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Antropologia dei ritmi. Sfratti e vita urbana nella metropoli contemporanea

In passato ho utilizzato la metafora deleuziana della matassa (Deleuze 2007) per riferirmi al campo etnografico che si produce a partire dall’analisi di un oggetto di ricerca (Pozzi, Grimaldi 2015). La metafora mi sembra adeguata, sia per descrivere le molteplici e sorprendenti configurazioni che caratterizzano un dato contesto sociale, sia per restituire l’immagine (e l’immaginario antropologico) dell’atto interpretativo. Deleuze ha utilizzato la metafora per descrivere, nel suo ultimo intervento pubblico dedicato a Foucault, il concetto di dispositivo. Secondo Deleuze una matassa è:

un insieme multilineare, composto di linee di natura diversa. Queste linee, nel dispositivo, non delimitano né circoscrivono sistemi di per sé omogenei, ma seguono direzioni e tracciano processi in perenne squilibrio; talvolta si avvicinano, talvolta si allontano le une dalle altre. Ogni linea è spezzata, soggetta a variazioni di direzione, biforcante e biforcuta, soggetta a derivazioni (Deleuze 2007, p. 11).

Una matassa a prima vista può essere percepita come un insieme organico. In qualche modo lo è. Dall’esterno costituisce un oggetto ben delimitato, occupando uno spazio e un tempo definito. Ma cosa accade se tentiamo di sbrogliarla? Da una prospettiva quantitativa, tenterei di trovare il bandolo della matassa e poco alla volta cercherei di districare i fili, senza problematizzare eccessivamente gli strumenti che utilizzo per districarla. Laddove i nodi risultassero inestricabili, taglierei il filo, analizzerei la parte selezionata, e poi ricomincerei il procedimento. Tuttavia, questa prospettiva restituirebbe una descrizione di fili tagliati, ordinati e selezionati e non aiuterebbe a comprendere perché e come tale matassa si è costituita. Una prospettiva qualitativa superficiale tenterebbe di districare la matassa senza tagliare i nodi, ma impegnandosi a fondo per scioglierli. Una volta sciolti i nodi, condurrebbe la propria analisi interpretativa, risituando i fili – le relazioni, gli attori sociali, gli immaginari, le politiche – in un discorso coerente e ordinato. La prospettiva interpretativa che intendo utilizzare parte invece dai nodi stessi, valorizzandoli. Nel tentativo di districarli produce altri nodi, perché è attenta all’atto di interpretazione e dedica una parte dell’analisi al processo stesso di districamento. L’immaginario che la muove non è la coerenza organica, ma la differenza relazionale, gli intrecci simbolici, i nodi critici. In questi spazi situa le domande e, senza l’obiettivo di sciogliere la matassa, ne partecipa, nella consapevolezza di renderla complessa, più che di semplificarla.

Questo approccio metodologico sembra essere particolarmente fertile nel caso di una antropologia contemporaneamente della città e nella città (Hannerz 1980; Sobrero 1992; Signorelli 1996; Low 1996; Gmelch Kemper, Zenner 2002; Agier 2011; Allovio 2011; Cachado 2012; Pardo, Prato 2012; Nonini 2014; de Koning, Jaffe 2016). Dunque, un’antropologia che non si limiti a costruire il proprio campo etnografico in contesto urbano, ma che aspiri a promuovere una riflessione teorica più ampia sulla città e sul futuro della stessa.

Ciò che emerge primariamente è la necessità di chiarire, da un lato, il soggetto-oggetto città (Cordeiro 2010) e, dall’altro, di delineare il fenomeno urbano che si è scelto di analizzare, ovvero lo sfratto. Il dialogo con la letteratura è fondamentale per far emergere originali approcci metodologici, epistemologici ed etici degli studi urbani, capaci di un’efficace e radicale critica della ragion spaziale dominante (Malighetti 2012). Tale dialogo si sviluppa sulla convinzione che le città rimangono veicolo e spazio privilegiato per la produzione e la riproduzione delle dinamiche neo-liberiste contemporanee (Lefebvre 1991; Harvey 2012; Herzfeld 2009, 2016). Il fenomeno degli sfratti, come vedremo nel corso del testo, viene da me iscritto in questa configurazione (Tosi Cambini 2014, Desmond 2016).

In questo capitolo intendo delineare, a partire dalla contestualizzazione del fenomeno analizzato, alcuni possibili strumenti interpretativi che ho ritenuto utili ai fini di un’antropologia urbana attenta al contesto (antropologia nella città) e, allo stesso tempo, tesa a una formulazione teorica più ampia rispetto all’interpretazione della vita urbana (antropologia della città). Nel prima paragrafo riporto alcuni dati relativi alla questione degli sfratti e della crisi degli alloggi nel contesto italiano, con un focus specifico sul caso milanese. Come ha evidenziato Tosi Cambini, il tema degli sfratti rappresenta oggi un tema socio-politico “improrogabile” (Tosi Cambini 2014): i dati presentati, sia di carattere quantitativo sia qualitativo, sembrano confermare questa necessità. Nel secondo paragrafo, a partire dall’enunciazione dell’oggetto di ricerca, mi confronto con due prospettive analitiche fondanti nel contesto degli studi urbani: la prima, che ha dedicato particolare attenzione alle dinamiche spaziali proprie degli ambienti di vita urbani; la seconda, che ha invece privilegiato uno studio delle temporalità e delle differenti articolazioni di queste. Nel terzo paragrafo, ispirandomi agli ultimi lavori di Lefebvre (2004), invito a un superamento di questi approcci, nel tentativo di mettere in risalto le configurazioni che emergono dall’interazione tra queste due dimensioni, unitamente alla dimensione del vissuto quotidiano. Definisco questa interconnessione come ritmo. In questo stesso paragrafo dimostro come la necessità di ripensare la dicotomia tra spazio e tempo in termini relazionali sia emersa dal campo etnografico e, nello specifico, da un “incontro di terreno”. Nei tre paragrafi successivi identifico tre specifici ritmi, che sostengo

vadano a configurare il ritmo della perdita della casa nella Milano contemporanea: il ritmo burocratico, il ritmo strutturale, il ritmo intimo.

Sfratti e crisi degli alloggi nel contesto italiano. Dati e rappresentazioni

In inglese1 il verbo to evict (sfrattare, espellere qualcuno da una proprietà) ha origine dal

verbo latino evincere, composto dalla particella che indica un moto da luogo (ex) e dal verbo vincere che, letteralmente, significa debellare ma che, in contesto giuridico, assume il significato di recuperare un possesso. In francese expulser indica, più genericamente, l’azione di espellere qualcuno da un luogo, da un Paese o da una proprietà di cui era in possesso; l’origine e il significato del termine coincidono quasi perfettamente con quella del verbo latino expello, dal momento che pello si riferisce a un movimento – sia di persone sia di sentimenti o stati d’animo – mentre il prefisso ex (come nel caso dell’inglese) indica il moto da luogo. In lingua spagnola, desahuciar (sfrattare) è composto dal prefisso des – che indica l’inversione di un’azione – e dal verbo arcaico afuciar, derivato dal latino fiduciare (concedere fiducia, ma anche ipotecare) e nel contesto medico indica l’ammissione da parte del medico che il paziente non ha possibilità di recupero; il verbo desalojar indica l’azione di togliere l’alloggio. Alcuni dizionari di lingua italiana indicano il verbo “sfrattare” come derivato da fratta con l’aggiunta del prefisso s, ad indicare il modo per far uscire la selvaggina allo scoperto o, ancora, l’idea di cacciare via da un fondo o da una casa recintata con fratte, cioè con siepi (ϕράκτη in greco). Ciò sarebbe confermato anche dal contrario infrattare, che significa letteralmente “nascondere in un cespuglio”. Inoltre, nel termine inglese to evict rientra in lingua italiana anche il verbo sgomberare (o sgombrare - contr. ingombrare), che indica il trasferimento di persone e cose da un appartamento a un altro: dis-cumulus – da cumulo (combro), insieme di cose poste alla rinfusa l’una sopra l’altra.

In linea generale, l’etimologia nelle lingue europee illumina la parola sfratto con luci diverse, spesso compresenti: l’idea di riappropriazione, l’idea di espulsione da un luogo o da un Paese attraverso il ricorso a strumenti legali e del diritto, l’idea di perdita della fiducia nei confronti di qualcuno o l’idea di perdita tout court. Tuttavia, se nelle altre lingue prese in considerazione il termine sfratto può avere anche significati legati a una dimensione collettiva, in italiano il riferimento mantiene il solo significato di intimare, con procedura di legge, al soggetto affittuario (o comunque a un gruppo domestico) di lasciare libero un immobile in precedenza preso in affitto e, per estensione, mandare via, scacciare qualcuno da un luogo. Le differenti sfumature di significato che il termine assume in italiano hanno un valore sostanziale e fanno riferimento alla cessazione di situazioni abitative molto diverse fra loro e, tuttavia, in entrambi

i termini (sfrattare e sgomberare) sono condensati una serie di significati sociali e morali, oltre che una serie di pratiche messe in atto da attori istituzionali e subite e rinegoziate dai cittadini

nella quotidianità della vita urbana2.

Come evidenziato da Tosi Cambini, “il problema degli sfratti, contraddistinto negli ultimi anni da un costante e sensibile aumento, è l’effetto combinato di una serie di fenomeni di varia natura: abitativi, sociali, economici, finanziari” (Tosi Cambini 2014, p. 108). È proprio la complessa configurazione che si viene a creare a partire dall’interazione di questi fenomeni che invita ad analizzare il fenomeno da un punto di vista etnografico (Desmond 2016). Nella città di Milano, la recente crisi economica non ha solamente fatto crollare il mercato immobiliare

(Tosi 2008; Sunia 2010; Baldini, Poggio 2014; cfr. For Rent3), ma ha anche reso più

complicato riuscire a sostenere il peso economico di un affitto (Poggio 2009; Cucca, Gaeta 2015).

Tabella 1. Spese per il mantenimento di un appartamento in affitto e di proprietà. Appartamento di 90 mq zona intermedia in città metropolitane (Federconsumatori, Luglio 2016). Elaborazione O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori. *La voce è relativa alla quota a carico dell'inquilino, pari a circa il 10% della TASI.

I dati confermano che, nella sola città di Milano, nel 2015 sono state registrate 32.249 richieste di esecuzione di sfratto (Ministero dell’Interno 2016) e che un sempre maggior numero di cittadini partecipa ai bandi per l’assegnazione di una casa di Edilizia Residenziale Pubblica

(ERP4). Attualmente, infatti, nelle liste di attesa sono presenti circa venticinque mila nuclei

2 Cfr. http://www.etymonline.com; http://www.cnrtl.fr; http://etimologias.dechile.net; http://dizionario.internazionale.it; http://www.etimo.it.

3 http://www.for-rent.polimi.it (Ultimo accesso 30 novembre 2017).

4 Il termine Edilizia Residenziale Pubblica è apparso per la prima volta nella legge n. 865/1971 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed

familiari e ciò ha causato una congestione di un sistema di assegnazione già lento e altamente burocratizzato. Questo ha portato inoltre a una forte dilatazione dei tempi di attesa (Pozzi, Rimoldi 2017b) per l’effettiva assegnazione di un alloggio popolare – due anni in media – e alla conseguente necessità di elaborazione di tattiche per far fronte a una situazione percepita come scoraggiante e contraddittoria (Poggio 2012).

In questo quadro, le questioni relative agli sfratti assumono una portata sociale particolarmente rilevante, tanto su scala nazionale quanto su scola locale (Tosi Cambini 2014): basti pensare che, se nel 2005 veniva eseguito uno sfratto ogni 515 famiglie residenti sul territorio nazionale, nel 2015 la proporzione era di 1 a 399.

Tabella 2. “Nel lungo periodo il rapporto tra i provvedimenti di sfratto emessi e il numero delle famiglie residenti in Italia mostra un significativo peggioramento, passando da uno sfratto ogni 515 famiglie nel 2005 a uno sfratto ogni 399 famiglie nel 2015”. Fonte: Ministero dell’Interno 2016.

Analizzando le procedure di rilascio di immobili a uso abitativo nel periodo compreso tra il 2005 e il 2015, il dossier del Ministero dell’Interno (2016) nota che i provvedimenti di sfratto emessi dal 2005 al 2007 hanno mantenuto un andamento costante (da 45.815 a 43.869), tuttavia, dal 2008 al 2014 si è registrato un aumento significativamente incisivo (+47,8%), seguito da una leggera flessione nel 2015 (-16,6%, rispetto al 2014).

autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata). Tuttavia, la definizione è stata elaborata nel contesto nel secondo comma dell’art. 1 del D.P.R. 31 dicembre 1972 n. 1035 (Norme per l'assegnazione e la revoca nonché per la determinazione e la revisione dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica): “Sono considerati alloggi di edilizia residenziale pubblica gli alloggi costruiti o da costruirsi da parte di enti pubblici a totale carico o con il concorso o con il contributo dello Stato con esclusione degli alloggi costruiti o da costruirsi in attuazione di programmi di edilizia convenzionata e agevolata. Sono escluse altresì dall’applicazione delle norme del presente decreto le assegnazioni relative a costruzioni a carattere provvisorio o comunque destinate al ricovero temporaneo delle famiglie rimaste senza tetto a seguito di eventi calamitosi, nonché agli alloggi costruiti o da costruirsi dalle cooperative edilizie, agli alloggi realizzati da imprese od enti per il proprio personale ed a quelli destinati a dipendenti di Amministrazioni statali per esigenze di servizio”.

Anche per quanto riguarda le esecuzioni di sfratti tramite l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario tra il 2006 e il 2014 si è registrato un aumento del 62% (da 22.278 a 36.340) e una successiva lieve diminuzione nel 2015 – 32.546 sfratti eseguiti, pari al -10,4% (Ministero dell’Interno 2016).

Tabella 3. Procedure di rilascio di immobili ad uso abitativo anni 2005 - 2015, Italia5. Fonte: Ministero

dell’Interno 2016.

Se volessimo dare ulteriore profondità storica al fenomeno (Tosi 2014), dalla fine degli anni Ottanta si è assistito a un progressivo calo del numero totale dei provvedimenti di sfratto (Poggio 2009), fino al sopraggiungere della crisi economica del 2008. Si è passati infatti dai 139.228 provvedimenti emessi nel 1983 fino ai 33.200 del 2005. Da questa cifra minima si è risaliti fino ai 64.676 del 2015.

5 Come segnalato dal report del Ministero, “per l’anno 2015 non sono pervenuti i dati relativi alle province di Vicenza per il periodo settembre-dicembre, Caserta per i mesi di novembre e dicembre e Ragusa per il mese di dicembre. Sono incompleti i dati per le province di Milano, Varese, Venezia, Verona, Bologna, Reggio Emilia, Roma, Viterbo, Napoli, Bari, Potenza, Catania, Palermo e Ragusa”. (*) Presentate all’Ufficiale Giudiziario (**) Con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario

Tabella 4. Provvedimenti di sfratto, richieste di esecuzione e sfratti eseguiti in Italia dal 1983 al 2011. Fonte: Ministero dell’Interno, in Tosi Cambini 2014, p. 109.

In dieci anni i provvedimenti sono raddoppiati (Tosi Cambini 2014, p. 108). Le richieste di esecuzione e le esecuzioni hanno invece avuto un leggero e costante incremento sin dagli anni Ottanta, fino al notevole aumento emerso a partire dal 2008 e sfociato nell’alto numero che caratterizza il presente.

Tabella 5. Variazione % rispetto all’anno precedente. Fonte Ministero dell’Interno 2016

In generale, il fenomeno degli sfratti si delinea come un processo socialmente e economicamente molto rilevante nella Milano e nell’Italia contemporanea (Ministero dell’Interno 2016). I dati permettono di dimostrarlo efficacemente, seppure in forma parziale e prospettica. L’analisi di questi deve essere infatti necessariamente integrata con una prospettiva qualitativamente più pertinente.

Durante l’esperienza etnografica, diversi attori sociali hanno fatto usi (diversi) di questi stessi dati che ho riportato. In questo senso, per esempio, l’analisi dei dati quantitativi forniti da agenzie istituzionali è una prassi centrale nelle pratiche lavorative dei sindacati che operano nel settore abitativo. L’unione sindacale da me studiata – Unione Inquilini – fa largo uso di rappresentazioni quantitative del fenomeno per motivare e sostenere in forma concreta le proprie posizioni rispetto al tema del disagio abitativo. Questo produce un antagonismo giocato sulle rappresentazioni, anche quantitative, del fenomeno. Il conflitto si muove sulla manipolazione della terminologia e sulla selezione differenziale delle narrative atte a promuovere un discorso pubblico sul tema.

Il dossier del Ministero dell’Interno citato in precedenza, curato dall’Ufficio Centrale di Statistica per conto del Dipartimento per le Politiche del Personale dell’Amministrazione Civile e per le Risorse Strumentali e Finanziarie, poggia su una narrativa neutrale e distanziata. Nel corso delle ottanta pagine del documento non viene mai utilizzata la parola “crisi” o “emergenza”. “Disagio abitativo” viene utilizzato una solo volta, nell’incipit del dossier. Il tentativo è quello di restituire un’immagine econometrica e distaccata del fenomeno, ridotta alla sequenza “scientifica” di numeri, percentuali e grafici.

Differentemente, gli stessi dati possono essere letti con una forte inclinazione critica. Ne è un caso evidente, a mio avviso, il lungo comunicato stilato dall’Unione Inquilini a seguito della presentazione pubblica del report del Ministero dell’Interno (2016).

Come ogni anno, anche oggi il Ministero dell’Interno ha pubblicato il monitoraggio sugli sfratti, questa volta relativo all’anno 2015. Il quadro che esce dai dati del 2015 è quello di una diminuzione delle sentenze (atteso in quanto il numero degli inquilini tende a restringersi e dopo anni nei quali si è assistito a circa 70.000 sentenze emesse all’anno), ma si segnala come ancora oggi il 90% degli sfratti sia motivato da morosità incolpevole e che aumenta ulteriormente il dato relativo alle esecuzioni richieste dagli ufficiali giudiziari ai commissariati. Infine, il dato degli sfratti eseguiti con la forza pubblica (-10,44% rispetto al 2014) non deve trarre in inganno, infatti su questo dato pesa l’incompletezza dei dati di molti comuni: Milano, Venezia, Bologna, Roma, Viterbo, Napoli, Bari, Catania, Palermo e Ragusa. In realtà sulle esecuzioni forzose di sfratti ci attendiamo un dato finale di aumento.

Le Regioni dove le sentenze di sfratto sono diminuite rispetto al 2014 sono: Piemonte (-49,4%) Puglia (-32,5%) Valle d’Aosta (-25,4%) Friuli Venezia Giulia (-25,2%) e Veneto (-17,7%). Sono in aumento invece in Abruzzo (+32,8% ) e Basilicata /(+20,6%). Il maggior numero delle sentenze di sfratto si concentra in Lombardia con 12.308 provvedimenti che rappresentano il 19,0% del totale nazionale, seguita dal Lazio con 8.745 (pari al 13,5%), dall’Emilia Romagna con 6.145 (pari al 9,5%), dalla Campania con 5.745 (pari al 8,9%) e dalla Toscana con 5.375, pari all’8,3% del totale. Delle richieste di esecuzione presentate all’Ufficiale Giudiziario la regione che in assoluto presenta il valore più elevato nell’anno 2015 è la Lombardia con 61.268 richieste (pari al 39,9% del totale nazionale); seguono, a distanza, l’Emilia Romagna con 15.263 (9,9%), il Lazio con 13.125 (8,5%) e la Toscana con 11.676 (7,6%). La regione che presenta il maggior numero di sfratti eseguiti con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario è la Lombardia con 5.743 sfratti eseguiti (il 17,6% del totale nazionale), seguita dal Lazio (n. 3.852, pari all’11,8%), dalla Toscana (n. 3.307, pari al 10,2%), dall’Emilia Romagna (n. 3.191, pari al 9,8%), dal Veneto con 2.811 (8,6%), dalla Campania con 2.515 (7,7%) e dal Piemonte con 2.049 (6,3%). Un miglioramento della situazione si evince dal rapporto tra i provvedimenti di sfratto emessi e il numero delle famiglie residenti in Italia che si attesta, per l’anno 2015, a uno sfratto ogni 399 famiglie a fronte di uno sfratto ogni 333 famiglie nel 2014. Le regioni che nell’anno in esame presentano il rapporto uno sfratto/famiglie peggiore di quello nazionale sono: Liguria (1/261), Lazio (1/301), Toscana (1/306), Emilia Romagna (1/324), Abruzzo (1/346), Lombardia (1/358), Puglia (1/368) e Campania (1/376). A livello provinciale sono ben 49 le province che presentano il rapporto sentenze sfratto/famiglie inferiore a quello nazionale (1/399) e, di queste, 8 sono province dei grandi comuni. Al primo posto si colloca Barletta-Andria-Trani (uno sfratto ogni 148 famiglie), seguono Savona (1/152), Pescara (1/167) e Prato con uno sfratto ogni 190 famiglie. Si segnala che nelle prime 13 posizioni si trovano tutti piccoli e medi comuni italiani. La prima grande città è Roma al 14° posto (1/272). A tal proposito segnaliamo che il dato del Ministero dell’Interno relativo al rapporto sentenze/famiglie abitanti è al lordo (comprensivo delle famiglie proprietarie, usufruttuarie, assegnatarie di case popolari etc.) in quanto non si riferisce alle sole famiglie in locazione da privati. Questo significa che il dato è molto peggiore. In ultima analisi si può affermare che a parte la lieve riduzione di sentenze

emesse in Italia resta una gravissima precarietà abitativa e il fatto che anche nel 2015 il 90% degli sfratti sia stato motivato da morosità incolpevole segnala la inefficacia delle cosiddette politiche abitative promosse dal Governo e tenuto conto che nel 2015 era ancora finanziato il fondo contributi affitti, azzerato dalla legge di stabilità per il 2016, le prospettive di una inversione di tendenza sono inesistenti. Anche da questi dati si evince come anche da parte di Regioni e Comuni si sia relegata la questione sfratti ad assistenza sociale o a questione di ordine pubblico (23 maggio 2016, sottolineature e grassetto originali6).

Emerge in questo caso una differente narrazione del fenomeno, giocata su ciò che viene percepito dal sindacato come una serie di “non detti” del Ministero. Nel comunicato, il frequente utilizzo di congiunzioni avversative invita a problematizzare la neutralità dei dati

statistici e sottolinea la prospettiva contro-narrativa che il sindacato vuole promuovere. Il testo mette in evidenza, attraverso l’utilizzo di sottolineature e grassetto, alcuni punti salienti dell’analisi. La parte finale nello specifico contiene una critica strutturale alle politiche della casa, nel tentativo di spingere il lettore a demistificare la narrativa statistica e istituzionale dei dati.

Sostengo che questo insieme di definizioni, terminologie e retoriche abbia contribuito nel passato e contribuisca tuttora alla costruzione sociale della figura dello sfrattato, che a livello narrativo sembra rimanere escluso dalla possibilità di intervenire nel dibattito. Questa invenzione situa i soggetti colpiti da provvedimenti di sfratto in una specifica configurazione socio-politica, che nel mio caso etnografico si articola secondo diversi livelli di rappresentazione sociale del fenomeno, declinati, nelle due narrazioni proposte, secondo la necessità di diluire le responsabilità politiche (cfr. Herzfeld 1992), da un lato, e secondo la volontà di situarle concretamente, dall’altro.

I ritmi della perdita

Come ho tentato di mettere in evidenza, una restituzione esclusivamente quantitativa del fenomeno della perdita della casa, per quanto necessaria e pertinente, non sembra adeguata a porre in risalto il carattere sociale dello stesso. Riprendendo la metafora deleuziana della matassa, ripercorrere i fili che la compongono non significa comprendere la configurazione che veicola, né tantomeno le motivazioni che hanno portato alla formazione di quel