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L' arbitrato irrituale di cui all' articolo 808ter c.p.c

L' articolo 808ter c.p.c è stato introdotto con la riforma del 2006 e prima di tale intervento normativo l' aggettivo “ irrituale” stava a significare l' assenza di regolamentazione legislativa del corrispondente fenomeno, in opposizione all'arbitrato rituale che invece è ritualizzato e cioè disciplinato dal codice di rito: oggi la presenza di una tale disposizione conferma che la processualizzazione dell'arbitrato non è di per sé incompatibile con la sua natura irrituale, dunque anche gli arbitrati di lavoro del codice possono ritenersi liberi, sebbene regolati dalla legge.

In sostanza quindi “libero” non significa più ad oggi “non regolato dalla legge” ma al contrario quando si parla di arbitrato irrituale semplicemente si fa riferimento ad una modalità di svolgimento dell'arbitrato diversa da quella dell'articolo 806 c.p.c: individuare la natura rituale o irrituale degli abitarti di lavoro non ha una finalità di mera etichettatura, ma piuttosto è necessaria al fine di stabilire con che modalità essi si svolgono e quali norme ad essi si applicano. Parte della dottrina ha criticato la scelta del legislatore di disciplinare un fenomeno come quello dell'arbitrato irrituale, sorto e vissuto nell'ambito dell'autonomia privata. Tale critica tuttavia sembra essere completamente infondata: innanzitutto l'arbitrato irrituale è un fenomeno giuridico con la conseguenza che non disciplinarlo significa farlo regolare in via giurisprudenziale, con

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tutte le incertezze che ne deriverebbero; inoltre la disciplina contenuta nell'articolo in esame rappresenta una regolamentazione sussidiaria rispetto a quella fissata dalla volontà delle parti ( con alcune eccezioni), quindi l' intervento del legislatore non è invasivo dell'autonomia privata che ben può continuare ad esprimersi come vuole. Semplicemente laddove le parti nulla dicano allora dovranno applicarsi le norme del codice senza più essere costretti a seguire le evoluzioni giurisprudenziali sul punto.

Il primo elemento rilevante che si coglie nell'analisi della norma è la necessità che le parti dispongano espressamente per iscritto la volontà che la definizione della controversia si abbia mediante determinazione contrattuale, e cioè tramite un atto inidoneo a produrre gli effetti della sentenza (“in deroga a quanto disposto dall' art 824bis”). In mancanza di tale espressione chiara di volontà delle parti allora la disciplina applicabile alla fattispecie sarà integralmente quella dell'arbitrato codicistico (“altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo”).

Tuttavia dalla disposizione in esame non si ricava anche la regola inversa, e cioè se è vero che laddove manchi una chiara manifestazione di volontà di escludere che a lodo conseguano gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria allora si applicherà la disciplina dell'arbitrato rituale in toto, non è altrettanto vero che, laddove invece tale manifestazione di volontà vi sia e sia certa e chiara, allora all'arbitrato irrituale non si applichi nessuna delle regole ricomprese nel titolo VIII del libro IV28.

Stando così le cose conviene distinguere tre categorie di norme: quelle sicuramente inapplicabili, quelle dubbie e quelle applicabili.

28 Luiso, Sassani, La riforma del processo civile, Milano 2006,263 “ tutte le norme che il codice prevede per l' arbitrato rituale sono applicabili all'arbitrato irrituale, salvo una diversa volontà delle parti e con l' esclusione di quelle norme che fondano la differenza fra i due tipi di arbitrarti”. Gli autori ricordano l' evoluzione giurisprudenziale che ha portato ad un progressivo allargamento delle ipotesi in cui le norme dettate per l' arbitrato rituale sono state applicate anche a quello irrituale.

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Alla prima categoria vanno sicuramente ricondotti gli articoli 824 bis e 825 c.p.c la cui impossibilità di applicazione è esplicitamente sancita dallo stesso 808ter; sono sicuramente inapplicabili anche le norme sulla impugnazione del lodo e cioè gli articoli 827 (mezzi di impugnazione), 828 ( impugnazione per nullità), 829 ( casi di nullità), 830 ( decisione sull'impugnazione per nullità),831 (revocazione ed opposizione di terzo), poi gli articoli 839 e 840 a proposito dei lodo stranieri in materia di riconoscimento e di opposizione, infine risultano inapplicabili anche l' articolo 819, 2° co., c.p.c sulla decisione con efficacia di giudicato delle questioni pregiudiziali ed infine l'articolo 819 bis sulla sospensione obbligatoria del procedimento arbitrale.

Ci sono poi anche delle norme codicistiche di dubbia applicazione come ad esempio l'articolo 816quater, 3° co. per l'ipotesi in cui si prospetti una questione di necessità del litisconsorzio non risolvibile ai sensi del 1° comma dell'articolo, oppure l' articolo 816 quinquies 2° e 3° comma relativi agli interventi sempre ammessi per legge ed alla successione a titolo particolare nel diritto controverso.

Infine la categoria delle norme che appaiono compatibili con l'arbitrato irrituale e dunque sicuramente applicabili è senz'altro quella più ampia, ad essa vanno ricondotti per esempio gli articoli 806, 807, 808, 808bis, 808quater, 808quinquies c.p.c, gli articoli 809- 815 c.p.c, l'articolo 826 c.p.c e l'articolo 832 c.p.c.

Al comma 2° poi il legislatore, prima di elencare i motivi di impugnazione, ribadisce l'inapplicabilità al lodo irrituale delle norme sull'impugnazione (già ricavabile dal comma 1° come abbiamo visto), ammettendo il solo esercizio di una specifica impugnativa volta all'annullamento da proporre dinnanzi al tribunale competente ovvero il tribunale del luogo in cui il lodo è stato pronunciato.

L' art 808ter c.p.c poi precisa e circoscrive le ragioni dell'annullamento (nella sostanza riproducendo il contenuto

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dell'articolo 829 circa l'impugnazione per nullità), essendo tipizzati i motivi di impugnazione essi sono tendenzialmente esaustivi, tuttavia una importante eccezione è posta dal sistema ovvero la violazione dell'ordine pubblico29.

Fra i vari motivi di impugnazione merita un approfondimento l' ultimo menzionato dal legislatore ovvero quello che attiene al rispetto del principio del contraddittorio: la presenza di un tale motivo di impugnazione ci consente di dire che anche nell'arbitrato irrituale deve essere rispettata la logica del giusto processo e dunque un contraddittorio non meramente formale ma effettivo, costante ed accompagnato dalla parità delle armi tra le parti. Per altro ciò che conta è che nel procedimento il contraddittorio sia stato in concreto rispettato, senza che abbia alcuna rilevanza se ciò sia avvenuto in ossequio o meno alle norme processuali che hanno disciplinato quel processo30.

Alla luce dell'analisi appena fatta appare lecito porsi una domanda: si può tuttora continuare ad inquadrare l'arbitrato non concluso da lodo-sentenza come arbitraggio, con assimilazione del prodotto finale alla volontà delle parti? La risposta non può che essere negativa: l'atto del terzo non può ridursi ad atto di volontà delle parti e neppure ad atto del terzo inteso come autonomo atto negoziale e questo perché l'art 808 ter c.p.c presenta obiettivamente una sequenza procedimentale complessa difficile da ricondurre alla dimensione contrattuale.

Ad ulteriore dimostrazione della conclusone appena accolta vale la pena sottolineare che il lodo contemplato dal' articolo 808ter c.p.c

29 A tal proposito basti ricordare che in origine fino alla riscrittura dell'articolo 829 c.p.c, la violazione dell'ordine pubblico non era prevista quale motivo di invalidità neppure per il lodo rituale, lodo di cui pacificamente era riconosciuta la nullità per contrasto con l' ordine pubblico.

30 Luiso, Sassani, La riforma del processo civile , Milano 2006, 264 “ anche se le norme avevano un contenuto tale da non consentire il rispetto del principio del contraddittorio, ma esso di fatto è stato attuato, il lodo potrà essere invalido ai sensi del n. 4 del secondo comma, ma non per la violazione del principio del contraddittorio”.

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presenta una sua disciplina, non essendo soggetto alle regole generali delle impugnative negoziali del codice civile, bensì ad un autonoma azione di impugnazione del lodo che in linea di massima ricalca la disciplina dell'impugnazione per nullità del lodo rituale.

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