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"La biopolitica nella ricerca genealogica di Gaetano Pieraccini. Le donne nella conservazione della specie"

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INDICE

Introduzione 4

PARTE PRIMA

Capitolo I : Il positivismo in Italia. La “natura della donna”

1. Positivismo 12

2. Etica socialista e positivismo 17

2.1 Medicina sociale 19

3. La “natura della donna” 20

3.1 La figura femminile nell’antropologia 23

3.2 Medicina e psichiatria a confronto 27

3.3 Aspetti giuridici 30

Capitolo II: Eugenica ed Eutenica

1. Nascita dell’Eugenetica 35

1.1 Degenerazionismo 38

1.2 Eugenetica e Positivismo 41

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2

3. Eugenetica “qualitativa” ed Eugenetica “quantitativa” 50

3.1 L’Eugenetica del ventennio 54

3.2 Eugenetica e razzismo 56

PARTE SECONDA

Capitolo III: Gaetano Pieraccini. Una biografia

1. Biografia 59

1.1 Il medico 59

1.2 Il politico 67

1.3 Pubblicazioni 74

2. Gaetano Pieraccini e l’Eugenetica 76

Capitolo IV: La trasmissione dei caratteri ereditari

1. La genetica 82

1.1 Posizioni 82

1.2 L’eredità psicologica 85

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3

1.4 Un caso di “degenerato” 97

1.5 Conclusioni eugenetiche ricercate in “La stirpe

de’Medici di Cafaggiolo” 100

1.6 Pieraccini e le “razze” 107

2. La legge di Gaetano Pieraccini 109

2.1 Neurologia e psicologia femminili 112

2.2 Prescrizioni sociali 117

Capitolo V: Donne e società nella visione di Gaetano

Pieraccini

1. Il lavoro femminile secondo Gaetano Pieraccini 120

1.1 Gli anni Cinquanta 122

1.2 “Lavoro femminile casalingo ed estracasalingo” 128

2. Le case chiuse e la “natura della prostituta” secondo un

medico positivista 136

Appendice 145

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4

Introduzione

Uno dei fenomeni fondamentali che hanno caratterizzato il XIX secolo è stato la presa in carico da parte dello Stato di tutti gli aspetti della vita biologica degli individui, intesi sia nella loro specificità, che nella loro collettività. Si è assistito ad una statalizzazione del biologico, fenomeno che è stato interpretato da Michel Foucault come gestione biopolitica del potere statale. Nella seconda metà del XVII secolo si fa spazio una nuova tecnica di potere che investe non solo l’uomo corpo, ma l’uomo in quanto essere vivente, quindi l’uomo come specie1. L’interesse del potere politico per le questioni

biologiche è messo in relazione, dal filosofo francese, con la massificazione della società. I problemi che la biopolitica si trova ad affrontare riguardano, non il soggetto politico nella sua individualità, ma le problematiche che interessano l’intera società, dunque, le questioni della morbilità, della natalità, della mortalità e della relazione che intercorre tra gli esseri umani in quanto specie e il loro ambiente di esistenza. Le peculiarità che Foucault attribuisce alla biopolitica sono: l’interpretazione della popolazione in quanto problema politico e scientifico; l’interesse per fenomeni economici e politici di massa; i nuovi meccanismi di sicurezza che vengono istituiti per la gestione della popolazione di esseri viventi. Nell’ampio dibattito sul concetto di biopolitica, Roberto Esposito si è soffermato sul tema dell’immunizzazione. Secondo il filosofo napoletano le specificità moderne della biopolitica sono da rintracciare nella dinamica immunitaria di protezione negativa della vita. Sebbene l’interesse per la vita della specie si sia manifestato in tutte le epoche storiche, in epoca moderna assume delle particolari caratteristiche, dovute all’interesse per l’immunizzazione della società espresso dalla classe

1 Michel Foucault, Bisogna difendere la società, Mauro Bertani, Alessandro Fontana (a cura di),

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5 politica e medica. Secondo l’autore infatti, non è stata la modernità a porre il problema dell’autoconservazione della vita, ma è in epoca moderna che si utilizza un apparato storico-giuridico per risolverlo 2 . L’obiettivo

dell’immunizzazione è, infatti, quello di conservare e proteggere l’organismo individuale o collettivo, in questo modo la conservatio vitae diviene condizionata dalla subordinazione ad un potere costitutivo ad essa esterno: il potere sovrano. Il codice “naturale” alla base della normativa propositiva della biopolitica è stato definito, durante la modernità, dalla particolare interpretazione del reale che gli scienziati positivisti hanno formulato durante l’Ottocento. Stabilito che il potere politico esercita una determinata influenza sulla vita degli individui è opportuno domandarsi quali siano i soggetti che più di tutti sono stati interessati da un intervento rivolto agli aspetti più intimi della vita delle persone: i degenerati, ovvero tutti quei soggetti che si discostano da quella che è considerata la norma biologica di una specie. La condizione biologica di anormalità situa il soggetto degenerato in una condizione stabilmente differenziata rispetto agli individui di una stessa specie. Il luogo in cui si rende evidente questo scambio tra biologia e diritto è costituito dalla teoria dell’ereditarietà. Partendo dal presupposto che le stimmate della degenerazione siano trasmissibili ereditariamente, la differenza che separa gli “anormali” dagli altri individui di una stessa specie appare insuperabile. Il fatto che i caratteri degenerogeni siano trasmissibili ereditariamente sta alla base del timore per il contagio che caratterizza l’orizzonte culturale e politico della modernità. Questo modo di pensare le leggi della genetica e il timore per la diffusione della degenerazione conoscono una diffusione capillare a cavallo tra Ottocento e Novecento. L’interesse per l’individuo in quanto soggetto politico, come corpo biologico, aumenta esponenzialmente durante l’Ottocento, sotto l’influenza della filosofia positivistica, la quale tenta di spiegare tutti gli aspetti del reale

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6 partendo da un’indagine scientifica. Durante questo secolo si moltiplicano gli studi che riguardano l’ereditarietà, la fisiologia, la psicologia e l’antropologia.

Nell’epoca del positivismo, infatti, si è sviluppata la tendenza a spiegare ogni aspetto della vita sociale attraverso gli strumenti offerti dalla scienza. Le nuove scoperte e discipline scientifiche hanno stabilito il paragone di “normalità” biologica e “anormalità”. E’ riconosciuto, anche da Foucault, il ruolo fondamentale che hanno avuto nella formulazione di norme biopolitiche il darwinismo sociale, l’eugenismo, le teorie medico legali dell’ereditarietà, della degenerazione e della razza. I meccanismi attraverso cui la scienza positiva definisce le caratteristiche biologiche delle diverse componenti della società sono ricostruite nel primo capitolo di questa tesi, nel quale si tenta di fornire una sintesi delle teorie scientifiche che saranno alla base della costruzione delle teorie razziali e in particolar modo delle differenze di genere. Data l’importanza che le teorie biopolitiche attribuiscono a fattori come le nascite, è notevole l’attenzione che viene rivolta alla sessualità. Tramite la gestione della sessualità è possibile coniugare le tecniche di normalizzazione del potere:

“attraverso i suoi effetti di procreazione la sessualità si iscrive e acquista efficacia all’interno di processi biologici più ampi che non riguardano il corpo dell’individuo, ma l’unità molteplice costituita dalla popolazione”3.

Naturalmente, il particolare interesse che viene rivolto alla sessualità implica la definizione di uno specifico ruolo per il sesso femminile, per l’ovvia importanza che ha nella riproduzione della specie. La funzione materna femminile è il punto di partenza per la definizione della “natura della donna”; le caratteristiche fisiologiche e psicologiche vengono messe in relazione alle specificità riproduttive e, dalle considerazioni ottenute, derivano prescrizioni sociali e politiche per le donne. Ma, l’interesse rivolto alla procreazione non

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7 ha soltanto un risvolto per il genere femminile, ad essere al centro del dibattito è soprattutto il frutto di questa procreazione. In un momento in cui lo spettro della degenerazione assilla scienziati e politici, assicurarsi che venga eliminato, per garantire la salvezza della specie ed evitarne il contagio diventa la giustificazione per quelle politiche immunitarie di cui si parlava pocanzi. Fondamentali per la definizione della degenerazione sono le teorizzazioni dello psichiatra francese Augustin Morel. La degenerazione, poiché trasmissibile ereditariamente, deve essere fermata e la società deve adoperare ogni mezzo per raggiungere questo fine. La classe politica, per questa ragione, deve assumere una funzione di normalizzatrice delle questioni biologiche. L’eugenetica in quest’ottica non è che la risposta tecnica a questa problematica. La selezione artificiale che l’eugenetica prevede non ha altro scopo che quello di restaurare una selezione naturale indebolita o rovesciata dai meccanismi compensativi di tipo umanitario4. I connotati del movimento

eugenetico verranno più specificatamente approfonditi nel secondo capitolo di questa tesi. Questo nuovo indirizzo che si sviluppa tra Ottocento e Novecento esprime l’interesse politico di migliorare la specie. Questo ragionamento prevede l’esclusione di coloro che rappresentano una minaccia per la stirpe, ovvero tutti gli elementi improduttivi economicamente ed estranei alla norma biologica della specie. Per i casi di degenerati vengono prescritti metodi coercitivi che li sottraggano all’atto della procreazione, o se non altro, che mantengono sotto il controllo statale la loro vita biologica. Il dibattito sugli strumenti che l’eugenetica dovesse o meno utilizzare riguarda la differenza fra eugenetica “negativa” ed eugenetica “positiva”. Mentre nel mondo anglosassone, scandinavo e tedesco, vennero adottate posizioni “negative” di birth control, in Italia, a causa dell’influenza delle politiche pronataliste fasciste e della Chiesa cattolica, si optò per posizioni più moderate “positive”. Non mancarono, tuttavia, nel contesto italiano posizioni

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8 maggiormente favorevoli al paradigma “negativo” dell’eugenetica, come quelle del medico, oggetto di questa tesi, Gaetano Pieraccini, per il quale la sterilizzazione rappresentava una preventiva vaccinazione per i morbi che potessero alterare la funzione autoconservativa della specie5.

La seconda parte di questa tesi rivolge particolare attenzione al medico toscano Gaetano Pieraccini. Nella sua figura politica, ma soprattutto scientifica, sono presenti tutti gli elementi appena elencati che caratterizzano il concetto di biopolitica. La sua carriera, infatti, si divide fra quella di medico e quella di politico. La sua formazione pienamente positivistica e la sua vicinanza al partito politico socialista, lo spingono ad elaborare norme sociali che attraverso l’azione dei medici nella programmazione politica avrebbero lo scopo di migliorare la società; per questo gran parte della sua opera è dedicata alla medicina del lavoro. Gaetano Pieraccini fu inoltre legato al movimento eugenetico italiano, e la sua voce risultò particolarmente autorevole all’interno di questo contesto. Quello che le biografie sul personaggio hanno probabilmente trascurato è il ruolo di eugenista di Pieraccini, il quale partendo da un metodo di indagine genealogica spiccatamente positivistica elabora delle vere e proprie norme di eugenetica “negativa”. Il lavoro più imponente del medico toscano fu La stirpe de’ Medici

di Cafaggiolo, nel quale attraverso la ricostruzione della genealogia della

famiglia Medici giunse ad elaborare delle vere e proprie leggi che riguardavano la trasmissione dei caratteri della specie. Particolarmente interessante è il ruolo che Pieraccini attribuisce al genere femminile nella trasmissione dei caratteri ereditari. Le donne possiederebbero la capacità di riportare nella norma le devianze morfologiche e psicologiche della specie; per questa ragione è bene che esse si dedichino esclusivamente alla loro

5 Cfr. Francesco Cassata, Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia, Torino, Bollati Boringhieri,

2006; Claudia Mantovani, Rigenerare la società. L’eugenetica in Italia dalle origini

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9 funzione di procreatrici, tanto più che sulla base della ricostruzione delle loro specifiche caratteristiche naturali esse risultano inferiori all’uomo nell’intelligenza e nella forza fisica e in tutte le esplicazioni “esterne” in rapporto con la società e la politica. Queste teorizzazioni sono ampiamente esposte nel lavoro del 1931 La donna nella conservazione e nel

perfezionamento della specie e in numerosi articoli e interventi di Pieraccini al

congresso di eugenetica italiano, in cui, attraverso indagini statistiche, Pieraccini traccia le caratteristiche biologiche femminili. Tale legge che Pieraccini elabora è riconosciuta dalla comunità scientifica a lui contemporanea come “legge di Gaetano Pieraccini”, fatto che dimostra l’autorevolezza del medico toscano nel contesto scientifico degli anni Venti e Trenta. Sebbene le teorie scientifiche di Pieraccini affondino le proprie radici nella ricerca scientifica a lui precedente, è notevole il contributo innovativo che egli fornisce per le prescrizioni scientifiche del movimento eugenetico. Una volta elaborata una legge scientifica, Pieraccini, propone delle vere e proprie norme sociali, che prescrivono l’isolamento dei malati “degenerati” e la sterilizzazione di questi ultimi, e imprigionano la donna nel ruolo di riproduttrice della specie, auspicando la riduzione degli spazi sociali e politici che le competono. L’attività politica e scientifica di Pieraccini non si riduce negli anni Cinquanta, ma anzi l’anziano medico toscano, divenuto ormai senatore della Repubblica, continua a ribadire il ruolo prettamente materno del genere femminile, proponendo la soluzione politica dello “stipendio maritale” per escludere le donne dal lavoro extradomestico e relegarle alla loro funzione casalinga. Particolarmente interessante, perché sintomo di un non ancora tramontato orizzonte scientifico positivistico, è il dibattito sulla prostituzione che si apre in Italia con la proposta di legge della senatrice Merlin del 1948, poi approvata nel 1958, in cui ancora Pieraccini, come una buona fetta della classe medica presente in Parlamento, fa riferimento alla

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10 definizione lombrosiana della prostituta, ribadendo il carattere deviante di quest’ultima e la sua predisposizione naturale, dunque irrecuperabile.

L’obiettivo di questa tesi è di ripercorre, grazie alla figura del longevo Pieraccini, l’evoluzione italiana del paradigma biopolitico, sia culturalmente che politicamente. Particolare attenzione è stata dedicata alla questione femminile interpretata attraverso l’elaborazione scientifica positivistica ed eugenetica. E’ emerso dalla lettura delle pubblicazioni di Pieraccini un aspetto trascurato dalle biografie sul personaggio, ovvero, la sua centralità in quanto personaggio di spicco dell’eugenetica italiana e l’autorevolezza delle sue posizioni scientifiche all’interno del contesto italiano, non solo per quanto concerneva le questioni della medicina lavoro (aspetto particolarmente sottolineato dalle biografie sull’autore), ma anche relativamente allo sviluppo della branca medica dell’igiene sociale. E’ interessante notare come la posizione politica di Pieraccini di fiero oppositore del regime fascista, non abbia necessariamente comportato la sua esclusione dal contesto culturale scientifico dell’epoca, che al contrario, ne esaltò le elaborazioni scientifiche, proprio dalle pagine di alcune delle riviste scientifiche più vicine al regime. Infatti, sebbene Pieraccini fosse un fervente oppositore del regime fascista, non è estraneo alla concezione di purezza della razza e fa parte del suo bagaglio culturale l’idea che sia possibile costruire una gerarchia fra le razze umane. Le analogie culturali fra fascismo e socialismo vanno, dunque, rintracciate nelle radici che entrambe le correnti politiche affondano nella scienza positiva.

Per quanto riguarda la definizione teorica del concetto di biopolitica sono stati utilizzati i testi di Michel Foucault e le elaborazioni più recenti sulla questione di Roberto Esposito e Antonella Cutro. Un consistente supporto bibliografico per la ricostruzione del panorama del positivismo e l’elaborazione del concetto di “natura della donna” è stato fornito dal testo di Paolo Rossi, dal

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11 testo di Giovanni Landucci e dal testo di Valeria Paola Babini, Fernanda Minuz, Annamaria Tagliavini. Riguardo al paradigma dell’eugenetica di fondamentale importanza sono state le pubblicazioni di Francesco Cassata, Claudia Mantovani e l’articolo di Claudio Pogliano, che ha dato l’input per la ricerca in questo settore. Le informazioni biografiche riguardo a Pieraccini sono state fornite da le pubblicazioni di Lirio Mangalaviti, di Maurizio degli Innocenti e dal recente testo pubblicato nel 2003 da Francesco Carnevale, Zeffiro Ciuffoletti, Mariella Migliorini Mazzini e Maura Rolith.

Le fonti utilizzate sono per la maggior parte gli articoli e le pubblicazioni dello stesso Gaetano Pieraccini, i suoi interventi nei congressi di genetica ed eugenetica ed infine i suoi interventi in Parlamento. Sono state utilizzate per porre un confronto con le correnti scientifiche e politiche contemporanee al medico toscano le pubblicazioni di Tullio Rossi-Doria, Ehrhardt F. W. Eberhard e Piero Malcovati, nonché articoli comparsi sulle riviste scientifiche dell’epoca come “La difesa della razza” o “Difesa sociale”; per ricostruire il dibattito parlamentare riguardo alla normativa sulla prostituzione, sono stati utilizzati gli Atti del Parlamento e le pubblicazioni della tipografia del Senato che riportano le posizioni della senatrice Lina Merlin e dello stesso Pieraccini. Alcuni articoli di uno dei principali quotidiani degli anni Cinquanta, “Il nuovo corriere della sera”, sono stati utilizzati per dimostrare l’interesse dell’opinione pubblica per le questioni analizzate da Pieraccini.

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PARTE PRIMA

Capitolo I

Il positivismo in Italia. La “natura della donna”.

1. Positivismo

Nella seconda metà dell’Ottocento la fiducia nella validità del metodo sperimentale di osservare e analizzare la realtà crebbe al punto di poter parlare di una vera e propria religione che travolse il modo di pensare di più di una generazione e che coinvolse le molteplici forme del sapere. La scienza assunse, dunque, un ruolo centrale nella storia del pensiero e nelle forme di analisi della società. La corrente ideologica, conosciuta in Italia con il nome di Positivismo, dominò l’Europa nella seconda metà del secolo e venne largamente diffusa tramite le opere di divulgazione di scienziati specializzati in diverse discipline, i quali si resero in questo modo “ideologi di se stessi”6 . La

scienza divenne per i positivisti la chiave di lettura per spiegare ogni aspetto della vita; il punto di partenza era quello dell’analisi empirica, attraverso la quale diventava possibile scardinare la superstizione e il dogmatismo presenti nella società7. All’interno del grande calderone della cultura del positivismo

confluirono studiosi di svariati ambiti di ricerca: medici, biologi, filosofi, antropologi, psicologi, che apportarono contributi al dibattito spesso discordi. Il collante delle posizioni, a volte disparate, fu il metodo utilizzato e la presunzione che l’osservazione scientifica potesse garantire la massima

6 Fernanda Minuz, La norma del femminile nell’antropologia, in Paolo Rossi, L’età del

positivismo, Bologna, il Mulino, 1986, pag. 440.

7 Giovanni Landucci, Darwinismo a Firenze. Tra scienza e ideologia, Firenze, Olschki, 1977,

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13 oggettività possibile. Il concetto di positivismo è, infatti, indissolubilmente legato a quello di naturalismo e meccanicismo. Il metodo analogico che prevedeva la comparazione dei comportamenti animali per stabilirne le disuguaglianze e i parametri di diversità, venne applicato anche al comportamento umano. Le differenze individuate vennero classificate all’interno di una scala gerarchica, la quale permetteva di stabilire i livelli di inferiorità e di superiorità che tanto peso avrebbero avuto nei decenni a venire8. Avvenuta la raccolta e l’elaborazione dei dati, si tentava di formulare

delle leggi che avrebbero permesso di unificarli e spiegarli. In questo quadro, di indispensabile supporto furono gli studi statistici e le molteplici discipline delle scienze naturali (archeologia, geologia, linguistica, antropologia, craniologia), alcune delle quali in fase di trasformazione o ancora in forma embrionale, che permisero di classificare, analizzare e raccogliere i molteplici aspetti del reale. Il metodo del meccanicismo naturalista presumeva che attraverso la descrizione e lo studio del comportamento degli animali fosse possibile spiegare i sentimenti umani più complessi. Il naturalismo partendo da fattori fisici, fisiologici, passava ad analizzare quelli psicologici fino a giungere ai fatti intellettuali e morali, con tutte le facili semplificazioni che un simile procedimento comportava:

“Il naturalismo celava una visione ottimistica e meccanica dell’uomo e della società; troppo ottimistica e troppo meccanica per render conto della complessità e delle contraddizioni del reale.”9

Secondo questo ragionamento le caratteristiche psicologiche potevano essere chiamate a conferma di quelle fisiche e viceversa.

8 Giovanni Landucci, I positivisti e la servitù della donna, in Simonetta Soldani, L’educazione

delle donne. Scuole e modelli di vita femminile nell’Italia dell’Ottocento, Milano, Franco Angeli,

1989, pag.482.

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14 Le conclusioni ottenute attraverso questo metodo di ricerca si pretendevano valide sia sul piano politico che su quello sociale; l’analisi scientifica e quella politica si compenetrarono al punto da rendere difficile stabilire chi avesse influenzato cosa10. Infatti, il metodo scientifico costituì un terreno fertile non

soltanto per la ricerca scientifica, in senso stretto, ma anche per quelle ideologie politiche che tentavano di fissare le caratteristiche della “natura umana” e, sulla base di queste definizioni, cercavano di stabilire delle norme in grado si costruire un ordine sociale che escludesse i “diversi”: i popoli primitivi e i malati mentali, ma anche le donne11.

Intrise di riduzionismo biologico furono la psichiatria e un nuovo campo di studi che andava delineandosi proprio in quegli anni: l’antropologia. Una tendenza comune alla psichiatria tardo ottocentesca fu quella di identificare o di fare uso di ideologie promotrici del primato scientifico nella spiegazione di ogni campo del reale12. Per quasi tutti i fisiologi e gli antropologi positivisti i

problemi della natura umana si ridussero in ultima istanza alla psicologia: gli psicologi erano i più interessati alla psicologia comparata, i fisiologi coltivavano più l’esperimento e indagavano le radici biologiche e chimiche dell’attività psichica 13. La presunta oggettività di cui i positivisti amavano

tanto vantarsi non era però una costante. Spesso, le loro opere e dissertazioni si rivelarono un “pastiche di giornalismo, romanzo e scienza”14

Indispensabile fare un cenno all’opera che divenne simbolo del positivismo:

L’origine della specie di Charles Darwin, pubblicato nel 1859 e tradotto in Italia

10 Fernanda Minuz, La norma del femminile nell’antropologia…, cit., pag. 450.

11 Valeria Paola Babini, Un altro genere. La costruzione scientifica della “natura femminile”, in

Alberto Burgio, Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia, Bologna, il Mulino, 1999, pag. 477.

12Cfr. Annamaria Tagliavini, La mente femminile nella psichiatria dell’Ottocento, in Paolo Rossi,

L’età del positivismo…, cit., pp. 475-491.

13 Giovanni Landucci, Darwinismo a Firenze…, cit., pp. 184-186.

14 Valeria P. Babini, Fernanda Minuz, Annamaria Tagliavini, La donna nelle scienze dell’uomo,

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15 nel 1864 ad opera di Canestrini e Salimbeni15. L’eco del dibattito che già da

qualche anno si era acceso in Europa era giunta in Italia prima della pubblicazione dell’opera. La diffusione delle teorie evoluzionistiche dello scienziato inglese aveva provocato scissioni di ordine morale, soprattutto a causa della forte presenza della religione cattolica in Italia e dei fedeli sostenitori di un approccio filosofico metafisico più che scientifico. Tuttavia le considerazioni contenute nel testo, formulate a partire da approfondite ricerche scientifiche, acquisirono subito grande autorevolezza, pur contenendo in nuce inquietanti sviluppi. Entusiastiche recensioni si leggono nelle riviste specializzate e nei trattati scientifici di diverso genere:

“il positivismo è considerato l’unica religione <<vera>>, <<scientifica>>, <<eterna>>; il suo Ideale è vivere per il Progresso sia dell’Uomo sia della Specie Umana; la sua verità si identifica con l’Utile e con il Bene dell’Umanità, il suo grido è <<Excelsius>>, <<In alto i cuori>>.” 16

E’ possibile rintracciare i riflessi delle teorie darwiniane nello sviluppo dell’antropologia scientifica, della sociologia, della pedagogia e della linguistica17.

“Sembrava infatti inconfutabile l’opinione di quanti ravvisavano nell’evoluzione la fiducia nel progresso, lo smantellamento dei pregiudizi e nel fissismo delle specie, la reazione, l’immobilità o il ritorno al passato.”18

La fiducia nel progresso e nel metodo scientifico permetteva di accantonare i problemi metafisici e religiosi, mentre la scienza si faceva spazio come metodo di ricerca adatto a cogliere il mistero della vita. Non era tanto il darwinismo il punto della questione quanto una complessiva valutazione del metodo e della ricerca scientifica.

15 Giovanni Landucci, Darwinismo a Firenze…, cit., pag.2. 16 Ivi, pag.14.

17 Ivi, pag.9. 18 Ivi, pag.88.

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16 La teoria evoluzionista si prestava talvolta a manipolazioni ideologiche anche pericolose. Il determinismo biologico fu largamente condiviso dalle scienze mediche della seconda metà dell’Ottocento e rappresentò la cornice entro cui vennero condotte le indagini scientifiche sulle donne. Consentendo una lettura normativa di ogni fenomeno iscritto nell’ordine naturale, il determinismo biologico riproponeva sotto nuova veste “il mito della sacertà della natura” e del suo inimitabile ordine, punto di riferimento, inoltre, del tanto auspicato perfezionamento dell’umanità, per il cui fine anche l’educazione e la cultura, come precisava Giuseppe Sergi: “devono secondare la natura, non alterarla, perfezionandola”19.

Nel giro di alcuni decenni la medicina, attraverso il connubio con la biologia, divenne una scienza sperimentale e positiva. Tutta la pratica medica e la stessa patologia vennero rinnovandosi con l’applicazione della teoria cellulare, dello studio dei microrganismi e della fisiologia sperimentale. D’altra parte, era segno di maturità civile e sociale che sulla base di precise indagini statistiche e con l’ausilio di nuove scoperte scientifiche si indicasse la necessità della prevenzione e dell’educazione, specie per questioni igienico sanitarie e per i matrimoni tra consanguinei o tra persone ammalate20. I

progressi della fisica e della chimica e, in particolare della chimica organica, così come l’applicazione della vivisezione dettero notevole impulso alla fisiologia, ed il terreno di applicazione più importante fu lo studio del sistema nervoso. Il diverso modo di affrontare i problemi della medicina nascondeva anche un differente atteggiamento di fronte all’uomo e alla storia della scienza. Se si tiene conto che anche le teorie darwiniane inquadravano in una prospettiva naturalistica tutti gli aspetti del reale, dai più semplici fenomeni

19 Valeria Paola Babini, Un altro genere..., cit., pp.479-480.

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17 biologici fino alle più alte manifestazioni della ragione e della moralità, appare chiaro quali saranno i risvolti inquietanti dello sviluppo di queste teorie21.

“Il secolo nuovo si apriva,così, tra la scienza positiva che finiva per diventare religione e la religione che aveva l’ambizione di recuperare la scienza”22.

2. Etica socialista e positivismo

Da un punto di vista etico le soluzioni e gli obbiettivi posti dalla filosofia e dalla scienza positiva furono in parte condivisi dall’ideologia socialista. Lo stesso interesse dimostrato dai positivisti per i problemi politici e sociali e l’indissolubilità di questi aspetti dallo studio scientifico dell’uomo, portarono le due ideologie a confrontarsi e compenetrarsi. Nello specifico, l’idea di una società antiegoistica che si fondasse sulla conoscenza della realtà biologica, psichica e sociale dell’uomo appariva congeniale alla concezione morale del socialismo, che rivendicava a gran voce giustizia sociale e rispetto della dignità della persona umana, intesa nella organica molteplicità dei suoi impulsi, delle sue attitudini, delle sue energie e dei suoi bisogni 23. Condivisibile con le teorie

positive appariva, dunque, il metodo per conseguire la conoscenza scientifica della realtà e per affrontare razionalmente i problemi morali. A rendere solida l’impalcatura della morale socialista era l’oggettività e la sicurezza che un’analisi del reale di tipo positivistico poteva assicurare. Inoltre, il carattere etico del socialismo, che da una simile interpretazione ne derivava, si contrapponeva all’ipocrisia e allo spirito di rassegnazione della morale cattolica. Obiettivi quali la campagna per la salute fisica e l’igiene sembravano condivisibili in un’ottica di lotta all’ordinamento economico capitalistico.

21 Valeria Paola Babini, Un altro genere…, cit., pag.48. 22 Ivi, pag.256.

23 Maurizio Viroli, L’etica socialista e la morale dei positivisti, in Paolo Rossi, L’età del

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18 Socialisti della prima ora come Filippo Turati24 o Arturo Labriola25, ispirandosi

in particolar modo agli scritti del filosofo Roberto Ardigò, non tardarono a mostrare la propria condivisione per un’analisi della società fondata su presupposti scientifici, nella richiesta di giustizia e affermazione di autonomia morale. Un tale tipo di valutazione permetteva di tener conto dei bisogni concreti delle classi popolari. E’ altrettanto vero che i contenuti di tali formulazioni non vennero organizzati in un sistema coerente di idee: una parte dei socialisti positivisti si rifaceva al cristianesimo secolarizzato, altri all’utilitarismo, altri all’idealismo o all’umanitarismo e inevitabilmente il pensiero positivistico venne in parte distorto e travisato26. Se da una parte

veniva riconosciuta la grandissima influenza dell’ambiente sull’individuo, dall’altra veniva ribadita l’importanza della coscienza morale come leva per risollevare il mondo. A tal fine, indispensabile risulta il costante impegno ad educare e rinvigorire la volontà, in modo da formare nei lavoratori un senso civico proprio dei cittadini moderni27. In quest’ottica si delinea la visione della

società capitalista come organismo malsano, malato, metafora che verrà spesso usata anche da disparate ideologie politiche, ma che faceva parte del bagaglio culturale dei positivisti. Secondo questa visione il socialismo appariva come il medico che restituisce salute e vigore al corpo sociale, riducendo e combattendo le diseguaglianze che lo ammorbano28.

24 Uomo politico italiano di formazione democratica e positivistica, aderì al marxismo e fu tra i

fondatori della rivista “Critica sociale” e del partito socialista dei lavoratori italiani (1892). Leader dei riformisti fu espulso dal PSI (1922). In esilio a Parigi promosse la nascita della Concentrazione antifascista e la riunificazione del partito.

25 Uomo politico ed economista italiano. Socialista, fu tra i leader del sindacalismo

rivoluzionario. Dopo aver ripiegato su posizioni più moderate, nel 1913 entrò alla Camera come socialista indipendente. Interventista nel 1915, fu poi ministro del Lavoro (1920-21). Fu deputato alla Costituente e senatore di diritto (1948-53).

26 Maurizio Viroli, L’etica socialista e la morale dei positivisti…, cit., pag.174. 27 Ivi, pag. 172.

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19 2.1 Medicina sociale

Particolare attenzione alle teorie positiviste prestarono i medici socialisti, interessati attraverso lo sviluppo di una “medicina sociale”, intesa come proiezione di una “scienza politica” a correggere le storture biologiche, sia in un’ottica deterministica che politica. Questa branca della scienza più che rivolgersi all’organismo del malato si rivolgeva all’organismo sociale. Partendo dal presupposto che influivano sulla salute del malato fattori quali: l’ambiente sociale, il livello di istruzione, di igiene, le condizioni di lavoro, l’ambiente fisico, i servizi di sanità, il sesso, il patrimonio genetico; la nuova figura di medico doveva individuare queste problematiche e impegnarsi politicamente per fare in modo che venissero corrette tutte le storture, che egli in quanto uomo di scienza era stato in grado di individuare e denunciare. Quanto detto trova conferma nella forte consistenza numerica di medici alla Camera dei deputati29. Molti di questi scienziati, inoltre, si impegnarono come pubblici

amministratori a livello locale. Per queste ragioni, proliferarono gli scritti per l’educazione politica ed igienica dei lavoratori. Medici e politici come Gaetano Pieraccini furono attivi nella promozione, non solo scientifica ma anche politica, di iniziative rivolte alla salute e all’igiene dei lavoratori. Venne privilegiato l’aspetto preventivo, piuttosto che quello curativo, rispetto alle questioni delle malattie e delle malformazioni professionali30.

L’ultimo decennio dell’Ottocento fu una decade importante per quanto riguarda il tema dell’assistenza sociale. Nel marzo e nel luglio del 1898 furono approvate le leggi che riguardavano gli infortuni sul lavoro, accettando il

29 Silvano Montaldo, Scienziati e potere politico, in <<Storia d’Italia>>, annale n.7, Malattia e

medicina, (a cura di) Franco Della Peruta,Torino, Einaudi,1984, pag.45.

30 Alcune delle più note pubblicazioni di Gaetano Pieraccini in merito alla medicina del lavoro

sono: Patologia del lavoro e terapia sociale, Milano, Soc. editrice libraria, 1906; Gaetano Pieraccini, Luigi D’Aragona, Assicurazione operaia contro le malattie, l’invalidità e la vecchiaia.

Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro nelle industrie, Milano, Coop. Tip. Degli operai,

1914; Storia naturale del lavoro. Genealogia degli arnesi ed evoluzione della mano, Firenze, Marzocco, 1944; Anatomia e fisiologia dell’uomo che lavora, Firenza, Vallecchi, 1946.

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20 principio dell’obbligo assicurativo. Negli stessi mesi si pervenne all’istituzione della Cassa di previdenze per l’invalidità e la vecchiaia, ricorrendo in questo caso ad un sistema di finanziamento facoltativo, quasi completamente a carico degli assicurati. La classe medica riuscì ad intervenire su questioni riguardanti previdenza e sanità, tramite organi come il Consiglio superiore del lavoro.

Per quanto riguarda il sistema sanitario, una prima riforma, dopo il 1865, si deve a Crispi, che in qualità di ministro dell’Interno riuscì a fare istituire la Direzione di Sanità nel 1887. Divenuto presidente del consiglio, quello stesso anno presentò il disegno di legge “sulla tutela dell’igiene e della sanità pubblica”, che venne approvato nel 1888. L’intenzione era di disciplinare il settore avvalendosi dell’azione delle autorità amministrative coadiuvate da persone fornite di competenza tecnica (non a caso a guida della Direzione di Sanità Crispi chiamò il professore di igiene Luigi Pagliani). Ulteriori riforme al sistema sanitario si ebbero nel periodo giolittiano. Tali riforme lasciavano più spazio agli ispettori sanitari, rendendo per questo scontente le opere pie che rivendicavano la propria autonomia.31

3. La “natura della donna”

Un ambito nel quale ricercare un riscontro delle teorie darwiniste fu quello della riproduzione e della conservazione della specie. Lo stesso Darwin nel suo libro L’origine dell’uomo (1871) annunciava:

“Eppure l’uomo potrebbe mediante la selezione fare qualcosa non solo per la costituzione somatica dei suoi figli, ma anche per le loro qualità intellettuali e morali. I due sessi dovrebbero star lontani dal matrimonio, quando sono deboli di mente e di

31 Sulla questione sanitaria e previdenza sociale si vedano: Stefano Sepe, Le amministrazioni

della sicurezza sociale nell’Italia unita (1861-1998), Milano, Giuffrè, 1999; Arnaldo Cherubini, Storia della previdenza sociale, Roma, Editori Riuniti, 1977.

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21 corpo; ma queste speranze sono utopie, e non si realizzeranno mai, neppure in parte, finché le leggi dell’ereditarietà non saranno completamente conosciute.”32

Rientrano dunque nel dibattito i temi dell’ereditarietà dei caratteri e la procreazione. Simili argomentazioni non possono che generare delle riflessioni, ripensamenti e analisi sul ruolo svolto dalle donne in tema di selezione dei caratteri naturali e di procreazione. Tema complesso e particolare da affrontare, sia per le diverse motivazioni che lo portarono al centro del dibattito, sia per le numerose prese di posizione che scaturirono dalla diversa angolatura dalla quale si tentava di analizzarlo.

Un’ analisi del momento storico in cui tali teorie vengono formulate provoca delle riflessioni sulla posta in gioco che i ruoli di genere rappresentavano, in una fase in cui le rivendicazioni dei movimenti femminili cominciavano ad essere avanzate. In tal senso nello studio di Valeria Babini e Annamaria Tagliavini viene posto l’accento sulla coincidenza tra la comparsa di tali teorie e il dibattito che le richieste delle suffragiste e delle femministe riguardo un nuovo ruolo all’interno della società, della politica e della vita civile per la donna avevano provocato. Contrarie a simili proposte di cambiamento erano le formulazioni circa l’accertata inferiorità che caratterizzava il genere femminile “per natura”, posizioni che diventavano fonte di legittimazione per la disparità politica e sociale33. Un’analisi scientifica, influenzata dal

determinismo biologico, spinse i positivisti a cercare di trattenere le donne all’interno delle mura domestiche e rilegarle al ruolo di madre; l’atteggiamento opposto avrebbe inevitabilmente avuto delle conseguenze degenerative da un punto di vista biologico, morale e sociale. Secondo il principio che la realizzazione dell’individuo sta nell’adempimento dei suoi

32 Charles Darwin, L’origine dell’uomo, a cura di Franco Paparo, Milano, Feltrinelli, 1949,

pag.140.

33 Valeria P. Babini, Fernanda Minuz, La donna nelle scienze dell’uomo…, cit.. Si veda anche

Bruno Wanrooij, Storia del pudore. La questione sessuale in Italia 1860-1940, Venezia, Marsilio, 1990.

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22 doveri verso la società, solo attraverso la maternità la donna può completare ed esprimere la propria personalità. Emblematico in tal senso è il motto “Foemina est tota in utero”, il quale riprendeva la tradizione classica ippocratica secondo la quale l’organismo femminile è organizzato attorno all’utero; riflessioni che travalicavano l’analisi strettamente anatomica e andavano a definire la psiche e la moralità femminile34. All’interno di questo

dibattito la sessualità della donna finiva per diventare una funzione igienica e sociale, che permetteva di cogliere frutti positivi, sia per la famiglia e la società intera, sia per la donna stessa, che secondo queste teorizzazioni, avrebbe goduto dei piaceri di realizzare il proprio destino fisiologico35.

Tuttavia, il ruolo materno delle donne conteneva in sé delle ambiguità: se da un lato permetteva alla donna di rivendicare una propria dignità, dall’altro finiva per nuocere al libero sviluppo delle sue capacità36. Le giustificazioni date

a tali argomentazioni partirono da premesse diverse a seconda della specifica disciplina che diede il proprio apporto alla costruzione di uno stereotipo della “natura della donna”. Natura che, a causa di una concezione antropocentrica, veniva definita e costruita in rapporto all’uomo; la donna è considerata, in questo senso, un essere in relazione, in relazione all’uomo, ma anche ai figli, proprio per il suo ruolo di depositaria della specie, della razza e della famiglia37. Si tratta di materie di studio che non mancarono di interagire l’una

con l’altra e che nella maggior parte dei casi giunsero ad un'unica conclusione. Tuttavia è opportuno individuare due macrocorrenti che nel dibattito sul ruolo femminile si distinsero: le posizioni che consideravano la donna inferiore rispetto all’uomo, infantile, sottomessa e quelle che invece consideravano la donna complementare, ma diversa e dunque riconoscevano l’alto ruolo svolto nella qualità di madre, “pari” a quello dell’uomo nella

34 Valeria Paola Babini, Fernanda Minuz, La donna nelle scienze dell’uomo…, cit., pag. 127. 35 Ivi., pag.57.

36Bruno Wonroij, Storia del pudore…, cit., pag. 180.

37 Cfr. Mario Manfredi, Ada Mangano, Alle origini del diritto femminile. Cultura giuridica e

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23 società per importanza, ma immutabile, pena effetti catastrofici per la società. Queste posizioni apparentemente contraddittorie trovavano un punto di incontro “nella legge spenseriana che fissava un rapporto inversamente proporzionale fra fecondità e sviluppo”38. Quali che fossero le argomentazioni

a riguardo il risvolto pratico restava comunque lo stesso: donne a casa a procreare e uomini fuori a conquistare il mondo.

3.1 Le donne nell’antropologia

Nell’Ottocento l’antropologia si proclamava scienza unificata della specie umana. Riguardo la questione femminile, la disciplina si poneva l’obiettivo di definire la “natura della donna” e in che cosa questa si differenziasse da quella maschile. Il frutto di simili ricerche era una sorta di collage di dati e interpretazioni tratte dalle diverse discipline, che venivano avulsi dal contesto specifico e ricomposti a seconda delle inclinazioni teoriche dei singoli autori, al fine di collocare il genere femminile all’interno della gerarchia umana che l’antropologia stava costruendo. Il risultato di tale procedimento era la produzione di scritti pseudoscientifici che pretendevano di offrire un’obiettiva descrizione biologica e prescrivevano soluzioni sociologiche e politiche di diverso genere per indirizzare la donna alla sua destinazione nel mondo civilizzato. I due ordini di realtà con i quali si trovava a lavorare l’antropologo erano infatti quello dell’uomo fisico e quello dell’uomo sociale e morale. Le caratteristiche di questo approccio antropologico richiamano alla scienze naturaliste e deterministiche in voga all’epoca.

38 Fernanda Minuz, La norma del femminile nell’antropologia, in Paolo Rossi, L’età del

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24 Nel panorama dell’antropologia italiana si distinsero per l’interesse dimostrato alla questione femminile Paolo Mantegazza39 e Cesare Lombroso40.

Quest’ultimo pubblicò nel 1893, insieme al genero Guglielmo Ferrero, un fortunato trattato di criminologia femminile: La donna delinquente, la

prostituta, la donna normale. Partendo da un’analisi della “donna normale”,

come termine di confronto, Lombroso individua le leggi biologiche che agiscono sul corpo femminile e le devianze che caratterizzano la donna delinquente. Fa inoltre una distinzione fra criminale-nata, criminale occasionale e prostituta. La donna appare intellettualmente inferiore all’uomo per motivi “naturali”, non storici. Particolare attenzione veniva infatti riposta in quegli anni alla craniologia. Attraverso tecniche di misurazione era possibile calcolare la dimensione del cranio e del cervello e sulla base dei risultati ottenuti stabilire il grado di intelligenza e le peculiarità intellettuali e morali del soggetto in questione. Tale constatazione offriva una giustificazione all’impossibilità di perfezionamento e appariva facilmente calcolabile grazie al

39 Antropologo, igienista, patologo e scrittore italiano. Esercitò dapprima la professione

medica in Argentina; tornato in Italia, fu professore di patologia generale nell'università di Pavia (dal 1860), dove fondò il primo laboratorio di patologia generale in Europa. Deputato al parlamento e senatore, fece creare a Firenze la prima cattedra italiana di antropologia e ne assunse l'insegnamento (1870). Assertore convinto delle teorie darwiniane, ne studiò molti problemi (atavismo, pangenesi, selezione sessuale, ecc.); si occupò di vari argomenti di antropologia fisica (conformazione del cranio, ecc.). Creò a Firenze un museo antropologico-etnografico, fondò la Società italiana di antropologia e diresse (dal 1871, con F. Finzi) il periodico “Archivio per l'antropologia e la etnologia”.

40Psichiatra e antropologo italiano; docente di psichiatria a Pavia (1862), direttore

dell'ospedale psichiatrico di Pesaro (1871), fu ordinario a Torino di medicina legale e igiene pubblica (1876), di psichiatria (1896) e infine di antropologia criminale (1905). Predilesse i temi di medicina sociale: le sue ricerche sul cretinismo, sulla pellagra e in particolare gli Studi

per una geografia clinica italiana (1865) furono fonte, tra le più importanti, della legislazione

sanitaria italiana; tuttavia gli studî che gli dettero una notorietà tutta particolare furono quelli di antropologia criminale, materia di cui è considerato l'iniziatore. Partendo da una concezione materialistica dell'uomo, cercò di spiegare con anomalie fisiche (caratteri

degenerativi lombrosiani) la degenerazione morale del delinquente: L'uomo delinquente studiato in rapporto alla antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie (1876)

è l'opera che contiene i fondamenti di questa nuova scienza. Le sue idee ebbero larga diffusione specie fra sociologi e giuristi, favorendo la nascita della cosiddetta scuola positiva del diritto penale. Ivi., pag. 439.

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25 metodo della misurazione41. Considerate queste premesse, si giungeva alla

conclusione che l’intelletto femminile fosse precoce rispetto a quello dell’uomo, ma che non andasse oltre un certo stadio. Per cui le donne risultavano incapaci di ragionamento logico o di concentrarsi a lungo su un problema, incapaci di rielaborare e cogliere i molteplici aspetti della sintesi intellettuale. Lombroso non escludeva che potessero esserci donne di genio, ma in queste il sentimento materno si riduceva per lasciare posto a caratteristiche maschili, non solo intellettuali, ma anche fisiche. Secondo questa teoria le donne dotate di particolare intelligenza rischiavano di essere persino sterili, sulla base del fatto che l’intelligenza è inversamente proporzionale alla fertilità. In questo senso:

“il maschio ha una potenzialità primitiva di sviluppo superiore alla femmina, grazie alla parte minore che ha nella riproduzione della specie.”42

Un altro stereotipo offerto dall’antropologia positivistica era quello della donna/fanciullo. Lo stadio intellettuale femminile veniva paragonato a quello dei bambini: unica differenza il sentimento di pietà che sarebbe derivato dall’essere madre. Sulla questione della criminalità, Lombroso giunge alla conclusione che la donna delinque meno dell’uomo, sulla base del fatto che i dati statici registrano un maggior numero di delinquenti maschi che di criminali femmine. Tuttavia, se da un punto di vista statistico le donne risultano in minoranza rispetto agli uomini per le attività criminali e delinquenziali, da un punto di vista qualitativo si caratterizzano per una maggiore efferatezza43. Questo perché la donna costituiva:

41 Fernanda Minuz, Femmina o donna, in La donna nelle scienze dell’uomo…, cit., pag. 118. 42 Cesare Lombroso, Delitto, genio e follia. Scritti scelti, (a cura di) Delia Frigessi, Ferruccio

Giacanelli, Luisa Mangoni, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, cit. pag.610.

43 Mary Gibson, Il genere: la donna (delinquente e non)*, in Silvano Montaldo e Paolo Tappero,

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26 “una eccezione a doppio titolo; come criminale e come donna, perché i criminali sono un’eccezione nella civiltà e le donne criminali sono un’eccezione fra i criminali stessi.”44

Un’analisi a sé merita la figura della prostituta; la prostituzione rappresenta, infatti, il delitto per eccellenza del genere femminile. Facendo ricorso ad una concezione evoluzionistica, Lombroso sottolinea il carattere atavico della prostituta, individuando nella pratica della prostituzione la tipologia di relazione sessuale prevalente nelle società primitive45. Sintomi della

degenerazione morale della prostituta sono l’assenza di sentimento materno e del senso del pudore46. Meno severo appare Lombroso con le ree

d’occasione, individuando come movente del delitto “la passione d’amore”47.

La visione di Mantegazza dei rapporti fra i due sessi appare più idealizzata e ottimistica. L’autore di Fisiologia della donna offre una diversa interpretazione dell’infantilismo, descrivendolo come luogo dell’affettività e della spontaneità delle donne. A differenza dei suddetti autori, egli risulta incredulo circa la capacità di misurare il cervello e quindi dedurre il grado di intelligenza sulla base di dati craniometrici; era convinto, invece, che bisognasse dedicarsi all’osservazione delle manifestazioni morali per accedere ad una conoscenza “positiva” dello sviluppo e delle differenze intellettuali. Con tali propositi si dedicò allo studio e all’osservazione del numero di donne intellettuali. I risultati di queste statistiche e il numero inferiore di donne “geniali”

44 Cesare Lombroso, Giuliano Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale,

Torino, Fr.lli Bocca, 1903, pag. 434.

45 Mary Gibson, Il genere: la donna (delinquente e non)*…, cit., pag.161.

46 Si veda Cesare Lombroso, Delitto, genio e follia. Scritti scelti…., cit., pp. 250-304.

47 Come si avrà modo di discutere nell’ultimo capitolo di questa tesi, le considerazioni

lombrosiane sulla “natura” delle prostitute conosceranno una notevole fortuna nei decenni a venire, al punto che, quando il dibattito sulla questione della prostituzione verrà riaperto per via della proposta di legge di Lina Merlin, numerosi saranno i medici e i politici ancora saldamente ancorati alle teorie di Lombroso.

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27 apparivano ai suoi occhi considerazioni sufficienti a giudicare la donna intellettualmente inferiore all’uomo48.

3.2 Medicina e psichiatria a confronto

Si è detto di come il corpo della donna e gli aspetti fisiologici della sua persona fossero diventati parametri per la definizione del suo ruolo all’interno della famiglia, del contesto giuridico e politico. Pertanto, l’argomento non poté fare a meno di riguardare i medici, spesso influenzati dalla corrente di pensiero positivistica. I medici, dunque, rivendicavano un nuovo ruolo sociale e pretendevano che le loro conclusioni scientifiche fossero poste alla base dell’attività politica e giuridica; in questi ambiti, tuttavia, si correva il rischio che la morale positiva fosse appiattita a quella tradizionale49.

Funzione per eccellenza del corpo della donna era quella della maternità, motivo per cui particolarmente attivi nel dibattito furono i ginecologi. Diffusa era l’opinione che problemi psicologici della donna derivassero da fattori ginecologici. Un esempio di “ginecologo sociale” è il medico torinese Luigi Maria Bossi, fondatore della rivista “la Ginecologia moderna”, il quale si dimostrò particolarmente interessato ai casi di confine tra ginecologia e psicologia50. Lo stesso Bossi affermava in difesa della propria disciplina:

“La ginecologia quale branca della medicina che veglia sulla vita fisica e, indirettamente, psichica della donna in quanto riguarda la base della vita umana, la funzione cioè la procreazione, non può per indole sua fare astrazione dalla vita sociale in tutte le sue manifestazioni, non esclusa la politica. […] Ma un campo vecchio per intuizione, ma certamente nuovo nelle applicazioni, che ben coltivato,

48 Fernanda Minuz, Femmina o donna…, cit., pag.121. 49 Bruno Wanroij, Storia del pudore…, cit., pag. 30.

50 Annamaria Tagliavini, Il fondo oscuro dell’anima femminile, in Valeria Paola Babini,

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28 coltivato oltreché con scienza, con sentimento darà insperati frutti nella vita sociale è quello dei rapporti tra neuropsicopatie e malattie utero-ovariche”51.

La mancata maternità, ad esempio, non costituiva soltanto un danno per la società o la famiglia, ma era considerata causa originaria di problemi psicologici per le donne, le quali sfuggendo al proprio destino fisiologico provocavano danni fisici e psicologici a se stesse; e di conseguenza, la decisione stessa di sottrarsi all’istinto materno diventava sinonimo di follia. Le “oscillazioni” a cui era soggetta la sessualità femminile e dunque la sua psiche (secondo questo ragionamento), potevano manifestarsi anche durante il periodo della gravidanza (ragion per cui la donna durante la gestazione doveva essere considerata giuridicamente irresponsabile) così come durante il periodo mestruale52. Secondo alcuni ginecologi proprio a questa instabilità

dovuta alla gravidanza andava attribuita l’inversione dell’istinto materno che poteva portare la sfortunata a macchiarsi del crimine di infanticidio. La soluzione proposta per la correzione di questa particolare specie di reati era di istituire dei sanatori per i problemi femminili53. Nel 1911 si tenne il congresso

ostretico-ginecologico e in questa sede venne formulata la proposta che alcune alienate fossero sottoposte a visita ginecologica prima dell’internamento, dal momento che alcune manifestazioni di pazzia muliebre si pensava fossero dovute a lesioni utero ovariche. Non si giunse ad alcuna normativa in questo senso, dal momento che non tutti nel campo della psichiatria si dichiararono favorevoli. Le critiche degli psichiatri si fondavano su tre ordini di motivazioni: per cominciare, l’irrilevanza della cura di un organo periferico a confronto della cura del sistema nervoso e del cervello; in secondo luogo, erano considerate dannose le mutilazioni drastiche, che

51 Luigi Maria Bossi, Neuropsicopatie di origine genitale e altri problemi di iniziativa della

ginecologia italiana, Genova, Marsano, 1915, pp.18-19.

52 Cfr. Valeria P. Babini, Fernanda Minuz, Annamaria Tagliavini, La donna nella scienza

dell’uomo…, cit., pp. 25-77.

53 Cfr. Valeria Paola Babini, L’infanticida tra letteratura medica e letteratura giuridica, in Paolo

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29 appena un decennio prima erano state ampiamente utilizzate per la cura dell’isteria; per finire, si puntualizzava come un intervento o una visita ginecologica potessero turbare il già instabile equilibrio nervoso delle malate54.

Simbolo di questa sintesi fra analisi medica ed analisi psicologica è l’isterismo, malattia per eccellenza del corpo femminile e tema dominante nell’intera cultura positivistica. Patologia caratterizzata per la presenza di irritabilità e nervosismo, raccoglieva le vecchie e le nuove concezioni del mondo della scienza. Uno dei sintomi più appariscenti di questa malattia era considerato il passaggio da una “naturale” dedizione agli altri ad una maggiore attenzione che la donna malata riversava su se stessa55. Il metodo che nell’Ottocento

veniva utilizzato per la cura di queste pseudo malate era l’intervento chirurgico che prevedeva l’asportazione di utero ed ovaie. Questa pratica triviale era stata abbandonata nella quasi totalità degli ospedali psichiatrici europei dal 1897, stando a quanto dice uno studio degli psichiatri Angelucci e Pieraccini.56

I problemi ginecologici non furono gli unici a giustificare i disturbi psichiatrici femminili. La particolare disposizione morale delle donne era altrettanto frequentemente considerata la causa del manifestarsi del disturbo psichiatrico. Era opinione comune che la donna fosse più “sentimentale” che razionale e che ciò fosse la causa di comportamenti e reazioni diversi rispetto all’uomo, specialmente di fronte alle “cause morali”. Un esempio di questo genere di disturbi psicologici potrebbe essere considerata la frenosi pauperale, ovvero il delirio e l’avversione nei confronti del marito e del bambino dopo l’esperienza

54 Annamaria Tagliavini, Il fondo oscuro dell’anima femminile…, cit., pag.86-87. 55 Ivi, pag.82.

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30 del parto57. Un altro topos della letteratura medico-psichiatrica era il

considerare la sessualità femminile attiva come sintomo clinico.

3.3 Aspetti giuridici

Il riflesso della visione deterministica della “natura” femminile, coniugata ad aspetti storici e culturali, si rifletteva sul ruolo giuridico della donna, sia pubblico, che privato. Si è già detto di come l’antropologia, ritenesse in quegli anni, che ci fosse un legame tra aspetti fisiologici e criminalità. Caratteristiche che erano considerate la normalità per il genere maschile diventavano simbolo di devianza se presenti nel corpo e nella psiche femminile. Sempre partendo da considerazioni biologiche si riteneva che le donne avessero una minore tendenza a delinquere, sulla base del fatto che:

“[…] la mancanza di ingegno, di forza e di variabilità ci dà ragione perché, essendo congenitamente meno morale, pure sia meno rea: e questo e l’atavismo e i prepotenti ardori maschili ci aiutano a comprendere come l’equivalente della reità-nata sia in esse, più che il delitto, la prostituzione, che pure non dovrebbe sorgere a filo di logica, in chi ai bisogni sessuali è tanto meno sensibile.”58

Naturalmente un simile mix di saperi scientifici e presunti tali portava in sé un lungo elenco di contraddizioni: la donna era allo stesso tempo maligna e cattiva, ma fragile e materna; peccava di notevole ferocia e efferatezza nel compiere i delitti, ma le pene commisurate erano ridotte rispetto a quelle riservate agli uomini; era inferiore e infantile, ma allo stesso tempo educatrice e veicolo di valori.

La debolezza e inferiorità di cui veniva bollata la donna provocarono un dibattito in ambito giuridico sulle questioni della minore imputabilità e della

57 Valeria P. Babini, Annamaria Tagliavini, Fernanda Minuz, La donna nelle scienze dell’uomo…,

cit., pag. 97-98.

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31 minore punibilità. Nello specifico, le conseguenze di un simile modo di pensare potevano essere di tre tipi:

1. negazione della minore imputabilità e, implicitamente, della minore punibilità;

2. negazione della minore imputabilità, ma ammissione della minore punibilità; 3. affermazione della minore imputabilità e, conseguentemente, della minore

punibilità.59

Il collante fra le diverse posizioni rimase l’accettazione sostanziale dell’ideologia naturalistica dell’infirmitas sexus 60 . Tali argomentazioni

rendevano palese la contraddizione della doppia responsabilità civile della donna: il diritto privato limitava le donne e concedeva loro una minore capacità civile, allo stesso tempo alcuni celebri giuristi richiedevano l’attribuzione di una maggiore responsabilità penale per le donne. In questo senso il principio di eguaglianza giuridico invocato per i due sessi, con l’obiettivo di rifiutare la minore responsabilità penale femminile, veniva sistematicamente contraddetto dalla condizione di “minorità” politica e civile delle donne61. La questione della condizione femminile nel diritto penale

rimanda, dunque, alla questione della disuguaglianza giuridico-privata.

Nel contesto familiare era considerato l’uomo il capo della famiglia sia nelle relazioni personali, che patrimoniali. La cultura scientifica del positivismo andava a saldare una situazione giuridica e culturale già profondamente radicata nella società dell’epoca. Trattandosi di presupposti biologici, tali differenze erano considerate non modificabili, né attraverso l’intervento dell’educazione né attraverso la cultura. Contraddire norme consolidate dalla tradizione e dalla scienza, appariva come un tentativo di minare la solidità dell’istituzione familiare. Il Codice Civile del 1865 ribadiva la preminenza

59 Mario Manfredi, Ada Mangano, Alle origini del diritto femminile…, cit., pag.46. 60 Ivi, pag. 47.

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32 maschile prevedendo: la patria potestà, una diversa punibilità rispetto l’adulterio, e la presenza dell’autorizzazione maritale, secondo la quale le donne non possono compiere gli atti giuridici più importanti senza l’autorizzazione del marito (l’istituzione della autorizzazione maritale sarà eliminata nel 1919) 62. Gli “scienziati” non mancarono di proporre soluzioni e

giustificazioni a simili ragionamenti, ovvero, che la donna non possiede, per un motivo o per un altro, le attitudini mentali, la stabilità psicologica e le qualità fisiche tali da equiparare il ruolo dell’uomo. Piuttosto erano enfatizzate specifiche peculiarità femminili che andavano invece esaltate per mantenere positivo il segno dello sviluppo della civiltà. Si tratta delle qualità che solo in quanto madre la donna possiede e che sono talmente importanti e univoche da escludere la possibilità che possano essere trascurate senza provocare una devianza all’interno della famiglia, che è la cellula prima della società per riversarsi poi sull’intera specie.

Non necessariamente simili posizioni scientifiche comportavano una totale esclusione politica delle donne, purché si trattasse di un impegno sociale che non contrastasse le “naturali” disposizioni femminili.

“Anche in questo caso, dunque, il soggetto femminile assume un ruolo sociale in virtù della funzione sociale di madre, educatrice, trasmettitrice delle idee dominanti, tramite ideologico tra la struttura sociale e le giovani generazioni che in essa devono insierirsi.”63

La funzione sociale della donna assume quindi i connotati di una funzione privata, familiare. Anche nel momento in cui le donne si fossero affacciate al mondo del lavoro, avrebbero dovuto farlo con l’esclusiva funzione di migliorare la vita domestica. In ogni caso la corrente maggioritaria era convinta che le donne fossero inadatte al lavoro extradomestico e che fosse compito dell’uomo dedicarsi alla produzione economica, rispettando, in

62 Ivi, pag.78. 63 Ivi, pag,94.

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33 questo modo, la logica secondo cui l’unica funzione del corpo femminile era quella della maternità, dal momento che il lavoro sottraeva tempo prezioso all’educazione dei figli e all’amministrazione della casa, oltre che per una serie di motivi morali collegati alla promiscuità nella sede lavorativa o di altro genere. Inoltre, le donne, sulla base di indagini biologiche, erano considerate inferiori non solo da un punto di vista fisico e muscolare, dunque inadatte per i lavori pesanti, ma anche da un punto di vista intellettuale, a causa delle minori dimensioni del loro cervello e dell’instabilità psicologica dovuta a problemi ginecologici, ragione che negava loro l’accesso ai mestieri per i quali era richiesta una certa cultura e capacità di ragionamento. Anche nel caso in cui fosse ammesso l’ingresso delle donne nel mondo lavorativo, questo non poteva avvenire in condizioni paritarie; le giustificazioni date ad una simile scelta erano, oltre che la suddetta inferiorità fisica (che era collegata ad una minore produttività), la convinzione che la donna avesse meno bisogni rispetto all’uomo64. Per cui era giustificabile che alle donne fosse attribuito un

orario di lavoro maggiore, o che a parità di ore di lavoro fossero retribuite meno. Le iniziative che si interessavano a garantire una maggiore tutela per il lavoro femminile, non consideravano la donna come autonomo soggetto sociale, ma la tutelavano in quanto madre, e in quanto riproduttrice di forza lavoro:

“ Le condizioni di lavoro fatte oggi alla donna ledono ogni sentimento anche primordiale di giustizia e umanità, colpiscono la società tutta alla fonte istessa della riproduzione della specie, e ne calpestano gl’interessi più vitali, con danno gravissimo dello svolgimento calmo e progressivo d’una vera e utile azione civile.”65

Allo stesso tempo il lavoro femminile appare bisognoso di tutela secondo la concezione per cui la donna è un soggetto “debole”. Queste intenzioni sembrano riflettere l’accettazione della tesi lombrosiana secondo cui la donna

64 Cfr. Mario Manfredi, Ada Mangano, Alle origini del diritto femminile…, cit., pp.89-114. 65E. Majno Bronzini, Relazione al Congresso della previdenza, Milano, 29-30 giugno 1900,

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34 è caratterizzata da un punto di vista anatomico, psicologico e intellettuale dalla somiglianza con i fanciulli. Si accetta altresì il principio dell’accessorietà del lavoro femminile nel momento in cui si richiede la riduzione delle ore lavorative per motivi familiari. L’ampio dibattito sulla questione del lavoro femminile che caratterizza i primi anni del Novecento, ribadisce alcuni degli stereotipi femminili di quegli anni e non tocca altri fondamentali problemi come quello della parità salariale.

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