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L’OTA esercita un effetto nefrotossico in tutti gli animali testati e tale effetto è stato ipotizzato anche nell’uomo. La micotossina si è, inoltre, rivelata immunotossica, neurotossica, teratogena, genotossica e cancerogena. Sono però tuttora necessari ulteriori studi per confermare questi effetti e il reale meccanismo d’azione che li provoca. In generale, però, le dosi necessarie al loro sviluppo sono inferiori alla dose che causa danni a livello renale.

TOSSICITÀ ACUTA (DL50)

La dose letale 50 (DL50) rappresenta la quantità di una sostanza, per unità di peso

corporeo, capace di provocare la morte del 50% della popolazione sperimentale in oggetto. Essa varia soprattutto tra le diverse specie ma è condizionata anche dal sesso, dall’età e dalla taglia dell’animale. Come si evince dalla Tabella 13 il suino risulta essere la specie più sensibile e le femmine risultano più sensibili dei maschi.

Tabella 13: Valori di DL50 dell’ocratossina A in alcune specie animali

Animale DL50 (mg/kg) Somministrazione Fonte

Topo 22.0-40.1 i.p Kuiper-Goodman and Scott

(1989)

Topo 46.0-58.3 os Kuiper-Goodman and Scott

(1989) Ratto

maschio 30.3 os Galtier et al., (1974)

Ratto

femmina 21.4 os Galtier et al., (1974)

Ratto

maschio 12.6 i.p. Galtier et al., (1974)

Ratto

femmina 14.3 i.p. Galtier et al., (1974)

Pollo 3.3 os Kuiper-Goodman and Scott

(1989)

Maiale 1.0 os Kuiper-Goodman and Scott

TOSSICITÀ CRONICA

Nefrotossicità

L’OTA ha mostrato una elevata tossicità a livello delle cellule renali in tutte le specie di mammiferi e per questo motivo il rene è considerato il principale organo bersaglio. Gli studi a breve termine condotti su topi, ratti, cani e maiali hanno riportato lo sviluppo di nefropatie progressive caratterizzate da cariomegalia e necrosi delle cellule tubulari, ed inspessimento delle membrane basali (Walker and Larsen, 2005). Inoltre la micotossina induce apoptosi e iperplasia cellulare, inibisce la sintesi proteica, produce stress ossidativo e provoca disfunzioni mitocondriali (Fink-Gremmels 2005). Il tubulo retto prossimale (segmento S3), nella porzione esterna della midollare superficiale rappresenta il sito specifico colpito dagli effetti dell’OTA (Walker and Larsen, 2005).

Nello studio condotto negli USA all’interno del programma di tossicologia nazionale (National Toxicology Program o NTP) degli Stati Uniti (US-NTP, 1989) 80 ratti, tra maschi e femmine, sono stati trattati con OTA (0, 21, 70, o 210 μg/kg p.c.) tramite sonda gastrica per tempi variabili (5 giorni-103 settimane). Le lesioni renali osservate consistevano in una contrazione e disorganizzazione del modello normale dei tubuli S3, dovute al cospicuo sviluppo di cariomegalia e citomegalia.

Nei ratti gli effetti nefrotossici corrispondono ad un aumento del peso relativo del rene, del volume di urina, dell’azoto ureico nel sangue, del glucosio nelle urine, della proteinuria e del difforme trasporto urinario di sostanze organiche (EFSA, 2006).

La tossicità dell’OTA a livello renale è risultata essere dose- e tempo-dipendente (Krogh and Elling, 1977; Elling, 1979; 1983; Elling et al., 1985; Meisner and Krogh, 1986; FAO/WHO, 2001) e sesso- e specie-specifica; i maiali sono più sensibili dei ratti e dei topi (Walker and Larsen, 2005) e i ratti maschi sono più sensibili delle femmine (Munro et al., 1974).

Nonostante l’intossicazione nei bovini sia rara in seguito a dosi di 0.05 mg/kg somministrate per 4 settimane, si può osservare: poliuria, abbattimento, diminuzione dell'incremento ponderale, disidratazione, riduzione del peso specifico delle urine e talvolta una lieve enterite, e da un punto di vista anatomo- patologico, reni di color grigio, consistenza fibrosa con aspetto ondulato in superficie, necrosi dei tubuli prossimali e fibrosi interstiziale (Haouet and Altissimi, 2003a).

Nei suini, la somministrazione di 0.2 mg/kg di OTA nella dieta per 90 giorni ha causato una riduzione dell’attività di molti enzimi renali e una diminuzione delle funzioni renali (Krogh and Elling, 1977; Elling, 1979; 1983; Elling et al., 1985; Meisner and Krogh, 1986). Nefropatie progressive senza un blocco renale, sono state osservate in scrofe alimentate con dieta contaminata da OTA con concentrazioni di 1 mg/kg (40 μg/kg p.c./giorno) per due anni; nessun effetto è stato osservato somministrando invece 0.2 mg/kg (8 μg/kg p.c./giorno) per il medesimo periodo (EFSA, 2006).

L’OTA è coinvolta nella genesi della nefropatia micotossica porcina (mycotoxic

porcine nephropathy o MPN) e della nefropatia micotossica aviaria (mycotoxic chicken nephropathy o MCN). Inoltre essa rappresenta un possibile agente

eziologico della nefropatia endemica Balcanica (Balkan Endemic nephropathy o BEN) nell’uomo.

La MPN è stata identificata per la prima volta da un veterinario danese nel 1928 (Krogh and Elling, 1977); è una malattia riconosciuta endemica in molti Paesi dell’Europa settentrionale e centrale ed è stata relazionata alle condizioni climatiche nei periodi precedenti alla raccolta (Krogh, 1992).

In seguito, l’intossicazione è stata descritta anche in altri Paesi come l’Irlanda (Buckley, 1971), la Polonia (Goliński et al., 1984; Krogh, 1991), gli Stati Uniti (Cook et al., 1986), la Germania (Krogh, 1991), il Belgio, l’Ungheria, la Svizzera (Krogh, 1991) e la Bulgaria (Stoev et al., 1998a,b).

La malattia è caratterizzata morfologicamente da modificazioni degenerative dell’epitelio dei tubuli renali, seguite dall’atrofia degli stessi, dalla fibrosi interstiziale della corteccia renale e atrofia e sclerosi glomerulare (Krogh et al., 1974; Krogh, 1991); a livello funzionale si ha una diminuzione dell’attività

tubulare e dell’abilità di produrre urina concentrata (Krogh, 1992). Le malattie batteriche enteriche secondarie, risultato dell’immunosoppressione indotta dall’OTA, possono influire significativamente nel complesso quadro clinico- morfologico della MPN (Stoev et al., 2000). La presenza dell’OTA nei mangimi è ritenuta la principale causa di questa malattia spontanea (Krogh, 1978) ma anche altre specie fungine, soprattutto del genere Penicillium, sono coinvolte (Milićević et al., 2008).

Vi è infine un’ultima malattia, la sindrome del deperimento progressivo multisistemico post-svezzamento (Postweaning Multisystemic Wasting Syndrome o PMWS) con eziologia non ancora chiarita. Questa malattia è stata attribuita ad agenti infettivi e non, tra i quali le micotossine e in particolare all’OTA. Spesso la PMWS si presenta associata alla sindrome di dermatite e nefrite del suino (Porcine Dermatitis and Nephropathy Syndrome o PDNS); i suoi principali sintomi sono diarrea, deperimento, aumento dei linfonodi inguinali, pallore e ittero (Harding, 2000).

Neurotossicità

Di seguito vengono riportati alcuni risultati ottenuti da studi condotti sui ratti. Dopo la somministrazione di OTA (289 g/kg/giorno), per 8 giorni, i maggiori bersagli della micotossina sono stati il mesencefalo ventrale, l’ippocampo, il corpo striato e il cervelletto (Belmadani et al., 1998b). In esemplari alimentati con OTA (289 g/kg/48 ore) per 1-6 settimane la micotossina ha mostrato un accumulo tempo-dipendente (Belmadani et al., 1998a). Sono state inoltre osservate diminuzioni delle concentrazioni degli amminoacidi liberi nel cervello, in particolar modo della tirosina e della fenilalanina. All’esame istologico sono stati riscontrati nuclei picnotici. La contemporanea somministrazione di aspartame (25 mg/kg/48 ore) ha mostrato un effetto preventivo sulle alterazioni del nucleo. Dopo 48 ore di incubazione dell’OTA (10-150 M) in colture primarie di astrociti e neuroni del mesencefalo ventrale e del cervelletto, la micotossina determina una riduzione della sintesi del DNA e delle proteine; essa provoca inoltre un aumento dei livelli di malondialdeide (MDA) e del rilascio di lattato deidrogenasi (LDH)

(Belmadani et al., 1999). Effetti neurotossici sono stati osservati in seguito a iniezione intracerebrale (400 ng per animale) o all’utilizzo di un sondino gastrico (250 mg/kg p.c.) ogni 48 ore per 6 settimane (Walker & Larsen, 2005). In un ulteriore studio è stato dimostrato che una concentrazione di OTA pari a 10-20 nM di OTA è in grado di aumentare l’espressione del gene coinvolto nel sistema infiammatorio celebrale e di ridurre l’espressione della proteina acida glio fibrillare (GFAP), una proteina costituente gli astrociti (Zurich et al., 2005). Nel mesencefalo embrionale, l’OTA causa una riduzione del numero di cellule vitali, l’induzione della proteina attivatrice dei fattori di trascrizione (AP-1) e di un fattore di attivazione del nucleo (NF-κB) e, ad alte concentrazioni, inibisce la crescita dei neuriti (Hong et al., 2002).

In caso di ocratossicosi, nei topi, la dopamina striatale diminuisce in maniera dose-dipendente; lo stress ossidativo e il danno ossidativo del DNA sono stati evidenziati in differenti regioni cerebrali del topo (Sava et al., 2006).

Come si evince da questi studi, la più bassa dose neurotossica dell’OTA è molto più alta della dose in grado di determinare minimi danni renali nel maiale.

Immunotossicità

L’esposizione all’OTA induce una soppressione della risposta immunitaria umorale e cellulo-mediata (Stoev et al., 2000). L’attività immunotossica dell’OTA mostra principalmente quadri di linfocitopenia caratterizzati da una diminuzione dell’attività delle cellule natural killer (NK) nei ratti (Álvarez et al., 2004), della risposta proliferativa dei linfociti T nei suini (Harvey et al., 1992) e della capacità batteriolitica dei macrofagi nei ratti (Álvarez et al., 2004). Vi possono essere, inoltre, il decremento dei livelli plasmatici di immunoglobuline, la deplezione degli organi linfoidi centrali e ridotta chemiotassi.

L’immunosoppressione provocata dall’OTA può essere spiegata dall’inibizione della sintesi proteica con conseguente ritardo della divisione cellulare a livello del sistema immunitario (Harvey et al., 1992).

Cancerogenicità

Studi nei topi sulla cancerogenicità dell’OTA hanno mostrato che i tumori renali e/o epatici si sviluppano in seguito ad una somministrazione tramite la dieta di 40 mg/kg di OTA per 44 settimane (Kanisawa and Suzuki, 1978), e di 40 mg/kg per 2 anni (Bendele et al., 1985). I maschi sono risultati essere più sensibili sia a livello renale che epatico rispetto alle femmine. Recentemente è stato osservato che l’OTA si accumula maggiormente nei reni di ratti maschi e che l’incidenza di tumori del tubulo renale è molto più alta nei ratti e nei topi maschi rispetto alle femmine anche dopo trattamento cronico con piccole dosi di OTA (Zepnik et al., 2003; Lock and Hard, 2004). Uno studio a medio termine condotto sui ratti ha mostrato che la somministrazione di diete contenenti 50-200 mg/kg per 6-9 settimane provoca noduli epatici iperplasici (Imaida et al., 1982).

Teratogenicità

L’OTA può passare la placenta e avere effetti embriotossici e teratogeni inducendo gravi malformazioni strutturali, a livello embrionale e fetale, nei topi e nei ratti (IARC, 1993; FAO/WHO, 2001). Nei ratti la somministrazione di OTA in età prenatale causa immunosoppressione inibendo la proliferazione dei linfociti B e T e colpendo l’ultimo stadio dell’attivazione dei linfociti T in vitro (FAO/WHO, 2001).

Studi condotti sui ratti, hanno dimostrato che una singola iniezione sottocutanea di OTA somministrata entro il decimo giorno di gestazione provoca diminuzione del peso fetale e malformazioni del feto, e dosi maggiori comportano un riassorbimento fetale (Stil et al., 1971; Brown et al., 1976; Mayura et al., 1982). Frequentemente le anomalie fetali comprendevano: difetti allo scheletro, al cranio, alle coste e alle vertebre, esencefalia, incompleta chiusura del cranio, micrognatia, micromelia, scoliosi, porzione posteriore piccola e difetti dei tessuti molli come idrocefalo, microftalmia, pelvi renale dilatata, idronefrosi e criptorchidismo (Fukui et al., 1987).

Genotossicità

Gli studi condotti sulla genotossicità dell’OTA e sul meccanismo d’azione non mostrano risultati univoci e certi, in particolar modo per quanto riguarda l’effetto causato dalla formazione di addotti con il DNA.

Nella maggior parte degli studi sulla mutagenicità a livello genico e cromosomiale, l’OTA è risultata negativa ai test convenzionali (Ames-test) anche in presenza di sistemi d’attivazione metabolica (Wehner et al., 1978; Bendele et al,. 1985; US-NTP, 1989; Würgler et al., 1991; Zepnik et al., 2001).

L’utilizzo di test differenti da quelli convenzionali ha dimostrato che l’OTA causa rotture nel DNA in vitro e in vivo, micronuclei, sintesi non programmata del DNA, scambi di cromatidi fratelli e mutazioni geniche in cellule batteriche e nelle linee cellulari NIH/3T3 (SCF, 1998).

L’OTA può indurre, in varie specie animali, lesioni al DNA a livello del fegato, rene, milza, linfociti, timociti e fibroblasti. Ѐ stata riscontrata una dipendenza dal tempo e dalla dose di OTA nell’induzione di queste lesioni in vivo con l’utilizzo di tossina marcata (32P) (Fink-Gremmels, 2005).

OCRATOSSICOSI NELL’UOMO E NEFROPATIA ENDEMICA