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II. I progetti rimasti sulla carta

II.2 Gli anni „60

Per scrivere Parà, Solinas rinunciò a due temi : il primo è la Fiat, che egli considerava, siamo nel 1961, una sorta di mistero, e che avrebbe voluto esplorare tramite un film-inchiesta senza una

82 Ivi., pp. 92,93.

83 Non essendoci materiale di riferimento, il paragrafo si basa in massima parte

sulle dichiarazioni fatte da Giorgio Arlorio, principale collaboratore di Franco Solinas al periodo, a Paola De Martino e Gianni Olla, e su ricerche storiche e bibliografiche condotte da chi scrive.

precisa idea narrativa, a partire dal libro Inchiesta alla FIAT84 curato da Giovanni Carocci. Questo progetto, che Solinas elaborava con la collaborazione di Giorgio Arlorio, sembrava essere ambientato proprio negli anni ‟60, ma un film che si sarebbe dovuto chiamare

Confino Fiat e avrebbe dovuto coinvolgere Gillo Pontecorvo alla

regia, sembrava certamente ambientato almeno un decennio prima, come fa notare Olla. La storia era incentrata attorno al periodo scelbiano85 quando i sindacalisti, o comunque gli elementi attivi sul

fronte politico o sindacale, venivano tutti messi in un reparto speciale della Fiat, denominato “Stella Rossa”86.

L‟altro progetto a cui Solinas rinuncio per lavorare a Parà fu l‟attualizzazione del racconto di Melville, Bartleby lo scrivano87, un

84 Giovanni Carocci (a cura di) Inchiesta alla Fiat. Indagine su taluni aspetti della

lotta di classe nel complesso Fiat, Parenti Editore, Firenze, 1960.

85 Mario Scelba, democristiano, viene designato al Ministero degli interni nei

primi mesi del 1947 e vi rimarrà fino al 1953. Nel 1954 e nel 1960 tornerà a reggere questo Ministero, ma il periodo cosiddetto scelbiano è quello che va 1947-1953. Divenuto Ministro dell'Interno il 2 febbraio 1947, diede il via ad una politica repressiva antidemocratica verso gli scioperi causando numerose vittime e feriti nel corso della sua funzione pubblica. L'avversione a idee di giustizia sociale di stampo socialcomunista in nome di una priorità di ordine economico portò a violare le libertà costituzionali di opinione e assemblea agli appartenenti alle formazioni sindacali e delle sinistre.

86 Massimo Ghirelli, Gillo Pontecorvo, Il castoro cinema, Nuova Italia, Firenze,

1978, p.49.

87 Herman Melville, Bartleby the scrivener. A story of wall street; (trad. it. Bartleby lo

scrivano, Feltrinelli, Milano, 1991, traduzione di Gianni Celati). Il racconto narra,

dal punto di vista del suo datore di lavoro, le vicende dello scrivano Bartleby, assunto in uno studio legale di Wall Street. Lo scrivano rifiuta progressivamente di lavorare, fino a smettere di svolgere qualsiasi mansione, e fornendo come spiegazione sempre la medesima frase: “Preferirei di no”. Una volta licenziato, il rifiuto del lavoro diventa per Bartleby rifiuto della vita stessa: egli, infatti, si lascia morire di inedia in un carcere di New York.

racconto sull‟alienazione, su una enigmatica perdita di sé, ambientata in un mondo ormai segnato, secondo Melville, dal trionfo delle città, degli affari, dei traffici niente affatto mitizzabili come potevano essere le avventure (anche commerciali) delle navi baleniere. In consonanza con gli altri copioni, e poiché nel cinema di Solinas tutto torna e idee e spunti cinematografici si collegano senza sosta di sceneggiatura in sceneggiatura, sarebbe giusto ipotizzare che Solinas fu interessato alla modernità di Bartleby a partire dal tema dell‟indifferenza, dell‟estraneità sociale, dell‟alienazione, dell‟incapacità, propria di tutti gli indifferenti di Solinas, di capire i meccanismi di dominio e in alcuni casi di costume che reggono i rapporti tra uomini e la società. Bartleby insomma, la sua attualizzazione, avrebbe potuto rappresentare un altro passo, un ulteriore tassello verso la delineazione della figura dell‟indifferente, tanto indagata dall‟autore sardo, senza però quel opportunismo che in generale lega gli indifferenti-opportunisti di Solinas l‟uno all‟altro. L‟indifferenza dello scrivano Bartleby è, in questo caso, più un abbandono, un rifiuto del mondo, della vita, dei suoi schemi, delle sue consuetudini sociali.

In un certo senso, un tipo di operazione molto simile, ovvero il libero adattamento di un‟opera letteraria, fu compiuta ma solo a metà, poco tempo più tardi, con il Bel Amì di Guy de Maupassant88,

probabilmente una volta terminata la sceneggiatura di Parà. Siamo

88 Guy de Maupassant, Bel Amì, Garzanti, Milano, 1977. Il romanzo tratta

dell'ascesa sociale di Georges Duroy, un uomo ambizioso e seduttore, che da povero militare in congedo e modesto impiegato nelle Ferrovie del Nord diventa uno degli uomini di maggiore successo nella società parigina, grazie al giornalismo e alla sua capacità di manipolare donne potenti e intelligenti.

nel 1963 quando il produttore Malenotti, che mirava spesso a produzioni internazionali, ritenendo i testi classici particolarmente adatti allo scopo89, propose a Solinas e Arlorio una riduzione del

romanzo. Per Arlorio e Solinas, amici dai tempi delle discussioni sui tavoli di Otello, questo rappresenta l‟occasione per lavorare insieme. In soli dieci giorni, i due sceneggiatori, che videro nel romanzo l‟occasione per offrire una nuova interpretazione anticelebrativa del benessere italiano, costruirono la scaletta per una “commedia nera” rivedendo nel protagonista del romanzo il giornalista Gaetano Baldacci, direttore del quotidiano “Il Giorno” alla sua fondazione e fino al 1959, il quale visse un‟ascesa e un iter non troppo dissimili a quelli di Georges Duroy, che costruisce la sua scalata, attraverso disinvolti passaggi di campo, legami ben combinati e un uso spregiudicato dell‟informazione90. In Baldacci

tutto ciò si tramutava in collusioni tra il suo giornalismo e il mondo politico e industriale che portano “Il Giorno” a divenire l‟organo non ufficiale di comunicazione fedele all‟ENI di Mattei. La storia che Arlorio e Solinas avevano costruito, e per la quale fu scritto anche un trattamento di cui però non resta traccia, rispettava la trama del romanzo di Maupassant: il protagonista arriva a Milano cercando un impiego per sopravvivere e per caso inizia a scrivere alcuni articoli giornalistici. Verso la fine della storia si trasferisce a Roma dove sposava la figlia di un ministro della cui moglie era stato amante. Il progetto del film tramonta poiché Malenotti non riesce a

89 Maleno Malenotti produsse anche La donna più bella del mondo, Ombre bianche e

Madame Sans Gêne, le cui sceneggiature recavano la firma di Franco Solinas.

“piazzare” il soggetto presso le produzione estere a cui spesso faceva riferimento.

Arlorio e Solinas pensarono intanto ad un nuovo soggetto che doveva chiamarsi DNA. L‟idea era quella di scrivere un film sul mondo della biologia, e in particolare sugli artefici della scoperta del DNA, in un periodo in cui ancora poco se ne parlava. I protagonisti vivevano un dubbio etico senza vederne la via d‟uscita poiché ciascuno di loro si isolava nella propria cultura o nel proprio credo religioso. In seguito ad un misterioso intrigo alla spalle della loro scoperta, causato da una presunta fuga di notizie, il gruppo di studiosi sente la necessità di unirsi, superando le distanze culturali presenti tra di loro e andando oltre il credo individuale, convinti che il mondo e loro stessi non fossero pronti per le sconvolgenti possibilità a cui la scoperta avrebbe portato nel campo della genetica. Lo sviluppo del progetto fu interrotto per l‟evidente difficoltà dei due autori, che nel frattempo avevano svolto una appassionata quanto illuminante ricerca sul campo, nel fondere insieme i due livelli del racconto: la riflessione filosofico-etica, e il meccanismo del “giallo” attraverso il quale si doveva catturare l‟attenzione dello spettatore, creando una tensione che allarmava e univa il gruppo dei ricercatori nell‟intento di difendere la loro scoperta e il mondo dalla scoperta stessa.

Altri due temi appassionarono Solinas e Arlorio: uno era riferito alla straordinaria storia della fotografa Tina Modotti e alla sua avventurosa vita, e l‟altro riguardala città di Cordova, che

esercitava su Solinas un grande fascino dettato dalla magia che questa città sprigionava per l‟incontro scontro di due civiltà, quella musulmana e quella cristiana.

Verso la fine degli anni ‟60, e precisamente nel 1969, Solinas e Roberto Cacciaguerra partono in Vietnam. Insieme cercheranno di visitare tutti i luoghi dove è possibile avere libertà di accesso. Si proponevano di scrivere un film sulla situazione vietnamita di quegli anni, ma per via indiretta, il soggetto si intitola Rien de Rien. L‟idea narrativa di Solinas, vede due personaggi estranei al conflitto in corso, Renato e Claude, un italiano ed francese, due ex legionari rimasti in Vietnam e impegnati nel tentativo di sfruttare la presenza degli americani a scopi economici. Alla notizia di un imminente sbarco di soldati americani in una zona pressoché deserta, i due uomini decidono di aprire un bordello e di aspettare il grande sbarco. Poco dopo si stagliano all‟orizzonte le prime navi USA. L‟entusiasmo dei primi giorni, nella speranza di facili guadagni, si smorza col passare del tempo, poiché le navi restano immobili al largo. Il litigio tra i due amici, conseguente alle tensioni di quei giorni, si conclude col ferimento di Claude, che è grave. Ma proprio in quel giorno, migliaia di soldati raggiungono finalmente la terra ferma e invadono il locale. Su quell‟orgia di denaro e alcool il moribondo Claude spende le sue ultime ore a sognare i forti guadagni che in effetti il locale sta ottenendo. Nato dunque da un idea di Solinas, a proseguire nello sviluppo del progetto fu però Fernado Morandi, suo collaboratore. Ad ogni modo, il protrarsi del conflitto vietnamita fino al 1975, fece cadere il progetto di fronte

alle evidenti difficoltà del tema, tra costi e ambientazione entrambi proibitivi.