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Capitolo 2. ATTUARE LA DEMOCRAZIA

2.2 Libertà ed uguaglianza

Da sempre nel dibattito sulla democrazia è stata dedicata molta attenzione ai principi di libertà e uguaglianza.

Hans Kelsen, tra i più importanti teorici della democrazia che proprio sul principio di libertà e uguaglianza ha basato la sua teoria, ha sintetizzato lo spirito democratico affermando che, se dobbiamo essere comandati, “lo vogliamo essere da noi stessi”.1 La democrazia dunque sembrerebbe tutelare i diritti e le libertà di tutti attraverso la garanzia di uguaglianza rappresentata dalla partecipazione collettiva alle decisioni politiche.

Partendo dalla “posizione intellettuale di una filosofia relativistica” caratterizzata dal “rispetto del diritto del tu ad essere anch’egli un

ego”,2 Kelsen concepisce il sistema democratico come quello in cui la libertà politica, intesa come partecipazione al governo, determina una restrizione dei poteri governativi al fine di garantire l’uguaglianza come “ideale sociale” e quindi consentire la tutela degli individui in quanto tali.

Anche Sartori si occupa compiutamente di tali tematiche, tuttavia, prima di vedere in che termini ne tratta, occorre fare una premessa generale sulla metodologia seguita dall'Autore, anche per comprendere appieno il nesso tra tali argomentazioni e l'idea del legame tra liberalismo e democrazia.

Come pure Angelo Panebianco in un suo saggio fa notare3, il politologo fiorentino intende la teoria politica quale modo autonomo di guardare alla politica, intermedio tra la filosofia politica e la scienza politica.

1 H. Kelsen, La democrazia, Il Mulino, 1984, p. 40. 2 H. Kelsen, La democrazia, cit., p. 234.

Il politologo spiega che “da un punto di vista psicologico, la sintesi di libertà ed uguaglianza, caratteristica essenziale della democrazia, significa che l’individuo, l’ego, desidera la libertà non solo per se stesso, ma anche per gli altri, per il tu”.

3 A. Panebianco, Teoria politica e metodo comparato, in G. Pasquino (a cura di), La

La teoria politica è l'attività preliminare di definizione concettuale che deve porsi a fondamento di ogni analisi empirica. Senza tale indispensabile passaggio, unito ad un altrettanto necessario corretto uso del linguaggio, non può farsi alcuna analisi empirica. Ciò detto possiamo passare ad analizzare innanzitutto il concetto di “libertà”.

Sartori afferma preliminarmente di non essere interessato a trattare della libertà in termini generali, in quanto è suo precipuo interesse analizzarne soltanto la concezione politica, ritenuta il “sine qua non delle altre libertà”.4

Il politologo considera la libertà politica come opposta al potere di coercizione statale ed attinente al rapporto cittadino-Stato dal punto di vista del primo. Perciò la ritiene caratterizzata da un’accezione ‘negativa’, afferma che “è la libertà dei più deboli” la quale consente di “resistere a quel potere massimo (statale) altrimenti destinato a

soffocarli”.5

Per quanto riguarda il punto di vista dello Stato, invece, lo studioso fiorentino afferma che il discorso non riguarda più la libertà politica, ma necessita l’introduzione di considerazioni sull’arbitrio del potere, vista la posizione di superiorità dell’autorità statale rispetto al cittadino.6

A questo punto Sartori precisa che, sebbene tale definizione in forma avversativa lasci presupporre una conseguente esplicazione positiva, la libertà politica si caratterizza solo per il presupposto negativo, non viene qualificata come mezzo per poter essere

«liberi di».7

4 G. Sartori, Democrazia e definizioni, cit., p. 182. 5 Ivi, p. 183.

6 Sartori descrive in questi termini il punto di vista statale circa il rapporto col

cittadino: “il fatto che si possa dire che lo Stato è ‹‹libero di›› è un modo per introdurre un discorso sulla illibertà politica. Lo Stato tirannico è libero di comandare a suo lìbito, ma perciò priva i sudditi di ogni libertà”.

7 (Ivi) “La libertà politica è una libertà pregiudiziale, ma dire che è pregiudiziale non

vuol dire che si può oltrepassare. [...] Non si può saltare la libertà in senso negativo, poiché altrimenti non si arriva più alla libertà in senso positivo”.

L'uomo sarebbe libero di fare quel che vorrebbe, a patto che non gli venisse impedito. È così che identifica il problema.

Passando alle soluzioni, dopo averla analizzata, critica quella a riguardo esposta da Rousseau fondata sul ritenere libertà e leggi accomunate dallo stesso destino e legate alla “volontà generale” che gli uomini dovrebbero solo far affermare.8

Sartori fa notare come la democrazia per Rousseau fosse la trasposizione dell'ideale antico: un governo della Legge “legittimato” dalla volontà generale9 legato al fare il minimo indispensabile da

parte degli uomini.

Per il politologo, proposito di Rousseau era “liberare l’uomo tramite un governo di Leggi superiori alla volontà che le emana: volontà che le riconosce ma non le crea, le salvaguarda ma non le modifica”.10

Il teorico fiorentino insiste su tale nesso libertà-legge per denotare l’errato attribuire a Rousseau un diverso concetto di libertà basato su quello di “autonomia”. Un primo limite che individua è in riferimento alla stessa ipotesi contrattualistica prospettata dall’autore francese, la quale, indicando la posizione di ogni singolo come sottomesso a norme che egli stesso ha liberamente accettato, mostra quanto a Rousseau interessasse mantenere ancorata la libertà alla legittimità originaria descritta in base alla Legge. Secondariamente, fa notare come Rousseau abbia sempre ritenuto la democrazia irrealizzabile in grande.11 Infine, rileva che per quanto sottintenda autonomia in premessa, la teoria rousseauiana

8 J. Rousseau (in Lettere dalla Montagna, Lett. VIII) afferma: “La libertà segue

sempre la sorte delle leggi, essa regna o perisce con queste.”

9 G. Sartori, Democrazia e definizioni, cit., p. 192 Per rendere compiutamente il

concetto di volontà generale, Sartori afferma che “può essere paragonata allo ‹‹spirito del popolo››, a ciò che più tardi la scuola storica del diritto denominava Volksgeist: non perché i due concetti si somiglino, ma perché cercano di colmare uno stesso vuoto, il vuoto lasciato dietro di sé dal diritto naturale”.

10

G. Sartori, Democrazia: cosa è, cit., p. 163.

11 Nel Contratto Sociale, Rousseau dice che “più lo Stato si ingrandisce, più

diminuisce la libertà; più il popolo è numeroso, più la forza repressiva deve aumentare”.

arriva comunque alla conclusione che “una volta posta la vera

Legge, libertà è ‹‹libertà nella legge››”.12

Da qui il passaggio alle tesi liberali, logicamente ritenute più giuste in quanto legate alla contemporanea risoluzione dei problemi della libertà e della legalità offerta dal costituzionalismo.

Anche per Sartori possiamo considerarci liberi solo in un sistema nel quale il legislatore stesso sarebbe limitato da leggi atte a tutelare i rappresentati dall’arbitrio dei rappresentanti.13

Unica via d'uscita non può che considerarsi la spersonalizzazione ed il contemporaneo vincolo del potere: lo Stato di diritto.

È questo il senso del suo ritenere la ‹‹libertà nella legge›› e non il potere del popolo in quanto tale unico punto fermo delle società libere.14 Ed è per questo che ritiene errato l'utilizzo del termine “autonomia” per delineare tale situazione, in quanto, come per Bobbio15, concetto legato alla sola volontà e non all'azione possibile. Sartori è convinto che il diritto sia strumento essenziale per la libertà politica. Tuttavia, precisa che “è la libertà politica che produce e sostiene quel diritto che è mezzo di libertà, non viceversa”.16

Anche per quanto riguarda il concetto di “uguaglianza”, come detto per la “libertà”, Sartori parte dall'assunto che non si tratta di definire la Vera Eguaglianza, quindi un problema speculativo, ma di vedere quali le caratteristiche che l’uguaglianza assume nell'ambito della democrazia.

12 Cfr. G. Sartori, Democrazia: cosa è, cit., pp. 167-169. 13 G. Sartori, Democrazia e definizioni, cit., p. 202. 14 G. Sartori, Democrazia e definizioni, cit., p. 208. 15 N. Bobbio, Politica e Cultura, Einaudi, 1955, p.176.

16 Sartori spiega che “la messa a fuoco del problema della libertà politica è quella

liberale, poiché è la libertà da e non la libertà di che segna la demarcazione tra libertà e oppressione politica. Quando si definisce la libertà come un ‹‹potere di››, il potere di libertà (dei cittadini) ed il potere di coercizione (dello Stato) tornano a commescolarsi, e non c’è più modo di distinguere il problema dei limiti e del controllo sul potere politico, da quello inverso del controllo e dei vincoli imposti dal potere politico”.

Egli comincia col delineare l'uguaglianza quale simbolo della ribellione dell'uomo contro le ingiustizie.17 Ed è per questo che ne considera lo sviluppo nella vita sociale democratica: solo se l'uguaglianza combatte e supera le oligarchie il popolo può ritenersi autenticamente libero e sovrano.18

Per analizzarne lo sviluppo, però, occorre che dall'ideale egualitario, dall'uguaglianza al singolare, si passi alla considerazione delle uguaglianze al plurale, ossia dell’attuazione di tale prescrizione nell’ambito dei diversi sistemi democratici succedutisi nel tempo.19 È condivisibile l'appunto metodologico che il problema dell'uguaglianza democratica, così come visto per la libertà politica, vada esaminato riguardo all’applicabilità.

Ciò non può che portarci ad affermare, d'accordo col Sartori medesimo, che ogni singola uguaglianza tende ad affermarsi a scapito delle altre, dunque la reale problematica riguarda il loro grado di compatibilità e complementarietà.20

A tal proposito l'autore indica tre tesi prospettabili dietro la richiesta di maggiore eguaglianza sostanziale:21

- che ci sia una eguaglianza primaria, comprensiva di ogni altra; - che la principale eguaglianza sia data dalla somma di tutte le

altre;

17 Sartori cita R.H. Tawney (Equality, Allen & Unwin, London, 1931, cap. I.), il

quale affermava che “mentre l’ineguaglianza è facile, poiché richiede soltanto che ci lasciamo galleggiare con la corrente, l’eguaglianza è difficile, poiché implica che si nuoti controcorrente”.

18 G. Sartori, Democrazia e definizioni, cit., p. 212.

19 Per es. Sartori fa riferimento al concetto di uguaglianza affermatosi nell’antica

Grecia, utilizzando le parole di Pericle agli Ateniesi: ‹‹mentre la legge assicura la giustizia a tutti nelle loro dispute private, [...] quando un cittadino si distingue in qualche modo viene preferito negli uffici pubblici non per privilegio ma a ricompensa del suo merito››. Oppure, dice dell’attuazione nella polis ‹‹non in ragione del merito ma in ragione del numero››. Ancora, richiama il discorso di Lincoln a Springfield nel quale parlò del concetto di uguaglianza in termini di garanzia di ‹‹diritti inalienabili, tra i quali la vita, la libertà ed il conseguimento della felicità››.

20

(Ivi, p. 219) “Il fatto è che le singole eguaglianze tendono ad elidersi, e ad affermarsi l’una a spese dell’altra: la massimizzazione di una varietà implica, sembra, la retrocessione delle altre”.

- che massimizzare l'eguaglianza significhi riequilibrare le diseguaglianze.

La prima tesi non può essere ovviamente accettabile, visto che trattasi di un ragionamento fattibile solo in ambito prettamente teorico e che risulterebbe impossibile davanti a qualsiasi applicazione concreta.

Sartori la definisce un mito vorace, in quanto non c’è né può esserci una Eguaglianza essenziale che includa in sé tutte le altre, ed inoltre perché l’eguaglianza più grande rifiuterebbe quelle minori.22 E conclude affermando che “si alleva all’ombra di una indefinita

Eguaglianza ultima la ricaduta nell’inegualità”.23

La seconda tesi, anche per quanto detto in precedenza, non è corretta poiché sommando uguaglianze, si finirebbe soltanto per perdere i diritti in quel momento dati per acquisiti. Il politologo specifica che “chi si illude di aumentare l’eguaglianza con un’operazione aritmetica di addizione rischia di perdere, al momento in cui consegue una eguaglianza ‹‹ulteriore››, l’eguaglianza precedente che la sosteneva”.

La terza tesi è quella che Sartori indica preferibile, ritenendo il problema dell'applicabilità dell'uguaglianza risolvibile solo mediante un sistema di compensazione tra disuguaglianze.

Egli opta per “un gioco di contrappesi prodotto da una costellazione

di libertà-eguaglianze, tale da riequilibrare una disparità con l’altra”.24

E ne fa derivare, a seconda delle diverse priorità o dei nuovi valori si ritiene dover affermare, un riequilibrio migliore nei reciproci rapporti oppure una complessiva riorganizzazione del sistema delle

22 In Democrazia: cosa è, cit., p. 190: “Non ci sono addendi, non c’è una somma, e

non c’è totale. E quindi non c’è, a tanto maggiore ragione, una singola Eguaglianza onnicomprensiva che ‹‹invera in sé›› tutte le altre”.

23 G. Sartori, Democrazia e definizioni, cit., p. 221. 24 Ivi, p. 222.

uguaglianze-libertà.25

Solo così si potrebbe garantire la libertà di ognuno nel rispetto delle libertà altrui.

E solo su queste basi potrebbe fondarsi una società democratica che non rischi la caduta in situazioni nelle quali il predominio di uno o pochi metta a repentaglio i diritti altrui.

Si noti il “ritorno” al costituzionalismo, all'idea che nell'ambito della deontologia democratica possono richiamarsi i concetti di uguaglianza, di autogoverno, ma non di libertà, in quanto questa discende dai meccanismi democratici, è in un certo senso un “derivato” della corretta interpretazione dei primi.

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