenica ed eutenica. Il lavoro femminile rientrerebbe pienamente in questo tipo di studi dal momento che l’eugenica e l’eutenica:

“Hanno la fondamentale base di origine e ragione di vita nell’Istituto della famiglia e particolarmente nella funzione e nella riproduzione dell’allevamento della prole”298

Fra le pagine di quest’opera si intravede l’allora diffusa preoccupazione per l’entrata delle donne nel mondo del lavoro; nonostante si tratti di una rivoluzione ancora agli albori, preoccupa i sostenitori delle posizioni tradizionali e i misogini che attribuiscono ancora alla donna il ruolo “naturale” di madre e sposa:

“Lo svolgimento normale della vita riproduttiva e della cura della figliolanza appare oggi-a molti- profondamente turbato dall’affluenza, delle spose e delle madri negli uffici, nei lavoratori, nelle officine, nei campi.”299

298 Gaetano Pieraccini, Lavoro femminile casalingo ed extracasalingo. Eugenica ed eutenica,

130 La pubblicazione di un’opera scientifica di questo taglio dimostra che ancora negli anni Cinquanta, nonostante il cambiamento che travolge da più parti la società, non è tramontata l’influenza che considerazioni scientifiche di taglio positivistico hanno nel dibattito politico e pubblico, né sono cambiati gli strumenti di ricerca e le conclusioni di Pieraccini.

Per giustificare un ritorno del genere femminile alla cura della casa e della famiglia Pieraccini torna a descrivere le specifiche funzioni fisio-morfologiche della donna, facendo un costante confronto con il genere maschile. Tali differenze non riguardano agli occhi dell’autore soltanto le strutture degli organi sessuali ma anche le differenze funzionali di tutte le parti del corpo300.

Le donne, dunque, sarebbero inferiori all’uomo in tutte le manifestazioni energetiche esterne: da un punto di vista muscolare, cerebrale, scheletrico, così come da un punto di vista chimico-dinamico. Queste differenze fra uomo e donna renderebbero quest’ultima meno “produttiva” nel campo del lavoro estracasalingo, quindi meno conveniente per la produzione e dunque per l’economia del paese. Nonostante quest’ultima osservazione, Pieraccini riconosce l’esistenza di lavori particolarmente adatti al genere femminile: assistentato sanitario; settore tessile, educazione primaria, dattilografia, ostetricia301. Guai a travalicare questi limiti imposti alle donne dalla natura, il

risultato deprecato che ne deriverebbe sarebbe una sorta di “terzo sesso”, un sesso “neutro” che causerebbe la perdita del “mordente femminile” sull’uomo302. Tale mutamento, sarebbe provocato dall’influenza che stimoli

interni ed esterni (alimentazione, cultura, stati emozionali, condizioni nervose particolari), avrebbero sui tessuti endocrini, spingendo la donna fuori dalla sua dimensione naturale e provocando un “invertimento” delle sue caratteristiche femminili; l’esercizio fisico esagerato e lo sforzo cerebrale eccessivo

299 Ibidem. 300 Ivi, pag.9. 301 Ivi, pag.34. 302 Ibidem.

131 imprimerebbero caratteri “viriloidi” sul sesso femminile, modificandone il metabolismo. Secondo Pieraccini, infatti, sarebbero le ghiandole endocrine a garantire le differenze funzionali fra uomini e donne, le quali producendo gli ormoni stabilirebbero delle correlazioni somatico-funzionali differenti nei maschi e nelle femmine303.

Come si è già detto, la preoccupazione che provoca la presenza della donna emancipata nei luoghi pubblici non riguarda solo Pieraccini, ma è molto comune all’epoca. Negli anni Quaranta e Cinquanta diffusissime sono le immagini che imprimono una connotazione estremamente negativa delle donne emancipate. La donna “moderna” rappresenta la negazione della “naturale” femminilità304. Un simile cambiamento non ha connotati individuali,

ma collettivi in quanto stravolge i rapporti fra uomo e donna sui quali è fondata la società. Sono sinteticamente espresse da Sandro Bellassai le preoccupazioni che toccano il genere maschile e la società di quegli anni:

“L’ascesa storica della donna mantide, in avanzata inarrestabile e dotata di autorità sempre maggiore all’interno della coppia e della famiglia in generale; gli aspetti minacciosi e svirilizzanti di una modernità che contiene foschi presagi non solo per gli uomini come specie, ma anche per gli uomini come genere; lo spettro dell’estinzione del maschio, o della sua femminilizzazione; il crollo verticale dell’autorità del padre, ormai degaradato a un ridico essere amorfo agli occhi dei figli, e suoi tremendi effetti a cascata sulle giovani generazioni dei maschi; infine, lo sforzo disperato di salvaguardare o ricostruire piccoli mondi esclusivamente maschili, per sfuggire al malefico influsso delle donne moderne dotate di autorità e forza disumane305

E’ alla società stessa che, secondo Pieraccini, spetta il compito di difendere le donne da questa preoccupante deriva “elevandone il più possibile le doti e le

303 Ivi, pag. 40. (Una tale riflessione sul rapporto fra ghiandole endocrine e differenze

funzionali fra uomo e donna riflettono l’influenza degli studi di Nicola Pende su Pieraccini).

304 Sandro Bellassai, La legge del desiderio…, cit., pag.84. 305 Ivi, pp.88-89.

132 funzioni naturali, distogliendola dalle opere prettamente consone all’uomo”306.

Il principale elemento di differenziazione fra l’uomo e la donna sarebbe la funzione riproduttiva di quest’ultima. Si è ampiamente parlato di come le donne posseggano delle capacità di perfezionamento della specie. Il corpo femminile è tutto per la procreazione in quest’ottica, per cui se le donne si dedicassero al lavoro estracasalingo soffrirebbero di patologie del lavoro, specie durante i momenti principali dell’esplicazione di questa funzione: il periodo della mestruazione, della gestazione e dell’allattamento:

“La specifica influenza del lavoro fisico non contenuto in razionale misura- sugli organi e sulle funzioni sessuali della donna,- si riassume in una grave serie di disturbi e di malattie comuni e di altre da includersi nelle malattie professionali”307

Permette di aprire un’interessante parentesi l’opinione di Pieraccini per cui ad essere danneggiate dal lavoro estracasalingo sarebbero, non solo le qualità di “fattrice”, ma anche le qualità estetiche della donna “che tanto riflesso spiegano sull’amore puro e sul sessuale” dell’uomo308.

“Il lavoro gravoso assai spesso sciupa le linee del corpo, toglie finezza agli atteggiamenti ed eleganza alle movenze; sostituisce ad una dolce espressione del volto, una durezza di tratti: in tal modo la donna perde la grazia delle forme, il

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