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Nel capitolo precedente ho messo in luce alcune criticità che emergono dal tentativo dei miei interlocutori di fornire una lettura organica e coerente delle rappresentazioni sociali della configurazione che si viene a creare tra casa, politiche pubbliche e conflittualità sociale. Nel primo capitolo ho esplicitato che il mio approccio interpretativo si fonda sull’osservazione di una ritmica urbana. Ho sostenuto che l’analisi dei ritmi permette di dare una cornice di senso all’insieme articolato di dati che ho prodotto durante la ricerca etnografica. Questi dati sono emersi da un spazio geografico e sociale molto ampio, la città metropolitana di Milano e la questione pubblica abitativa, e da temporalità differenti, che comprendono un passato narrato, un presente vissuto e un futuro immaginato (Appadurai 2014). Ho cercato di nutrire la prima parte di questo capitolo con questa complessità. Questa può infatti apparire evidente nella realtà sociale, cionondimeno è responsabilità mia mostrarla attraverso la costruzione di una rappresentazione narrativa. In questo seconda parte, mostrerò il negativo della fotografia descritta precedentemente: dalla casa alla non-casa (Fondazione Michelucci 2014). Dunque dalla nozione di casa alla rappresentazione sociale della sua perdita.

In questo capitolo mi interrogo innanzitutto sulla struttura giuridica del provvedimento di sfratto, intesa come processualità ideale di gestione sociale del fenomeno. Ho interpretato tale processualità attraverso la metafora della performance teatrale, identificando attori principali, comparse, canovacci e cambi di scena. Il mio tentativo non intende essenzializzare la complessità del reale. Al contrario, si situa nel tentativo di mostrare l’evidente semplificazione della stessa (Graeber 2016) promossa dalla processualità burocratica-giuridica Nel secondo paragrafo mostro invece come il procedimento ideale venga vissuto e risignificato dai diversi soggetti coinvolti, valorizzando il carattere negoziale, dinamico e contestuale dell’azione sociale all’interno dei parametri burocratici e delle interpretazioni che di questo hanno dato i miei interlocutori nel corso della ricerca. Nel terzo paragrafo, infine, metto in luce i tentativi di gestione personale, familiare e sociale delle diverse forme di incertezza che si vengono a creare a seguito dell’implementazione del procedimento.

Il “dramma” del provvedimento di sfratto per morosità

La definizione del termine sfratto è di ordine strettamente giuridico. Il vocabolario Devoto e Oli definisce così lo sfratto:

sfratto s. m. 1. L’obbligo di lasciare un immobile, in quanto oggetto di intimazione del locatore o

di provvedimento del giudice: il padrone di casa mi ha dato lo s. ; s. per morosità. 2. Estens.

stranieri indesiderabili. 3. Nello sport: gioco dello s., gioco di palla (detto anche palla a s.) consistente nel

lanciare la palla tanto lontano da costringere l’avversario a retrocedere oltre la sua linea di fondo (detta linea di s.) [Sostantivo deverb. da sfrattare] (Devoto e Oli 1992, Vol. II, M-Z, p. 2891, grassetto e corsivo in originale).

Anche la definizione linguistica invita dunque a considerare lo sfratto innanzitutto come un fenomeno afferente alla sfera giuridica. Tuttavia, possibilmente come ogni fenomeno di carattere legislativo (Shore, Wright, Però 2001), sostengo che un approccio socio-culturale allo sfratto sia auspicabile al fine di comprendere la rilevanza dello stesso in un più ampio contesto sociale. Allo stesso tempo, la normazione procedurale dal punto di vista giuridico ricopre un ruolo essenziale nella strutturazione del fenomeno. In questo senso, credo che emerga la necessità di riportarla al lettore, nel tentativo di far emergere i significati, le pratiche e gli immaginari che sottostanno, attraversano e vengono riprodotti all’interno del procedimento civile dell’esecuzione.

Secondo Shore e Wright, le politiche e i procedimenti giuridici possono essere studiati come narrative contestualizzate che definiscono i problemi della contemporaneità (Shore, Wright 1997, pp. 13-14). Herzfeld, andando più in profondità, ha sostenuto che qualsiasi procedimento burocratico afferisca a un piano simbolico di produzione di significati condiviso da tutti gli attori sociali che vi partecipano (Herzfeld 1992). In questo senso, ogni configurazione burocratica e giudiziaria è culturalmente e socialmente situata (Crozier 2000). I significati prodotti e veicolati non sono statici e predeterminati, ma tendono a rimodulare contestualmente le categorie e i valori in gioco in una data configurazione (Palumbo 2010). Emerge così una narrativa contestualizzata (Shore, Wright, Però 2001), che invita a considerare gli attori sociali in campo come dramatis personae (Fava 2008) di una performance giuridica. La metafora teatrale d’altra parte appare pertinente nell’analisi antropologica delle produzioni istituzionali (Geertz 1980).

L’ideazione di questa metafora nella mia analisi è sorta dalla lettura di un breve manuale giuridico (Vigani 2013). Questo manuale è stato commissionato dall’Associazione Art. 24, un ente associativo che si occupa della tutela del Diritto alla difesa legale, con l’obiettivo di diventare uno strumento operativo per tutti coloro che si trovano, sia come locatori che come locatari, nel “dramma” dell’esecuzione di uno sfratto per morosità.

Nella prima parte del breve testo, proprio come in una rappresentazione teatrale, si trova la descrizione delle dramatis personae che partecipano alla costruzione del processo. Innanzitutto il locatore, che viene definito come “colui che concede in locazione un immobile con la stipula di un contratto; è detto anche parte locatrice (sovente è la proprietà, ma non sempre)” (Vigani 2013, p. 12). Ovviamente, il locatore, che come mette in evidenza Vigani non rappresenta

necessariamente il proprietario dell’immobile, ricopre un ruolo fondamentale nell’esecuzione dello sfratto. Nelle esecuzioni da me osservate tra ottobre 2015 e gennaio 2017, il locatore era nella maggior parte dei case presente nelle varie fasi previste dal ritmo burocratico e, in questo senso, credo che rappresenti il fil rouge che connette e forza a muoversi il sistema degli sfratti, definito da un ufficiale giudiziario come “il pachiderma che non si muove” (Marotta 2015). In opposizione al locatore sulla scena appare il locatario, descritto da Vigani come “colui che prende in locazione un immobile con la stipula di un contratto; è detto anche inquilino, conduttore, parte conduttrice o parte locataria” (Vigani 2013, p. 12). Il locatore e il locatario si presentano dunque come categorie contestualizzate all’interno di una relazione giuridicamente normata, ovvero quella del contratto di locazione. In questo senso, sono categorie che emergono dialetticamente attraverso la mediazione di una relazione economica socialmente riconosciuta. La rottura della relazione economica, nel caso della morosità dovuta all’inadempienza del locatario, innesta la presenza di altri attori sociali sulla scena, al fine di garantire la tutela del diritto di proprietà del locatore.

La prima figura a essere coinvolta nel processo per la risoluzione del contratto è quella dell’avvocato, che tuttavia non viene presentato da Vigani nella presentazione degli attori del dramma. L’avvocato, da un punto di vista dell’analisi sociale, si occupa principalmente di tradurre in una narrazione giuridica e burocratica considerata consona, prevista dall’ordinamento giuridico italiano, le volontà e i diritti del locatore. La rivendicazione dei diritti del locatore, presentato come parte lesa – e dunque sostanzialmente come vittima – all’interno del procedimento di sfratto, deve essere condotta di fronte a un altro attore sociale, definito tribunale monocratico. Nel suo glossario Vigani definisce il tribunale monocratico come “un organo giudicante. La composizione monocratica del Tribunale si contrappone a quella collegiale, e si sostanzia nella presenza di un solo magistrato nella funzione decisoria. Al Giudice unico sono affidati i medesimi poteri attribuiti al collegio, composto invece da un Presidente e due giudici” (Ibidem). Il Giudice unico interviene dunque nel procedimento e vi si situa come garante istituzionale atto a far rispettare la correttezza delle operazioni. Tuttavia, per poter garantire il corretto svolgimento delle procedure così come previsto dal canovaccio, ovvero il Codice di Procedura Civile, il giudice si dota di un attore ausiliario. Questa figura professionale è l’ufficiale giudiziario. L’ufficiale giudiziario, “nell’ordinamento giudiziario italiano, è un funzionario, ausiliario del giudice e del pubblico ministero, addetto all’Ufficio Unico Notificazioni, Esecuzioni e Protesti (UNEP) e provvede alla messa in esecuzione delle sentenze dell’autorità giudiziaria nonché degli altri titoli esecutivi (esecuzione forzata) quali gli

sfratti. L’ufficiale giudiziario è, quindi, organo del processo esecutivo e può avvalersi della forza pubblica e dell'ausilio del pubblico ministero” (Vigani 2013, p.13).

Nel corso della mia ricerca etnografica, gli ufficiali giudiziari hanno rappresentato degli interlocutori privilegiati. Ho interagito con diverse persone che ricoprivano quel ruolo e ho partecipato ad alcune attività previste dal loro mandato. Tratterò nello specifico in seguito queste figure, definite “esecutori”, nel tentativo di far emergere il loro ruolo professionale,

umano e sociale all’interno della costruzione del fenomeno degli sfratti nel territorio milanese1.

L’ultima dramatis persona che agisce all’interno di questa configurazione è la Forza Pubblica, ovvero “il complesso dei reparti di polizia cui è affidato il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza generale nell’interno dello Stato, e, conseguentemente, l’attuazione coattiva della volontà statale” (Ibidem). La Forza Pubblica interviene solo nell’atto finale del procedimento, qualora venga interpellata dall’ausiliario del giudice, ovvero l’ufficiale giudiziario, nell’impossibilità di poter garantire la consegna del bene immobile nelle mani del legittimo proprietario.

Rimanendo all’interno della metafora teatrale, gli attori presentati finora rappresentano esclusivamente i protagonisti principali previsti dalla narrazione giuridica. L’esperienza etnografica mi ha permesso di constatare che esistono una molteplicità di comparse e ruoli secondari, ma in alcuni casi chiave, che intervengono nei vari momenti del processo. Tra questi possiamo citare il custode giudiziario, ovvero il funzionario incaricato dal Giudice in caso di pignoramento di immobile; il fabbro, che si occupa di forzare la porta dell’abitazione e di cambiare la serratura qualora il locatario non sia in casa o rifiuti di uscire dalla stessa; il medico, che viene contattato qualora il locatario si rifiuti di uscire per dimostrate ragioni mediche; i servizi sociali, che intervengono (o meglio, secondo l’esperienza etnografica, che dovrebbero intervenire) qualora siano presenti dei minori all’interno del nucleo familiare sfrattato. Questi attori secondari agiscono nei termini previsti dal Codice di Procedura Civile e il loro ruolo risulta in alcuni casi essenziale per la messa in atto della scena.

Dopo aver presentato i ruoli, intendo ora presentare sinteticamente il canovaccio dell’azione, cioè il modello procedurale così come previsto dalla legge. Innanzitutto che cos’è lo sfratto? Lo sfratto, tecnicamente definito come l’intimazione della convalida di sfratto, è un procedimento nel quale il locatore chiede a un magistrato “l’emissione di un provvedimento esecutivo che dichiari la risoluzione del rapporto contrattuale e ordini all’inquilino […] di rilasciare l’immobile a lui locato” (Vigani 2013, p. 14). Per legge, sono previste due tipologie di sfratto. Quello per finita locazione, che prevede il rilascio dell’immobile qualora si sia verificata

la fine del contratto di locazione e l’inquilino non intenda abbandonare l’immobile; e quello per morosità, che può essere colpevole o incolpevole, nell’ipotesi in cui il locatore non rispetti il pagamento del canone di affitto. Secondo i dati del Ministero dell’Interno (2016), la quasi totalità di provvedimenti di sfratto eseguiti in Italia sono dovuti a una morosità incolpevole, quindi non volontaria, dell’inquilino. Tuttavia, sebbene possa essere comprovato che la morosità non sia responsabilità diretta del locatore, l’art. 658 del c.p.c. prevede che “Il locatore può intimare al conduttore lo sfratto in caso di mancato pagamento del canone di affitto alle scadenze, e chiedere nello stesso atto l’ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti”. Il fine ultimo della procedura di sfratto per morosità si articola dunque in una serie di obiettivi: “la risoluzione del rapporto contrattuale locatizio; il rilascio dell’immobile locato e la reimmissione nel possesso dello stesso del proprietario; nonché la condanna dell’inquilino al pagamento dei canoni insoluti” (Vigani 2013, p. 15).

Per ottenere questi risultati, innanzitutto, l’avvocato del locatore invia un atto di intimazione al pagamento al conduttore. Questo atto viene convenzionalmente definito “bonario”, e rappresenta un primo invito formale a rispettare il pagamento dell’affitto, così come concordato nel contratto di locazione. In questo senso, la legge n. 431 del 1998 prevede che il mancato pagamento anche solo di un mese di affitto conceda al proprietario la possibilità di intimare lo sfratto per morosità, cioè di ottenere un ordine del Tribunale per liberare la casa dall’inquilino che non paga (Vigani 2013, p. 16). Nella maggior parte dei casi da me osservati, tale atto di intimazione non ottiene quasi mai i risultati sperati e, in questo senso, si configura come un atto burocratico ritualizzato che autorizza la possibilità di intercedere presso il Tribunale per tutelare la propria posizione contrattuale e, in forma più profonda, il proprio status sociale di proprietario. In molti casi, prima di giungere all’ufficializzazione formale del provvedimento, il locatore invita informalmente l’inquilino a liberare l’alloggio.

L’esperienza etnografica mi ha permesso di constatare che l’invito informale a rilasciare l’alloggio da parte del locatore si configura secondo diverse modalità di interazione, in ogni caso tese a “fare pressione” sul locatario. La valutazione delle prassi di sollecitazione spetta al locatore, che può agire in forma diretta o indiretta sul locatario. Sembra che tale scelta si strutturi secondo la qualità del rapporto preesistente tra i due soggetti. Qualora infatti il rapporto tra locatore e locatario sia improntato sulla sfiducia e sul conflitto tra le parti, l’osservazione etnografica ha dimostrato che le forme di pressione sono più violente, fondate

in alcuni casi anche su minacce e violenza fisica diretta2. Gli interlocutori incontrati hanno

2 Per un’analisi del caso statunitense, si veda il lavoro etnografico di Desmond, condotto a Milwaukee (Desmond 2016). Il saggio è costruito a partire da una ricerca etnografica condotta tra il maggio 2008 e il dicembre 2009 principalmente in due aree della città di Milwaukee: un quartiere periferico abitato in prevalenza

riportato diverse modalità di attuazione di questa violenza diretta. Ibrahim, per esempio, padre di famiglia di origine marocchina e residente nella zona nord di Milano, che ho incontrato nel mese di maggio 2016 presso la sede del sindacato Unione Inquilini, ha sostenuto di aver subito diverse minacce dal proprietario prima dell’inizio del processo per il rilascio dell’alloggio. Nello specifico, Ibrahim mi ha raccontato che il locatore, con cui aveva già un rapporto teso a causa del mancato pagamento delle spese condominiali, prima di iniziare il percorso previsto dalla legge si presentava costantemente fuori dalla sua abitazione, minacciandolo di chiamare le forze dell’ordine e di denunciarlo qualora non avesse provveduto a saldare il debito. In alcuni casi, intimidiva anche la moglie in presenza dei figli minorenni. Un giorno Ibrahim, tornando dal lavoro, aveva trovato la porta di casa aperta e il proprietario all’ingresso, che lo aveva avvertito della correttezza morale di quel gesto, poiché la casa “era ancora di sua proprietà” (Annotazione sul diario di campo, 13 maggio 2016). Ibrahim aveva in seguito modificato la serratura per tranquillizzare la famiglia, senza tuttavia ottenere l’effetto sperato. Solo l’intervento dell’avvocato del sindacato e una denuncia alle forze dell’ordine avevano convinto il proprietario ad affidarsi al processo legale per il rilascio dell’immobile.

Altri interlocutori mi hanno riportato simili episodi, evidenziando il senso di angoscia che colpisce l’intero nucleo familiare. A Marco, sfrattato nel dicembre del 2015 e ora assegnatario di casa popolare, sono state tagliate le gomme della macchina nel periodo in cui le tensioni con il proprietario erano elevate: Marco non ha esitato a sostenere che tale atto sia stato perpetrato dal locatore. Ancora, Rodrigo, che ho incontrato a un picchetto antisfratto nel febbraio del 2016, mi ha raccontato che il proprietario aveva cambiato la serratura della porta di casa pur di fare pressioni per il rilascio. In certi casi, i proprietari agiscono anche grazie all’intervento di terzi, assoldati per fare pressione psicologica ai morosi. È evidente che l’insieme di queste azioni sia di carattere illegale e, in alcuni casi, criminale. Tuttavia, l’esperienza etnografica ha dimostrato che l’affittuario moroso tende a evitare il coinvolgimento delle forze dell’ordine, da un lato per evitare l’aumento delle tensioni, dall’altro per i sentimenti di vergogna, fallimento personale e inadeguatezza che caratterizzano la posizione del debitore, che si sente “colpevole” degli avvenimenti. La tendenza a relegare gli accadimenti legati alla dimensione abitativa alla sfera intima e personale veicola la costruzione di una posizione di vulnerabilità da afroamericani in condizioni di severa povertà, il Black North Side, e un parcheggio per roulotte situato nella zona sud della città, denominata South Side. Desmond concentra la sua analisi su otto famiglie affittuarie e sui due proprietari (slumlords) degli alloggi e del parcheggio. La tesi generale proposta da Desmond è la seguente: la questione della casa e della vulnerabilità abitativa oltre a ricoprire un ruolo centrale nella produzione e nella riproduzione della povertà negli Stati Uniti, rappresenta l’elemento cardine di questo processo. Non il settore educativo dunque, né il sistema giuridico (come sostiene Wacquant 2006) o l’accesso al mondo lavorativo (come evidenzia Bourgois 2005). Secondo il sociologo americano per comprendere i meccanismi di riproduzione della povertà nell’epoca del neoliberismo statunitense bisogna prestare massima attenzione analitica (e politica) al settore abitativo.

sociale tale per cui anche il coinvolgimento delle istituzioni viene evitato, nella speranza di poter riuscire a risolvere personalmente la situazione senza renderla pubblica.

In altri casi, la pressione per invitare il locatario ad abbandonare l’alloggio si struttura in forma indiretta. In questo senso Renata, divorziata e madre di due figlie, residente da quasi trent’anni in zona uno del territorio milanese, dunque in un’area centrale della città caratterizzata da una speculazione immobiliare elevata, anche grazie alla pressione dei flussi turistici e delle classi sociali medio-alte che privilegiano vivere in zone centrali della città, ha definito l’aumento esponenziale del canone d’affitto come una forma di violenza indiretta tesa a spingerla all’abbandono dell’immobile. Mohamed, da me incontrato nella sala d’attesa presso il sindacato Unione Inquilini nel novembre del 2015, mi ha riportato come il proprietario di casa, padre di una compagna di classe della figlia, esasperato dall’andamento altalenante dei pagamenti del canone d’affitto, lo avesse “velatamente” minacciato facendogli notare che l’inadempienza del rispetto del contratto di locazione avrebbe potuto portare qualcuno a denunciare la situazione ai servizi sociali, “per il bene della bambina”, e conseguentemente al rischio di perdere la patria potestà sulla figlia, che sarebbe così stata affidata ai servizi sociali.

Qualora invece il rapporto tra le due parti sia improntato sul rispetto reciproco e sulla comprensione della situazione, gli inviti informali a rilasciare l’alloggio prevedono anche forme di collaborazione tra il locatore e il locatario. In un’occasione, nel marzo del 2016, ho incontrato un affittuario moroso e il proprietario dell’abitazione insieme presso la sede del sindacato. Nella situazione specifica, era stato proprio il locatore ad accompagnare il locatario presso il sindacato, nel tentativo di trovare una soluzione temporanea per la famiglia ed evitare così l’innescarsi del provvedimento. In altri casi, il locatore può concedere al locatario uno sconto sull’affitto oppure utilizzare alcuni strumenti forniti dalle istituzioni locali, al fine di ricevere una compensazione per il mancato pagamento. Tra questi strumenti, uno dei più utilizzati e interessanti al fine della mia analisi è l’Agenzia Sociale per la Locazione.

L’Agenzia è il frutto di un accordo di collaborazione, siglato nel 2015, tra il Comune di

Milano e Fondazione Welfare Ambrosiano3. Secondo quanto dichiarato sul sito del Comune di

Milano durante la presentazione del progetto (26 marzo 2015), l’Agenzia “permette l’incontro fra domanda e offerta, ovvero fra inquilini e proprietari, favorendo la stipula di contratti a canoni calmierati (concordati), attraverso finanziamenti, incentivi fiscali e fondi di garanzia per

ridurre la morosità incolpevole”4.L’obiettivo generale è quello di colmare una fetta di mercato

3 http://www.milanoabitare.org/ (Ultimo accesso 30 novembre 2017).

4http://mediagallery.comune.milano.it/cdm/objects/changeme:30293/datastreams/dataStream56152200806 82227/content?pgpath=ist_it_contentlibrary/sa_sitecontent/sfoglia_news/notizie_primo_piano/archivio_dal_2 012/area_metropolitana_casa_demanio/agenzia_sociale_locazione (Ultimo accesso 30 novembre 2017)

immobiliare scoperta, dunque, nello specifico, come dichiarato all’epoca della presentazione pubblica del progetto dall’allora assessore alla casa Gherzi,

[intervenire] per la prima volta sulle locazioni private, mediando tra inquilini e proprietari, con l’obiettivo di evitare gli sfratti e trovare canoni sostenibili per le famiglie. In questi ultimi anni,