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Capitolo 2. ATTUARE LA DEMOCRAZIA

2.1 Antichità e modernità: polis e Stato

Per trattare col giusto approccio della differenza tra democrazia antica e moderna si potrebbe porre quale preliminare punto fermo la definizione di democrazia di Moses I. Finley, il quale riprendendo Seymour Martin Lipset afferma che “la democrazia non è soltanto, e neppure primariamente, un mezzo con il quale diversi gruppi possono conseguire i loro fini o perseguire la società buona: è il

funzionamento stesso della società buona”.2

Anche Giovanni Sartori, nella sua analisi, parte dal comprovato assunto che la storia ha prodotto due tipologie di democrazia:

6) la democrazia diretta, intesa quale partecipazione all’ esercizio diretto del potere;

7) la democrazia indiretta, ossia rappresentativa, da intendere come un sistema di controllo e di limiti del potere.

Da questa (ovvia) classificazione Sartori fa derivare ogni riflessione circa la democrazia degli antichi (realizzata nella polis greca), e la democrazia moderna, liberale, realizzata nell’ambito dello Stato territoriale.

La polis, afferma, era un laboratorio ideale per un'esperienza che si andava cercando di caratterizzare nell'ambito esclusivo dei principi e dei riferimenti “teorici” della democrazia.3

I cittadini ne ricavarono un vivere in simbiosi con la città stessa, una completa dipendenza dal soddisfacimento dell'interesse pubblico quale solo scopo del proprio vivere.4

2 Moses I. Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, trad. it. Mondadori,

1992, p. 37.

Il corsivo è la parte aggiunta dall’Autore alla definizione ripresa da S. M. Lipset, Political Man, Garden City (N.Y.), 1960, p. 178 (trad. it. L’uomo e la politica, Milano, 1963, p. 166).

3

G. Sartori, Democrazia e definizioni, cit., p. 157.

4 Sartori cita Fustel de Coulanges (La Città antica, tr. it. Laterza, 1925, II, p. 152):

“Il cittadino...si dava per intero allo Stato; gli dava il sangue nella guerra; il tempo nella pace; non aveva libertà di lasciar da parte gli affari pubblici per

Proprio questo carattere indica, per Sartori, un primo limite di quella realtà: un totale dedicarsi ai pubblici affari cui corrisponde inevitabilmente l'abbandono di ogni altro settore caratterizzante la vita dell'uomo in quanto tale. Dunque un impoverimento, anche economico, generato dalla lotta di classe tra ricchi e poveri, impegnati tutti nel contemporaneo governare ed essere governati, vuoto in sé di ogni soluzione per vivere meglio.5

Chiaro che così considerata, l'esperienza delle polis aiuta a comprendere i vantaggi offerti dai sistemi indiretti di governo che spesso sottovalutiamo.

Innanzitutto, la mediazione alla base del governare, al contrario della partecipazione diretta, è un fattore in grado di garantire stabilità alla vita democratica latamente intesa. Sottoponendo l’iter decisionale a diversi passaggi, inevitabilmente l’esercizio stesso del potere perde in quell’immediatezza spesso facile pretesto per generare conflitti. Il politologo per tale aspetto afferma che “l’evoluzione da forme dirette a forme indirette di governo è molto simile al progresso che si compie nel settore del diritto quando si arriva alla mediazione processuale dei conflitti intersoggettivi”.6 Secondariamente, ed è questo che Sartori indica come vantaggio sostanziale, il sistema basato sul controllo del potere lascia tempo ed energie impiegabili per gli affari non politici ugualmente condizionanti la realtà democratica. Aspetti non analizzati da chi sostiene le ragioni di un esclusivo dedicarsi alla soluzione delle problematiche della cosa pubblica.

Posta la validità del ragionamento di Sartori, con riferimento alle società moderne, caratterizzate da un’alta differenziazione delle

occuparsi dei propri...doveva piuttosto tralasciare questi per lavorare a profitto della città”.

5 In questa caratterizzazione della democrazia antica, Sartori riprende le tesi

sostenute da Benjamin Constant nel discorso su La libertà degli antichi comparata con quella dei moderni, citandolo esplicitamente – come si vedrà - trattando della libertà nell’ambito della vita democratica antica e moderna.

attività, rimane da segnalare tuttavia il rischio – non considerato dal teorico fiorentino – di una estremizzazione di questa separazione tra ‘politico’ e altre attività, soprattutto in riferimento all’economia e alle sue dinamiche.

Come segnala anche Bobbio nel trattare dell'idea illusoria di estinzione dello Stato7, una volta ritenuta l'economia struttura portante della società, la politica di conseguenza diviene fattore secondario, se non inutile. Tesi che implica la visione di uno stato esclusivamente amministrativo e l'ideale della riduzione della cattiva politica alla buona amministrazione.

Un'esaltazione della tecnocrazia, questa, la quale non può che giudicarsi negativamente, come diceva Kelsen, se non altro per l'incapacità del tecnico rispetto al politico di definire i fini sociali da raggiungere.8

A prescindere da questo rischio, appare giusto tuttavia non ritenere le due formule della democrazia diretta ed indiretta alternative tra le quali si sarebbe liberi di scegliere.

Nonostante la prima rappresenti un modello storico corrispondente a situazioni del passato, sappiamo quanto il funzionamento delle democrazie contemporanee contempli anche meccanismi di democrazia diretta, per quanto “funzionali” ad un sistema che rimane di democrazia indiretta. Resta comunque la differenza di principio tra democrazia diretta e indiretta, che si può vedere anche portando il discorso, come fa Sartori, sul piano del concetto di

7 Cfr. N. Bobbio, Quale Socialismo?, edizione speciale per Correre della Sera

pubblicata su licenza di Einaudi editore, Torino, 2011, pp. 35-38.

8 H. Kelsen, in Difesa della democrazia, afferma che in un sistema politico il ruolo

del tecnico non può che essere secondario, in quanto è incapace di determinare il fine sociale. Solo dopo che si è deciso il fine può subentrare l'attività del tecnico, per stabilire il miglior mezzo per raggiungerlo.

Sostiene inoltre che l'abbandono della ragione politica in favore dell'ideale di tecnicità non porta ad altro che alla perdita del diritto di autodeterminazione del popolo.

Dunque, conclude, l'organizzazione cetuale, i professionisti, possono essere soltanto organi consultivi, non decisori.

libertà.

Giovanni Sartori, riprendendo la questione aperta da B. Constant, fa notare che le popolazioni antiche non conoscevano la libertà individuale quale proiezione della persona in quanto tale, idea affermatasi col sistema dei diritti inviolabili.9

Stando a questa ricostruzione, che pure è stata messa in discussione negli studi più recenti10, la democrazia greca non aveva rispetto per l'individuo come singolo: esso veniva considerato solo come parte della collettività.

Qui sta la differenza con la concezione moderna, nella quale la partecipazione politica appare invece piuttosto strumentale alla difesa dei diritti e delle prerogative del cittadino. Costitutivo delle democrazie contemporanee è la garanzia delle libertà dell'individuo-persona, affinché non si abbia più quella “superiorità della collettività” che appare cardine dell'ideale ‘organicistico’ antico11.

La democrazia moderna si fonda sul sistema dei diritti personali, l'unico a garantire la piena autodeterminazione e concretizzazione delle aspettative dell'uomo, come singolo e come gruppo.

Condivisibile, a questo punto, l’affermazione di Giovanni Sartori secondo la quale “anche se il nome è greco, la fattispecie che siamo tornati a designare con quel nome è nata assai più tardi, e nient’affatto in Grecia”.12

L’idea moderna di democrazia viene a formarsi con l’inversione di prospettiva affermatasi a partire dal ‘600 per la quale il

9 Sartori richiama il discorso di B. Constant De la Liberté des Anciens Comparée à

celle des Modernes, precisando che quello che l’autore e gli altri hanno inteso negare non era che la libertà individuale sia restata ignota ai Greci, ma che il mondo greco non avesse conosciuto il concetto di libertà del singolo inteso nel senso di ‹‹rispetto dell’individuo-persona››.

10 Cfr. ad es. D. Musti, Demokratia. Origini di un’idea, Laterza, Roma-Bari, il quale

sostiene che la democrazia greca classica aveva saputo bilanciare l’attenzione per il ‘privato’ con la partecipazione diretta alla vita politica.

11 Cfr. la voce Organicismo nel Dizionario di politica, curato da N. Bobbio, N.

Matteucci e G. Pasquino, Utet, Torino.

‹‹pluralismo››, il dissenso, la differenziazione non vengono considerati più causa della rovina sociale ma alla base dello sviluppo di uno Stato.

Di conseguenza, anche il “potere popolare” da fattore volubile e disordinato diventa elemento importante e duraturo del processo politico. Potestà popolare, però, che non si ritiene più unica fonte di giustificazione per ogni decisione13, bensì si considera nell’ambito di tanti altri elementi influenzanti i processi decisionali i quali per forza di cose contribuiscono alla nascita di entità di gruppo preposte ad ottenerne il riconoscimento.

È la stessa concezione espressa da Bobbio, forse da un punto di vista meno sistematico, circa il mancato rispetto della “promessa democratica” di uno Stato senza corpi intermedi nel quale ogni individuo, accordandosi con gli altri, decida formando la società politica.

Il politologo torinese parte dalla medesima concezione individualistica della società, per affermare la differente idea di “popolo sovrano” caratterizzante la “rozza realtà” rispetto all'ideale democratico.

Giunge a descrivere una società democratica nella quale si è imposto un modello opposto a quello teorizzato ed idealizzato della volontà popolare quale risultato dell'incontro delle singole volontà individuali.

Sono sempre più rilevanti le grandi associazioni, i gruppi di interesse, organismi frapposti tra il rappresentante ed il rappresentato molto più influenti del singolo individuo.

Bobbio afferma che anziché il popolo quale unione di individui, si è imposta l'idea di popolo come insieme di gruppi contrapposti, non un unico centro di potere ma una società centrifuga con più unioni

13 Sartori (in Democrazia: cosa è, Rizzoli, Milano, 1993, p. 154) afferma che “Alla

fine tutto quello che la folla acclamava diventava legge, né limiti di sorta limitavano questo discrezionale potere di esercitare un assoluto potere.”

dotate di autonomia decisionale.14

Bisogna stare attenti a non vedere in queste argomentazioni una critica alla democrazia rappresentativa, in quanto si tratta di un discorso ancora precedente all'analisi delle sue caratteristiche, che cerca anzi di meglio definirne il fondamento teorico attraverso il riconoscimento della sua necessità alla luce di una società non più monistica ma pluralistica.

Sia Bobbio, che può sembrare quello maggiormente critico se non altro perchè più analitico, sia Sartori intendono con le loro argomentazioni affermare l'idea di una società per forza di cose contrassegnata dalla diversità di posizioni ed aspettative, alla quale non può che rispondersi mediante una matura democrazia rappresentativa.

Altro è il giudizio negativo che possono dare sull'insufficiente risposta data dall'uomo a tali esigenze.

Ciò che si sta cercando di vedere mediante l'analisi delle diverse concezioni affermatesi nel corso della storia è se e quanto sia stato attuato nella realtà l'ideale democratico.

Successivamente se ne vedranno gli aspetti essenziali, giudicando, allora si, se di compiuta e corretta attuazione può parlarsi.

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