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LE RAGIONI DELL’ATTO VIOLENTO: TEORIE ED APPROCCI PER GLI UOMINI MALTRATTANT

2.3 L’approccio sociologico culturale

Riuscire a comprendere perché l’uomo commette violenza nei confronti della partner è stata una questione molto dibattuta. Infatti in merito all’eziologia del fenomeno si sono susseguite nel tempo diverse teorie, alcune di queste teorie hanno dato rilievo e considerato l’atto violento in relazione ad aspetti socio – culturali; altre si sono concentrate ed hanno individuato le ragioni dell’atto violento come un disturbo psico- individuale; altre ancora hanno messo in relazione diversi fattori per offrire un’interpretazione multicausale dell’atto violento (teorie psicodinamiche).

A livello macro è possibile distinguere due approcci che affrontano la questione dell’atto violento in modo diverso: il primo privilegia gli aspetti socio – culturali della violenza; il secondo dà più importanza alle

caratteristiche individuali del soggetto violento.

2.3 L’approccio sociologico - culturale

L’approccio sociologico o pro-femminista parte dal presupposto che il comportamento deviante è espressione delle influenze sociali subite, del contesto culturale in cui si trova e dalle norme e valori che lo

regolano (Balloni1986)22. Ne deriva, in questo approccio, che l’atto

violento non è espressione di un disagio individuale a se stante, ma è dovuto a un mancato adattamento ad un cambiamento sociale o la riaffermazione dei vecchi sistemi.

Questo modo di intendere la violenza si è sviluppato negli anni ’70 ad opera dei movimenti femministi che hanno portato alla luce il problema della violenza sulle donne sostenendo che: << la violenza sulle donne è

una manifestazione dei rapporti di forza storicamente squilibrati tra i

22 Ignazia Bartholini, Percorsi della devianza e della diversità. Dall’”uomo atavico” al “senza

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generi … La violenza è strumentale all’uomo perché serve a garantire i propri privilegi e a mantenere la donna in una posizione subalterna>>.23 Questo approccio alla violenza identificato con il termine << teoria di genere>> è stato il primo approccio su cui si sono mossi i primi interventi sugli uomini maltrattanti nella cultura anglosassone. Infatti i programmi che usano proprio questo approccio si pongono come obiettivo la rieducazione dell’uomo a valori e sistemi di credenze non sessisti e non discriminatori.

Il fattore culturale mette in evidenza come già nella costruzione sociale di maschilità è compresa la violenza come modo per far emergere la virilità maschile, quindi è una delle tante qualità che permettono ad un uomo di essere tale, pertanto legittimata dalla stessa cultura. È la società e la cultura a decidere cosa è giusto e cosa non lo sia. Come afferma Ciudad Juàrez (2013): << la violenza è un mezzo attivo per fare la

maschilità in un contesto>>24. Questo modo di intendere la maschilità fa riferimento ad un modello patriarcale, connotato da una forte differenziazione di genere, in cui i ruoli sono ben stabiliti e trasmessi attraverso i processi di socializzazione . Autore principale di questa tesi è Connell (2003), il quale mostra che la violenza di genere è fortemente connessa ai modelli sociali. Quindi per parlare di violenza bisogna tenere ancorato il discorso ai modelli culturali nel tempo e nello spazio. Maggiore è la differenziazione culturale tra maschi e femmine maggiore è il rischio di violenza. In questa accezione la violenza non va intesa come un disturbo psico – individuale, ma piuttosto un problema sociale- culturale.

Infatti se si guarda da un punto di vista diacronico la violenza sulle donne è sempre esistita. Ma se prima era legittimata, pertanto non

23 Rivista di psicodinamica ciminale pg 55.

24 S. Magaraggia, D. Cherubini; Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile;

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considerata reato, anzi le asimmetrie del potere erano legittimate dagli stessi assetti sociali che vedevano quel comportamento come normale e giustificato, il graduale processo di de-istituzionalizzazione affiancato dall’affermazione dei nuovi diritti ha portato a spogliare quell’ideologia e a considerare quei comportamenti come atti bruti: “ogni singolo ha un diritto inalienabile al rispetto della dignità e dell’integrità psicofisica in quanto persona” 25.

Seguendo questa scia una studiosa (Connell, 2006) attraverso delle ricerche, ha identificato le cause della violenza in due grandi matrici teoriche: la prima legata all’ordine patriarcale, l’altra connessa alla

trasformazioni delle relazioni di genere.26

Con la prima teoria si afferma il disprezzo sociale per le donne ed il diritto da parte degli uomini ad esercitare il loro potere dentro e fuori la famiglia. Questa teoria vede maschi e femmine come due individui che hanno dei ruoli ben definiti, appresi durante il processo di socializzazione, e che ognuno impari ad attenersi a queste aspettative di ruolo. La donna deve imparare a vedersi come un oggetto passivo, che ha bisogno di cure, attenzione e protezione dal maschio; quest’ultimo deve essere garante di queste aspettative e mostrarsi forte, dedito all’azione e al comando. Pierre Bourdieu (2009) ne “Il dominio maschile” intendeva il dominio dell’uomo sulla donna come una violenza simbolica o culturale che nasceva dall’imposizione di strutture mentali come categorie di pensiero universali una violenza cognitiva che poteva funzionare solo se vi era consenso sul codice comunicativo.

25 S. Magaraggia e D. Cherubini, Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile,

Ed. UTET Università, 2013, cit. pg 68.

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Pertanto la legittimazione sociale dell’atto violento da parte della struttura sociale ed il consenso hanno portato per troppo tempo al

perpetrarsi della violenza nei confronti delle donne.27

La rivendicazione dei diritti delle donne da parte dei movimenti femministi ha messo in crisi i presupposti su cui si fondava il patriarcato, minando la stessa identità maschile che per riaffermarla usa la violenza. Ed è sulla base di questo presupposto che si colloca l’altra matrice teorica che considera l’atto violento come conseguenza del crollo dei meccanismi formali ed informali di controllo sociale. Quindi la violenza sulle donne non è altro che l’incapacità da parte degli uomini di adattarsi o accettare il cambiamento e reagiscono in questo modo per ripristinare il vecchio equilibrio.

In sintesi l’approccio sociologico – culturale considera l’atto violento come derivante da diversi fattori:

1 L’atto violento è il prodotto della struttura sociale e delle norme che lo regolano, le quali legittimano, formalmente o informalmente, la presenza di comportamenti aggressivi e devianti. Quindi la violenza è parte della società che la considera normale e la legittima. ( P. Boudieu, ibidem, 2009)

2 L’atto violento deriva da una disattesa delle aspettative legate al genere (R.W. Connell, ibidem, 2006).

3 L’atto violento come disorientamento e/o non accettazione di fronte al cambiamento sociale (Balloni, ibidem,1986).

Nonostante questo approccio sia il più diffuso ed il più utilizzato nei programmi di intervento tuttavia considera solo gli aspetti sociali, tralasciando la componente individuale, cioè considera il soggetto sottoposto ad influenze sociali incapace di scegliere ed autodeterminarsi.

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Infatti considerando questo approccio è impossibile spiegare perché a parità di condizioni, nonostante il comune processo di socializzazione e/o l’inserimento nello stesso contesto sociale, solo alcuni uomini sono violenti ed altri no.

Occorre quindi porre l’attenzione sui fattori individuali, ovvero gli stili di attaccamento, esperienze di atti o scene violenti sia in modo diretto o indiretto nella famiglia di origine, che condizionano il modo di vivere l’intimità della coppia.

Ed è così che entra in gioco l’approccio psicologico.

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