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L’antropologia come ciência colonial

Nel contesto coloniale, come si è più volte già accennato, erano importanti le concezioni che i coloni avevano circa le popolazioni colonizzate. Esploratori e missionari influenzavano queste rappresentazioni traducendo, interpretando e descrivendo l‟universo culturale degli indigeni. L‟amministrazione coloniale portoghese, al fine di razionalizzare la propria opera, aveva istituito un centro di ricerche, definito Junta de Investigaçõ do Ultramar e l‟Instituto de Investigação

Científica de Angola, con l‟obiettivo preciso di promuovere ricerche sulle realtà socio-culturali

delle colonie, raccogliendo non solo informazioni di prima mano tramite specifiche indagini etnografiche, ma anche archiviando tutti i materiali che erano stati fino ad allora prodotti da viaggiatori, geografi, esploratori e missionari che erano stati nelle colonie portoghesi. In pratica, però, tale intento si riduceva a quello di elaborare e fondare una ciência colonial in modo tale da non sfigurare davanti ai saperi coloniali delle altre potenze europee che esploravano del grande bacino del Congo, le coste che il Portogallo non riusciva a controllare. A questa operazione faceva da supporto l‟ideologia del lusotropicalismo, che incentivava la produzione di saperi coloniali, nell‟ipotesi che esistesse una certa “fratellanza” e solidarietà tra coloni e colonizzati, componendo un‟ampla e perfeita comunidade nacional.

L‟imperialismo coloniale portoghese presentava il suo dominio sulle popolazioni africane come una sorta di convivenza amabile e fraterna. Soprattutto i missionari cattolici, motivati da questo ideale, compilavano grammatiche (Tavares, 1934) e dizionari delle lingue locali (Maia da Silva, 1961), si dedicavano allo studio etnografico delle popolazioni indigene (Estermann, 1960. Valente, 1964), con l‟intento di promuovere i principi etici, morali e religiosi, insiti già nella tradizione orale delle popolazioni che evangelizzavano. Fu così che la conoscenza della lingua locale assunse un‟importanza enorme, perché permetteva l‟accesso alla comprensione della mentalità africana e rendeva possibile la comunicazione diretta senza intermediari.

Ad esempio, uno tra i primi missionari portoghesi che si dedicò con particolare attenzione alla comprensione della cultura bakongo, fu Antonio da Silva Maia, missionario diocesano, ordinato sacerdote a Luanda nel 1936 e parroco a Ambriz due mesi prima che scoppiasse la rivoluzione del 15 marzo 1961. Il suo Dicionário Complementar rappresenta un

«vantagem na medida em que ele irá servir a Língua-Pátria e prestar-se ao trabalho de

nacionalização entre os Povos» (Da Silva Maia, 1961, p. IV).

Fin dall‟introduzione appare chiara la priorità di

«aportuguesar cada vez mais as terras por onde andou a pregar o Evangelho» (ivi, p. V).

L‟intento di questo vocabolario era quello di svolgere la funzione di strumento di comunicazione, a favore soprattutto dei funzionari coloniali:

«Os Srs. Aspirantes e Chefes do Posto vêem-se coagidos, pela necessidade de resolução de

casos indígenas, ao estudo prévio das línguas nativas para não recorrerem sempre à intervenção de cabos de cipaios que lhes servem de valiosos intérpretes das questões diárias» (ivi, p. VII).

Se la collaborazione col potere coloniale fu una prassi costante tra amministratori coloniali e missionari portoghesi, invece, per quanto riguarda quelli provenienti da altri paesi europei, come per esempio i cappuccini italiani, si è verificata una certa autonomia di comportamento. La rassegna bibliografica segue in ordine cronologico con l‟analisi dell‟ Histoire politique du Congo

ritenuto un esperto dell‟economia politica del Congo e fu tra i primi a elaborare una bibliografia su questo paese. Nell‟Histoire politique du Congo Belge divisa in 10 libri, Wauters descrive l‟impresa coloniale di Leopoldo II, segue la nascita dello Stato Libero del Congo e osserva, dall‟interno, la logica coloniale che imponeva l‟espansione in quella regione dove le diverse entità etniche erano in continue lotte. Come si è già visto, il contesto coloniale europeo della seconda metà del XIX secolo era particolarmente interessato alle esplorazioni geografiche e concepiva l‟Africa come continent pour lui arracher ses dernieres secrets (Wauters, 1911, p. 8). All‟inizio della sua opera Wauters presenta Leopoldo II, re del Belgio, e la sua azione coloniale in modo elogiativo, malgrado quel monarca sia poi passato alla storia come uno dei sovrani più efferati e crudeli, Wauters lo vede interessato alla découverte scientifique de l‟Afrique centrale et

la répression de la traite des nègres, compiendo, così, l‟acte le plus mèritoire de son règne (ivi,

p. 13). Giustifica l‟impresa coloniale in Congo come:

«Ouvrir à la civilisation la seule parti de notre globe où elle n‟ait point encore pénétré (…)

une croisade digne de ce siècle de progrès» (ivi, p. 15).

Così, come spesso avveniva, la penetrazione in territorio africano doveva essere giustificata e poggiata su basi scientifiques et hospitalières ayant caractère internationale, con il compito di sviluppare le conoscenze geografiche, eliminare la tratta degli schiavi e incentivare il libero commercio.

Secondo questa prospettiva teorica e politica, come si è visto, le prime esplorazioni africane operate dai Portoghesi si erano proposte di aprire la strada per giungere al cosiddetto regno del prete Gianni. Pertanto, dopo quattro secoli, l‟impresa coloniale europea sembrava partire da presupposti simili: trovare la strada pour parvenir au coeur de l‟Afrique, la gagner à l‟influence

civilisatrice et à l‟exploitation commerciale (ivi, p. 21). Come si è accennato, dopo l‟impresa di

Henry Morton Stanley, appare chiaro l‟intento coloniale plus commerciale que politique (ivi, p. 23) e la realizzazione d‟une sociétè de chemin de fer en Afrique et d‟une sociétè commerciale

pour le commerce du haut Congo (ivi, p. ). Lo scopo verrà raggiunto malgrado la rivalità delle

potenze europee presenti sul campo:

«le Portugal était établi depuis plusieurs siècle dans l‟Angola, dont St-Paul de Loanda était

le port principal. Quant à la région de l‟embouchure même du Congo, elle n‟était sous la domination effective d‟aucune puissance européenne» (ivi, p. 26).

Nel 1884, in un trattato, firmato con l‟Inghilterra, verrà riconosciuta la sovranità portoghese sul litorale e sulle due rive del Congo, fino a Noki. Le pretese del Belgio verranno messe in discussione dalla creazione della provincia portoghese del Congo con i municipi di Cabinda, Landana, Banana, Boma e Noki. Per Leopoldo II si trattava di conquistare legalmente il territorio: il s‟agissait d‟obtenir des potentats nègres des droits à l‟occupation de leur pays (ivi, p. 28). Pertanto, i Belgi si ritennero giustificati nell‟uso della violenza per transformer (…)

conquérir (ibid.).

L‟impresa coloniale venne camuffata abilmente da Leopoldo II con l‟organisation d‟un Etat

nègre (…) avec la plus fiévreuse activité et dans le plus grand secret (Wauters, 1911, p. 29.30),

ma aucun de ceux qui participaient ne se doutait qu‟il coopérait à la fondation d‟un empire (ivi, p. 31).

L‟imperialismo coloniale si abbina, così, a logiche antropologicamente definibili di tipo evoluzionistico pour entraîner les populations indigènes vers le travail, un état supérieur et,

«s‟appuyait sur les bases les plus solides les plus morales et les plus avouables. Les idées les

plus humanitaires préoccupaient, avant tout, ses dirigeants» (ibid.).

Tuttavia ammette che senza violenza e senza

«le travail forcé des natifs et à son profit exclusif, les forêts à caoutchouc du haut Congo,

l‟entreprise eut avorté sur l‟heure» (ibid.).

Nell‟immaginario di Wauters gioca un ruolo importante l‟idea dell‟ “Africano barbaro”, senza capacità razionale, che si lascia dominare dalle proprie passioni, incapace di conformarsi alle norme del comportamento sociale tipico degli Europei. La razza negra africana è identificata alla razza maledetta e peccatrice di Ham; insomma, un razza corrotta e decaduta dalla purezza creaturale originaria. Alphonse Jules Wauters perciò ritiene che l‟impresa coloniale sia a:

«faveur de la rédemption d‟un continent oublié et d‟une race maudite depuis de siècles» (ivi, p. 33).

A tale scopo vengono incoraggiati e appoggiati anche i missionari inglesi come

«Grenfell, qui sous la protection des agents du Comité, s‟établit au pool, d‟abord à Bolobo,

ensuite…» (ivi, p. 39).

Si è già notato come in quel periodo, gli interessi europei sul Congo coinvolgessero il Portogallo, l‟Inghilterra e il Belgio. Tali stati, riuniti a Berlino, nel 1884 stipularono un trattato per la spartizione dell‟Africa centrale e orientale. Il risultato degli accordi mise in discussione la sovranità portoghese sulle due rive del Congo e siglò l‟esistenza dello Stato Libero del Congo dando la paternità della fondazione a Leopoldo II, re del Belgio, autorizzandolo, così, a être le

chef de l‟Etat (ivi, p. 56). Le mire espansionistiche portarono alla

«complète méconnaissance de l‟Acte de Berlin, on délibérait en secret sur un plan de

conquête de territoires nouveaux (…) Léopold II ne recula pas devant l‟idée ambitieuse d‟étendre encore les limites d‟un empire immense» (ivi, p. 88).

Il progetto si realizzò, imponendo alla popolazione

«l‟impôt en nature, à l‟impôt en travail, obligeant l‟indigène à recueillir et à apporter aux

agents du fisc une certaine quantité de caoutchouc. L‟ivoire qui valait vingt francs le kilogramme et le caoutchouc, qui en valait sept ou huit, allaient rapidement faire affluer dans le caisses du Trésor, les millions nécessaires pour entreprendre les conquêtes projetées» (ivi, p. 89).

La gomma veniva estratta dalla pianta che abbondava nelle foreste del Congo, chiamata “Ubani” (Burseracea Boswellia). Nel 1893, inoltre, ad Anversa le navi scaricarono 223 tonnellate di avorio per un valore di tre milioni di franchi e 241 tonnellate di gomma:

«Ils ne purent être acquis sans des abus et des vexations qui laissèrent et finirent par

exaspérer les populations indigènes des districts exploités. Elles protestèrent près de autorités et des missionnaires. N‟obtenant pas justice, elles se soulevèrent. La force publique mit les rebelles à la raison» (Wauters, 1911, p. 122).

Wauters fornisce utili informazioni sulle logiche di controllo coloniale e le spedizioni militari condotte al fine di occupare nuovi territori invoquant les théories élastiques de l‟hinterland et

des terres vacantes (ivi, p. 90). Durante l‟occupazione militare

«Les villages qui résistèrent furent incendiés, leurs habitants décimés, les hommes valides

emmenés à la chaine» (ivi, p. 91).

Il commercio dell‟avorio e della gomma divenne monopolio statale, togliendolo al contrabbando di commercianti privati e dai trafficanti arabi di Zanzibar:

«Ils y faisaient surtout la rafle de l‟ivoire, en même tempe que la chasse à l‟homme, pour les

besoins de leur transports, de leur expéditions armées er de leur plantations» (ivi, p. 97).

La campagna militare del gennaio 1893 contro gli arabi si prolungò per tre anni.

«La guerre avait pour longtemps plongé le pays dans la ruine et la désolation, mais

l‟inquiétante question arabe était réglée» (ivi, p. 100).

La politica di espansione fu attuata attraverso l‟annessione del bacino del Kasai, Katanga, Urua e Ruzizi. Allo scopo furono organizzate delle spedizioni, come quella del capitano Van Kerckhoven, che divennero autentiche campagne militari, fino a raggiungere il bacino del Nilo che il governo belga considerava

«L‟essentiel était d‟agir et d‟occuper (p. 104) (...) ces territoires comme vacants et les

occupait en vertu des adages: “possession vaut titre” et “à chacun selon ses oeuvres”» (ivi,

p. 109).

Nella seconda parte del libro Wauter descrive come le società commerciali, che operavano in Congo, sfruttassero la popolazione. Il governo coloniale aveva imposto una tassa, che la popolazione pagava in chili di gomma. Quando non riusciva a consegnare la quantità di gomma pattuita

«on prend des ôtages: on emprisonne des femmes et des enfants, la chicotte est appliquée

aux récolteurs qui n‟apportent pas au poste l‟imposition prescrite» (ivi, p. 241. 242).

Tra i nativi venivano scelti e addestrati dei giovani i quali formavano una specie di milizia popolare, con il compito di sorvegliare il lavoro degli operai della popolazione. Poteva succedere che certi villaggi si rifiutassero di fornire la quantità di gomma stabilita, allora:

«reçoivent la visite de patrouille militaires. Parfois des expéditions “punitives” vont infliger

aux habitants un châtiment exemplaire. Des villages sont incendiés. Les indigènes fuyards son traqués. Les instincts sauvages des traqueurs se réveillent. C‟est au cours de ces chasses que des mais ont été coupées par les soldats noirs» (Wauters, 1911, p. 242).

Le mani mozzate erano portate davanti all‟amministratore coloniale, come prova che la punizione era stata inflitta; i soldati, allora, erano ricompensati con nuove munizioni. La constatazione fa riflettere Wauters, che conclude scrivendo:

«Après tout, ce n‟est qu‟une forme nouvelle de l‟esclavage, d‟apparence moins odieuse que

celle qui dépeupla l‟Afrique aux siècles passés» (ibid.).

«les Congolais n‟est plus arraché à son sol natal; il demeure dans son pays d‟origine, pour en extraire les trésors au profit d‟un maître étranger tout puissant: Boula Matari» (ivi, p.

242).

L‟espressione bula matadi, l‟uomo che spacca le montagne, era il titolo che i Bakongo applicavano a Henry Morton Stanley (1963, p. 6) per le mine che egli fece brillare quando aprì un passaggio alle sue imbarcazioni che discendevano lungo il fiume Congo attraverso le cateratte di David Livingstone (Cavalli 1995, p. 65, n. 8). Con lo stesso titolo definivano le vessazioni praticate dai coloni e dalle loro milizie, che mutilavano le mani dei Bakongo per non aver consegnato la quantità di gomma pattuita.

«Quelle résistance pouvaient opposer les indigènes désarmés aux appétits ainsi allumés, loin

de tout contrôle? Mal rétribués, consignés dans leurs villages, astreint à des corvées épuisantes, ils menaient dans la forêt sauvage, sans abri et sans famille, une existence misérable, un long martyre, et s‟ils réclamaient, ils étaient terrorisés par les sentinelles noires» (ivi, p. 245).

Wauters aveva constatato personalmente queste atrocità, ovvero la destruction progressive de la

population par ce régime d‟exploitation era il prezzo da pagare per il rubber system. Un sistema

di sfruttamento tale che:

«a transformé quelques-uns des districts à caoutchouc en un véritable enfer. Il a engendré la

plupart des crimes qui s‟y sont commis et dont on ne connaitra jamais le nombre et la gravité» (ivi, p. 246).

Tutto ciò dal, 1891, in soli tredici anni di amministrazione coloniale; ma ce qui le rend

particulièrement odieux, c‟est qu‟il fonctionnait sous le couvert de l‟humanité (ibid.).

Nei primi decenni del Novecento, le potenze coloniali cominciarono a razionalizzare i loro domini nelle diverse parti del mondo. Nel 1912, Inghilterra, Germania, Spagna e Francia avevano risolto il complesso problema del controllo del Marocco, e quello dell‟accesso allo Stretto di Gibilterra concedendolo agli Inglesi; mentre ai Francesi fu dato il protettorato del Marocco e agli Spagnoli le regioni della Mauritania. Intanto, i problemi lasciati irrisolti dal 1870 tra la Francia e la Germania, avevano condotto alla Prima Guerra Mondiale.

L‟atmosfera culturale che caratterizzava questa realtà storica, da un lato, vedeva gli sviluppi scientifici del positivismo ottocentesco anche attraverso importanti applicazioni condotte in ambito tecnologico (tra le quali, il perfezionamento del motore a vapore, quello elettrico e la conseguente invenzione del motore a scoppio); dall‟altro, diversi indirizzi intellettuali, per reagire a tale realtà fortemente materialistica, si erano orientati verso soluzioni neoidealistiche o di rottura nei confronti del realismo e del verismo, che erano stati alla base delle diverse espressioni estetiche della fine dell‟Ottocento e dei primi decenni del secolo successivo. A partire dagli anni ‟20 del Novecento, in particolare in Francia, venne maturando un certo fermento culturale, ad opera di artisti, filosofi e scrittori. Si era agli esordi del surrealismo di André Breton, dell‟estetismo dadaista di Tristan Tzara dell‟esistenzialismo sartriano. Tale temperie d‟oltralpe è rintracciabile, n Italia, nel futurismo di Filippo Tommaso Marinetti e nell‟estetismo decadente di Gabriele D‟Annunzio.

Questa visione culturale conduceva a rintracciare nell‟esotico di tipo gogueiano, di moda nei primi decenni del Novecento, le fonti di ispirazione degli artisti; in tale contesto, la pittura astrattista spesso trovò ispirazione dai manufatti dell‟arte africana o proveniente da paesi extraeuropei. Spesso scrittori irrispettosi e stravaganti, che provavano disgusto nei confronti delle usanze del passato, ricercavano la libertà creativa ispirandosi attraverso i viaggi che

compivano in paesi lontani dall‟Europa. In quel periodo, fra questi scrittori di successo, opera André Gide, nato a Parigi il 22 novembre 1858. La sua infanzia risentì delle conseguenze di una doppia eredità: quella protestante del padre, ugonotta, fatta di rigore, di ascetismo, di logica e di una vita intellettuale austera e quella cattolica della madre.

«Rien de plus différent que ces deux familles; rien de plus différent que ces deux provinces

de France, qui conjuguent en moi leurs contradictoires influences» (Gide, 1927, p. 15).

La sua adolescenza, perciò, fu marcata da un‟educazione puritana e la sua gioventù dal clima di un‟austera religiosità che più tardi sfociò in una sorda ribellione (Chadourne, 1949, p. 209). Si dette, infatti, a fare tabula rasa delle verità sacrosante, delle convenzioni borghesi, del moralismo ipocrita, tutto a favore di una libertà che rompesse ogni barriera, sotto la spinta di un bisogno premente di evadere.

André Gide sognava da tempo la fuga dalla noia parigina, insieme al giovane amante Marc Allégret pour le plaisir di evadere dalla grande città.

«Je me suis precipité dans ce voyage comme Curtius dans le gouffre, (…) ne me semble deja

plus que precisement je l'aie voulu ..., mais plutot qu'il s'est impose a moi par une sorte de fatalite ineluctiblecomme tous les evenements importants de ma vie projet de jeunesse realise dans l'age mur. Ce voyage au Congo, je n'avais pas vingt ans que deja je me promettais de le faire; il y a trente-six ans de cela» (Gide, 1927, p. 14).

Condivise questo desiderio con altri intellettuali francesi, tra cui Michel Leiris e André Malraux. Gide per trentasei anni e si preparò a questo grande avvenimento sostenuto dalle fantasie della corrente orientalista e leggendo le favole di La Fontaine (Gide, 1998, p. 3). L‟Africa era lui una terra calda e sensuale, dove iniziare un viaggio dentro se stessi per liberarsi dalla rigidità puritana e convenzionale, lasciarsi andare alla sensualità e, attraverso questa, all‟affermazione del vero io.

«Quel demon m'a pousse en Afrique? Qu'allais-je donc chercher dans ce pays? J'etais

tranquille. A present, je sais que je dois parler» (ivi, p. 14).

Questo percorso, tuttavia, seppure mascherato da una patina intellettuale che portava l‟impronta del nichilismo nietzchiano, nascose in realtà pulsioni pedofile ben più difficili da confessare, e si trasformerà in nulla, più che nell‟affermazione del proprio egoismo ed edonismo. L‟esotismo rimase al fondo del suo atteggiarsi al mondo africano e si mescolò con un‟ambigua e “promettente felicità, voluttà e dimenticanza” (ivi, p. 5) ispirata dai ragazzi a torso nudo ridenti e languidi.

«Tout m'y charmait d'abord: la nouveaute du climat, de la lumiere, des feuillages, des

parfums, du chant des oiseaux et de moi-meme aussi parmi cela, de sorte que par exces d'etonnement, je ne trouvais rien a dire. Je ne savais le nom de rien. J'admirais indistinctment. On n'ecrit pas bien dans l'ivresse. J'etais grise» (Gide, 1927, p. 28).

Dal luglio 1926 al maggio 1927 viaggiò attraverso le colonie francesi dell'Africa equatoriale con Marc Allégret. Successivamente fu nel Congo centrale (ora Repubblica del Congo) nel Oubangui-Chari (ora la Repubblica Centroafricana); per breve tempo andò in Ciad e quindi in Camerun, prima di fare rientro in Francia. La cronaca dei suoi viaggi, redatta in carnets intitolati

Voyage au Congo e Retour du Tchad, fu pubblicata nel 1928 e s‟inserì in un contesto socio-

culturale influenzato, come si è accennato prima, dalle manifestazioni fantastiche e rivoluzionarie dell‟estetismo dadaista:

«En fait de "maitres" la jeunesse reconnaît volontiers pour tels ceux qui lui enseignent à se

passer de maîtres, à faire table rase des vérités reçues, des conventions bourgeoises, des idées toutes faites, des morales hypocrites, du ready to wear» (Chadourne, 1949, p. 212).

Oltre alle descrizioni di suggestivi momenti del viaggio, Gide denuncia le pessime forme con le quali l‟amministrazione coloniale francese trattava le popolazioni indigene delle colonie. In questi diari egli critica il comportamento delle società d'affari francesi in Congo, e chiede riforme. In particolare, critica fermamente il régime des Grandes Concessions, cioè un sistema in cui parte della colonia era concessa a compagnie francesi le quali potevano sfruttare tutte le risorse naturali dell'AEF, specialmente la gomma. Racconta, ad esempio, come i nativi fossero costretti a lasciare i loro villaggi per diverse settimane, per raccogliere gomma nella foresta; giunge a paragonare tal sfruttamento alla schiavitù (Rubber system). Con il viaggio in Congo prese atto dello sfruttamento degli indigeni da parte delle compagnie francesi, ed acquistò una coscienza politica che lo porterà nel 1932 ad aderire al comunismo, anche se non si iscriverà mai

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