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biomassa bosco energia: un approccio basato sul Life Cycle Assessment (LCA)

6.1. L’approccio LCA

Stato dell’arte

L’incremento della consapevolezza ambientale e la crescente attenzione degli impatti ambientali causati da prodotti e processi industriali, ha favorito lo sviluppo di studi ri- guardanti gli aspetti del ciclo di vita (Life Cycle) di materiali e prodotti. Tra i primi studi possiamo ricordare quello sviluppato nel 1969 da un gruppo di ricercatori nordameri- cani, che sviluppò un modello denominato REPA (Resource and Environmental Profil Analysis), che avevano come obiettivo la caratterizzazione del ciclo di vita di alcuni materiali impiegati in importanti produzioni industriali.

In Europa, a partire dal 1972, Ian Boustead calcolava l’energia totale utilizzata nella pro- duzione di vari tipi di contenitori di bevande, inclusi vetro, plastica ed alluminio. Nei successivi anni, Boustead consolidava la sua metodologia per renderla applicabile a vari materiali, e nel 1979, veniva pubblicato il “Manuale di Analisi Energetica Industriale” di Boustead e Hancock che riporta la prima descrizione di carattere operativo del proce- dimento, considerato una pietra miliare nella storia della metodologia LCA (Boustead e Hancock, 1979).

2 Nel presente studio sono state prese in considerazione le sole 51 utenze oggetto di indagine diretta e non la totalità delle

utenze allacciate alla rete (81 utenze).

3 In uno studio LCA viene definito “sistema” un insieme di elementi interconnessi tra loro da una o più operazioni aventi una

specifica funzione; il sistema è determinato da confini fisici rispetto al sistema ambiente, e con questo ha rapporti di scambio caratterizzati da una serie di input e di output.

Il termine LCA (che indica indifferentemente Life Cycle Analysis o Life Cycle Assessment) venne coniato durante il congresso della SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry) di Smuggler Notch (Vermont - USA) nel 1990 con il risultato di una meto- dologia univoca e standardizzata attraverso la pubblicazione di un quadro di riferimento internazionalmente accettato (SETAC, 1993). In questo contesto, nei primi anni novanta, sono stati realizzati i primi manuali e strumenti di calcolo per un impiego pratico dell’L- CA. Lo sviluppo più concreto, però, si è avuto grazie all’unificazione e standardizzazione della normativa di riferimento, da parte dell’ISO (International Standards Organization), mediante l’emanazione, a partire dal 1997, delle ISO 14040/41/42/43/44, che rappresenta un ulteriore approfondimento delle linee guida proposte dalla SETAC (Boustead Consul- ting Ltd, 1997).

Ad oggi il Life Cycle Assessment (LCA) è un metodo strutturato, completo e standardiz- zato a livello internazionale. Esso quantifica tutte le emissioni rilevanti e le risorse consu- mate individuando i relativi impatti sull’ambiente e sulla salute umana oltre alle questioni di esaurimento delle risorse che sono associati a tali beni o servizi.

La definizione di LCA proposta dalla SETAC, da un punto di vista metodologico è la se- guente: “La valutazione del ciclo di vita è un procedimento oggettivo di valutazione di carichi energetici ed ambientali relativi ad un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazio- ne e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riutilizzo, il riciclo e lo smaltimento finale”.

La letteratura di settore offre numerosi esempi di applicazione della metodologia LCA su filiere biomassa-energia. Ad esempio, Hansen et al. (2013) comparano due sistemi di produzione di elettricità prendendo come riferimento i valori della produzione elettrica da materiale fossile e paragonandolo con sistemi di produzione di “bioelettricità”. In altri casi la metodologia LCA ha permesso di confrontare l’impatto ambientale derivato dall’u- so dei residui forestali per la produzione di combustibili o per la produzione di manu- fatti (Rivela et al., 2006). Anche Whittaker et al. (2012) utilizzano l’LCA per analizzare la produzione potenziale di “bioenergia” da residui legnosi, quest’ultimi ottenuti attraverso la costruzione ed il mantenimento di strade e sentieri forestali.

In altri casi le analisi LCA eseguono una comparazione tra differenti tipologie di com- bustibili, un esempio interessante è quello effettuato da Li Ma (2011) che mette in re- lazione cippato, gas naturale e gasolio per la produzione industriale di acqua calda. I risultati mostrano che la filiera del cippato è molto meno impattante, rispetto alle altre due, per quanto riguarda l’aspetto dei cambiamenti climatici, mentre comporta maggiori impatti sulla salute umana. Lo stesso autore dimostra inoltre che, nella filiera del cippato analizzata, la fase maggiormente impattante è quella relativa alla combustione, seguita dall’abbattimento delle piante e dal consumo di energia per la cippatura. Un altro studio, Esteban et al. (2014), ha realizzato una LCA su due sistemi di produzione di energia ter- mica, confrontando le filiere di combustibili diversi: gasolio e cippato. I risultati mostrano una quantità di emissioni di CO2 di 3 volte inferiore con l’uso di cippato (22 g/GJ di CO2 emessa) rispetto al gasolio (75 g/GJ di CO2 emessa)4, questi risultati sono stati ottenuti

prendendo come riferimento un potere calorifico inferiore di 42,4 MJ/kg5 per il gasolio e

4 Utilizzando come riferimento il kWh, si ottiene con l’uso di cippato 0,08 g/kWh di CO

2 emessa, e con il gasolio 0,27 g/

kWh di CO2 emessa.

5 Utilizzando come riferimento il kWh, il potere calorifico del gasolio è pari a 11,8 kWh/kg, mentre quello del cippato è di

di 13,6 MJ/kg per il cippato6. Lo stesso studio, analizzando gli impatti delle varie fasi della

filiera si mostra in accordo con i risultati di Li Ma del 2011. Infatti, esaminando la filiera del cippato, la fase maggiormente impattante a livello di riscaldamento globale risulta essere quella della combustione, con il 77,8% delle emissioni totali, seguita dall’abbatti- mento ed esbosco (17,8%) e dalla fase di triturazione (4,3%).

In Italia sono state eseguite alcune analisi LCA su filiere locali di produzione di cippato. In particolare, Valente et al. (2011), hanno eseguito uno studio in Val di Fiemme (Trenti- no) per valutare gli impatti della filiera di biomassa legnosa per impianti di riscaldamen- to. Hanno indagato tre aspetti principali della sostenibilità: le emissioni di gas a effetto serra, rappresentata dall’impatto del riscaldamento globale (GWP), i costi e la potenziale ricaduta sull’occupazione diretta. I risultati dell’indagine hanno mostrato che per 1 m3

di biomassa legnosa con corteccia si producono circa 13 kg di CO2eq, inoltre attraverso l’utilizzo di bioenergie gli autori hanno trovato una riduzione complessiva di 2,3 ton di CO2eq rispetto all’olio combustibile e di 1,7 ton di CO2eq rispetto al gas naturale. Un’altra analisi a livello locale è stata effettuata da Recchia e Cini (2005) in un’azienda agricola del Chianti. Il loro studio è stato focalizzato alla valutazione in termini ambientali di una filiera legno energia che utilizza sottoprodotti (residui forestali e potature di vite e olivo), per la produzione di cippato e la conversione in energia termica, in comparazione con una filiera a GPL e una a metano. I risultati della ricerca mostrano che la filiera rinno- vabile ha impatti decisamente inferiori rispetto a entrambe, in particolare rispetto alle emissioni di CO2eq che nella filiera a cippato sono risultate di 22 kg/MWh, contro i 228 kg CO2eq/MWh nella filiera metano e i 380 kg CO2eq nella filiera GPL. Inoltre, gli stessi autori, hanno evidenziato sulla filiera cippato un abbattimento del 50% di emissioni di SO2eq rispetto alla filiera GPL e del metano.

Altri studi, come quelli svolti da Solli et al. (2009) utilizzano la valutazione LCA per con- frontare l’impatto derivato dall’uso di legna da ardere in due tipologie differenti di stufe a legna, una stufa con combustione tradizionale e un’altra stufa moderna con tecnologia a maggiore efficienza. I risultati ottenuti dagli autori dimostrano che la tecnologia della nuova stufa migliora significativamente le prestazioni per tutti i tipi di impatto ambientale studiati. In particolare, lo studio evidenzia riduzioni tra il 25-30% per le PM10, la CO2, la SO2, gli NOx e i metalli pesanti (cadmio, rame, arsenico, etc.), con punte del 76% per il monossido di carbonio (CO) e dell’89% per le PM2.5. Inoltre, gli autori, sottolineano che se il legno è prodotto localmente, la maggior parte degli impatti ambientali è riconduci- bile alla sola fase di conversione energetica (combustione).