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Barricate e intimità in piazza. Il ruolo del sindacato Unione Inquilini Nel capitolo precedente ho analizzato la costruzione del provvedimento di sfratto

attraverso lo studio delle pratiche, delle rappresentazioni e dei mondi morali che riguardano alcuni attori coinvolti ufficialmente nel processo, che ho definito esecutori. Allo stesso tempo, ho fatto dialogare l’operatività di questi soggetti con quella di altri individui che partecipano alla produzione dell’evento-sfratto. Nello specifico, ho considerato gli ufficiali giudiziari, gli inquilini morosi, i custodi giudiziari, i giudici, i fabbri, le forze dell’ordine. Ho mostrato come le interazioni e la circolazione di significati producano un’arena entro cui convergono valori, simboli e norme sociali in relazione a questioni di appartenenza, identità, legalità. Questa prospettiva “ufficiale”, integrata alla configurazione prodotta dal “canovaccio giuridico” che regola il provvedimento, situa le persone in differenti ritmi e induce a considerare il carattere dinamico e, allo stesso tempo, strutturato e strutturante, del fenomeno, che contribuisce alla produzione di una specifica forma di umanità: lo sfrattato. La categoria di sfrattato rappresenta infatti la sedimentazione strutturale, burocratica e intima dell’intero processo. Allo stesso tempo, questa categoria concentra una variegata parte di popolazione vulnerabile e socialmente fragile in un unico insieme socio-giuridico, preciso nella sua significazione pubblica, nebuloso nella produzione di interventi socio-assistenziali a cui è soggetto. Tale categorizzazione, inoltre, sembra veicolare e riprodurre una gestione penale del fenomeno della vulnerabilità abitativa (Tosi 2008, Desmond 2016). Allo stesso modo, in un circuito proprio delle profezie che si auto-avverano, l’invenzione della categoria di sfrattato retroagisce sulla gestione del fenomeno degli sfratti, riproducendo contemporaneamente sia il processo di produzione della categoria sia la categoria stessa.

Tuttavia, la costruzione del campo etnografico non è stata pensata a partire dall’esperienza degli esecutori né dall’analisi della legislazione. In questo senso, l’ordine proposto è una chiara strategia narrativa, tesa a restituire in forma testuale la ricerca. La mia esperienza sull’analisi degli sfratti è stata costruita a partire dalla partecipazione alle attività proposte dal sindacato Unione Inquilini, ovvero uno dei soggetti istituzionali che si occupa in alcune aree del territorio milanese di tutelare gli inquilini morosi, all’interno di una più ampia cornice sociale denominata dai miei interlocutori “diritto alla casa”. In difesa di quello che alcuni delegati sindacali hanno definito come un “diritto essenziale”, il sindacato Unione Inquilini propone un ampio ventaglio di forme di opposizione e di lotta. La varietà delle modalità di supporto si strutturano a seconda dei differenti ritmi che, interagendo, costruiscono il fenomeno della

perdita della casa nella Milano contemporanea. Queste vanno ad agire principalmente su tre diversi momenti: la fase precedente all’esecuzione dello sfratto; l’esecuzione materiale dello sloggio; il momento successivo all’allontanamento dall’alloggio. Queste temporalità hanno prodotto necessariamente differenti forme di lotta e negoziazione sindacale.

La domanda che sorregge questo capitolo è la seguente: come il sindacato Unione Inquilini si oppone agli sfratti a Milano? Le risposte sono molteplici. In generale, più che descrivere minuziosamente l’insieme di attività promosse dal sindacato per opporsi all’esecuzione degli sfratti e tutelare l’inquilinato, tramite l’osservazione etnografica ho indentificato alcuni modelli di azione che attraversano la frammentarietà e la varietà delle pratiche agite. Nel primo paragrafo, analizzo alcune narrazioni riportatemi dagli interlocutori del sindacato. Questi racconti vertono sulla storia locale, sulla prassi politica e sulle retoriche identitarie che hanno contribuito nel tempo a costruire una rappresentazione coerente e ideologicamente connotata dell’unione sindacale presa in esame. Queste rappresentazioni veicolano inoltre alcuni forti valori comuni che, idealmente, collaborano nella riproduzione di una “comunità di pratiche” (Grasseni, Ronzon 2004). Nel secondo paragrafo analizzo la continuità tra i resoconti raccolti e le pratiche osservate. I legami esistenti tra queste due sfere d’azione risultano visibili soprattutto in alcune capacità che caratterizzano “in profondità” l’operato del sindacato. In questo senso, analizzo tre “competenze di base” che sembrano nutrire la varietà di azioni promosse in difesa del “diritto alla città”. La prima di queste abilità è di carattere tecnico e riguarda l’apprendimento e l’utilizzo da parte dei membri della comunità di pratiche studiata di un certo linguaggio, sia verbale sia corporeo; la seconda, denominata “politica della prima mossa”, è di carattere relazionale e si situa nella prassi politica di rappresentanza adottata dall’Unione Inquilini nei confronti dei soggetti da tutelare; la terza è di carattere immaginativo e si identifica, da un lato, nella capacità di avere aspirazione (Appadurai 2014), ovvero nell’attitudine a immaginare un possibile cambiamento nella società di appartenenza, sebbene la realtà fattuale in alcuni casi dimostri costantemente il contrario e, dall’altro lato, nella capacità di ispirarsi, ovvero nell’abilità di selezionare alcuni eventi del passato e utilizzarli come forza propulsiva nella quotidianità del presente. Nel terzo e nel quarto paragrafo entro nel merito delle pratiche osservate, concentrandomi sulle azioni incentivate dal sindacato in occasione dell’esecuzione del provvedimento di sfratto. Attraverso alcune descrizioni etnografiche, sostengo che le pratiche oppositive e negoziali proposte in occasione dell’evento-sfratto si fondino su due strategie principali: da un lato, il ribaltamento della percezione e della rappresentazione pubblica del fenomeno degli sfratti come fenomeno privato, intimo e individuale; dall’altro lato, la socializzazione della responsabilità dell’evento.

Entrambe le strategie sembrano opporsi a una “diluizione della responsabilità socio-politica” provocata dall’implementazione dei provvedimenti burocratici (Herzfeld 1992, 2016). Questa diluzione sembra infatti declinarsi principalmente in un processo di auto-colpevolizzazione auto ed etero-attribuita alle “vittime” degli sfratti, che reagiscono alla stessa secondo codici comportamentali afferenti alla sfera morale del fallimento, della vergogna, del disonore. Il senso storico dell’azione. Retoriche sindacali e costruzioni identitarie

L’Unione Inquilini è un’organizzazione sindacale di stampo federativo, composto da

differenti sedi locali1 dislocate sul territorio nazionale in forma piuttosto omogenea2. Secondo

quanto riportato sul sito ufficiale del gruppo, il carattere confederale della struttura organizzativa segnala, da un lato, come l’ente sia “geloso delle autonomie territoriali” e, “allo

stesso tempo”, come questo sia “unito da valori sociali e morali molto forti3”. Nel corso della

ricerca etnografica nella sezione milanese del sindacato, più volte i miei interlocutori hanno fatto riferimento a questi “forti” valori comuni, attraverso la riproposizione di narrazioni e retoriche tese a ri-produrre quotidianamente i legami identitari con un passato (a tratti mitico) di lotta e con uno specifico spazio territoriale di appartenenza (declinato sul piano locale, nazionale, ma anche transnazionale). Queste narrazioni, sebbene siano in ogni caso finalizzate a configurare l’azione sociale del sindacato, sembrano strutturare non solo le relazioni interne (riconfermando, da un lato, le autonomie territoriali e, dall’altro, la centralità della Segretaria Nazionale con sede a Roma), ma anche le interazioni con i soggetti “esterni” alla comunità. Indagare le rappresentazioni sociali che emergono da queste narrazioni permette di inscrivere la prassi politica in una cornice di senso più ampia, che incanala le diverse forme di azione in un’area semantica piuttosto coerente e vincolante.

Secondo quanto osservato, le rappresentazioni del e sul sindacato Unione Inquilini sono veicolate dall’utilizzo di diversi canali comunicativi. Uno di questi è sicuramente l’immagine grafica utilizzata per promuovere la propria attività. In un certo qual modo, la cura del dettaglio grafico rappresenta un indizio, che a sua volta può essere inteso come una densa sedimentazione socio-culturale, attraverso il quale l’antropologo può descrivere e dare senso a una più ampia configurazione sociale (cfr. Ginzburg 1986). Secondo questo approccio, il particolare grafico racconta molto del mondo morale e simbolico del sindacato.

1 Nello specifico, in ordine alfabetico, Ancona, Bergamo, Bologna, Brindisi, Carrara, Chieti, Civitavecchia, Cuneo, Fermo, Firenze, Foggia, Frosinone, La Spezia, Latina, Lecce, Livorno, Lodi, Marsala, Matera, Messina, Milano, Milano (Comuni zona nord), Monza, Napoli, Novara, Olbia, Padova, Palermo, Perugia, Pesaro, Pescara, Pisa, Potenza, Reggio Emilia, Rimini, Roma, Salerno, Sassari, Sesto Fiorentino, Taranto, Terni, Torino, Urbino, Velletri, Venezia.

2 Le uniche regioni in cui non è presente alcuna sede del sindacato sono Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Calabria, Molise.

L’Unione Inquilini non riceve finanziamenti statali (“non abbiamo nessun cappello”) né “compie rapine” – come mi disse Valerio, ex-operaio e sindacalista (Annotazione sul diario di campo, 4 aprile 2016) – ma fonda il suo operato quotidiano sul volontariato e sugli introiti ottenuti attraverso il tesseramento degli inquilini seguiti. La tessera di iscrizione rappresenta dunque, oltre all’unica forma di entrata economica, un simbolo importante di appartenenza e di identità di gruppo. In questo senso, la rappresentazione grafica delle tessere annuali è densa di simboli, che veicolano una determinata narrazione storica, politica e sociale. La veste grafica della tessera del 2017 incentiva una riflessione sulla retorica storico-identitaria del sindacato, ovvero su quel peculiare ritmo – che contribuisce a costruire l’arena sociale indagata – che ho definito strutturale. La tessera in questione riporta una foto ripresa da un manifesto cubano, come esplicitato dal testo di presentazione della tessera apparso sul sito internet del sindacato.

Immagine 1. Tessera dell’Unione Inquilini, Anno 2017. Fonte: Sindacato Unione Inquilini

La foto ritrae un muro in prospettiva su cui è dipinta la scritta revolución. L’azzurro del cielo e del muro incornicia la scritta stessa, rossa. A lato del muro, un uomo adulto passeggia tenendo per mano un bambino. Entrambi camminano verso la fine della prospettiva, verso il fondo della scritta, verso gli esiti in continuo divenire della rivoluzione. L’immagine è evocativa e il significato piuttosto evidente: la revolución continua, gli adulti accompagnano i giovani, conducendoli per mano nella continuazione della rivoluzione sociale e politica. All’immagine si sovrappongono delle scritte, sempre in rosso. “Il 1917 è nella nostra stessa storia” campeggia

in alto a sinistra. Sotto, senza coprire la scritta revolución, viene esplicitata la scelta di segnalare la data del 1917. Il testo sulla tessera recita:

Scaturita nel primo dopoguerra, l’Unione Inquilini venne brutalmente sciolta con le leggi speciali fasciste e alcuni suoi dirigenti, come l’avv. Ezio Riboldi di Milano, furono processati insieme a Gramsci. Rifondata nel ‘68 con questo nome a Milano e nella Lombardia si collegò organicamente con i comitati unitari di base diffusi in tantissimi luoghi di lavoro.

Poi, con altro stile grafico, si legge: “Il resto, con la sua diffusione nazionale, è storia contemporanea!’”. E a lato: “Anche noi siamo figli di quella enorme speranza!”. Infine, nell’angolo alto a destra, emerge in maiuscolo “1917-2017 Unione Inquilini”. Sedimentata e condensata in questa tessera si può trovare la narrazione quotidiana della storia del sindacato, dei fondamenti identitari e dei valori che hanno guidato e guidano oggi questo peculiare “movimento con funzioni sindacali” (Simoni 2005). Innanzitutto viene presentata la data simbolica del 1917. Questa è un evidente richiamo alla Rivoluzione Russa e invita a considerare l’operato del sindacato all’interno della “prospettiva” socio-economico-politica (come la scritta sul muro cubano) inaugurata in Russia un secolo fa. Sul sito ufficiale del sindacato, è stato recentemente esplicitato il legame con questa data:

Perché il 1917 in questa tessera? Un po’ di storia. L’ottobre investì l’Europa dilaniata da una orrenda strage; il rovesciamento di una odiosa autocrazia e il passaggio rivoluzionario esaltò i popoli e terrorizzò i governi. Quanto sarebbero durati i bolscevichi? L’antecedente della Comune – tre mesi! – incoraggiava le armate reazionarie. Ed invece passarono i mesi, gli anni e i decenni: al rosso si contrappose il nero, ma il rosso vinse, condizionando lo stesso capitale. Tutto in avanti il rosso? Ci fu il suo collasso. Implose mentre i neo-boiardi e i neo-mandarini saccheggiavano impunemente i beni comuni. Certo, è un secolo su cui ragionare: è impossibile la sua rimozione, quando si lacera, oltre le sponde atlantiche, il gonfiore finanziario che pareva vincente e s’informano gli “ignoranti” e si espandono i “populisti”. Le bandiere di un tempo possono sbriciolarsi, ma il contenuto libertario rassomiglia. La forma non sarà la stessa di un tempo, l’aspirazione sì. Non potevamo acquattarci perché anche noi siamo parte di un presente gravido di fuoriuscite. E nella tessera qualcuno cammina…4

Il movimento sindacale ragiona dunque sul contenuto della Rivoluzione Russa, sull’aspirazione e non sulla forma, come viene esplicitato, confermando la diffusa percezione (e la realtà

storica5) della fine dell’era dei partiti e delle grandi ideologie, tentando tuttavia di salvaguardare

le radici simboliche che hanno motivato la nascita del movimento sindacale. La narrazione situa dunque l’azione contemporanea in una configurazione storica di lunga durata, in un flusso antagonista in continuità con una retorica e una politica rivoluzionaria anti-capitalista: “anche noi siamo figli di quella speranza!”, come viene esplicitato sulla tessera. I cent’anni di

4 http://www.unioneinquilini.it/index.php?id=7681 (Ultimo accesso 30 novembre 2017). 5 Per una riflessione storica al riguardo in relazione al contesto italiano si veda Raciti 1995.

attività segnalati sulla tessera raccontano una continuità ideologica nell’azione del sindacato, inscrivendo l’operato attuale in una narrazione simbolica del proprio ruolo.

La nascita del sindacato risale storicamente a un periodo di forti rivendicazioni sociali, caratterizzato dall’emergere di molte Leghe Inquiline nell’area milanese (Agustoni, Rozza 2005, pp. 14-17) e dall’implementazione delle prime politiche di edilizia residenziale pubblica (Predetti 1974). Sicuramente, tuttavia, il primo nucleo si può rintracciare nell’attività dell’Avvocato Ezio Riboldi, citato anche sulla tessera del 2017. Durante il congresso nazionale del sindacato del 2005, l’allora segretario nazionale Vincenzo Simoni aveva già evidenziato il ruolo ricoperto da Riboldi nella fondazione dell’organizzazione in epoca fascista:

Il nome di Unione Inquilini appare nel “Processone” del 1927 contro Antonio Gramsci e altri dirigenti comunisti. Nell’interrogatorio del 31 gennaio 1927 Ezio Riboldi, ricostruendo il proprio impegno politico, informa il Giudice Istruttore che fino all’agosto 1926 aveva un suo studio in “colleganza con l’avv. Aldisio in via Ponzarella 10, che era anzi l’ufficio legale dell’Unione Inquilini con sede in Porta Venezia 97”. Negli anni successivi l’associazione viene sciolta come altri organismi di massa e al suo posto nei caseggiati saranno installati i “caposcala” con compiti di sorveglianza fascista6.

Secondo quanto sostenuto da Simoni, il ruolo di Riboldi nella cerchia di azione politica di Antonio Gramsci fonda le prime azioni dell’Unione Inquilini in contiguità con una prospettiva economico-politica propria del pensiero marxista, sebbene caratterizzate da una prassi spiccatamente libertaria e anti-dogmatica. Il “Processone” gramsciano e il periodo marxista sembrano poi segnalare un vuoto storico, sia nella narrazione identitaria del movimento che nell’analisi delle fonti. Si assiste, dunque, alla sparizione temporanea del sindacato, fino al 1968, anno della nascita “ufficiale” dello stesso (come già detto l’ufficialità è centrale nella costruzione identitaria, cfr. Bourdieu 2013), confermata sia dai resoconti storici (Di Ciaccia 1974; Agustoni, Rozza 2005) che dalle parole dei miei interlocutori. Se il 1968 segnala il ruolo del “sindacato inquilini come il più vecchio di Italia”, come riportato da molti interlocutori, il rimando narrativo al 1917 invita a considerare la storicità dell’azione del gruppo in questione secondo parametri che non si limitino alla materialità dell’evento storico, ma che valorizzino

anche una temporalità mitica dell’immaginario e delle prassi politiche7.

Passando nuovamente dal piano delle narrazioni dell’immaginario a quello dei resoconti storici – in questo caso, orale – le parole di Gianni, ex-operaio e sindacalista della prima ora nelle file dell’Unione Inquilini, possono contribuire a delineare la continuità e la discontinuità delle forme di lotta messe in campo dal sindacato fin dalla sua ri-fondazione. La narrazione di

6 L’intero intervento è riportato su Liberazione, 15 febbraio 2005.

7 In questo senso, la reinvenzione del tempo è una pratica propria di molte soggettività che si proclamano rivoluzionarie, basti pensare al caso della Comune di Parigi o al più recente movimento francese sorto contro l’attuazione della Loi Travail. Per approfondire si vedano, ad esempio, Melucci 1985, Hardt, Negri 2017.

Gianni, raccolta in una lunga intervista nel gennaio del 2016 presso la sua abitazione nella periferia nord di Milano, invita a contestualizzare il significato e l’emergere delle lotte per il “diritto alla casa” in una più ampia configurazione dialettica (propria del materialismo storico), relativa alle politiche di organizzazione del territorio nazionale e di edilizia residenziale pubblica nel milanese.

È interessante questa cosa temporale. Perché nasce l’Unione Inquilini? Uno non comprende. Dietro c’è la storia della Lombardia, delle regioni. Nel 1968 non c’erano le regioni. Quindi chi regolamentava l’affitto era l’IACP8, all’epoca si chiamava IACPM, poi Aler. Quindi erano delibere provinciali dell’IACP che determinavano il costo-casa, ed era altissimo. Tendenzialmente era, come riportano i dati, su 90.000 lire di stipendio, 17.000 lire di affitto. Molto alto, più del 20% dello stipendio. Quindi la gente soffriva tantissimo di questa situazione. Dove soffriva? In tutta Milano. Perché c’era Quarto Oggiaro, Gallaretese, Baggio. Tutta la cintura periferica era fatta di case popolari. Nuove, perché all’epoca erano nuove, erano state costruite da pochi anni. Per cui costi altissimi, la gente era insofferente, venivano dal sud, dal sud al nord, quindi immigrazione, per cui ci fu uno spontaneo sciopero dell’affitto. Migliaia e migliaia di inquilini. Siamo arrivati a 20.000 inquilini che scioperavano sull’affitto9. Una roba non di poco conto. Perché si voleva una legge che regolamentasse il costo-casa. Questa è la nascita dell’Unione Inquilini, intorno al 68. Quindi siamo stati il primo sindacato che organizzava spontaneamente le lotte della gente. E nasce a Quarto Oggiaro. Ma Quarto Oggiaro perché? Per una serie di confluenze. Perché c’erano tanti gruppi della sinistra extraparlamentare. C’erano influenze dei vari gruppi. Pcml10, Guardia Operaia, Lotta Continua. […] C’era un’altissima influenza degli operai. […] Tutti i quartieri periferici votavano al 40% partito comunista. Mio padre era un militante del PC. Andava a vendere l’Unità la domenica. […] Poi c’erano le feste dell’unità e di quartiere. C’era un attivismo molto alto. […] Quindi la situazione è questa. E poi c’erano delle incongruenze enormi. Che ne so, interi quartieri riscaldati da un’unica centrale. Vai al Gallaratese o a Quarto Oggiaro e ci sono mille inquilini riscaldati da quella centrale. Prova a immaginare il controllo delle spese. Come fai a controllare mille inquilini con mille gasolio? Oppure altre sporcherie… Non si aveva nessun diritto, robe di questo tipo. Chiaro che nasce spontaneamente la lotta…[…] (Gianni, Intervista 28 gennaio 2016). Confermando quanto esplicitato anche nel testo sulla tessera sindacale del 2017, Gianni sostiene che l’organizzazione nacque a partire dal sostegno alle lotte di quartiere (comitati unitari di base), presenti fin dal 1968 nei quartieri periferici milanesi (Boffi et al. 1972; Daolio 1974; Della Pergola 1974; Balestrini, Moroni 1988). La nozione di spontaneismo attribuita retoricamente ai movimenti di base è centrale per comprendere la prassi politica e le forme di lotta del sindacato. Nella narrazione di Gianni così come in alcuni resoconti storiografici (Di Ciaccia 1974), questa nozione assume un ruolo rilevante, sia come dispositivo di differenziazione rispetto ad altre realtà sindacali, sia come presupposto identitario (e organizzativo) nella configurazione di un più ampio spettro di azione sociale e di relazione con l’inquilinato.

Nella contemporaneità, la prassi politica del gruppo tende a privilegiare la presa di coscienza individuale del problema politico della casa, piuttosto che promuovere forme di

8 Per un approfondimento sulle politiche di edilizia residenziale pubblica si vedano Acocella 1980, Minelli 2004, Pinzello 2012.

9 Per una disamina storica del fenomeno degli sciopero dell’affitto si veda Ronza 1975, p. 66. 10 Partito comunista marxista-leninista.

coscientizzazione ideologica di massa e di indottrinamento politico. Questo avviene, da un lato, da un punto di vista retorico (il riferimento all’afflato libertario del movimento ne è una prova) e, dall’altro lato, ciò è avvenuto storicamente rispetto alla scelta delle forme di lotta. Di Ciaccia ha analizzato approfonditamente gli strumenti di lotta di cui si era dotato il sindacato in un periodo storico compreso tra il 1968 e il 1972 (Di Ciaccia 1974, pp. 76-84). Rispetto a tale questione, Di Ciaccia ha segnalato “nella prassi dell’Unione Inquilini un nuovo metodo di politicizzazione. Esso implica il rifiuto di una politicizzazione astratta e ideologica secondo un modello tradizionale […]. Quello che è importante è la presa di coscienza […]” (Di Ciaccia, 1974 p. 82). La presa di coscienza dell’inquilinato rispetto alla propria situazione sarebbe avvenuta attraverso l’analisi e l’elaborazione politica del proprio ruolo nella società e la conseguente decisione delle forme di lotta da adottare, a cui il sindacato aderiva e che

promuoveva, se valutate coerenti con la propria azione politica11. Questa continuità è evidente

anche nella contemporaneità, sebbene la nozione di spontaneismo sia stata declinata in una