• Non ci sono risultati.

Non ricordo con esattezza quando sia stata l'ultima volta, ma torno oggi a Shibuya dopo parecchio tempo.

Scendo dal treno e mi incammino sulla banchina lanciando uno sguardo alle varie pubblicità; sono cambiate dall'ultima volta che ci sono passato davanti. Respirando l'aria polverosa da lavori in corso della stazione posso sentire quanto questo posto sia vivo, ma questo mio personale palloncino di tranquillità e benessere scoppia in un istante.

Gocchi è davanti alla Dupont fuori dalle sbarre. Non lo vedevo qui da sei anni. Naturalmente non ci siamo dati appuntamento, si tratta di puro caso.

Si sta sistemando i capelli umidi con la mano destra, i nostri occhi si incontrano; i miei piedi, che senza che me ne rendessi conto avevano già rallentato, si fermano del tutto e io distolgo lo sguardo verso il pavimento. Avanzo senza alzare gli occhi e mi piazzo davanti a lui per poi fissarlo, tenendomi più a distanza rispetto al passato. Guardo meglio.

Sulla Dupont c'è una fotografia di nudo a grandezza naturale di Gocchi in una posa seducente. Davanti all'uscita principale della linea Tōyoko si trovavano tre colonne quadrate in fila. Ai tempi della prima superiore avevamo deciso di chiamare la prima visibile appena usciti 'Dupont'.

Non che avessimo preso accordi particolari, ma da quando entrambi ci eravamo trasferiti avevamo preso ad aspettarci sempre davanti alla stessa colonna. Ogni tanto le pubblicità attaccate ai pannelli sui lati cambiavano e noi passavamo il tempo del tragitto fino alla scuola a parlare del design o dei modelli delle varie campagne.

Nel gennaio di fine primo anno28 delle superiori, sulla parte di colonna dedicata a un canale

televisivo avevano attaccato il poster di una serie tv da cui stavano per trarre uno spettacolo teatrale; il telefilm andava in onda il giovedì alle dieci di sera e io e Gocchi ogni venerdì ne parlavano camminando verso scuola. In particolare ci piacevano le scene in cui il protagonista fumava, ogni settimana ce n'era almeno una, e ci eravamo innamorati dell'accendino che usava.

Il suono metallico che si sentiva quando lo apriva ricordava vagamente quello del campanello di una bicicletta e quando sfregava la rotella per creare la scintilla il suono quasi selvaggio contrastava con l'aspetto affilato dell'accendino.

La marca era Dupont, e da quel momento prendemmo a chiamare così anche la colonna.

Naturalmente c'erano poster che pubblicizzavano il telefilm anche su altre superfici, ma noi decidemmo ingenuamente di battezzare solo quella colonna in particolare.

Si trova proprio lì, sulla Dupont. Sull'immagine di nudo si può leggere il nome della rivista su cui è pubblicata e il titolo del servizio.

'Shiraki Rengo messo a nudo! Sex Talk'

Una parte del suo corpo è nascosta dalla scritta. L'immagine nuda guarda verso l'obiettivo con il mento leggermente alzato e gli occhi neri assenti, e il neo appena sotto l'occhio destro contribuisce all'effetto sensuale dell'insieme.

Fino adesso si era sempre presentato con un'immagine fresca da bravo ragazzo, e la foto senza veli gli porterà sicuramente attenzione. Immagino che abbia pensato al rischio che deriva dal cambiare la propria immagine agli occhi del pubblico ma evidentemente ancora oggi, posto davanti alla scelta se fare o non fare qualcosa, è sempre lo stesso; 'mai dire no'. Di sicuro ha scelto di spogliarsi completamente senza un attimo di esitazione. Uscire in prima pagina su questa rivista è sinonimo di prestigio per gli artisti. Anche il numero delle vendite diventa una buona pubblicità.

L'effetto di luce sui muscoli crea un gap tra il corpo e il viso da ragazzino. Naturalmente mi è capitato di vederlo nudo a volte, ma non era mai stato così bello.

Mentre me ne sto davanti a Dupont una ragazza si mette a fare fotografie con il cellulare alla colonna. Sento il suono fastidioso dello scatto alla mia destra non una, ma ben quattro volte. La ragazza fotografa il viso, la parte superiore, la parte inferiore, l'immagine intera, poi inizia a giocherellare con la tastiera.

Me ne vado; mi è scoppiato un gran mal di testa. Scendo le scale mobili e giro a destra, al semaforo prendo la Meiji Dōri29. Accanto al Bic Camera c'è una libreria su due piani che esibisce un poster

scritto a mano.

'In vendita oggi! Le immagini di nudo di Shiraki Rengo di cui tutti parlano!' Entro e prendo in mano la rivista. La apro e sento l'odore di carta e di inchiostro.

La foto in copertina rimanda a pagina cinque, dove trovo altre quattro immagini. Tra le altre, una mostra il suo viso mentre tocca il labbro inferiore di una modella straniera; sul collo si vede chiaramente una vena. Non gli ho mai visto quell'espressione addosso.

L'intervista parla del suo punto di vista sulle relazioni romantiche.

'Direi di essere più un tipo attivo; preferisco essere il primo a dichiararmi, altrimenti non mi sento appagato. Però, per quanto riguarda la relazione in sé, forse sono un tipo un po' freddo. Potrei non essermi mai innamorato davvero finora.'

Il giornalista ha riassunto le parti salienti in poche righe in grassetto con termini utilizzati milioni di volte in riquadri sparsi per la pagina.

Mi chiedo cosa penserebbe lei a leggere l'articolo.

Mi passa la voglia di continuare, chiudo la rivista e la rimetto al suo posto. Allungo la mano verso il settimanale lì accanto.

Penso che l'aver messo la rivista e il settimanale di gossip l'una accanto all'altro la dica lunga sul cattivo gusto del padrone del negozio, ma è possibile che sia un tentativo di aumentare le vendite e fare in modo che i clienti spendano di più. Vedendo persone che effettivamente tengono in mano entrambe le testate penso che la strategia stia funzionando.

Lo scoop del settimanale di gossip, l'amore sbocciato tra Shiraki Rengo e Karin, era stato anche l'oggetto principale dei programmi di pettegolezzi della settimana. Lui non aveva mai fatto parlare di sé in quel modo e questa notizia poteva essere pericolosa per la sua immagine, però grazie al personaggio della ragazza fotografata insieme a lui la cosa non ha avuto tutta questa influenza. Aveva debuttato ancora liceale con una canzone utilizzata come sigla di un telefilm, vendendo 360'000 copie. Il contrasto tra il viso innocente e il bel corpo dal fisico seducente le aveva attirato l'attenzione dei media, e il suo stile originale ma non troppo eccentrico aveva preso subito piede. Era vestita nel suo solito look particolare anche durante il programma dell'altro giorno. È evidente l'effetto che ha sulle ragazze, ma tra i suoi fan ci sono anche donne adulte e uomini, proprio come Shiraki Rengo. La sua fama non sembra destinata a finire, per ora. Non ci si sbaglia a pensare a lei come alla principessa giapponese del canto.

Aprendo il settimanale vedo una loro foto in bianco e nero di pessima qualità, che sembra essere stata scattata dall'interno di una macchina con un teleobiettivo. Mostra uno Shiraki Rengo con un cappello calato sugli occhi e una mascherina sul viso e una Karin che indossa un paio di occhiali da sole che le coprono mezza faccia e i capelli corti legati; sembra che stiano entrando in un condominio. Nell'articolo c'è scritto che quello è il palazzo in cui si trova l'appartamento di Shiraki Rengo, ma io non l'ho mai visto.

Occhiali da sole e una giacca leggera. Pantaloni attillati e tacchi bianchi. Accanto a lei, lui indossa un cappello nero e una mascherina, giacca in pelle nera. Pantaloni attillati e stivali neri.

Mi chiedo se sia davvero lui nella foto. Non so se è perché ho visto più di quanto volevo, ma la mia emicrania peggiora.

***

scegliere in quale facoltà entrare; continuavamo a comparire sulla rivista perché la signorina Akagi aveva richiamato dicendo che se avevamo tempo avrebbe gradito la nostra collaborazione anche per il numero seguente.

“Naturalmente dietro compenso. Prova a chiedere anche a Suzuki.”

Eravamo apparsi sul numero di aprile, ma la nostra fotografia era talmente piccola che non si distingueva il parco alle nostre spalle e sembrava, in confronto alle immagini degli studenti delle altre scuole, un lavoro fatto alla bell'e meglio. Gocchi disse che sicuramente era perché ormai il tempo per costruire il servizio era agli sgoccioli, ma io mi innervosii notando che avevano pubblicato la mia risposta alle 'abilità particolari'. La mia reazione, ovvero che avrei partecipato se ci fosse stato anche lui, poteva essere dovuta anche al fastidio che provavo al riguardo.

Gocchi accettò immediatamente, la band si era sciolta naturalmente e forse gli sembrava di stare sprecando le sue giornate. Inoltre nessuno di noi aveva un part-time, quindi era un'importante opportunità di guadagno.

All'inizio si trattava di una sola giornata al mese, ma col passare del tempo ci capitò di comparire anche sulle pagine a colori30 e ci ritrovammo ad avere tre o quattro giorni al mese dedicati ai servizi.

Per lo più comparivamo in qualità di innamorati di modelle su articoli dedicati al look da appuntamento, oppure riproducevamo in foto gesti che le ragazze trovavano attraenti. Naturalmente all'inizio eravamo imbarazzati, ma piano piano acquisimmo con l'esperienza una certa abilità. Più che dire che ci abituammo, in un certo senso perdemmo la sensibilità iniziale.

Il numero delle nostre apparizioni si alzò rapidamente in così poco tempo perché la signorina Akagi ci aveva presi in simpatia; anche il fotografo Okamura faceva il tifo per noi, ma soprattutto la nostra affascinante presenza era incredibilmente economica. Doveva essere per forza questa la ragione, perché altrimenti non riuscivamo a spiegarci la frequenza con cui ci chiamavano; quasi tutti i nostri fine settimana erano occupati.

Era un sabato e mi trovavo a Daikan'yama, luogo in cui non andavo quasi mai. Quell'autunno era più freddo del solito, e ricordo che quel giorno in particolare il vento soffiava talmente forte che sembrava volerci assalire.

Il set del servizio fotografico era una caffetteria lungo Komazawa Dōri31; l'arredamento in stile

newyorkese con i tavoli sparpagliati e il bianco come colore di base sarebbero stati perfetti per lo sfondo, ma noi stavamo usando i tavolini esterni. Il servizio si svolgeva durante l'orario di apertura e il fotografo aveva cercato un'angolazione in cui non comparissero i clienti.

Il tema di questa volta era qualcosa sul look femminile in base alle situazioni e io mi trovavo in

30 Spesso le riviste giapponesi hanno sia pagine a colori che pagine in bianco e nero, dedicate ad articoli di minore importanza.

posa, fasciato da abiti in cui non mi sentivo a mio agio accanto alla modella, a fare finta di bere un tè caldo. In questa foto comparivamo solo io e lei, Gocchi si trovava in auto e aspettava il suo turno per un altro set.

I capelli della modella si scompigliavano a causa del vento e la ragazza chiamava spesso con aria di superiorità i truccatori a sistemarle l'acconciatura; a causa delle frequenti interruzioni terminammo piuttosto in ritardo. La cosa mi fece innervosire non poco, ma a guardare a come si misero le cose immagino che io e Gocchi la dovremmo, in effetti, ringraziare.

Finite le riprese feci per andare verso l'auto ma non appena mi alzai dalla sedia un gruppo di ragazze ci passò davanti. Vedendo i membri dello staff maneggiare fotocamere e riflettori cominciarono a osservarci cercando di capire chi fossimo. Imbarazzato, mi diressi in fretta verso l'auto.

“Ribachan?”

Una delle ragazze del gruppetto mi aveva chiamato; mi girai a guardarla e gli scomodi vestiti che portavo mi grattarono la nuca.

“Sei Ribachan, vero? È passato un secolo!”

Cercai rapidamente nella memoria una qualunque informazione su di lei ma non riuscii assolutamente a capire chi fosse. Eppure lei mi guardava con un'espressione di aperta gioia talmente palese che mi sconcertò.

“Non dirmi che ti sei dimenticato di me!”

La fissai dalla testa ai piedi, ma nulla. Non riuscivo a ricordare chi fosse. “Sarii?”

Gocchi uscì dall'auto e parlò con voce insicura. Grazie a lui finalmente capii. “Ishikawa?”

“Dovevi accorgertene prima!”

Ishikawa Sari era completamente diversa dall'ultima volta che la avevo vista, otto anni prima. I capelli intrecciati dietro la schiena, le sopracciglia ben proporzionate, il viso e il corpo sottili. Portava dei grossi orecchini a cerchio ed era leggermente abbronzata.

La Ishikawa che frequentava la quarta elementare era molto più rozza e mascolina. Le uniche cose a non essere cambiate erano il viso regolare dagli occhi allungati e il petto senza curve. Comunque, ora aveva un aspetto molto più femminile.

Gocchi se ne stava a bocca aperta e io decisi di lasciargli il tempo per elaborare il tutto chiedendo a Ishikawa cosa ci facesse lì.

“Sono in giro con delle amiche.” “Davvero?”

Avevo finito per fare una domanda inutile. “E voi che fate? Siete modelli?”

Esitai a rispondere perché ci sarebbe voluto troppo tempo per spiegare e le dissi che ne avremmo parlato un altro giorno. A causa del ritardo con le riprese non avevamo il tempo per chiacchierare con calma e anche Ishikawa doveva andare. Ci scambiammo i numeri di telefono, ci ripromettemmo di rivederci con calma e ci salutammo.

“Chi avrebbe pensato che ci saremmo incontrati di nuovo!” “Davvero.”

Gocchi era silenzioso, ma non perché fosse calmo; sembrava che avesse ricevuto un colpo improvviso ed era distratto.

La signorina Akagi ci prese in giro, ma quando nessuno dei due riuscì a risponderle a tono si limitò a sospirare, annoiata.

Ishikawa Sari abitava nel nostro stesso condominio. Era l'unica ragazza nel nostro gruppetto, soprannominato 'Stand by me' dai nostri genitori; l'unico motivo per cui non ci facevo caso era che, semplicemente, non ne ero veramente cosciente. Era quella col carattere più forte e persino i suoi modi erano più mascolini dei nostri; inoltre, lanciava le palle da baseball con la stessa velocità di noi maschi.

Da quell'incontro fortuito prendemmo a vederci ogni settimana e a perderci nei racconti del passato. Parlammo di quando ci incontrammo e gli occhiali di Kimoto volarono via, dell'anatra Marcov, del giorno in cui uno dei dipinti di Gocchi vinse un concorso. Parlammo di un ragazzo della nostra classe, una testa calda che spesso scoppiava a piangere facendo finire la lezione prima del tempo e di come noi ci ingegnassimo ogni volta per farlo piangere e smettere di studiare, o del fatto che secondo noi dietro alla nascita di due gemelli alla nostra insegnante responsabile di classe ci fosse stato un qualche esperimento da laboratorio. Parlammo di tante cose.

Le dicemmo che ora io e Gocchi frequentavamo la stessa scuola, che per una serie di coincidenze ora avevamo un part-time come modelli per una rivista mensile; Ishikawa ci disse che dopo avere frequentato le medie in America ora andava in un liceo pubblico a Yūtenji, che voleva entrare in un'accademia di belle arti e specializzarsi nei dipinti a olio. Ci disse anche che si era dovuta trasferire perché sua madre aveva deciso di risposarsi, cosa che noi venimmo a sapere per la prima volta quel giorno.

Probabilmente cominciammo a vederci così spesso grazie al suo essere sempre allegra e sorridente. Se lei rideva, ridevamo anche io e Gocchi, e questa era una cosa che non era cambiata dai tempi delle elementari. Non so quante volte pensai che avrei voluto che restasse tutto così per sempre. Il fatto che Gocchi la pensasse molto diversamente mi sorprese non poco.

*** “Ribachan, te li ricordi?”

“Cosa?”

Gocchi era appoggiato all'albero in mezzo all'aiuola, mentre io ero salito in groppa al gioco a molla a forma di granchio; guardai verso di lui dondolando a destra e sinistra.

Era inverno, il sole aveva cominciato a scendere presto e faceva freddo al parco Mitake. Stavamo cominciando a pentirci di esserci dati appuntamento con Ishikawa in quel luogo, ma ormai potevamo solo aspettare che arrivasse.

Ogni anno, l'ultimo venerdì di ottobre nella nostra scuola si faceva una festa. Nel giardino dell'università veniva addobbato un albero di natale, si accendevano le brillanti luci decorative e si cantavano assieme al coro canzoni natalizie accompagnati da banda e campanelle. I partecipanti tenevano in mano una candela e la accendevano. Era un evento tradizionale per gli studenti, e anch'io pensavo che non fosse male.

Però non riuscivo a capire perché Ishikawa ci volesse andare, anche se pensai che, dopotutto, anche lei aveva un lato femminile capace di apprezzare questo genere di cose. Quel giorno ci eravamo dati appuntamento al parco per accompagnarla alla festa.

L'ora stabilita erano le cinque di pomeriggio, ma non avendo nulla di meglio da fare io e Gocchi eravamo arrivati mezz'ora prima. Il sole era di un colore tra il rosso e l'arancio e filtrava tra le foglie illuminando Gocchi.

“Ti ricordi dei medaka bianchi che tenevamo nell'acquario?”

Durante l'estate della quarta elementare Gocchi era entrato nella commissione che si occupava di prendersi cura degli animaletti che gli studenti allevavano a scuola. La nostra classe teneva dei pesci, sei medaka bianchi, probabilmente perché piacevano alla nostra insegnante, e lui ne era il responsabile. La maestra gli aveva detto di trattarli con particolare cura perché si trattava di pesci molto rari e delicati, e lui si impegnava moltissimo per non fargli mancare nulla.

“Me li ricordo, i pesci del riso albini, vero? Anche se erano completamente bianchi gli occhi erano rossissimi, facevano un po' paura.”

I medaka nati bianchi vengono chiamati albini. Il colore è dovuto a una mutazione che causa una mancanza di pigmento e tutti gli esemplari che nascono così hanno gli occhi rossi.

“Ti ricordi che un giorno sono spariti improvvisamente?” “Ah, sì?”

“Mmh. Quindi?”

“La maestra mi ha sgridato tantissimo.” “Aspetta, ma erano davvero spariti?”

“Mmh. Però non so come sia successo. Li avevo visti all'ora di pranzo, poi quando dopo scuola sono tornato a dargli da mangiare non c'erano più. Sono sempre stati in classe, non è che qualcuno possa essere entrato a prenderli.”

“Succedono anche cose del genere, eh?” “Già, succedono.”

Per un po' si limitò a guardare il sole che tramontava con le mani nelle tasche del cappotto. Il gioco a molla su cui ero seduto era freddo e faceva entrare il gelo attraverso i vestiti.

“Subito dopo anche Sarii è sparita.”

Nel parco il vento aveva smesso di soffiare all'improvviso e la voce bassa di Gocchi arrivò fino a me senza disperdersi.

“Non mi ricordo il giorno in cui l'ho incontrata per la prima volta. È sempre stata con me, fin da quando ho memoria.”

“Capisco.”

Sapevo che entrambi erano nati e cresciuti in quel condominio, ma non avevo mai chiesto nulla riguardante il periodo precedente il mio arrivo.

“Eravamo sempre insieme, poi è arrivato Kimoto e infine tu, Ribachan. Eravamo sempre insieme, e quella mi sembrava la normalità.”

“Mmh.”

“Però poi Sarii si è trasferita.” “Mi ricordo di quel giorno.”

Era la mattina della cerimonia di fine anno della quarta elementare. Avevamo saputo il giorno prima che Ishikawa si sarebbe trasferita in America e né io né Gocchi sapevamo cosa pensare; arrivammo a scuola più presto del solito e trovammo diversi compagni di classe che scrivevano un biglietto di addio. In mezzo al foglio di carta colorata avevano scritto 'Seconda classe, quarto anno. Amici per