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La violenza sulle donne; mariti violenti: Approcci, teorie ed interventi sull’autore di violenza Uno sguardo al territorio trapanese: interventi e ricerca su “gli uomini violenti”

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INDICE pg

INTRODUZIONE 3

CAPITOLO PRIMO: LA VIOLENZA SULLE DONNE 1.1 Cenni storici sul riconoscimento della violenza da fatto privato a problema pubblico 9

1.2 La violenza domestica 12

1.3 Dati statistici: I due rapporti istat 16

1.3.1) Il confronto statistico dei dati 19

1.4) La legge guida: la Convenzione di Istanbul 21

1.5) La legislazione italiana 22

CAPITOLO SECONDO: LE RAGIONI DELL’ATTO VIOLENTO: TEORIE ED APPROCCI PER UOMINI MALTRATTANTI 2.1) Chi è l’uomo violento 30

2.2) Il perché della violenza degli uomini sulle donne 31

2.3) L’approccio sociologico – culturale 32

2.4) L’approccio psicologico 36

2.5) L’approccio sistemico 38

2.6) L’approccio ecologico. La multicausalità dell’atto violento 39 2.7) I servizi per uomini maltrattanti : una panoramica sul nostro territorio nazionale 40

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CAPITOLO TERZO: IL RUOLO DELL’ASSISTENTE SOCIALE

3.1) Il ruolo dei servizi sociali 44

3.2) Il ruolo dei servizi sociali nei casi di violenza 45

3.3) Il processo di aiuto 48

3.4) Analisi territoriale dei servizi ed interventi in provincia di Trapani 50

CAPITOLO QUARTO: LA PAROLA AGLI UOMINI 4.1) Oggetto della ricerca 54

4.2) Ipotesi e finalità della ricerca 55

4.3) Ambiente e campione della ricerca 56

4.4 )Metodologia della ricerca 57

4.5) I risultati 58

4.6) Discussione dei risultati 65

CONCLUSIONI: UNA BOZZA DI PROGETTO POSSIBILE 68 BIBLIOGRAFIA 70

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3 INTRODUZIONE

La violenza contro le donne è un fenomeno ampio e diffuso; ogni giorno la TV, i giornali riportano casi di donne uccise o massacrate dal marito, partner attuale o ex; donne vittime di violenza, stuprate, aggredite verbalmente e fisicamente dai propri partner o addirittura uccise da parte di ex compagni o dai partner attuali .

La violenza sulle donne è un problema sociale. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la considera una delle forme più diffuse di violazione dei diritti umani che lede il diritto all’eguaglianza e lo sviluppo sociale.

Questo tipo di violenza, come ha affermato il Consiglio d’Europa (1997), ha origine nelle disuguaglianze di genere e nella storica disparità tra uomini e donne, dettata da un modello patriarcale che l’ha legittimata per troppo tempo, trasmesso attraverso i processi di socializzazione alle generazioni future insediandosi capillarmente nelle società.

Questo fenomeno è un problema trasversale, cioè è presente in ogni società e coinvolge tutti gli strati della popolazione; come sostiene la maggior parte della letteratura in materia ( D. Cherubini, S. Magaraggia,

P. Romito) maggiore è l’asimmetria tra i ruoli maschili e femminili

maggiore è il rischio del perpetrarsi della violenza.

La violenza sulle donne è un problema psicosociale, che affonda le proprie radici su diversi fattori. L’atto violento può essere espressione di un disturbo psicologico- individuale o di un disagio familiare, oppure può rintracciarsi nell’ambito socio- culturale. Sono diversi i fattori che conducono alla violenza e diverse teorie hanno cercato di spiegare le radici dell’atto violento, dando importanza a determinati fattori rispetto ad altri, ma nessuna riesce a cogliere la questione nella sua interezza.

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Tuttavia, ancora oggi, soprattutto nella società occidentale, fortemente sviluppata e civilizzata, in cui si proclamano il diritto all’uguaglianza e le pari opportunità, sentire parlare di violenza, di donne uccise e/o massacrate dai propri compagni, porta la stessa società civile a riflettere sul come la parità tra i sessi, a livello sostanziale non sia ancora avvenuta. Ciò fa pensare che la proclamazione delle pari opportunità sia solo a livello giuridico- formale; a livello sostanziale occorrono riforme e prese in carico da parte delle istituzioni pubbliche. Ovviamente affinché venga avviato un processo di riforma occorre un processo lento e graduale.

Da sempre la donna è stata considerata inferiore all’uomo. Se si guarda alla raffigurazione del genere donna nella creazione dell’essere umano nella Bibbia, si nota la secondarietà della donna dall’uomo: essa non è altro che una costola dell’uomo Altresì la considerazione che la donne è inferiore all’uomo la si può far derivare dalla biologia, dal fatto che il cervello della donna è più piccolo di quello dell’uomo. Pertanto la donna è considerata inferiore rispetto ad un uomo, ritenuta meno capace sotto molto aspetti . Tanti riti che vengono compiuti ancora oggi nella nostra società derivano inconsapevolmente dal modello patriarcale che considera la donna come proprietà dell’uomo a cui questa è soggetta a sottostare.

Tutto ciò ha permesso agli uomini di sentirsi i padroni delle donne.

I dati Istat, da un’indagine condotta nel 2014, rilevano che 6 milioni 788 mila donne tra i 6 ed i 70 anni, hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Dal rapporto emerge che quasi sempre a commettere le violenze più gravi sono i partner

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5

attuali o ex. Invece autori delle molestie sessuali sono degli sconosciuti

nella maggioranza dei casi (76,8%).1

Partendo da queste premesse il presente lavoro si propone di rilevare,; attraverso la lettura dei testi di studiosi come, Romito, Bauman, Walker, quali sono le cause che spingono l’uomo a compiere un atto di violenza nei confronti di una donna e i vari modi in cui essa viene esercitata.

In particolar modo l’elaborato di tesi si concentra sul tema della violenza domestica, puntando l’attenzione sull’uomo autore della violenza. Questa scelta nasce dall’idea che la messa in protezione delle donne non scardina il problema, ma è una fase tampone; infatti affinché venga avviato un processo di cambiamento bisogna partire dal problema ed affrontarlo: << ascoltare la sofferenza dei cattivi … può essere una forma di prevenzione>>. Pertanto credo che la messa in protezione delle donne rappresenti solo la fase primaria di un intervento più ampio che deve vedere coinvolto in prima persona l’uomo; affinché ci sia un cambiamento radicale.

A mio avviso ciò significa cambiare prospettiva, cambiare il modo di vedere il problema e riuscire a fare i conti, soprattutto per un operatore donna, al superamento della visione di uomo come mostro e considerarlo come persona che ha bisogno di aiuto.

Nel primo capitolo mi soffermerò sul concetto di violenza; in particolare affronterò la questione della violenza domestica, ovvero la violenza agita ad opera di un partner intimo alla donna; delineandone le caratteristiche e tipologie e la sua evoluzione nel tempo. In particolare analizzerò le statistiche nazionali per definire le dimensioni del fenomeno e come si sia modificato nel tempo. Mettendo a confronto i due rapporti ISTAT

1 www.istat.it – Rapporto sulla violenza contro le donne. Principali risultati sulle diverse forme

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6

delineerò la legislazione italiana in merito alla violenza sulle donne, con qualche cenno storico, evidenziandone potenzialità e criticità, tenendo presente i principi della legge guida, la cosiddetta convenzione di Istanbul, anche alla luce dei dati Istat emersi.

Nel secondo capitolo traccerò le caratteristiche dell’uomo violento. Attraverso una rassegna teorica di studiosi che si sono occupati del problema, come Walker, Cirillo, Romito, ecc. illustrerò ed analizzerò una serie di teorie che fanno riferimento all’aggressività maschile: quali possono essere i possibili fattori che portano l’uomo a sfociare in una reazione violenta nei confronti della propria donna/compagna. Inoltre, mi soffermerò sui diversi approcci usati per il recupero del soggetto maltrattante ed i servizi esistenti sul territorio nazionale. In particolare mi concentrerò sul territorio dove risiedo, la provincia di Trapani, per esplorare la rete di servizi esistenti di sostegno ed aiuto alle vittime ed i loro compagni violenti.

Nel terzo capitolo analizzerò il ruolo dell’assistente sociale, cosa questa può fare e attraverso quali strumenti può portare una donna ad uscire da questo silenzio assordante, tenendo presente sempre come contesto di riferimento la Provincia di Trapani. A tal fine ho ritenuto necessario conoscere la rete dei servizi presenti sul territorio per comprendere anche le risorse che ogni operatore sociale ha per supportare, aiutare, proteggere e sostenere una donna vittima di violenza.

Nel quarto capitolo svilupperò una ricerca sul campo tesa a conoscere chi sono gli uomini violenti, nella provincia di Trapani. L’obiettivo è quello di comprendere, inizialmente, le caratteristiche socio-individuali del soggetto per poi indagare il sistema familiare di origine e quello attuale, in

particolare mi concentrerò sullo studio delle dinamiche intra –familiari e su quanto queste incidono sullo sviluppo della condotta violenta. Gli strumenti

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utilizzati per la raccolta dati sono delle interviste semi- strutturate costruite ad hoc per la finalità dello studio.

Infine concluderò la mia tesi con una bozza di progetto da attivare sul territorio.

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CAPITOLO PRIMO

LA VIOLENZA SULLE DONNE

Il fenomeno della violenza sulle donne è una questione antica, in ogni cultura ed epoca storica la donna ha sempre subito il complesso di inferiorità nei confronti dell’uomo. La sua inferiorità la si fa derivare dalle credenze religiose, dalle teorie biologiche e dall’affermazione di modelli culturali che promuovevano un concetto di mascolinità fondato sul potere e sul controllo. È in questa cornice che si sono poste le basi ed allo stesso tempo rafforzate e legittimate le differenziazioni di genere. Queste differenziazioni di genere, ancora oggi fanno parte del nostro bagaglio culturale che ci viene trasmesso in parte dai nostri genitori, educati secondo quei modelli. Pertanto anche se oggi in senso giuridico- formale si è raggiunta la parità tra i sessi, con apposite riforme; a livello sostanziale rimangono marcate le differenze tra i due sessi.

Riflettendo un po’ in quasi tutti gli ambiti della vita quotidiana si riscontrano delle disparità tra uomo e donna:

- Nella differenziazione dei giochi, in cui sin da piccola le

bambine giocano a fare le mamme e accudire la casa, invece i maschietti svolgono più attività pratiche esterne;

- In ambito scolastico- professionale: infatti ancora oggi certi

ambiti lavorativi sono estranei alle donne: una ricerca condotta

dalla Dott.sa Bracciale2 sulle donne in ambito lavorativo

informatico delle cosiddette ICT (Information Communications Technology) emerge come la rete digitale (internet) ed i lavori ad essa connessi sia prerogativa degli uomini e che le donne di fronte ad attività più complesse si sentono incapaci di compierle, anche

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perché nel loro immaginario il settore informatico è un settore maschile.

- Nella distribuzione dei compiti in casa: da un rapporto

ISTAT emerge come sia la donna a dedicare maggior tempo alla

cura della casa e dei figli, anche se lavora.3

Comprendere come la violenza sia uscita dalle mura domestiche e sia diventata un fatto sociale rappresenta la sfida di questo capitolo. Fondamentale risulta pertanto un excursus storico, conoscere i movimenti che hanno sollecitato i processi di riforma, la legislazione in materia di violenza; ma allo stesso tempo che cosa si intende per violenza, i diversi volti che essa assume.

1.1 Cenni storici sul riconoscimento della violenza da fatto privato a problema pubblico

Il fenomeno della violenza sulle donne anche se è sempre esistito, il suo riconoscimento come problema sociale è recente.

Come sostiene la studiosa Paola Romito: << la violenza di genere è

stata quasi invisibile fino a tempi molto recenti: non perché fosse tenuta nascosta, ma perché era talmente connaturata con la tradizione, i valori dominanti e le leggi da passare inosservata, quasi fosse un evento naturale>>4.

La violenza sulle donne è un problema che attraversa ogni tempo e cultura, in tempi passati l’inferiorità della donna era una condizione normale, oggi sentire che una donna viene picchiata dal marito è un

3 www.istat.it , Famiglia e società, La divisione dei ruoli nelle coppie, Anno Novembre 2010. 4 Romito P., La violenza di genere sulle donne e sui minori. Un’introduzione, Franco Angeli,

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reato. Pertanto è la stessa società civile a stabilire cosa è giusto e cosa non lo sia, in base ai cambiamenti e alle influenze che subisce. Infatti a porre al centro dell’attenzione la questione femminile sono stati i movimenti femministi che in difesa dei diritti umani hanno posto le basi per il riconoscimento dei diritti delle donne. Negli anni novanta la comunità internazionale ha riconosciuto e legittimato la questione femminile. Nel 1993 la Conferenza mondiale sui diritti dell’uomo di Vienna ha riconosciuto i diritti delle donne come parte dei diritti umani universali. Nello stesso anno, l’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti ha adottato la Dichiarazione sulla Eliminazione della Violenza Contro le Donne. Questo documento ha portato i diversi Stati ad affrontale la questione femminile ed a considerare la violenza come un problema da affrontare, intervenendo con apposite politiche e leggi. Nel 1994 la Commissione sui Diritti dell’Uomo ha nominato il primo Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla Violenza Contro le Donne, con il compito di analizzare e documentare il fenomeno, attribuendo ai governi la responsabilità. La Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne, nel 1995 a Pechino, sulla base di realizzazione di determinati obiettivi, ha redatto una lista di azioni che i governi, le organizzazioni internazionali e non governative devono implementare.

Con la ratifica del Protocollo Opzionale alla CEDAW, adottato dall’Assemblea Generale nell’ottobre 1999, uno Stato riconosce l’autorità del Comitato di ricevere ed esaminare denunce da parte di individui o gruppi entro la giurisdizione di quello Stato. Sulla base di queste denunce, il Comitato può condurre indagini confidenziali e emanare urgenti richieste rivolte ad un governo, invitandolo ad agire per proteggere le vittime. Questo crescente movimento ha imposto una migliore comprensione delle cause e delle conseguenze della violenza contro le donne, ed in alcuni paesi sono stati fatti dei passi positivi, con

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riforme e modifiche di leggi che trattano delle vessazioni contro le donne.

Da questo breve excursus storico si può comprendere come la violenza sulle donne sia stata una pratica legittimata, considerata del tutto normale: la condizione vessatoria della donna era una pratica a cui le donne venivano abituate sin da piccole. Oggi, anche grazie ai diversi movimenti di riconoscimento dei diritti delle donne, si stanno attuando dei primi movimenti verso una legittimazione del problema.

Il consiglio d’Europa definisce la violenza sulle donne una “piaga sociale che impedisce lo sviluppo sociale e i diritti di eguaglianza”.

Con il temine violenza contro le donne si intende una vasta gamma di

abusi;5 un termine ombrello con il quale si indicano una serie di reati che

vanno a ledere i diritti di libertà, uguaglianza e di promozione personale delle donne.

Nello specifico la dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne definisce quest’ultima: <<come qualunque atto di violenza

sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata>>.6

Questa definizione di violenza racchiude in sé molti aspetti psicologici, fisici, morali e sociali della persona. Tuttavia da questa definizione così generica le diverse società, in base al loro sviluppo culturale, hanno considerato determinati atti violenti o meno.

E’ possibile distinguere diversi tipi di violenza:7

1. violenza fisica- sessuale

5 P. Romito e M. Melato, La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul

campo, Ed. Carocci, 2014, cit. pg. 141.

6 www.diittiumani.donne.aidos.it – Violenza contro le donne. 7 P. Romito e M. Melato, Op. cit., Ed. Carocci, 2014, pg. 141.

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2. violenza verbale

3. violenza psicologica

La violenza che è più facile da accertare è quella fisica poiché lascia segni visibili sul corpo; invece la più insidiosa è quella psicologica per cui è difficile comprendere la gravità del danno

Sono considerati atti di violenza lo stupro, gli abusi sessuali, le molestie sessuali, le aggressioni, la violenza domestica, il femminicidio.

1.2 La violenza domestica

Per violenza domestica si intende una violenza perpetrata all’interno di una relazione intima ( intimate partner violence) cioè il maltrattamento

da parte degli uomini delle proprie mogli o compagne8. Nella quasi

totalità dei casi i maltrattamenti vengono agiti da parte dell’uomo sulle proprie mogli o compagne. Questo tipo di violenza viene definita domestica non solo per il luogo in cui viene agita, che di solito sono le pareti domestiche, ma perché posta in essere da un persona intima alla donna.

Nell’immaginario comune pensare alla casa vuol dire pensare ad un ambiente in cui ci si sente sicuri e protetti. Pensare, invece, che possa diventare luogo di terrore e di violenza fa paura e che la persona con cui si è deciso di stare non è quella che si conosceva, tante certezze e sicurezze vengono meno e la donna si sente spaesata e incapace.

Infatti, a livello culturale, la famiglia è il luogo sicuro degli affetti, in cui ci si sente protetti tra le braccia dei propri cari; ma quando al suo interno si verificano eventi di violenza che oggi quotidianamente tv, radio e

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giornali ne danno notizia (femminicidi, abusi sessuali, stalking…) la società civile ne rimane sconvolta. Dalle interviste che i giornali fanno tutti descrivono quell’uomo come una persona tranquilla, perbene, insomma un gesto a cui non trovano spiegazione, un raptus; anche se nella maggioranza dei casi dalle indagini si viene a scoprire che quella fine era preannunciata.

Quello che succede tra le pareti domestiche lo sa solo chi vi abita all’interno, per il cosiddetto modo di dire << i panni sporchi si lavano in

famiglia>> .

La violenza domestica è stato ed ancora oggi continua ad essere un tabù; molto spesso il problema non viene ben percepito e affrontato come si dovrebbe sia per la mancata denuncia della vittima, sia per l’inadeguata formazione degli operatori. Questo tipo di violenza, a differenza di una violenza agita da un estraneo, è più difficile da stimare, perché la maggior parte delle donne, legate da un vincolo sentimentale, non denunciano per paura o per vergogna.

Questo tipo di violenza è caratterizzata da un’asimmetria di potere, da uno squilibrio nella coppia, in cui uno dei due partner predomina sull’altro. Questo predominio di un partner sull’altro avviene in modo graduale come una sorta di escalation, che non permette all’altro partner di comprendere questo meccanismo.

Lenore Walker (2000) parla della violenza come un ciclo, una spirale; << un progressivo e rovinoso vortice in cui la donna viene inghiottita dalla violenza continuativa, sistematica e quindi ciclica da parte del partner>>.9 Gli episodi violenti sono ripetitivi nel tempo e gli aggressori

seguono uno schema comportamentale ben definito.

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Ed è proprio la continuità e sistematicità a rendere insidiosa la comprensione di questo tipo di violenza e a non comprendere la reale portata dei danni sulla vittima.

Ne consegue che la violenza può definirsi un processo a cicli in cui si alternano diversi fasi. Lenore Walker (ibidem) parla di una << spirale della violenza>>, nella quale ha individuato 4 fasi :10

1. Attivazione della tensione: di irritabilità dell’uomo.

Durante questa fase la violenza non si manifesta in modo diretto ma trapela dagli atteggiamenti, si ha una scarsa comunicazione nella coppia; qualsiasi comportamento assume la donna diventa fastidioso e pretesto. La donna percepisce questa tensione ed inizia ad assecondare i desideri del compagno per cercare di calmare le acque. Cosa che si rivela inutile perché la violenza ha luogo lo stesso. Tuttavia la donna inizia ad isolarsi dalla famiglia e dal mondo esterno per soddisfare il compagno.

2. Esplosione della violenza: aggressione fisica vera e propria

( schiaffi, pugni, violenza verbale), l’aggressore domina la vittima contro la sua volontà;

3. Fase di pentimento e attenzioni amorevoli denominata <<fase di latenza o di “luna di miele”>> : caratterizzata da un

riavvicinamento, in cui l’uomo apparentemente si pente, chiede perdono e promette di cambiare il proprio comportamento e il non ripetersi della violenza, portando regali alla moglie per farsi perdonare. In questa fase in cui la relazione sembra tornata a gonfie vele e che nulla sia successo, la donna spera che l’uomo stia realmente cambiando, aumentando così il livello di tolleranza nei confronti dell’azione violenta. Il pentimento dell’uomo, che

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altro non è che un meccanismo di difesa per tenere sotto controllo la sua donna, portano la donna a rimanere intrappolata in questo circolo che sarà per lei sempre più pericoloso

4. Scarico delle responsabilità: l’uomo scarica la

responsabilità del suo comportamento per il modo in cui la sua compagna si comporta nei suoi confronti. Le difficoltà si aggravano di nuovo e si ha una riattivazione della tensione.

Questo susseguirsi delle fasi avviene in modo circolare che via via diventa più violento. Infatti, ad ogni nuovo ciclo, la fase di costruzione della violenza è sempre più breve, la fase di attacco diventa più brutale e violenta e si riducono le fasi di riconciliazioni.

La violenza in famiglia può essere:

- visibile, cioè fisica come schiaffi percosse, ecc.

- non visibile, quindi psicologica, umiliazioni, privazioni ,

carenze affettive;

- acuta, improvvisa come lo sfogo di rabbia con una forte

liberazione di aggressività e violenza;

- cronica, cioè più sfumata, una relazione di dominanza e

costante controllo della vita della compagna, gli atti violenti sono più frequenti ma meno irruenti ed eclatanti.

Sono considerati atti di violenza domestica :

- Maltrattamenti fisici : schiaffi, percosse, bruciature, calci

attraverso i colpi si cerca di segnare il corpo e di possedere interamente la donna. Lo scopo è di far paura e sottomettere interamente la donna

- Vessazioni sessuali: costrizione a rapporti sessuali non

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vengono taciuti dalla donna, la quale si vergogna, o anche perché lo considera un dovere coniugale ( un diritto per l’uomo, un obbligo per la donna).

- Vessazioni psicologiche: comportamenti persecutori,

intimidatori, minacciosi, come segregazione in casa, aggressione verbale, umiliazione che causano angoscia, paura, timore al fine di controllare la donna e allontanarla da chi può aiutarla.

- Vessazioni economiche: come rifiuto di contribuire

finanziariamente, di privazione delle esigenze di base, di lavorare

Tutte queste forme di violenza vengono usate per affermare il dominio dell’uomo sulla donna “tu sei mia!”, per controllarla e condizionarla. L’uomo con questi atti ridicolizzerà la donna, la farà sentire incapace di qualsiasi gesto. Tutto ciò porterà la donna a chiudersi in se stessa con conseguenze disastrose. Da una lettura dei testi che raccontano storie di vita di queste donne esce fuori un forte senso di colpa, come se fossero loro la causa di questa reazione, che li porta a non denunciare l’accaduto, anzi a chiudersi sempre più a livello sociale.

.

1.3 I dati statistici: i due rapporti ISTAT

A livello statistico, la violenza domestica sulle donne è un fenomeno sottostimato. I fattori che contribuiscono a questa sottostima sono differenti:

1. La scarsa denuncia da parte delle donne, per paura o

per impotenza o perché giustificano quel comportamento..

2. L’incapacità di tutta la società civile di riconoscere il

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lavano in famiglia): incapacità delle donne di percepire il comportamento come lesivo dei propri diritti; incapacità degli operatori talvolta di cogliere il problema perché condizionati da stili educativi; la stessa società civile che si chiude di fronte a certe situazioni.

3. La mancanza di una normativa specifica nazionale,

adottata solo di recente

Tutti questi fattori hanno fatto si che in Italia prima del 2006 non ci fossero dati statistici che potessero quantificare il fenomeno.

Prima del 2006 sono state condotte due indagini sulla sicurezza del cittadino, in cui venivano rilevati semplicemente le molestie e le violenze sessuali, la prima nel 1997 e la seconda nel 2002.

Infatti fu l’ISTAT a realizzare la prima indagine campionaria interamente dedicata alla questione della violenza sulle donne, attraverso 25.000 interviste telefoniche a donne tra i 16 ed 70 anni. Questa prima indagine è frutto di una convenzione tra l’ISTAT e il Ministero per le pari opportunità. Anche in forza delle pressioni provenienti dall’Europa. Nel dettaglio questo rapporto misura tre tipi di violenza: fisica, sessuale e psicologica dentro e fuori la famiglia.

Grazie a questa indagine si ha una visione più chiara del fenomeno sul territorio nazionale, ma soprattutto si iniziano a muovere i primi passi verso una prima istituzionalizzazione del problema, dopo tanti anni dal riconoscimento dei diritti alle donne.

La prima indagine interamente dedicata al fenomeno della violenza sulle donne in Italia si ha nel 2006. Da questa indagine esce fuori un dato allarmante, fino ad allora sconosciuto, una donna su tre tra i 16 ed i 70 anni, è vittima di violenza nel corso della vita (31,9%).

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Questo dato porta i Governi ad adottare misure ed interventi e a prendere in considerazione il fenomeno come una questione da affrontare.

Il 23,7% ha subito violenze sessuali; il 18,8% violenze fisiche; il 4,8% stupri.

La violenza fisica era maggiormente ad opera del partner (12%), seguita dai non partner (9.8%).

Invece la violenza sessuale era per il 6,1% agita dal partner e per il 20,4% agita dal non partner.

Il 14,3% delle donne con rapporto di coppia è stata vittima di violenza da parte del partner attuale o ex, il 24,7% da un altro uomo. Solitamente la violenza agita dal partner era ripetuta nel 52,9% dei casi . Prevalentemente l’atto violento veniva consumato a casa della vittima (58,7%) e spesso, un quarto dei casi, riportavano ferite gravi tali da richiedere cure mediche (34,5%).

Pur tuttavia solo una minima parte delle donne considerava quell’atto violento un reato (18,2%) e solo il 7,3% denuncia il fatto.

Ne consegue dunque che i partner sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate. Invece gli sconosciuti sono maggiormente autori di molestie.

Sono più colpite da violenza domestica le donne (35,6%) il cui partner è violento anche all’esterno della famiglia; nel 30% l’autore della violenza ha assistito a scene violente del padre nei confronti della madre o ha subito violenze.

Solo il 6% degli uomini violenti non hanno subito o assistito a scene violente nella famiglia d’origine.

L’ultimo rapporto effettuato dall’ISTAT, riguardante la violenza sulle donne si ha nel 201411.

11 www.istat.it - La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia ; Periodo di riferimento

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La tecnica di conduzione dell’indagine è uguale a quella adottata nel 2006. Sono state intervistate telefonicamente 25.000 donne tra i 16 ed i 79 anni. I risultati che emergono da questa indagine sono:

- il 31,5% delle donne è vittima di violenza almeno una volta

nell’arco della vita;

- il 20,2% violenza fisica,

- il 21% violenza sessuale.

- Le donne vittima di violenza domestica sono l’11,3% .

- I partner attuali o ex commettono le violenze più gravi ; il

62,7% degli stupri è commesso dai partner, invece gli autori delle molestie sessuali nella maggioranza dei casi (76,8%) sono gli sconosciuti.

- Il 26,9% delle donne considera la violenza subita dal partner

un reato ma ancora solo l’11,8% denunciano tale violenza alle forze dell’ordine.

Anche qui si nota come i figli che assistono alla violenza del padre nei confronti della madre hanno una probabilità maggiore di essere autori di violenza nei confronti della propria partner.

Infatti dall’indagine emerge che:

- il 62,5% degli uomini violenti ha assistito a scene violente;

- nel 25% ha anche subito violenza.

1.4 Il confronto tra i due rapporti istat sulla violenza

Per comprendere l’evoluzione del fenomeno nel tempo si sono confrontati i due rapporti Istat precedentemente analizzati singolarmente.

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Dal confronto emergono segnali di miglioramento anche se lievi ed una maggiore percezione e coscienza da parte delle donne della situazione problematica.

Nel dettaglio:

Tabella 1- I due rapporti ISTAT 2006/201412

Dal confronto dei dati subito si nota come la violenza nel tempo sia leggermente diminuita, anche perché quel fenomeno dapprima considerato la routine a cui le donne erano sottoposte a stare, comincia ad essere riconosciuto come problema. Il riconoscimento istituzionale porta la donne a sentirsi soggetto portatore di diritti. Fondamentale dal confronto dei dati non è tanto la percentuale delle donne violentate, ma quanto la percezione che queste hanno della condotta del marito nei loro confronti come reato, e quindi il possibile sbocco verso una denuncia.

12 Tabella elaborata personalmente per un confronto immediato dei dati che si intendono tenere

in considerazione.

Indagine ISTAT 2006

Indagine ISTAT 2014 Donne vittime di violenza

Violenza fisica Violenza sessuale 31,9% 18,8% 23,7% 31,5% 20,2% 21% Donne vittime di violenza

domestica

14,3% 11,3%

Percezione da parte delle donne della violenza come reato

18,2% 29,6%

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Quindi il graduale processo di istituzionalizzazione e le campagne di prevenzione e pubblicitarie sono utili affinché le donne possano uscire da quella spirale di violenza. Altresì l’uscita del problema dalle mura domestiche, quindi in un certo senso il riconoscimento da parte della società civile del problema, porta la donna a denunciare, trovando il sostegno dalla società stessa.

Tuttavia nonostante i miglioramenti che si evidenziano da questi due rapporti, la situazione ancora oggi è allarmante perché la violenza rappresenta la prima causa di morte per le donne.

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1.5 La legge guida: la Convenzione di Istanbul

A regolare la questione della violenza sulle donne, fornendo le linee guida, per lo sviluppo normativo dei paesi aderenti, è la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, detta “Convenzione di Istanbul”.

Gli aspetti innovativi introdotti dalla convenzione sono in primis il riconoscimento della violenza come violazione dei diritti umani e forma di discriminazione, l’obbligo per gli stati di garantire risposte adeguate

per prevenire tale violenza.13

Altresì la convenzione individua nuovi tipi di reato come il matrimonio forzato, gli atti persecutori, l’aborto o sterilizzazione forzata ed obbliga gli Stati a introdurre norme che vietino queste pratiche.

13 www.pariopportunità-gov.it , Convenzione di Istanbul, Ministero per le pari opportunità,

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22

Gli Stati che aderiscono alla convenzione hanno l’obbligo di prevenire, proteggere e perseguire.

Gli obblighi di prevenzione consistono:

 Cambiamento di atteggiamenti, stereotipi e modelli

culturali che rendono accettabile la violenza;

 Formazione dei professionisti

 Sensibilizzare l’opinione pubblica, anche operando in

connessione con i mass media o i servizi di rete locale;

 Attuare programmi di prevenzione e promuovere la

cultura della parità dei sessi nelle scuole.

Gli obblighi di protezione si espletano attraverso l’istituzione di servizi speciali di protezione, come case famiglia, case rifugio, centri di accoglienza, numero verde, in cui la donna si senta compresa ed al sicuro dal suo persecutore.

Infine gli obblighi di persecuzione consistono nella rimozione di norme che garantiscano che le forme di violenza siano punite in modo debito.

Aspetto da sottolineare in questa convenzione è che oltre a perseguire l’autore di reato, l’art. n. 6 di tale convenzione prevede anche l’adozione di misure legislative per istituire e sostenere programmi rivolti ai rei. Questi programmi devono essere implementati per promuovere la cultura della parità dei sessi, superando i vecchi modelli comportamentali e prevenire nuove violenze. Pur tuttavia prioritari sono i diritti di tutela delle vittime, pertanto tali programmi vanno attuati in stretta collaborazione con i servizi che si occupano delle vittime.

A mio avviso l’attenzione a programmi rivolti agli autori di violenza rappresenta un punto importante di svolta della violenza, perché la messa in protezione rappresenta un punto di partenza dell’intervento sociale, ma se

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non si comprendono le ragioni dell’atto violento la violenza è un atto destinato a ripetersi.

1.6 La legislazione italiana

L’Italia ha sottoscritto la convenzione di Istanbul a Strasburgo il 27 settembre del 2012.

La pari opportunità tra uomini e donne nel contesto italiano venne sancita

nel 1919 con il riconoscimento della parità giuridica alle donne.14

Nel 1945 alle donne viene riconosciuto il diritto di voto e nel 1948 la Costituzione italiana, prevede degli articoli che promuovono le pari opportunità tra uomini e donne:

- Art. 3 Cost. promuove il principio di uguaglianza di genere,

nel quale si afferma: <<tutti i cittadini sono uguali davanti alla

legge, uomini e donne hanno diritto al medesimo trattamento >> 15;

- Art. 4- 37 Cost. Uguaglianza in ambito lavorativo;

- Art. 29 Cost. Uguaglianza morale e giuridica dei coniugi

all’interno del matrimonio;

- Art 51 Cost. Parità di accesso agli uffici pubblici e alle cariche

elettive, questo articolo è stato modificato nel 2002 per promuovere una maggiore presenza delle donne nelle cariche pubbliche.

Nonostante la Costituzione avesse previsto la parità tra i sessi, in ambito pratico questa non venne riconosciuta. Lo stesso diritto di famiglia del 1942 (Codice Rocco) rimasto in vigore fino al 1975, sanciva la subordinazione della moglie al marito sia nei rapporti patrimoniali che personali.

14 Legge N. 1176/19, “Norme circa la capacità giuridica delle donne”. 15 Cit. in breve, Art. 3 della Costituzione italiana.

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Fu con la riforma del diritto di famiglia, nel 1975, e le successive leggi che inizia il lungo cammino, ancora oggi incompiuto, del riconoscimento della parità giuridica.

La convenzione di Istanbul può definirsi il momento di pieno riconoscimento, da parte delle istituzioni, della violenza sulle donne. Infatti da quel momento sono state varate una serie di leggi che disciplinavano il fenomeno della violenza alle donne in forza all’adeguamento ai principi ed obiettivi promossi da questa.

Ancora oggi, nel nostro ordinamento, manca una disciplina organica ed unitaria a differenza di altri problemi che godono di testi unici che disciplinano tutta la disciplina. Gli strumenti normativi che la nostra legge mette a disposizione per la tutela delle donne e sanzione della condotta sono regolati in diversi testi legislativi: il codice civile, il codice penale ed il codice di procedure penale.

Nel caso di lesioni personali, fondamentali sono alcuni articoli del codice penale (c.p.):

- Art. 581 c.p. che disciplina il reato di percosse;

- Art. 582 c.p. che riguarda le lesioni personali;

- Art. 583 c.p. prevede le circostanze aggravanti;

- Art. 575 c.p. che regola la fattispecie del reato di omicidio. La

morte rappresenta la prima causa di morte delle donne.

In campo legislativo, sotto la spinta dei movimenti femministi che proclamavano la pari opportunità in tutti i campi del vivere civile ed allo stesso tempo il pieno riconoscimento e tutela dei loro diritti, in materia di violenza sulle donne sono state varate delle leggi che, in alcuni casi hanno introdotto, in altri hanno modificato le fattispecie di reato e hanno cercato di garantire, promuovere e tutelare le donne.

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Tra queste leggi vi sono :16

 La legge 66/96 che ha modificato la norma di violenza sessuale, facendo rientrare in questa categoria anche gli atti di violenza carnale e di libidine violenti. Altresì sposta questi reati dalla categoria dei reati contro la morale pubblica e buon costume entro la categoria dei reati contro la persona. Questo è un passaggio fondamentale perché sta a significare che l’atto di violenza viene considerato come un fatto che lede un diritto personale .

 Una svolta importante nel campo della violenza domestica si ha nel 2001 con la legge 154/01. Prima di questa legge gli unici strumenti per tutelare le donne vittime di violenza domestica scattavano con la denuncia del fatto alle forze dell’ordine e la sollecitazione al pubblico ministero per l’attivazione della misura cautelare che consisteva nel divieto di dimora, oppure la presentazione di un ricorso di urgenza, oppure un ricorso alla separazione personale con la rottura definitiva del legame familiare. Queste procedure tuttavia non garantivano sicurezza alla donna, che per paura non denunciava il fatto. Infatti la legge 154/01 nasce con l’obiettivo di rafforzare la tutela delle donne vittima di violenza introducendo misure cautelari in ambito penale e cosiddetti <<ordini di protezione>> in ambito civile a carico del soggetto violento. Fondamentali sono l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati di solito dalla famiglia. La novità di tale legge è che il soggetto vittima di violenza può anche personalmente chiedere ed ottenere

16 Le leggi sono esposte seguendo un ordine cronologico, in base all’anno di entrata in vigore.

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uno specifico provvedimento giudiziale l’applicazione di misure cautelari o ordini di protezioni.

 Nel 2009 si ha la legge 38/ 09 che introduce il reato di stalking, istituendo l’art. 612 bis c.p. (atti persecutori). Precedentemente questi reati venivano puniti con l’art. 612 c.p. (minaccia ) oppure art. 660 c.p. ( molestia o disturbo alle persone).

 Nel 2012 l’Italia sottoscrive la convenzione di Istanbul e pertanto per adeguarsi ai principi ed alle linee guida da questa promossa è obbligata ad un adeguamento legislativo. Infatti la convenzione fornisce semplicemente gli obiettivi e le linee che i paesi aderenti devono portare a compimento con la legislazione interna.

 Nel 2013 con la Legge di ratifica 77/1317 si dà piena

esecuzione ai principi e alle linee guida promosse dalla convenzione sfruttando risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (art.3).

 Attualmente al compimento dell’iter legislativo si ha la legge 119/13 che converte in legge e modifica il decreto legge (D.L.) 93/13 che contiene disposizioni urgenti in materia di sicurezza e contrasto alla violenza di genere. In tale legge al Capo I vengono racchiuse tutte le norme specificatamente riferite alla prevenzione e contrasto alla violenza di genere.

A livello legislativo grandi passi avanti sono stati fatti nei confronti di tutela delle donne, pur tuttavia come sostiene l’Onu la prima causa di morte

17 Legge 77/13 “ Ratifica ed esecuzione della convenzione del Consigli d’Europa sulla

prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011”;

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delle donne avviene per mano del marito/compagno, tanto che oggi si parla di femminicidio.18

Perché nonostante lo sviluppo di riforme ancora oggi le donne vengono uccise, cosa non va nella legge?

La nostra legislazione ha innovato la materia cercando di tutelare al massimo la donna, ponendo in essere strumenti e misure di protezione, elargite in modo più semplice. Inoltre sono previste apposite case rifugio, centri di antiviolenza e consultori familiari, ect. che offrono sostegno ed aiuto alla donna in tutte le fasi che accompagnano l’uscita della donna da quella cosiddetta “spirale della violenza”. In genere le misure protettive riguardano l’allontanamento dal coniuge dalla residenza o dai luoghi frequentati dalla compagna, ma queste misure non sono altro che misure tampone, ma non risolvono la questione, anche perché l’allontanamento giudiziario non fa si che il soggetto lo rispetti. Infatti come si può ascoltare da molti fatti di cronaca, molto spesso il compagno lasciato libero non rispetta il mandato giudiziario. Pertanto al fianco ed in sinergia con i servizi per le donne, dovrebbero essere posti in essere servizi maschili per uomini violenti:

<< Sino a quando le politiche pubbliche riguarderanno solo le donne non

potremmo nemmeno pensare che il problema sia risolto ma sarà soltanto spostato, rinviato alla prossima vittima …. La possibilità e la responsabilità di far terminare la violenza è nelle mani di chi l’attiva, di chi l’inizia per primo, è lecito desumere che perché essa termini di esistere occorre lavorare proprio con chi l’avvia>>.19

18 www.istat.it- Rapporto istat sulla violenza, Giugno 2015.

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Mentre negli Stati Uniti lo sviluppo di normative di tutela delle donne sono stati affiancati anche interventi di recupero del soggetto violento; in Italia, questo processo non è avvenuto di pari passo

Solo di recente, grazie ad opera di iniziative di servizi, associazioni, maggiore attenzione si inizia a dare all’autore di violenza. Si incomincia a considerare il soggetto violento come un soggetto fragile che ha bisogno di aiuto, eliminando lo stereotipo della donna come soggetto debole da proteggere.

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CAPITOLO SECONDO

LE RAGIONI DELL’ATTO VIOLENTO: TEORIE ED APPROCCI PER GLI UOMINI MALTRATTANTI

<<La possibilità e la responsabilità di far terminare la violenza

è nelle mani di chi l’attiva, di chi l’inizia per primo, è lecito desumere che perché essa termini di esistere occorre lavorare proprio con chi l’avvia >>.20

In questa citazione è racchiusa tutta la questione che si intende affrontare in questo capitolo. Conoscere ed ascoltare chi commette violenza è una delle sfide attuali che si sta affermando sul nostro territorio nazionale. Rappresenta un processo molto complesso per gli operatori impegnati sul campo che devono fare i conti con il loro sistema etico e porsi in posizione neutra quando ascoltano le storie di questi soggetti. In pieno accordo con la citazione sopra indicata, credo che se la messa in protezione rappresenti un nodo fondamentale dell’intervento, ma a questo vanno affiancati programmi di recupero per uomini, oltre che per donne, al fine di far cessare la violenza.

Solo di recente in Italia stanno nascendo centri per il recupero di uomini maltrattanti, ovviamente tenendo sempre come obiettivo prioritario la tutela delle donne, nel pieno rispetto dei principi previsti dalla convenzione di Istanbul.

Quando si parla di violenza sulle donne la tv, i social network, i giornali descrivono l’autore di reato come un mostro; un uomo che preso da un raptus di gelosia picchia la sua donna e pertanto va solo punito e condannato.

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Tutta questa enfatizzazione della vittima deriva dai movimenti femministi che hanno posto al centro dell’attenzione il fenomeno della violenza come questione pubblica da affrontare, i quali considerano la donna, persona portatrice di diritti di eguaglianza, ma allo stesso tempo come un soggetto debole incapace di difendersi e come tale va tutelata ed aiutata; considerando l’uomo come un soggetto forte che va punito e condannato. Tutto ciò se da un lato ha portato alla nascita di molti interventi e servizi a tutela delle donne, dall’altro ha fatto sì che si rafforzassero gli stereotipi di disuguaglianza di genere. Oggi considerare il soggetto maltrattante anch’esso come soggetto che ha bisogno di aiuto, pone la questione su un nuovo modo di vedere la violenza. Indagare perché l’uomo agisce violenza è importante per la recidività della condotta. Con questo non si vuole intendere che l’uomo non va condannato, anzi il contrario, va punito ma va anche rieducato.

2.1. Chi è l’uomo violento.

Nell’immaginario comune lo stereotipo dell’uomo violento è un uomo alcolizzato, con disturbi psichici, magari di origine culturale diversa e di bassa estrazione sociale; ma nella realtà è un uomo qualunque, una persona “tranquilla” e “perbene” dalla quale non ci si aspetta possa compiere un simile atto.

Infatti come sosteneva Herman (1988) << la caratteristica più

impressionante dei sex offender è la loro apparente normalità>>.

Tuttavia l’OMS (WHO, 2002) ha individuato dei possibili fattori di

rischio che possono sfociare nella violenza, che sono:21

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1. giovane età 2. bassa istruzione 3. basso reddito 4. uso di sostanze

5. comportamenti aggressivi e delinquenziali in età adolescenziale 6. fattori di personalità (bassa autostima, insicurezza..)

7. storia di violenza domestica nella famiglia di origine.

Questi fattori non hanno per forza un nesso causale con la violenza, ma più fattori messi insieme o in relazione con il contesto di vita o sociale possono sfociare in un atto di violenza.

Infatti in questa tesi mi voglio concentrare sul cosa spinge gli uomini ad agire violenza, analizzando le potenzialità ed i limiti degli approcci che tentano di spiegare il comportamento maschile violento.

2.2 Le ragioni dell’atto violento. Teorie ed approcci

Comunemente l’aggressività maschile viene considerata come parte della stessa natura del soggetto, cioè l’ aggressività fa parte del soggetto maschio che deve difendere la sua donna dai rischi in cui essa può incombere.

Tuttavia se fosse così tutti gli uomini davanti ad una certa situazione dovrebbero reagire allo stesso modo; in realtà ogni uomo a pari condizioni reagisce diversamente.

Spiegare perché un uomo commette un atto violento non è semplice, in quanto, come in genere in tutti i problemi che riguardano l’uomo, non vi è una condizione di causa-effetto. È la concomitanza dei diversi fattori che porta l’uomo ad agire in un modo piuttosto che in un altro.

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Riuscire a comprendere perché l’uomo commette violenza nei confronti della partner è stata una questione molto dibattuta. Infatti in merito all’eziologia del fenomeno si sono susseguite nel tempo diverse teorie, alcune di queste teorie hanno dato rilievo e considerato l’atto violento in relazione ad aspetti socio – culturali; altre si sono concentrate ed hanno individuato le ragioni dell’atto violento come un disturbo psico-individuale; altre ancora hanno messo in relazione diversi fattori per offrire un’interpretazione multicausale dell’atto violento (teorie psicodinamiche).

A livello macro è possibile distinguere due approcci che affrontano la questione dell’atto violento in modo diverso: il primo privilegia gli aspetti socio – culturali della violenza; il secondo dà più importanza alle

caratteristiche individuali del soggetto violento.

2.3 L’approccio sociologico - culturale

L’approccio sociologico o pro-femminista parte dal presupposto che il comportamento deviante è espressione delle influenze sociali subite, del contesto culturale in cui si trova e dalle norme e valori che lo

regolano (Balloni1986)22. Ne deriva, in questo approccio, che l’atto

violento non è espressione di un disagio individuale a se stante, ma è dovuto a un mancato adattamento ad un cambiamento sociale o la riaffermazione dei vecchi sistemi.

Questo modo di intendere la violenza si è sviluppato negli anni ’70 ad opera dei movimenti femministi che hanno portato alla luce il problema della violenza sulle donne sostenendo che: << la violenza sulle donne è

una manifestazione dei rapporti di forza storicamente squilibrati tra i

22 Ignazia Bartholini, Percorsi della devianza e della diversità. Dall’”uomo atavico” al “senza

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generi … La violenza è strumentale all’uomo perché serve a garantire i propri privilegi e a mantenere la donna in una posizione subalterna>>.23 Questo approccio alla violenza identificato con il termine << teoria di genere>> è stato il primo approccio su cui si sono mossi i primi interventi sugli uomini maltrattanti nella cultura anglosassone. Infatti i programmi che usano proprio questo approccio si pongono come obiettivo la rieducazione dell’uomo a valori e sistemi di credenze non sessisti e non discriminatori.

Il fattore culturale mette in evidenza come già nella costruzione sociale di maschilità è compresa la violenza come modo per far emergere la virilità maschile, quindi è una delle tante qualità che permettono ad un uomo di essere tale, pertanto legittimata dalla stessa cultura. È la società e la cultura a decidere cosa è giusto e cosa non lo sia. Come afferma Ciudad Juàrez (2013): << la violenza è un mezzo attivo per fare la

maschilità in un contesto>>24. Questo modo di intendere la maschilità fa riferimento ad un modello patriarcale, connotato da una forte differenziazione di genere, in cui i ruoli sono ben stabiliti e trasmessi attraverso i processi di socializzazione . Autore principale di questa tesi è Connell (2003), il quale mostra che la violenza di genere è fortemente connessa ai modelli sociali. Quindi per parlare di violenza bisogna tenere ancorato il discorso ai modelli culturali nel tempo e nello spazio. Maggiore è la differenziazione culturale tra maschi e femmine maggiore è il rischio di violenza. In questa accezione la violenza non va intesa come un disturbo psico – individuale, ma piuttosto un problema sociale- culturale.

Infatti se si guarda da un punto di vista diacronico la violenza sulle donne è sempre esistita. Ma se prima era legittimata, pertanto non

23 Rivista di psicodinamica ciminale pg 55.

24 S. Magaraggia, D. Cherubini; Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile;

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considerata reato, anzi le asimmetrie del potere erano legittimate dagli stessi assetti sociali che vedevano quel comportamento come normale e giustificato, il graduale processo di de-istituzionalizzazione affiancato dall’affermazione dei nuovi diritti ha portato a spogliare quell’ideologia e a considerare quei comportamenti come atti bruti: “ogni singolo ha un diritto inalienabile al rispetto della dignità e dell’integrità psicofisica in quanto persona” 25.

Seguendo questa scia una studiosa (Connell, 2006) attraverso delle ricerche, ha identificato le cause della violenza in due grandi matrici teoriche: la prima legata all’ordine patriarcale, l’altra connessa alla

trasformazioni delle relazioni di genere.26

Con la prima teoria si afferma il disprezzo sociale per le donne ed il diritto da parte degli uomini ad esercitare il loro potere dentro e fuori la famiglia. Questa teoria vede maschi e femmine come due individui che hanno dei ruoli ben definiti, appresi durante il processo di socializzazione, e che ognuno impari ad attenersi a queste aspettative di ruolo. La donna deve imparare a vedersi come un oggetto passivo, che ha bisogno di cure, attenzione e protezione dal maschio; quest’ultimo deve essere garante di queste aspettative e mostrarsi forte, dedito all’azione e al comando. Pierre Bourdieu (2009) ne “Il dominio maschile” intendeva il dominio dell’uomo sulla donna come una violenza simbolica o culturale che nasceva dall’imposizione di strutture mentali come categorie di pensiero universali una violenza cognitiva che poteva funzionare solo se vi era consenso sul codice comunicativo.

25 S. Magaraggia e D. Cherubini, Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile,

Ed. UTET Università, 2013, cit. pg 68.

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Pertanto la legittimazione sociale dell’atto violento da parte della struttura sociale ed il consenso hanno portato per troppo tempo al

perpetrarsi della violenza nei confronti delle donne.27

La rivendicazione dei diritti delle donne da parte dei movimenti femministi ha messo in crisi i presupposti su cui si fondava il patriarcato, minando la stessa identità maschile che per riaffermarla usa la violenza. Ed è sulla base di questo presupposto che si colloca l’altra matrice teorica che considera l’atto violento come conseguenza del crollo dei meccanismi formali ed informali di controllo sociale. Quindi la violenza sulle donne non è altro che l’incapacità da parte degli uomini di adattarsi o accettare il cambiamento e reagiscono in questo modo per ripristinare il vecchio equilibrio.

In sintesi l’approccio sociologico – culturale considera l’atto violento come derivante da diversi fattori:

1 L’atto violento è il prodotto della struttura sociale e delle norme che lo regolano, le quali legittimano, formalmente o informalmente, la presenza di comportamenti aggressivi e devianti. Quindi la violenza è parte della società che la considera normale e la legittima. ( P. Boudieu, ibidem, 2009)

2 L’atto violento deriva da una disattesa delle aspettative legate al genere (R.W. Connell, ibidem, 2006).

3 L’atto violento come disorientamento e/o non accettazione di fronte al cambiamento sociale (Balloni, ibidem,1986).

Nonostante questo approccio sia il più diffuso ed il più utilizzato nei programmi di intervento tuttavia considera solo gli aspetti sociali, tralasciando la componente individuale, cioè considera il soggetto sottoposto ad influenze sociali incapace di scegliere ed autodeterminarsi.

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Infatti considerando questo approccio è impossibile spiegare perché a parità di condizioni, nonostante il comune processo di socializzazione e/o l’inserimento nello stesso contesto sociale, solo alcuni uomini sono violenti ed altri no.

Occorre quindi porre l’attenzione sui fattori individuali, ovvero gli stili di attaccamento, esperienze di atti o scene violenti sia in modo diretto o indiretto nella famiglia di origine, che condizionano il modo di vivere l’intimità della coppia.

Ed è così che entra in gioco l’approccio psicologico.

2.4 L’approccio psicologico

L’approccio psicologico, a differenza di quello precedente, si concentra maggiormente sul soggetto violento e le sue caratteristiche individuali, ma anche sul suo ambiente di vita come la famiglia. Infatti questo approccio parte dal presupposto che il soggetto violento non ha una predisposizione innata a commettere l’atto violento, ma il comportamento deviante viene appreso dal contesto di vita, in particolare deriva dalla famiglia di origine, dalle esperienze soggettive e dal modo di reagire ad esse; l’atto violento non è altro che espressione di un disagio individuale o di un comportamento disfunzionale in famiglia.

A questo approccio si possono far ricondurre due teorie:

 La teoria dell’apprendimento sociale (Bandura, 1977)28 che

vede il comportamento violento come un comportamento appreso attraverso le stesse modalità con cui si apprende un comportamento non deviante; o dall’aver sperimentato o

28Merzagora Betsos Isabella, Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento, Cortina

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assistito violenza in famiglia. (teoria dell’apprendimento sociale

e teoria dei disturbi dell’attaccamento). La teoria dei modelli di

comportamento presuppone che il comportamento che il bambino adotta nel relazionarsi agli altri è frutto dei modelli di comportamento adottati dai genitori. Quindi il bambino che pone in atto comportamenti aggressivi è spesso figlio di genitori che usano questa modalità di relazionarsi agli altri e pertanto la considerano come modalità “corretta e legittimata”; secondo questa teoria chi vive in un contesto violento tende più facilmente a riprodurre comportamenti violenti. Da ciò ne consegue una trasmissione intergenerazionale della violenza. Pertanto il comportamento violento è un comportamento appreso o esperito dal soggetto che lo pone in essere che viene trasmesso da una generazione all’altra come modalità idonea per la gestione dei conflitti. Tuttavia non bisogna vedere l’atto violento come carattere ereditario ma come comportamento sperimentato ed appreso personalmente dal soggetto. Uno studioso Dutton (2003) ha realizzato alcuni studi sulle personalità dei partner violenti rilevando che fra i maggiori fattori di rischio nelle biografie dei partner vi erano l’aver avuto padri freddi, distanti, brutali che li umiliavano, l’essere stati abusati, spiegando l’importanza della figura di identificazione

nella nascita dei comportamenti violenti.29 Pur tuttavia non tutti i

figli di genitori violenti sono a loro volta violenti; anche perché ogni soggetto è un individuo a sé, in cui tanti fattori influiscono sul processo di formazione della personalità del soggetto, ma nessuno di questi fattori è determinante.

29 Dutton, Studi di personalità ; 2003.

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 La “teoria dei disturbi dell’attaccamento” ( Bowlby, 1979) considera l’atto violento come conseguenza di un trauma o un conflitto irrisolto nell’infanzia che portano l’individuo ad un’incapacità di gestire l’impulsività ed aggressività. Recenti studi sugli uomini violenti evidenziano come sia diffuso tra i maltrattanti il trauma da disturbo dell’attaccamento. Pertanto può essere considerato un fattore di sviluppo dell’atto violento uno stile di attaccamento insicuro che si ripropone nella vita adulta, quando si ripresenta una nuova minaccia di abbandono l’uomo reagisce con la violenza. Da questo punto di vista il comportamento violento non è solo un comportamento appreso ma anche espressione di un disturbo della personalità e quindi un comportamento psico-patologico che va curato.

2.5 L’approccio sistemico

Un modo del tutto alternativo di considerare l’atto violento, che inquadra l’atto violento dentro una prospettiva più ampia rispetto ai precedenti approcci è l’approccio sistemico- relazionale. Gli studiosi (Dutton, 2003; Stuart, 2000; Gondolf, 1988) che sostengono questa teoria considerano l’atto di violenza come conseguenza di una disfunzione relazionale all’interno del sistema del soggetto e talvolta tale

disfunzione è utile affinché il sistema rimanga coeso e non si disgreghi.30

Pertanto qui non si considera solo il soggetto ed il suo comportamento in sé, ma il suo comportamento va visto in relazione al suo sistema di appartenenza, si guarda alla relazione di coppia, al sistema familiare di

30 Merzagora Betsos, ibidem, 2009.

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origine. Ovviamente questo modo di considerare il comportamento violento non è stato immune da critiche, soprattutto da parte dei movimenti femministi in quanto tale visione mette a rischio il concetto di tutela delle donne. Infatti la non distinzione della vittima dal maltrattante, la considerazione di essi in modo unitario come corresponsabili, può comportare un aumento della resistenza da parte dell’uomo nell’assunzione di responsabilità della condotta, finendo per scaricarla sulla donna che a sua volta si sente maggiormente responsabile.

2.6 L’approccio ecologico: La multi causalità dell’atto violento

Di recente si è dato maggior vigore ad un approccio che tiene conto di una multi causalità dell’atto violento, come sostiene l’OMS l’atto violento nasce dall’intreccio di molti fattori. È un mix di fattori individuali, sociali, familiari che portano il soggetto alla condotta violenta.

Questo approccio prende avvio dal modello ecologico elaborato da Bronfenbrenner negli anni ’70, il quale sostenendo una multi causalità del problema, si propone di indagare i possibili diversi fattori considerandoli in modo integrato.

Il modello è organizzato in quattro livelli di analisi interconnessi tra loro e vanno considerati in maniera integrata.

- Nel primo livello si guarda più alla sfera individuale, l’intervento si concentra maggiormente sulla storia personale e biologica della persona, la sua storia di vita , le esperienze che lo hanno condizionato ect.;

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- Nel secondo livello si indagano la rete di relazioni che il soggetto ha, soprattutto le reti sociali di prossimità che aumentano il rischio di essere autore di violenza;

- Nel terzo livello si fa riferimento al contesto o ai diversi contesti di appartenenza del soggetto in cui si svolgono le relazioni

- Infine nel quarto livello si esaminano le caratteristiche più generali della società cui si appartiene

Questo modello indaga tutti gli aspetti, mette assieme tutti gli approcci e li considera integrati. In questo modo si ha non solo una visione molto più ampia dell’origine dell’atto violento, ma è possibile individuare i

diversi fattori di rischio e di promuovere fattori protettivi. 31

Anche se tutte queste teorie spiegano in parte lo sfociare dell’ atto violento, hanno un filo comune, quello di far comprendere come l’uomo violento non sia un mostro, ma è un uomo debole e manchevole. Pertanto al pari delle donne va aiutato e non semplicemente condannato.

2.7 I servizi per uomini maltrattanti: una panoramica sul nostro territorio nazionale

Delineare una panoramica dei servizi e delle politiche sociali attive sul nostro territorio risulta di fondamentale importanza anche per comprendere il riconoscimento istituzionale che viene dato al fenomeno e la sua rilevanza sociale. Come ho già delineato nel precedente capitolo (prg. 1.1) la violenza sulle donne solo di recente è stato considerato un problema di rilevanza sociale e solo la convenzione di Istanbul ha considerato la possibilità di intervento di prevenzione e cura dei soggetti violenti.

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Prendendo in considerazione i servizi e progetti attivi per gli autori di reato, che poi rappresenta il fulcro della mia tesi, da un’indagine condotta sul nostro territorio nazionale tra Marzo e Maggio del 2014 dagli studiosi Bozzoli, Merelli e Ruggerini (2013), emerge che i centri che si occupano del recupero del soggetto violento sono circa 29 distribuiti in modo disomogeneo sul territorio nazionale. Il numero maggiore di questi centri si trova nel centro nord (5 a Milano; 4 a Roma; 5 Emilia – Romagna; 3 Sardegna; 2 Campania), invece scarseggiano al sud. Il primo centro a sorgere sul nostro territorio è stato il Cipm – Presidio criminologico di Milano (2004) ed il Cam (2009) (Centro Ascolto Uomini Maltrattanti) di

Firenze. 32 Altri servizi sono Lui di Livorno, nuovo maschile, Uomini liberi

dalla violenza di Pisa, il CIPM di Roma.

Questi centri offrono sostegno all’uomo violento, ed implementano interventi sulla base di approcci diversi; sia per la realtà in cui si trovano a lavorare, sia per l’esperienza maturata nel campo.

Questi servizi hanno origine diversificate: alcuni nascono da iniziative private;

altri da associazioni di uomini, altri ancora da operatori ed operatrici che hanno lavorato per lungo nei centri antiviolenza ; tutti mossi dall’esigenza di affrontare la questione maschile come modo essenziale per contrastare e prevenire la violenza.

Da propulsori per lo sviluppo di iniziative a favore di uomini violenti sono stati alcune associazioni di uomini che hanno promosso iniziative teoriche e coinvolto anche i centri antiviolenza per le donne per porre all’attenzione una questione centrale e tentare di creare un coordinamento tra i diversi servizi coinvolti al fine di creare un intervento ad ampio raggio.

32 A. Bozzoli, M. Merelli, S. Pizzonia, M.G. Ruggerini, Il lato oscuro degli uomini. La violenza

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