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17 anni – Cola e caffè dolce in lattina

Accanto al fotografo Okamura, la signorina Akagi si guardava intorno nervosamente. “Okamura, cerchi di finire il prima possibile.”

Normalmente, per fare fotografie nel parco è necessario un permesso speciale, ma in quel momento non avevano il tempo materiale per chiederlo né per vederselo rifiutare, quindi la signorina Akagi sollecitava l'uomo a sbrigarsi e concludere prima che il guardiano del parco ci trovasse.

“Ho capito, non si preoccupi. Voi due, non dovrei metterci molto, cercate di tenere gli occhi aperti”, disse il fotografo a bassa voce.

“Bene, allora, fatemi un sorriso.”

La signorina Akagi ci dava indicazioni sfoggiando un finto sorriso. Le sue scarpe, che fino a poco prima ticchettavano sul cemento, ora sembravano grattare il terreno sabbioso del parco; il suono venne coperto dal rumore dello scatto della reflex.

Io e Gocchi tenevamo il braccio ognuno sulla spalla dell'altro, quindi le giacche si piegavano verso l'alto a formare una curva simile a una montagna. Le nostre facce erano talmente vicine che le guance quasi si toccavano e quelle pieghe ci infastidivano, ma ci avevano chiesto di fare quella posa, per cui non potevamo dire nulla.

“Secondo te perché, nonostante sia una fotocamera digitale, si sente il rumore dell'otturatore?” Entrambi avevamo girato il viso verso l'obbiettivo e non potevo vederlo in faccia, ma capii lo stesso che parlava senza muovere le labbra per mantenere l'espressione ferma, perché aveva lo stesso tono di un ventriloquo.

“Potrebbe essere per soddisfazione personale.”

Imitai il suo modo di parlare senza muovere i denti. Grazie al suono della macchina fotografica riuscivo a capire più o meno il numero di fotografie che il signor Okamura ci stava scattando e quando.

“Ribachan, che faccia stai facendo?” “Tu?”

“Non so.” “Neanch'io.”

Dopo un po' il suono costante di otturatore si fermò e Okamura spostò l'obbiettivo mostrandoci gli occhi leggermente arrossati. Subito dopo averci lanciato uno sguardo starnutì, come a voler mandare via il fastidioso prurito dovuto al polline nell'aria.

“Scusate, scusate” disse, e la signorina Akagi scelse quel momento per fermarlo. “Per ora basta così.”

Il fotografo, l'espressione un po' sofferente, si grattò il naso sulla spalla. Mostrò le fotografie appena scattate alla signorina Akagi.

“Come sono?”

“Mh, molto bene. Si, voi due siete decisamente più adatti degli altri ragazzi.”

Le parole della donna che guardava lo schermo a cristalli liquidi non erano per noi, piuttosto un monologo per rassicurarsi da sola. Quando si muoveva, i suoi occhiali riflettevano la luce.

Passarono altri due, tre minuti e il servizio finì; ci dirigemmo tutti e quattro verso un ristorante di panini hawaiani che si trovava un po' più su sulla collina.

“Mangiate pure quello che volete.”

Prendendo in parola la signorina Akagi ordinammo io un cheeseburger, Gocchi un avocado burger, due cole e poi da dividere tra noi patatine, anelli di cipolla e crocchette di pollo.

Se pensavo che a quell'ora saremmo stati in un fast-food a mangiare soddisfatti hamburger da duecento yen22 in totale, ero un po' restio all'idea di starmene lì a riempirmi la pancia con panini che

costavano quindici volte tanto. Però, finimmo per farlo comunque. ***

Durante gli esami di metà trimestre, per permettere agli studenti di riprendersi da quella sensazione deprimente, la scuola finiva all'ora di pranzo23. Alla fine l'ultimo giorno di esami, fossero di metà o

di fine trimestre, volenti o nolenti il buonumore tornava. Anche quel giorno di fine esami del secondo anno delle superiori, quando rimaneva ancora poco tempo prima della fine delle nostre vite da liceali, non fu un'eccezione.

Ciononostante, non sapevamo che fare. Stavamo in piedi accanto alla Dupont davanti ai cancelli della linea Tōyoko a cercare di pianificare qualcosa, ma non ci veniva in mente nulla. Nella speranza di chiarirci le idee, ci avviammo verso i distributori automatici e comprammo due lattine di caffè dolce. Il vago brivido di eccitazione che sentimmo in quel momento era dovuto al fatto che entrambi eravamo arrivati ad apprezzare il sapore del caffè solo negli ultimi tempi.

Dopo una buona mezz'ora passata a pensare decidemmo, prima di tutto, di andare a pranzare da qualche parte. Tuttavia, nonostante le scelte fossero solo tra omelette col riso da Rakeru, ramen da

22 Circa 2 euro.

Ichiran o due hamburger da cento yen24 al Mac accanto al Bic Camera25, non riuscivamo a deciderci.

Soprattutto Gocchi era combattuto.

“Non riesco a decidermi, facciamo un gioco e lasciamo che sia il destino a scegliere.” “Va bene.”

Nonostante la decisione, non ci veniva in mente nessun modo per lasciar fare al caso e finimmo di nuovo per metterci a pensare. Dopo avermi osservato per un po', Gocchi inventò un semplice gioco in pochi minuti. Visto che era dotato di quell'inventiva e di quella risolutezza, ci si sarebbe aspettati che fosse perlomeno capace di decidere cosa volesse mangiare per pranzo, ma questo sembrava essere al di sopra delle sue abilità.

“Va bene. Allora, se la prima persona a passare dalla terza sbarra da sinistra è una donna si mangia omelette, se è un uomo, ramen. Che ne dici?”

“Il gioco della phalaenopsis, eh? È semplice, potrebbe andare. Ma che si fa per il Mac?”

Andò a gettare la lattina vuota vicino ai distributori, e una volta tornato mi espose la sua soluzione alla mia domanda.

“Facciamo che se non riusciamo a capire il sesso della persona andiamo al Mac?” “Il che significa che eliminiamo l'opzione Mac a prescindere, eh? Va bene.” “Non puoi esserne sicuro.”

In pochi minuti il treno proveniente da Yokohama arrivò in stazione e i passeggeri uscirono in massa come acqua da una crepa. La folla si allargò sulla banchina e noi ci mettemmo a fissare la terza sbarra da sinistra per scoprire chi per primo l'avrebbe attraversata.

“Sembra che sia quell'uomo.”

A camminare dritto verso la sbarra c'era un uomo grasso sulla cinquantina che sfilò il portafogli dalla borsa a cinque metri dall'uscita.

“È piuttosto veloce a camminare, eh?”

“Mi sembra di assistere a una corsa di cavalli.”

Come pensavo, l'uomo premette il portafogli contenente la carta prepagata del treno sul sensore della terza sbarra da sinistra.

“Ramen, quindi.”

Subito dopo che finii di sussurrare quelle parole, la sbarra per un qualche motivo non si sollevò e la pancia prominente dell'uomo ci andò a sbattere contro. La macchina automatica suonò come a voler denunciare un tentativo di evasione e lui si diresse verso lo sportello di ricarica delle carte prepagate con l'aria imbarazzata. Al suo posto attraversò la sbarra una donna giovane in completo con gli

24 Circa 1 euro.

occhiali.

“Sembra che invece oggi mangeremo omelette col riso, Ribachan.”

Per qualche motivo ci avevamo preso gusto e ce ne stemmo lì a schiamazzare per un po'. L'uomo di prima passò dalle sbarre senza problemi e scese le scale con le gambe arcuate.

“È stato divertente, facciamolo di nuovo.”

“Cosa? Ma allora non ha avuto senso farlo la prima volta!”

“Dai, facciamolo ancora, questa volta con le persone che entrano! La seconda sbarra da sinistra, ok?”

“Scusatemi...” “Se è una donna?”

“Omelette, se è un uomo ramen.” “Se non si capisce?”

“Mac.”

“Ah, scusatemi...”

“Ma se le regole sono le stesse di prima non è divertente. Diciamo omelette anche se è un uomo.” “Ma allora è omelette di sicuro!”

“Mi dispiace interrompervi...”

Dando per scontato che la voce che sentivamo da prima non si stesse riferendo a noi, l'avevamo ignorata per tre volte di fila.

“Scusate.”

Ci voltammo. Davanti noi c'erano un uomo e una donna, lei era la stessa ragazza con gli occhiali di poco prima. Ci colse di sorpresa.

“Posso chiedervi quanti anni avete?”

Non capendo dove voleva andare a parare con quella domanda improvvisa la guardammo e io risposi a bassa voce che frequentavamo il secondo anno di superiori. Alle mie parole la donna ci fissò come uno scommettitore osserva i cavalli nei recinti prima di una corsa.

“Scusate, ancora non mi sono presentata. Prego.”

Così dicendo ci porse un biglietto da visita. Assieme al nome di una rivista che entrambi conoscevamo era stampato il nome 'Akagi' e la scritta 'Redazione'. Ci disse che era la redattrice di una rivista di moda per ragazzi di medie e superiori e che l'uomo di corporatura robusta accanto a lei era Okamura, fotografo. Lui si tolse la mascherina e si inchinò.

“Vedete, per il numero del prossimo mese abbiamo in previsione uno speciale sugli studenti liceali che il prossimo anno frequenteranno l'ultimo anno26 e stiamo cercando ragazzi di bella presenza che

frequentano istituti prestigiosi. Se possibile, vorrei scattarvi delle fotografie in qualità di rappresentanti della vostra scuola.”

Ci era capitato, alcune volte, di essere reclutati per cose simili, ma per la maggior parte si trattava di fare modeling per tagli, prestarsi a far fare esercizio a parrucchieri, foto che ogni tanto uscivano su riviste di hair styling. Ci tagliavano i capelli gratuitamente e non attiravamo gli sguardi della gente, cosa che per me era più che vantaggiosa. Però qui si parlava di tutta un'altra cosa, non potevamo dire di sì come facevamo di solito.

“Volentieri!”

Gocchi accettò mentre io stavo ancora cercando le parole per rifiutare, mantenendo però un'apparenza di modestia, come a voler dire che non era che lui fosse questa gran cosa. È sempre stato così fin da piccolo, nonostante fosse un grande indeciso a volte manifestava questo tipo di risoluzione riguardo a cose spesso incomprensibili. Alla base di questa sua determinazione c'era il pensiero 'mai dire no'.

Il mio tono mostrava la mia disapprovazione quando gli dissi “Che si fa se le ragazze della scuola ci vedono? No, no, ti dico che non abbiamo le facce adatte, noi!”

Mentre parlavo pensavo però che dopotutto Gocchi aveva un bel look, e per quante ragioni gli mettessi davanti le demoliva una a una.

“Ormai siamo quasi al terzo anno, chi vuoi che possa mettersi a bullarci? Al massimo, se ci scoprono ci prenderanno in giro per un po'. E poi, proprio oggi gli esami sono finiti, possiamo fare qualcosa di diverso dal solito. Senza contare che quei due sembrano essere con l'acqua alla gola, sarebbe anche una buona azione.”

“Si, ok, ma è imbarazzante, no?”

All'improvviso spostò lo sguardo verso un punto dietro di me. “Ribachan, guarda là.”

Girandomi, vidi la nostra compagna, Maschera Nō, uscire dal treno proveniente dalla direzione dell'istituto e dirigersi verso le sbarre. Senza un minimo di esitazione, uscì proprio dalla seconda da sinistra. Mi tornò il buonumore.

“Era da tanto che non vedevo Maschera Nō.”

“Quindi per pranzo rimaniamo per l'omelette col riso, eh?” “No, secondo me non si capisce bene il sesso; io dico Mac.” “Sei davvero cattivo, però mi sa che hai ragione.”

Ridemmo e schiamazzammo guardando le uscite in cui si ripetevano quegli strani eventi. “Se ci offrite da mangiare al Mac lo facciamo.”

nostri discorsi, se ne stavano lì a bocca aperta. Lo disse talmente in fretta che di nuovo non riuscii a fermarlo. Il sorriso della signorina Akagi era troppo ostentato per essere vero.

“Ma certo. Vi posso portare in un posto anche più costoso.”

Davanti all'espressione innocente e priva di malizia di Gocchi, anche se a malincuore, mi ritrovai a dover alzare bandiera bianca.

Accettammo e ci spiegarono nei dettagli di che tipo di inserto si trattava e per quale rivista, poi noi li due seguimmo verso il luogo in cui avrebbero scattato le fotografie.

“Dove dobbiamo andare?”

I due sembravano ignorarci e rimasero in silenzio, ma quando cominciai a parlare con Gocchi perché l'atmosfera stava diventando pesante la signorina Akagi mi rispose.

“Scusate se vi facciamo camminare, e grazie mille.”

La signorina Akagi aveva parlato guardando verso di noi con la coda dell'occhio e girandosi appena, e io capii che non sapevano ancora dove fare il servizio. Un'altra prova del fatto che erano davvero di fretta.

I due gironzolarono nei dintorni cercando un posto adatto, ma trovare un luogo del genere a Shibuya, dove la gente si affollava in ogni angolo, si dimostrò problematico.

Alla fine ci ritrovammo nel parco Mitake non per caso, ma perché la signorina Akagi borbottò se per caso non ci fosse un bel parco nelle vicinanze. Decidemmo di portarla lì.

***

Sentii in bocca il sapore tra il dolce e il piccante della cipolla, seguito da quello un po' ferroso della carne. La signorina Akagi ci intervistò mentre masticavamo degli hamburger che più che grandi erano quasi troppo alti per le nostre bocche. A dire il vero più che intervistare si limitò a chiederci il solito profilo: nome, data di nascita, altezza, gruppo sanguigno, composizione famigliare, hobby. Avevo qualche dubbio alla domanda 'abilità particolari', ma siccome Gocchi aveva risposto la chitarra, io finii per mentire e dire canto. Ancora oggi non riesco a togliermi di dosso la sensazione di rimorso per non aver dato una risposta più veritiera.

Anche quell'intervista, come il servizio fotografico, finì in fretta ma noi, poco abituati a panini di quella grandezza, eravamo in difficoltà con i nostri hamburger.

“Come mai proprio noi?”

“Secondo me hanno dormito troppo e scelto a caso le prime persone che hanno visto.”

Risposi così in un misto di modestia, sfacciataggine e ironia. Potevamo parlare così liberamente perché ormai avevamo rotto il ghiaccio con la signorina Akagi e il fotografo e ci sentivamo più a

nostro agio.

“Sei più sfacciato di quanto sembri, eh?”

La signorina Akagi mi rispose con il mento sporco di maionese. Ai nostri commenti fece finta di guardarci male pulendosi con un tovagliolino di carta.

Questo suo modo di fare apparentemente così finto, anziché renderla antipatica, la faceva apparire in un certo senso più innocente e priva di malizia. Parlava come un'adulta e ci trattava da bambini, nonostante avessimo sì e no dieci anni di differenza. Tuttavia, la ammantava un'aria di dolcezza. Mi piacevano molto queste dissonanze in lei.

“In realtà non eravate voi la nostra prima scelta.” Bevve un sorso di tè oolong e continuò a parlare.

“Questa mattina i ragazzi che avremmo dovuto fotografare hanno chiamato all'improvviso dicendo che la loro scuola non permette agli studenti di comparire su riviste e chiedendoci di cancellare il servizio.”

“Di solito uno la conosce la politica della propria scuola riguardo queste cose, però.”

“Anch'io penso che sia normale saperlo. Però quando ti dicono una cosa del genere non ci puoi fare nulla, non è che mi possa prendere la responsabilità se si cacciano nei guai e li sospendono. In realtà il termine di consegna era ieri, ma sono riuscita ad avere un rinvio. Ho cercato tra le scuole delle vicinanze che ancora non erano comparse sulla rivista e che permettevano ai propri studenti di farsi fotografare ed è venuto fuori il vostro istituto. Quindi, sono venuta a Shibuya.”

“Deve essere stata presa dall'ansia, eh?”

“Siccome sia io che Okamura viviamo lungo la linea Tōyoko ci siamo dati appuntamento davanti all'uscita. Okamura è arrivato prima di me e vi ha notati mentre mi aspettava.”

“Avete un viso che piace agli uomini.”

Aveva un'aria soddisfatta, ma chissà perché io non mi sentii particolarmente orgoglioso di essere stato notato da un uomo; mi sentii un po' in colpa a pensarla così.

“Però pensato anch'io la stessa cosa non appena vi ho visti, che sareste stati adatti.”

Fui molto contento di sentirlo, ma non si può dire che le sue parole ci commossero. Sia per la band, sia per il modeling di taglio, entrambi ne avevamo sentite abbastanza da capire che erano più che altro parole di circostanza.

Quando la signorina Akagi fece per indossare il trench che si era tolta una volta entrati nel ristorante capimmo che il nostro tempo era finito ed era ora di andare. Cercai di bere la cola avanzata del mio bicchiere ma non riuscii a finirla.

“Grazie mille.”

“Non c'è di che. Ho la sensazione di dimenticarmi qualcosa, però.” La signorina Akagi si guardò intorno girando su se stessa.

“Ah, ma certo, mi era completamente passato di mente! Datemi i vostri numeri di telefono, giusto nel caso succeda qualcosa e abbia bisogno di contattarvi.”

Ci scambiammo i numeri di telefono e poi ci diede 3000 yen27 a testa per il 'lavoro'. La

ringraziammo nuovamente.

“Però davvero, non voglio più sentire frasi come 'fermate il servizio'.”

La signorina Akagi scherzò di nuovo con quel tono forzato, mentre accanto a lei Okamura starnutì quattro volte di fila, talmente forte da far quasi tremare il locale.

“Se esistesse davvero l'effetto farfalla, giurerei che a causare il tifone in Sudamerica siano stati gli starnuti di Okamura, eh?”