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ANTIMICROBIAL STEWARDSHIP

2. INTRODUZIONE

2.9. ANTIMICROBIAL STEWARDSHIP

All’inizio dell’era antibiotica, lo sviluppo dei farmaci sempre in forte espansione ha fatto sì che fosse comunque disponibile un nuovo farmaco anche qualora si fosse sviluppata una resistenza ai precedenti: basti pensare che tra il 1935 e il 2003 sono state introdotte ben quattordici nuove classi di antibiotici. Tuttavia, il rapido sviluppo antibiotico ha prodotto una sempre maggiore resistenza antimicrobica. Nel 2003, il CDC ha riportato un tasso di resistenza alla meticillina di quasi il 60% da parte dello Staphylococcus aureus nelle unità di terapia intensiva degli Stati Uniti67 ed è stato forse ancora più difficile gestire l’aumento di resistenza tra i Gram-negativi68. I programmi internazionali come lo SMART (Studio per il Monitoraggio della Resistenza Antimicrobica)69 e quello di Sorveglianza Antimicrobica SENTRY hanno mostrato un sostanziale aumento del tasso di resistenza della Klebsiella alle Cefalosporine di III generazione, così come un aumento di ceppi di K. pneumoniae ed E. coli produttori di β-lattamasi a spettro esteso e di Pseudomonas resistenti ai Fluoroquinoloni67,70,71. Nel corso degli ultimi 30 anni, lo sviluppo di antibiotici si è rallentato considerevolmente e le opzioni a disposizione per il trattamento di infezioni sempre più resistenti risultano oggi molto limitate: basti pensare che dal 1998 sono stati approvati solo 10 nuovi antibiotici, solo 2 dei quali (Linezolid e Daptomicina) hanno avuto nuovi bersagli d’azione. Le ragioni sono semplici: lo sviluppo dei farmaci è rischioso e costoso e i farmaci per trattare le infezioni non sono redditizi come quelli per trattare le malattie croniche. Gli antibiotici attualmente in fase di sviluppo appartengono a classi già esistenti e sono ad ampio spettro, il che significa che hanno più probabilità di promuovere l’ulteriore sviluppo di resistenza se utilizzati nella pratica quotidiana72.

Tuttavia, oggi, l’attenzione posta sull’inappropriatezza d’uso degli antibiotici si inserisce in un discorso più ampio che non riguarda solo l’emergere di batteri resistenti ma anche i potenziali danni al paziente. In particolare, la comunità scientifica si concentra sull’importanza di ottenere un esito clinico ottimale evitando complicanze quali l’insufficienza renale e la colite da C. difficile, e sul fatto che i pazienti con infezioni resistenti agli antibiotici hanno più probabilità di andare incontro ad infezioni ricorrenti, lunghi ricoveri – spesso dovuti all’inefficacia del trattamento – e persino alla morte73,74.

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Diversi fattori influenzano l'appropriatezza della prescrizione75,76 e questi stessi determinano importanti differenze tra i diversi ospedali nell'utilizzo appropriato degli antibiotici77. Tuttavia, secondo la letteratura, fino al 50% dell'utilizzo degli antibiotici in ospedale rimane non appropriato78 ed è per questo che da anni viene raccomandato lo sviluppo di programmi di Antimicrobial Stewardship al fine di migliorarne l'uso79.

Volendo riprendere la definizione di Antimicrobial Stewardship (AS) data da Tamma et al.80 si tratta di un “programma o di una serie di interventi diretti al monitoraggio e all’orientamento dell’utilizzo degli antimicrobici in ospedale, attraverso un approccio standardizzato che sia supportato dall’evidenza al fine di ottenere un uso giudizioso dei farmaci”.

Questi programmi possono essere considerati come un elenco di interventi disegnati ed adattati sulla base della realtà ospedaliera locale81, che si pongono tre principali obiettivi d’azione (Figura 6).

Figura 6. Obiettivi dell'Antimicrobial Stewardship (Adattamento da Lawrence KL et al.82)

Antimicrobial Stewardship Combattere l'emergere di resistenze Migliorare l'outcome del paziente, riducendo gli effetti collaterali Controllare i costi sanitari

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Il primo obiettivo è quello di lavorare con gli operatori sanitari per far sì che ogni paziente riceva la terapia antibiotica più appropriata, con la giusta dose e durata. La cura ottimale di un paziente infetto equivale a trattarlo con l’antibiotico corretto e opportunamente dosato che abbia la minore probabilità di causare effetti collaterali. Un ulteriore vantaggio dei programmi che mirano ad ottimizzare l'uso degli antibiotici è che generalmente portano a risparmi sui costi, dal momento che in questo modo vengono usate un minor numero di dosi e scelti farmaci meno costosi a parità di efficacia. Solo negli Stati Uniti, i programmi istituzionali hanno dimostrato un risparmio annuo fra i $ 200.000 e i $ 900.00083-85.

Il secondo obiettivo è non solo quello di prevenire l’uso eccessivo degli antibiotici, ma anche il cattivo uso o addirittura l’abuso. Infatti accade spesso che vengano utilizzati quando non sono necessari, sia in ambito ospedaliero che ambulatoriale. Spesso gli antibiotici vengono somministrati a pazienti con infezioni virali, con affezioni non infettive (ad esempio il classico paziente febbrile con pancreatite), con infezioni batteriche che non richiedono antibiotici - come i piccoli ascessi cutanei che si risolvono incidendo e drenando - o addirittura a quelli con colonizzazione batterica - come nei pazienti cateterizzati e urinocoltura positiva. Gli antibiotici sono spesso utilizzati inappropriatamente come ad esempio nello scenario in cui si usano antibiotici ad ampio spettro in pazienti con infezione da germi multi-resistenti oppure quando non si modifica la terapia dopo i risultati delle colture cosicché il paziente viene mantenuto in un regime terapeutico a cui il microrganismo non è sensibile. L’abuso degli antibiotici è invece più difficile da definire, ma il termine può essere utilizzato per descrivere l'uso preferenziale, spesso indotto da un’informazione parziale, di un antibiotico rispetto ad altri72.

Il terzo obiettivo è quello di minimizzare lo sviluppo di resistenze. L’uso degli antibiotici modifica i modelli di suscettibilità sia a livello del singolo paziente che a livello comunitario: i pazienti esposti agli antibiotici sono più a rischio di diventare colonizzati o infetti da microrganismi resistenti86-88 (basti pensare che la causa più comune dello sviluppo della diarrea da C. difficile è l'esposizione agli antibiotici)89. La resistenza dei Gram-negativi ai carbapenemi e alle cefalosporine aumenta dalle 10 alle 20 volte con l'esposizione ad antibiotici ad ampio spettro90-92 e da una recente meta-analisi sulle prescrizioni ambulatoriali, l'uso dei comuni antibiotici è stato associato ad un significativo

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aumento del rischio di sviluppo di resistenza fino anche a 12 mesi dopo l'esposizione agli stessi (odds ratio 1.33, con intervallo di confidenza al 95% di 1.2-1.5)74.

Questi organismi resistenti possono venir trasmessi ad altri individui all'interno dell'ospedale o della comunità del paziente, causando un aumento sia dei costi ospedalieri che sociali93. Inoltre, è dato ormai accertato che la resistenza antimicrobica si associ ad un aumento della morbilità e della mortalità90,94.

Gli approcci e le tecniche per realizzare un programma di AS all’interno di una qualsiasi struttura sanitaria sono vari ed esulano da questa trattazione ma un buon programma79 può trovare applicazione in una serie di attività quali:

1. Creazione di gruppi di lavoro che comprendano almeno un infettivologo e un farmacista. Tali team dovrebbero avere una struttura più snella e "operativa" dei Comitati per le Infezioni Ospedaliere (CIO), che nella maggior parte dei casi si riuniscono solo ogni 2 o 3 mesi.

2. Consulenza infettivologica. La fornitura di alcuni farmaci può essere vincolata alla consulenza, fin dall'inizio o entro le prime 48-72 h di terapia. La restrizione può comprendere i farmaci a maggior impatto sulle resistenze come i Carbapenemici, quelli da impiegare per i germi multi-resistenti come la Colistina e i più costosi come la Tigeciclina e la Daptomicina.

3. Servizio di Microbiologia "fast lab" in stretta relazione con il clinico. È ipotizzabile la creazione di laboratori di secondo livello, dedicati alle Unità di Terapia Intensiva (UTI) e a casi selezionati, in grado di operare h24 e con analisi personalizzate. 4. Adozione di linee guida locali di profilassi e terapia.

5. Monitoraggio del consumo di antibiotici e dell'epidemiologia locale delle resistenze microbiche con feedback periodici ai reparti.

6. Dosaggio plasmatico degli antibiotici, ad esempio Aminoglicosidi, Teicoplanina, Daptomicina e Linezolid.

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Potrà essere utile aggiungere ai punti precedenti il monitoraggio della qualità di cura attraverso indicatori che valutino retrospettivamente alcuni elementi misurabili della pratica clinica sui quali ci sia consenso. Nel contesto specifico delle IVU complicate, questi indicatori di qualità sono stati descritti per la prima volta da Hermanides et al.95. Partendo da 40 indicatori iniziali (vedi Tabella 15 in Appendice), è stato selezionato e validato un elenco di otto indicatori applicabili in un reparto di Medicina Interna e basato sulle attuali linee guida95. Tali indicatori, applicabili anche ad altre sindromi da IVU (come le urosepsi) vengono riportati nella Tabella 4.

Tabella 4. Elenco validato di 8 indicatori di qualità per la valutazione dell'appropriatezza terapeutica nei pazienti con Urosepsi.

Generali

1. Esecuzione urinocoltura.

2. Prescrizione di terapia empirica in accordo con le linee guida nazionali. 3. Uso di fluorochinoloni solo come terapia orale o a causa di allergia agli

antibiotici β-lattamici.

4. Modifica della terapia empirica dopo i risultati delle colture.

5. Variazione della terapia intravenosa in terapia orale dopo 48-72 h in relazione alle condizioni cliniche.

6. Durata della terapia antibiotica di almeno 10 giorni.

Pazienti con catetere urinario

7. Sostituzione del catetere entro 24 h dall’inizio del trattamento antibiotico.

Pazienti con insufficienza renale

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