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Nel 1824 in Inghilterra nacque la fondazione RSPCA (Royal Society for the

Prevention of Cruelty to Animals) istituita in supporto a leggi sulla protezione dei

ruminanti da reddito. Nel 1964 l'intellettuale inglese Ruth Harrison pubblicò il libro “Animal Machines” sollevando la questione del benessere degli animali

allevati intensivamente sia in riferimento al loro indiscriminato sfruttamento a fini economici, sia rispetto alle possibili conseguenze negative sulla salubrità del prodotto zootecnico.

In seguito allo scalpore causato da questo libro, il governo inglese commissionò un rapporto ad un gruppo di ricercatori, definendo la nascita del Brambell Report. Questo rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere animale, enunciò il principio (ripreso poi dal Farm Animal Welfare

Council nel 1979) delle cinque libertà per la tutela del benessere animale:

1. Libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione,la dieta deve essere sufficiente per quantità e qualità, atte a garantire lo stato di salute e il vigore fisico degli animali, nonché facile deve essere l'accesso all'acqua fresca. 2. Libertà dai disagi ambientali, l'ambiente (reparti di stabulazione) non deve essere troppo caldo o troppo freddo, né deve interferire sul riposo e sulla normale attività degli animali.

3. Libertà dalle malattie e dalle ferite, il sistema di allevamento deve ridurre al minimo i rischi di danni o infezioni e qualora qualsiasi caso dovesse verificarsi, questo deve essere tempestivamente riconosciuto e sottoposto a trattamento.

4. Libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-

specifiche, lo spazio a disposizione degli animali deve esser sufficiente, i

locali appropriati e deve esser fornita la compagnia di altri soggetti della stessa specie.

5. Libertà dalla paura e dallo stress, le condizioni di allevamento devono evitare la sofferenza mentale.

È proprio sulla quarta libertà che prende piede il biologico.

Hughes nel 1976 ha definito il benessere come “lo stato di salute completo, sia fisico che mentale, nel quale l'animale si trova in armonia con l'ambiente che lo circonda” più tardi, nel 1986 Broom lo ha invece definito come “lo stato di un animale in relazione ai suoi tentativi di adattarsi all'ambiente”.

Nel 2002 è stato condotto uno studio (Maeder et al., 2002) a dimostrazione che l'agricoltura biologica migliora la salute delle colture e degli animali ed aumenta il

numero di organismi benefici che vivono nel terreno.

Uno studio del Research Istitute of Organic Agriculture (Fibl) ha dimostrato che in media l'agricoltura biologica, grazie all'incremento di fertilità e contenuto di humus che fornisce al terreno, restituisce il 12-15% in più di anidride carbonica nel terreno rispetto ai fertilizzanti minerali. Viene riportato infatti che, a parità di ettari, le emissioni di gas serra con le coltivazioni biologiche sono inferiori del 32% rispetto a coltivazioni che utilizzano fertilizzanti minerali e del 35-37% rispetto a coltivazioni a concimi convenzionali animali.

In Italia il biologico decolla agli inizi degli anni '80 con la produzione regolamentata da norme di certificazione straniere e destinata all'esportazione al nord Europa.

Nel giro di pochi anni, nascono le prime associazioni regionali per l'agricoltura biologica e la necessità di norme su scala nazionale definisce l'istituzione della Commissione Nazionale “Cos'è biologico”.

Alla fine degli anni ottanta l'AIAB (Associazione Italiana per l'Agricoltura

Biologica) stabilisce il primo sistema nazionale di supervisione delle associazioni

di certificazione regionali e nel 1993 entra in vigore il primo regolamento europeo, il 2092/91, definendo norme di produzione e trasformazione, identificando un sistema di etichettatura univoco riconosciuto in un logo comunitario.

Dal gennaio del 2009 tale regolamento è stato sostituito dal Regolamento (CE) n. 834/2007, ancora oggi in vigore insieme al Regolamento (CE) n. 889/2008 e al Regolamento (CE) n. 1235/2008.

Il massimo sviluppo dell'agricoltura biologica lo si riesce a collocare nel corso dell'anno 2001, grazie a studi di mercato condotti dall'ismea (Castiglione et al., 2005).

Negli ultimi anni il consumo di prodotti biologici nell'UE è costantemente aumentato, raggiungendo circa il 2% del mercato europeo. Recenti studi stimano tra l'altro che il mercato dei prodotti biologici cresca del 10-15% l'anno. Contestualmente cresce anche la produzione: circa il 5% della superficie agricola

della comunità e oltre il 2% delle aziende agricole (si fa riferimento a più di 200.000 aziende) risultano oggi certificate per la produzione biologica (Fersino et al., 2008).

In particolare l'Italia, con il valore attribuito al biologico di 3 miliardi di euro, si colloca in una graduatoria di fatturati europei, al quarto posto, dopo la Germania, la Francia ed il Regno Unito e al sesto nel giro d'affari del mercato biologico del mondo (Bioreport, 2012).

Stando agli ettari di superficie coltivata con metodo biologico, l'Italia si trova anche tra i primi dieci paesi al mondo, e al primo posto per la percentuale più alta rispetto al totale della SAU (FiBL-IFOAM, 2012; Bioreport, 2012). In termini di superficie agricola utilizzata (SAU), dopo le colture foraggere, i cereali rappresentano il raggruppamento più importante dell'agricoltura biologica italiana. I principali orientamenti produttivi sono i cereali, il foraggio, i pascoli e l'olio. Per quanto riguarda le produzioni animali, i dati evidenziano rispetto all'anno 2011, un importante aumento del numero di capi di suini, ovini, caprini e avicoli. Dall'analisi dei dati forniti dagli organismi di controllo al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari ed elaborati dal SINAB (Sistema d'Informazione Nazionale

sull'Agricoltura Biologica), risulta che gli operatori del settore biologico in Italia

sono 48.269. Si rileva a tal punto un aumento complessivo del numero di operatori del 1,3% rispetto ai dati riferiti all'anno 2010.

La Sicilia e la Calabria si presentano come le regioni con la maggior presenza di aziende agricole biologiche, mentre l'Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto si dimostrano essere quelle con il maggior numero di aziende di trasformazione impegnate nel settore.

Da un report condotto da Ismea, Panel Famiglie/GFK-Eurisko, è possibile notare come, nel corso dell'anno 2012, la spesa di prodotti biologici sia aumentata del 7,3% rispetto al 2011 (Carbonari, 2012).

La scelta maggiore ricade sull'acquisto delle uova, che raggiunge il 13% della spesa complessiva dei prodotti biologici; dello yogurt e del latte alimentare (9-

8%) e delle confetture e marmellate (con l'8%).

A livello di prodotti, non vi sono sostanziali differenze di consumo tra le diverse regioni del Paese, eccetto per le bevande alla soia e per l'olio di extravergine di oliva, più apprezzati al Nord-Ovest; le bevande istantanee, più consumate al Centro; i cereali per la prima colazione, la lattuga e i preparati per il brodo più acquistati al Nord-Est.