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IL NUOVO ARBITRATO NEL DIRITTO DEL LAVORO a seguito della riforma del " Collegato Lavoro"

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Anno Accademico 2015-2016

Tesi di Laurea

IL NUOVO ARBITRATO NEL DIRITTO DEL LAVORO

a seguito della riforma del “Collegato lavoro”

Candidato

Relatore

(2)

1

INDICE

Introduzione . . . 6

CAPITOLO 1 – Impianto normativo su cui è intervenuto il “collegato lavoro” . . . .8

1. Il tradizionale sfavore del legislatore nei confronti della giustizia arbitrale: le ragioni . . . 8 2. L’inversione (parziale) di tendenza nell’atteggiamento del

legislatore . . . .10 3. Quadro normativo su cui la riforma del “Collegato lavoro” è

intervenuta . . . .11 3.1 L’arbitrato rituale: l’evoluzione normativa dell’articolo 808

c.p.c. . . . 11 3.1.1 Analisi dei vincoli cui è soggetto l’arbitrato rituale

intrdotto con l’articolo 4 l’ n. 533/1973: la necessaria previsione da parte della contrattazione collettiva (articolo 808,2° c., c.p.c.) . . . .13 3.1.2 Segue: la facoltatività della clausola arbitrale . . . . 15 3.1.3 Segue: il divieto di decidere secondo equità e di

dichiarare il lodo non impugnabile . . . 18

3.2 La novella apportata dal d. lgs. n. 40 / 2006 e il nuovo tenore degli articoli 806 e 808 c.p.c. sull’ arbitrato rituale del lavoro . . . 20 3.2.1 La novità di un aribitrato rituale ex lege . . . 21 3.2.2 Clausole compromissorie sindacali e compromesso

individuale . . . 22 3.2.3 Divieto di equità . . . .23

3.2.4 Regime di impugnazione del lodo rituale . . . 24 3.2.5 La nuova disciplina degli articoli 808 bis – 808

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2

4 L’arbitrato irrituale ex articolo 5, l. n. 533/1973 . . . .29

4.1 Arbitrato irrituale ex lege ed ex contractu . . . .30

4.2 Natura della clausola compromissoria sindacale . . . .33

4.3 Arbitrato irrituale equitario . . . .34

4.4 Regime di impugnazione del lodo irrituale . . . .35

5 L' arbitrato irrituale ex 412ter c.p.c e regime di impugnazione ed esecutività del lodo ai sensi dell'articolo 412 quater c.p.c . . . 36

5.1 Impugnazione ed esecutività del lodo ex 412 ter c.p.c : l'articolo 412 quater c.p.c . . . .42

6 L' arbitrato irrituale di cui all' articolo 808ter c.p.c . . . .46

CAPITOLO 2 – I nuovi modelli di arbitrato introdotti con il “collegato lavoro” . . . .51

1. Modifiche apportate dal “Collegato Lavoro” in tema di conciliazione stragiudiziale: cenni . . . .51

2. I nuovi metodi di arbitrato: premessa . . . 54

3. L’arbitrato ex articolo 412 c.p.c. . . . 55

3.1 Il contenuto del mandato . . . .59

3.2 Termine per l’emanazione del lodo . . . .59

3.3 La richiesta di decidere secondo equità . . . .60

3.4 L’efficacia del lodo dell’articolo 412 e la sua impugnazione 62 3.5 Efficacia esecutiva del lodo . . . .63

4. L’arbitrato intersindacale . . . 65

5. L’arbitrato proposto davanti al collegio di conciliazione ex articolo 715 quater . . . 67

5.1 Il contenuto degli atti introduttivi della procedura arbitrale ex articolo 412 quater . . . .68

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3

5.2 Il procedimento arbitrale . . . 70

5.3 Il regime delle spese . . . 71

6. Clausole compromissorie nelle controversie di lavoro . . . .73

6.1 Condizioni per la validità delle clausole compromissorie individuali . . . 75

6.2 Il mancato rinvio all’articolo 412 ter da parte dell’articolo 31, comma 10, l. n. 183/2010 . . . 78

7. Arbitrato “certificato” . . . .79

8. Natura dei modelli arbitrali introdotti dal “collegato Lavoro”. Premessa. . . .80

8.1 Gli indici di irritualità degli articoli 412 ss. c.p.c. Il richiamo degli articoli 1372 e 2331, comma 4 c.c. . . .81

8.2 Segue. Il richiamo all’articolo 808 ter . . . .82

8.3 Rapporto di genus ad speciem tra gli articoli 412 e ss c.p.c. e l’articolo 808 ter . . . 83

8.4 L’articolo 412 ter c.p.c.: arbitrato rituale o irrituale? . . . 84

9. Tentativo di ricondurre ad unità gli arbitrati irrituali di lavoro . . . .87

10. Coordinamento di tutte le forme arbitrali . . . 88

CAPITOLO 3 – Le impugnazioni dei lodi arbitrali di lavoro. . . .90

1. Premessa . . . 90

2. L’impugnazione del lodo irrituale. Il regime previgente all’intervento normativo del 2006 . . . .90

3. L’impugnazione del lodo irrituale ex articolo 808 ter c.p.c. . . .92

4. L’elenco di cui all’articolo 808 ter c.p.c. è tassativo? . . . .97

5. Modalità di impugnazione, competenza e termini . . . 100

6. Effetti della sentenza di annullamento . . . 101

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4

8. L’impugnazione del lodi emessi all’esito delle procedure arbitrali introdotte dal “Collegato Lavoro” . . . .104

8.1 Segue. Impugnazione del lodo emesso ai sensi dell’articolo 412 c.p.c. . . 104

8.1.2 La richiesta di decidere secondo equità: conseguenze in sede di impugnazione . . . .107 8.1.3 Il termine lungo annuale, è applicabile? . . . .109 8.1.4 La tutela cautelare . . . 110 8.2 Impugnazione dei lodi emessi ai sensi dell’articolo 412

quater c.p.c. e dalle camere arbitrali istituite presso gli organi di certificazione . . . .111 8.3 Impugnazione del lodo emesso ai sensi dell’articolo 412 ter

c.p.c. . . .112

CAPITOLO 4 – Il tentativo deflattivo perseguito dal legislatore con il “Collegato Lavoro” è fallito? . . . .113

1. Premessa . . . .113 2. Tentativo di trarre una conclusione sui nuovi modelli arbitrali . . 114 3. Le ADR nell’ordinamento italiano . . . 119

3.1 I vantaggi connessi agli ADR . . . 122 4. Atteggiamento dei paesi di Common law verso i modelli ADR. . 123 5. Los viluppo delle procedure ADR negli USA . . . 123

5.1 Il contributo dei giudici per la crescita degli ADR . . . 124 5.2 Il contributo del legislatore per la crescita degli ADR . . . . 125 5.3 Le cause che hanno determinato la crescita dell’ADR negli

USA . . . .126 5.3.1 L’aumento della litigiosità . . . .126 5.3.2 La “critica dell’ipertrofia giuridica” . . . .127

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5

5.3.3 Il controculturalismo e l’ADR . . . .128

5.3.4 Il movimento di privatizzazione . . . .129

5.4 Conclusione sui metodi ADR negli USA oggi. Hanno davvero portato i vantaggi auspicati? . . . 129

6. L’evoluzione dei metodi ADR in Inghilterra . . . 130

6.1 Il processo civile delineato da Judicature Acts: il ruolo delle parti ed il ruolo del giudice . . . 130

6.2 La riforma di Lord Woolf . . . 131

6.2.1 Interim Report e Final Report . . . 131

6.2.2 Il Civile Procedure Rules (CPR) . . . 132

6.2.3 Il Civile Procedure Rules e l’ADR . . . .133

6.3 ADR applicata al diritto del lavoro . . . 135

6.4 Le alternative inglesi al processo civile innanzi alle corti ordinarie . . . .136

6.5 Vantaggi derivanti dall’applicazione dei metodi ADR in Inghilterra . . . 139

Conclusioni . . . 140

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INTRODUZIONE

Scopo di questa tesi è analizzare le nuove procedure arbitrali introdotte per il diritto del lavoro dal Legislatore attraverso la Legge n. 183/2010, comunemente nota col nome di “Collegato Lavoro”.

Si tratta di un intervento normativo che ha inciso a più livelli e che ha avuto un iter di approvazione piuttosto difficoltoso.

Il passaggio più noto senz'altro è la mancata promulgazione da parte del Presidente della Repubblica - Giorgio Napolitano - del testo originariamente approvato ed il conseguente rinvio alle Camere con messaggio motivato: questo da una misura chiara dell'importanza di quelli che sono gli interessi ed i diritti che vengono in gioco, e cioè i diritti del lavoratore, che necessitano di essere tutelati e salvaguardati, essendo egli in una posizione di debolezza economica e contrattuale rispetto alla controparte datoriale.

Per poter meglio comprendere le scelte del legislatore del “Collegato lavoro”– le cui ragioni tuttavia spesso rimangono oscure – si partirà da una disamina della disciplina previgente, su cui la nuova è andata ad insediarsi: emergerà in modo forte il tradizionale atteggiamento di sfavore che fin dall'ordinamento corporativo caratterizza il Legislatore italiano nel disciplinare il fenomeno arbitrale in ambito laburistico , atteggiamento che permane come retaggio storico e di cui non si è riuscito a spogliare del tutto neppure il Legislatore del 2010.

Una volta chiarito il substrato normativo su cui il “Collegato lavoro” è intervenuto, passeremo ad analizzare nel dettaglio le nuove quattro tipologie arbitrali introdotte, una per una, cercando di interrogarci su tutti i punti critici che esse presentano: ad esempio la questione circa la natura, rituale o irrituale, degli arbitrati in esame; l’efficacia esecutiva dei lodi, ed ancora la disciplina dell'impugnazione del lodo emesso al termine di ciascuna procedura arbitrale.

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Preso atto della disciplina dei nuovi arbitrati di lavoro, sorgerà legittimamente la domanda circa quella che potrà essere la loro concreta applicazione ed il loro reale potenziale deflattivo, che poi è la ragione ultima per cui è intervenuto il Legislatore del 2010 nell'introdurre le procedure arbitrali in esame: creare nell'ordinamento italiano degli strumenti, che concretamente possano presentarsi ai cittadini ed anche agli operatori del diritto, come una valida alternativa alla giustizia che si svolge di fronte ai giudici togati, nell'intento di alleggerire il carico di lavoro nei tribunali che grava sui magistrati professionali, e quindi in ultima analisi rendere la giustizia italiana più veloce, snella ed efficiente. Per una disamina completa, da ultimo, cercheremo di svolgere un'analisi comparata, prendendo a riferimento altri ordinamenti - USA e Inghilterra- ed il loro atteggiamento verso i metodi alternativi di risoluzione delle controversie (cd. metodi ADR : Alternative Dispute Resolution) in ambito laburistico ma non solo: nel paesi di Common Law la storia di tali metodi alternativi per la risoluzione delle controversie è importante: essi funzionano ed anzi rappresentano una parte imprescindibile della giustizia tout court. Auspicabile è dunque che anche il legislatore italiano guardi alle esperienze di USA ed Inghilterra e ne tragga spunti positivi da “importare” - con i dovuti adattamenti- nel nostro ordinamento.

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CAPITOLO I

IMPIANTO NORMATIVO SU CUI E' INTERVENUTO IL “ COLLEGATO LAVORO”

1. Il tradizionale sfavore del legislatore nei confronti della giustizia arbitrale: le ragioni; 2. L' inversione ( parziale) di tendenza nell'atteggiamento del legislatore; 3. Quadro normativo su

cui la riforma del “ Collegato lavoro” è intervenuta; 3.1 L' arbitrato rituale: l' evoluzione normativa dell'articolo 808 c.p.c ; 3.1.1 Analisi dei vincoli cui è soggetto l' arbitrato rituale

introdotto con l' articolo 4 l' n. 533/1973: la necessaria previsione da parte della contrattazione collettiva ( articolo 808,2° c., c.p.c); 3.1.2 Segue: la facoltatività della clausola

arbitrale; 3.1.3 Segue: il divieto di decidere secondo equità e di dichiarare il lodo non impugnabile; 3.2 La novella apportata dal d. lgs n. 40/2006 ed il nuovo tenore degli articoli 806 e 808 c.p.c sull'arbitrato rituale del lavoro; 3.2.1 La novità di un arbitrato rituale ex lege;

3.2.2 Clausole compromissorie sindacali e compromesso individuale; 3.2.3 Divieto di equità; 3.2.4 Regime di impugnazione del lodo rituale; 3.2.5 La nuova disciplina degli articoli 808 bis- 808 quinquies; 4. L' arbitrato irrituale ex articolo 5 l. n. 533/1973; 4.1 Arbitrato irrituale

ex lege ed ex contractu; 4.2 Natura della clausola compromissoria sindacale; 4.3 Arbitrato irrituale equitativo; 4.4 Regime di impugnazione del lodo irrituale; 5. L' arbitrato irrituale ex 412ter c.p.c e regime di impugnazione ed esecutività del lodo ai sensi dell'articolo 412 quater c.p.c; 5.1 Impugnazione ed esecutività del lodo ex 412 ter c.p.c: l' articolo 412 quater c.p.c; 6.

L' arbitrato irrituale di cui all'articolo 808 ter c.p.c .

1. Il tradizionale sfavore del legislatore nei confronti della giustizia arbitrale: le ragioni

La legge n. 183 del 2010, cd “Collegato lavoro”, ha inciso profondamente sulla disciplina dell'arbitrato, disciplina che già prima di tale intervento normativo era caratterizzata da una profonda disomogeneità per quel che riguarda le fonti, oltre che da lacune ed imperfezioni tecniche dovute ad un legislatore che tradizionalmente ha sempre cercato di favorire la risoluzione delle controversie di lavoro di fronte all'autorità giudiziaria ordinaria a discapito della giustizia arbitrale.

Tale atteggiamento di sospetto da parte del legislatore nei confronti dello strumento dell'arbitrato per la composizione delle liti laburistiche è dovuto da un lato alla volontà di mantenere accentrato presso il giudice ordinario l' esercizio della funzione giurisdizionale e dall'altro alla considerazione che nelle liti di lavoro nella maggior parte dei casi si devono applicare norme inderogabili, aspetto che per molti costituiva un limite alla

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compromettibilità di esse: in realtà non si deve confondere il concetto di inderogabilità con quello di indisponibilità, infatti la prima rappresenta semplicemente un vincolo per gli arbitri che necessariamente devono attenersi al disposto delle norme inderogabili, mentre è solo la seconda che impedisce che determinate situazioni sostanziali siano oggetto di transazione e dunque di compromesso; inoltre fra inderogabilità e indisponibilità non esiste nessuna corrispondenza biunivoca dunque a ben vedere nulla vieta che controversie laburistiche aventi ad oggetto situazioni giuridiche soggettive disponibili siano devolute alla cognizione di arbitri.

Esiste poi una terza ragione per la quale il legislatore si è sempre dimostrato molto restio nei confronti dello strumento arbitrale in materia di lavoro, e si tratta forse della ragione più pregante, in particolare ci si riferisce alla storica credenza per cui il lavoratore, parte debole del rapporto di lavoro e che quindi deve essere garantito contro le possibili prevaricazioni del datore di lavoro dovute alla sua posizione di forza economica e contrattuale, possa essere meglio tutelato di fronte ad un giudice e quindi riservando al monopolio statuale la risoluzione delle controversie aventi ad oggetto il rapporto di lavoro. Nella sostanza si era andata formando la convinzione per cui una risoluzione della controversia di fronte ad arbitri fosse deteriore per il lavoratore, il quale avrebbe potuto meglio far valere i propri diritti e le proprie prerogative di fronte all'autorità giudiziaria ordinaria.

A ben vedere tuttavia giustificare l' ostracismo verso l' arbitrato facendo valere la posizione di debolezza del lavoratore è frutto di un grave equivoco poiché laddove vi è un collegio ciascuna delle parti nomina il proprio arbitro di fiducia con la possibilità poi di ricusarlo ai sensi dell'articolo 815 c.p.c ( secondo alcuni infatti l' articolo 815 c.p.c è applicabile anche all'arbitrato libero, ma anche laddove si reputi tale norma non estensibile si avrà comunque a disposizione l' azione di revoca del mandato conferito agli arbitri

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ex 1726 c.c) e dunque eliminando problemi circa imparzialità ed indipendenza.

2. L' inversione (parziale) di tendenza nell'atteggiamento del legislatore

Con la novella della legge 183/2010 il legislatore sembra avere in parte abbandonato lo sfavore originario nei confronti della cd “giustizia privata”, dimostrando al contrario una considerevole apertura verso lo strumento arbitrale che è stato notevolmente potenziato tramite una estensione del suo ambito applicativo (alcuni1 hanno ritenuto che tale potenziamento dell'istituto arbitrale vada a controbilanciare l' abbandono della obbligatorietà del tentativo di conciliazione ad opera del rinnovato articolo 410 c.p.c, quasi come se il legislatore della riforma avesse voluto affidare la funzione deflattiva del contenzioso non più alla fase pregiudiziale di conciliazione imposta alle parti ma all'istituto arbitrale), oltre che attraverso l' introduzione di una disciplina più dettagliata che prevede la possibilità anche di una decisione secondo equità.

La riforma dunque ha determinato un quadro normativo particolarmente complesso che presenta non poche difficoltà interpretative e di coordinamento dovute anche alla sovrabbondanza delle forme di arbitrato ad oggi previste dal legislatore. La novella in commento infatti ha predisposto ben cinque2 nuove modalità di devoluzione delle controversie di lavoro

1 Di tale avviso è De Cristofaro, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione

facoltativa ed arbitrato liberalizzato, in Lavoro nella giur., 2011, pag 57 ss. 2 Questo elenco di cinque forme arbitrali è Proposto da Punzi, L' arbitrato per la soluzione delle controversie di lavoro,in Riv. dir. Proc,2011, pag 11 ss. . Tuttavia è interessante notare che circa il numero delle forme arbitrali introdotte non vi sia accordo fra gli interpreti: De Cristofaro per esempio, ne Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, in Lavoro nella giur., 2011, pag 62, individua quattro e non cinque nuove tipologie arbitrali, non includendo quella di cui all'articolo 31, c. 12° l. n. 183/2010.

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ad arbitri : articolo 412; 412 ter; 412 quater c.p.c; 10° e 12° comma, articolo 31,l. n. 183/2010.

3. Quadro normativo su cui la riforma del “Collegato lavoro” è intervenuta

Prima di esaminare nel dettaglio le diverse forme di arbitrato introdotte dal cd. Collegato lavoro, appare doveroso analizzare il substrato normativo su cui la riforma è andata ad incidere anche per meglio comprendere le recenti scelte attuate dal legislatore.

3.1 L' arbitrato rituale: l'evoluzione normativa dell'articolo 808 c.p.c

L' avversione del codice di rito verso l'uso dello strumento arbitrale per la risoluzione delle controversie di lavoro era in origine massima: gli articoli 806 e 808,2°c., c.p.c nella loro stesura originaria del 1942 prevedevano un generale divieto di patto compromissorio nei rapporti di lavoro. In particolare l'articolo 806 c.p.c disponeva il divieto di compromettibilità delle liti di cui agli articoli 429 e 459 c.p.c, mentre l' art 808,2° c., c.p.c sanciva il divieto di inserimento di clausole compromissorie in contratti collettivi di lavoro, accordi economici e norme equiparate oltre che la nullità di pattuizioni volte a sottrarre alla competenza del giudice ordinario la decisione delle liti individuali in materie regolate da norme corporative o da accordi collettivi economici.

Nonostante alcuni abbiano creduto abrogato tacitamente tale regime di totale preclusione verso il mezzo arbitrale di risoluzione delle controversie per effetto della caduta dell'ordinamento corporativo e dell'avvento di quello repubblicano, l' opinione maggioritaria di dottrina e giurisprudenza al contrario ha continuato a ritenere pienamente in vigore i divieti di cui ai agli articoli 806 e 808,2° c.p.c, senza per altro minimamente porsi il problema di una

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incostituzionalità della disciplina del codice di rito rispetto alla nuova carta costituzionale ed in particolare rispetto all'articolo 39 Cost. che, chiaro nella sua portata, sanciva- e sancisce tutt'ora- l' autonomo svolgimento della comunità intersindacale contro ogni possibile ingerenza da parte dello stato.

Così si sono dovuti aspettare ben trent'anni perché si aprisse una, seppur sottile, fessura per quel che riguarda l' arbitrato rituale: l' articolo 4 l. n. 533/1973 ( si tratta della legge istitutiva del rito del lavoro) andando ad incidere sull'articolo 808,2°3 c., c.p.c, ha stabilito che le controversie di cui all'articolo 409 c.p.c possono essere decise da arbitri purché la clausola compromissoria sia prevista in contratti collettivi, non pregiudichi, a pena di nullità, la facoltà di adire l' autorità giudiziaria ordinaria e non autorizzi gli arbitri a pronunciarsi secondo equità o a dichiarare il lodo non impugnabile. Inoltre lo stesso articolo della citata legge ha aggiunto un ulteriore comma all'articolo 808 c.p.c in cui si afferma che il lodo può essere contestato anche per violazione o falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi.

La legge n. 533/ 1973 non ha invece modificato l'articolo 806 c.p.c di conseguenza il riferimento ivi previsto alle controversie di cui agli articoli 429 e 459 c.p.c deve intendersi in modo “dinamico” e dunque deve essere riferito all'articolo 409 c.p.c. ( oggi l'articolo 429 c.p.c regola le modalità con cui deve essere pronunciata la

3 Art 808 c.p.c ( a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 533/1973) Clausola compromissoria. Le parti nel contratto che stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo, siano decise da arbitri, purché si tratti di controversie che possono formare oggetto di compromesso. La clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso ai sensi dell'art. 807, commi 1° e 2°.

le controversie di cui all'art. 409 possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro, purché ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l' autorità giudiziaria. La clausola compromissoria contenuta in contratti o accordi collettivi o in contratti individuali di lavoro è nulla ove autorizzi gli arbitri a pronunciare secondo equità, ovvero dichiari il lodo non impugnabile.

La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce ; tuttavia il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola

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sentenza nel rito del lavoro mentre l' articolo 459 c.p.c è stato abrogato).

Il legislatore poi è tornato ad occuparsi di arbitrato rituale in più occasioni: innanzitutto intervenendo sull'articolo 808 c.p.c con la l. n. 25/1994 specificando che ad essere nulla laddove si dichiari il lodo non impugnabile o si autorizzi la decisione secondo equità, è la clausola compromissoria contenuta in contratti o accordi collettivi o in contratti individuali di lavoro, e spostando per ragioni di armonia sistematica il riferimento all'impugnazione del lodo per violazione o falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi all'articolo 829 c.p.c che come norma generale regola tutti i casi in cui il lodo può essere dichiarato nullo.

3.1.1 Analisi dei vincoli cui è soggetto l'arbitrato rituale introdotto con l' articolo 4 l' n. 533/1973: la necessaria previsione da parte della contrattazione collettiva ( articolo 808,2° c., c.p.c)

Pur avendo consentito un'apertura verso l'arbitrato rituale, il legislatore del 1973 ha previsto allo stesso tempo angusti vincoli per esso: il primo è costituito dalla necessità che la contrattazione collettiva espressamente consenta la compromettibilità di tali liti. Il timore era quello per cui senza una pre-organizzazione collettiva il datore di lavoro avrebbe potuto sfruttare la sua posizione di forza economica e contrattuale costringendo il lavoratore ad avvalersi dello strumento arbitrale in modo non consapevole: dunque per evitare derive di questo tipo si è ritenuto necessario vietare il compromesso individuale e ricorrere al filtro sindacale allo scopo di assicurare una effettiva uguaglianza fra le parti del rapporto.

Cosa succede nell'ipotesi in cui le parti ricorrano ugualmente all'arbitrato in mancanza di una clausola compromissoria collettiva? Si aprono due orizzonti interpretativi forieri di diverse

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conseguenze in particolare per quel che concerne la stabilità del lodo emesso.

Alcuni4 hanno ritenuto che in questa fattispecie abbia luogo un

vizio da far valere ex articoli 828 e 829, n. 1, c.p.c , mentre altri5

hanno ritenuto esperibile un' azione di nullità ex articolo 1418 c.c poiché la violazione di legge è talmente grave da portare alla inesistenza del lodo.

Se si sceglie la prima ricostruzione, il lodo emesso in mancanza di precostituzione collettiva deve essere impugnato di fronte alla corte di Appello nel cui distretto ha sede l' arbitrato ( che deve decidere anche nel merito la causa , salva volontà contraria di tutti i contendenti) entro il termine di 90 giorni dalla sua notifica, ovvero entro 1 anno dalla sua ultima sottoscrizione, dopodiché diviene incontestabile; altrimenti se si propende per la seconda ricostruzione l' azione di nullità va proposta al Tribunale ( che deve solo annullare il lodo arbitrale ma non decidere la causa nel merito) ed è imprescrittibile.

La ricostruzione senz'altro da preferire è quella che ravvisa un'ipotesi di inesistenza del dictum arbitrale da far valere ex articolo 1418 c.p.c poiché l'arbitrato condotto senza la precostituzione collettiva ha per oggetto una lite non compromettibile per carenza di un presupposto necessario, anche se non sufficiente, per rendere arbitrabile una controversia che in linea di principio non lo sarebbe. Ad ulteriore sostegno della teoria dell'inesistenza del lodo bisogna considerare anche che optando per la prima ricostruzione risulterebbe alquanto semplice eludere il divieto di arbitrato individuale senza previsione della clausola compromissoria da parte della contrattazione collettiva, essendo sufficiente per le parti accordarsi per far decorrere i termini di cui all'articolo 828,1° e 2° c., c.p.c vanificando la disciplina posta dal legislatore nell'intento di offrire tutela al lavoratore, parte debole del rapporto.

4 M. Grandi, Arbitrato nelle controversie di lavoro, in Enc. Dir., 1997, pag 106

5 Di tale avviso è Cecchella, L' arbitrato nelle controversie di lavoro, 1990,pag 292.

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3.1.2 Segue: la facoltatività della clausola arbitrale

Il secondo vincolo posto dall'articolo 808,2° c., c.p.c è costituito dalla necessità che la clausola compromissoria prevista dalla contrattazione collettiva non pregiudichi la facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria ordinaria.

In mancanza di una tale previsione la giurisprudenza unanime ha ritenuto che si sarebbe configurata una ipotesi di arbitrato obbligatorio e come tale in violazione degli articoli 24 e 102 della costituzione: le parti della controversia infatti non sarebbero state nella condizione di poter scegliere liberamente di rivolgersi ad arbitri piuttosto che al giudice ordinario, ma al contrario sarebbero stati vincolati alla previsione collettiva di ricorrere allo strumento arbitrale.

Dunque questo vincolo posto dal legislatore del 1973 non ha nulla a che fare con la volontà di scoraggiare il ricorso all'arbitrato ma piuttosto è posto al fine di salvaguardare esigenze costituzionali e valorizzare la volontà dei singoli contro lo strapotere collettivo.

Il vincolo in esame ha sollevato un dibattito circa la vera natura della clausola compromissoria sindacale e il rapporto di questa con il patto individuale e l'esercizio dell'azione in giudizio.

Alcuni a proposito della clausola compromissoria collettiva hanno parlato di “clausola bilateralmente facoltativa”6 immediatamente

vincolante per le parti ferma restando la facoltà di esse di derogarvi manifestando una volontà contraria. Sposando tale teoria, al fine di instaurare il processo arbitrale, non sarebbe necessario sottoscrivere di volta in volta un patto compromissorio individuale, essendo sufficiente per la parte iniziare il procedimento sulla base dell'accodo collettivo, salvo il diritto dell'altra parte di recedere dalla clausola sindacale.

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Si tratta di una ricostruzione sicuramente degna di nota in quanto avvallata dalla dottrina maggioritaria, ma è evidente che si presta ad alcune obiezioni: la contrattazione collettiva infatti è fonte di eterocomandi rispetto agli associati, dunque se si consentisse ai contendenti di compromettere la controversia semplicemente servendosi della clausola posta dalla volontà collettiva senza una manifestazione ex professo della loro volontà di cominciare l' arbitrato, saremmo di fronte ad un regime non completamente libero per le parti della controversia le quali risulterebbero vincolate, seppur in modo labile (potendo recedere dalla clausola tramite una manifestazione espressa di volontà in tal senso), da una clausola espressione di volontà altrui.

Per queste ragioni appare preferibile accogliere la teoria7 per cui la legge richiede sempre una scelta consapevole e manifestata ex professo dalle singole parti a favore della compromissione in arbitri, con la conseguenza che le clausole compromissorie sindacali non integrano un arbitrato bilateralmente facoltativo ma semplicemente rappresentano una sorta di autorizzazione a che le parti singolarmente compromettano la lite.

Dunque una volta chiarita la natura della clausole compromissorie sindacali come pattuizioni autorizzative per le parti della facoltà di stipulare a livello individuale accordi arbitrali, risulta più semplice rispondere all'annosa questione di quale sia il momento ultimo in cui le parti possono esercitare l' opzione giurisdizionale: non integrando le clausole collettive arbitrali delle clausole bilateralmente facoltative, non si dovrà procedere ad una indagine negativa volta a verificare se le parti abbiano manifestato una volontà incompatibile con quella di avvalersi dello strumento arbitrale, né valutare comportamenti concludenti; al contrario si

7 Punzi, L' arbitrato nelle controversie di lavoro, in Riv. Arb., 2001, pag.389 ss; dello stesso ordine di idee anche Cecchella, L' arbitrato nelle controversie di lavoro 1990, pag. 294.

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dovrà procedere con una analisi positiva al fine di appurare se esiste una comune volontà della parti di compromettere la lite.

Se questa è la ricostruzione più corretta allora diventa di cruciale rilevanza analizzare con quali modalità la volontà individuale, esecutiva di quella collettiva, debba manifestarsi correttamente. Nulla quaestio in presenza di una vera e propria clausola compromissoria stipulata fra datore e lavoratore: è in difetto di essa che sorgono dubbi interpretativi per risolvere i quali bisogna partire dall'unico appiglio di diritto positivo rinvenibile, ossia il combinato disposto degli articoli 807 ed 808,1° c., c.p.c secondo cui le pattuizioni per arbitrato irrituale devono essere concluse ad substantiam in forma scritta.

Sulla base di queste norme è sicuramente da escludere che tale manifestazione di volontà dei singoli contendenti possa essere rinvenuta nell'atto di affiliazione sindacale che spesso si riduce nella compilazione di un modulo prestampato in cui la clausola compromissoria non viene nemmeno menzionata; così allo stesso modo non è consentito trarre tale volontà da comportamenti concludenti anche perché in tale ultima ipotesi la volontà (implicita) di compromettere verrebbe espressa a lite già insorta e dunque non tramite clausola compromissoria ma attraverso compromesso, il che è vietato dall'articolo 806 c.p.c. .

Diverso è il caso in cui il contratto individuale rimandi a quello collettivo nel quale è inserita la clausola compromissoria. Anche in tale ipotesi tuttavia non può attribuirsi nessuna rilevanza al mero richiamo al contratto collettivo nella sua globalità, non avendo tale clausola compromissoria collettiva immediata portata imperativa e vincolante per le parti: dunque si rende necessaria anche in questo caso una manifestazione espressa di volontà dei singoli a favore dell'arbitrato.

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Che cosa succede nell'ipotesi in cui il lodo sia stato reso senza che a fronte della clausola compromissoria collettiva si riscontri una manifestazione di volontà compromissoria individuale?

Come già rilevato con riferimento alla mancanza di clausola sindacale (primo vincolo posto dalla legge n. 533/1973), anche in questo caso si deve ritenere integrata una violazione di legge talmente grave da condurre alla inesistenza del lodo da far valere con un'azione di nullità ai sensi dell'articolo 1418 c.c..

Nell'ipotesi in cui la clausola compromissoria sindacale non faccia ex professo salva la facoltà di adire l'autorità giudiziaria ordinaria, non si ritiene che si integri in tal modo un vizio, poiché l'opzione giurisdizionale deve intendersi implicita per effetto di quello che dispone l'articolo 808,2° c., c.p.c. .

Diverso è il caso in cui la clausola arbitrale collettiva espressamente precluda alle parti la possibilità di ricorrere al giudice statuale, vincolando le stesse all'opzione arbitrale: in questa ipotesi siamo di fronte ad un vizio che va a determinare la completa nullità della clausola collettiva, nullità che si estenderà automaticamente anche alla clausola compromissoria individuale dal momento che essa si è formata in mancanza delle condizioni previste come imprescindibili dalla legge.

3.1.3 Segue: il divieto di decidere secondo equità e di dichiarare il lodo non impugnabile

Infine l'ultimo vincolo posto dalla legge n. 533/1973 all'arbitrato rituale è rappresentato dal divieto di decidere secondo equità e di sancire la non impugnabilità del lodo.

La ratio di tale vincolo da alcuni è stata individuata nella volontà del legislatore di preservare l'inderogabilità della normativa posta a tutela del lavoratore che - se si consentisse di giudicare secondo equità- ben potrebbe essere aggirata; altri8 invece ritengono che tale

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limite debba essere inquadrato nel generale disegno di scoraggiamento all'utilizzo dello strumento arbitrale al fine di assicurare il monopolio giurisdizionale allo stato.

Tuttavia il vincolo di cui all'articolo 808,2°c., c.p.c non ha portata assoluta essendo ammessa l'equità integrativa a cui si può ricorrere quando la legge presenta delle lacune.

In ogni caso quale che sia lo scopo del legislatore, il divieto di decidere secondo equità è un limite che ha suscitato rammarico poiché è innegabile che gli arbitri, molto più dei giudici ordinari, sarebbero adatti a rendere una decisione equitativa in quanto riescono ad instaurare un rapporto più stretto e diretto con le parti litigati rispetto ad un magistrato, e quindi ben potrebbero emettere un dictum il più vicino possibile alla effettiva giustizia sostanziale del caso concreto.

Il divieto di decidere secondo equità è legato a doppia corda con il divieto di dichiarare il lodo non impugnabile: per l'ennesima volta traspare l'intento del legislatore di sfavorire la devoluzione della controversia ad arbitri in questo caso consentendo sempre un completo controllo da parte del giudice statuale sulla pronuncia arbitrale, mortificando la sua stabilità.

Laddove il divieto di decidere secondo equità o quello di dichiarare il lodo non impugnabile non vengano rispettati dalla clausola compromissoria sindacale allora essa deve ritenersi completamente invalida anche laddove gli arbitri in concreto (pur essendo autorizzati a ricorrere all'equità) abbiano deciso secondo diritto: in questo caso infatti il lodo sarebbe scaturito da un patto compromissorio nullo ab origine essendo violato uno dei vincoli posti dal legislatore.

lavoro, in Enc. Dir., 1997,105; Checchella, Le riforme dell'arbitrato nelle controversie di lavoro privato e pubblico, in Massimario di Giurisprudenza del lavoro,1999, pag .188.

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Tuttavia è da ritenere che in questo caso il vizio che deriverebbe dalla violazione di tali divieti non è quello dell'inesistenza del lodo, da far valere con l' azione di nullità imprescrittibile ex articolo 1418 c.c, ma stante la minore gravità, si tratterebbe di un vizio rilevabile ai sensi dell'articolo 828 ss. c.p.c e dunque da far valere entro termini precisi oltre i quali automaticamente si sanerebbe.

Diversamente da quanto accade nel processo del lavoro e per l'arbitrato disciplinato all'articolo 412 ter c.p.c, l'arbitrato rituale in esame non deve essere preceduto dal tentativo di conciliazione ex articolo 410 c.p.c. A favore di tale impostazione interpretativa si deve considerare che il tentativo di conciliazione di cui all'articolo 410 c.p.c ha una finalità deflattiva del contenzioso di fronte ai giudici statuali: nel nostro caso tale funzione viene svolta dallo strumento arbitrale in sé, di conseguenza l'esperimento del tentativo di conciliazione costituirebbe solo un elemento che andrebbe ad appesantire e complicare l'iter procedimentale.

3.2 La novella apportata dal d. lgs. n. 40/2006 e il nuovo tenore degli articoli 8069 e 80810 c.p.c sull'arbitrato rituale del lavoro

Il legislatore è poi tornato ad intervenire sull'arbitrato rituale ed in particolare sull'articolo 806 c.p.c, con il d.lgs. 40/2006 tramite il quale la garanzia dell'alternativa giurisdizionale a favore del singolo è venuta meno attraverso l'abrogazione dell'art. 808,c 2°

9 Articolo 806 c.p.c. Compromesso. Le parti possono far decidere da arbitrale controversie fra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge.

Le controversie di cui all'articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro. 10 Articolo 808 c.p.c Clausola compromissoria. Le parti nel contratto che stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri, purché si tratti di controversie che possono formare oggetto di convenzione d' arbitrato. La clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall'articolo 807 c.p.c.

La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; tuttavia il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola

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c.p.c ma facendo rimanere in vigore la necessità della precostituzione collettiva ( nuovo articolo 806, co. 2° c.p.c). In ogni caso tramite la novella del 2006 è venuto meno il divieto generale di arbitrato del lavoro e il limite dell'arbitrabilità è stato correttamente ricondotto alla indisponibilità dei diritti è non più alla inderogabilità delle norme applicabili (articolo 806 c. 1°, c.p.c). Oggi il nuovo articolo 806 c.p.c nell'individuare le controversie che possono essere oggetto di arbitrato fa riferimento alla disponibilità del diritto in maniera diretta, diversamente dalla normativa previgente in cui il criterio della disponibilità del diritto si ricavava solo indirettamente11 determinando di conseguenza alcuni problemi interpretativi12.

3.2.1 La novità di un arbitrato rituale ex lege

Anche il monopolio sindacale nella previsione e disciplina di un arbitrato rituale del lavoro è stato scalfito dalla novella del 2006 infatti oggi l'articolo 806,1° c., c.p.c prevede accanto ad un arbitrato rituale ex contractu, un arbitrato rituale ex lege.

La previsione di un arbitrato del lavoro ex lege rende necessaria la stipula di una convenzione individuale, traducendosi altrimenti la

11 La normativa previgente adottava un criterio misto: da un lato individuava espressamente alcune controversie non compromettibili, dall'altro faceva ricorso ad un criterio generale, rinviando alle controversie, che possono essere oggetto di transazione. L' arbitrabilità della controversia pertanto era riferibile alla natura disponibile del diritto, oggetto della stessa, solo in via indiretta tramite il richiamo all'articolo 1966,2° c., c.c. .

12 In particolare in giurisprudenza ed anche in dottrina spesso si era posto il dubbio circa l' arbitrabilità della controversia relativa ad un contratto illecito: l' articolo 1972 c.c prevede infatti la nullità della transazione relativa ad un contratto illecito, dunque si poteva affermare che le controversie relative ad un contratto illecito, in virtù del rinvio operato dal previgente articolo 806 c.p.c alle controversie che possono formare oggetto di transazione, e considerando che è intransigibile la controversia relativa ad un contratto illecito, non potessero essere decise da arbitri.

La ratio dell'articolo 1972 c.c è senz'altro quella di evitare concessioni patrimoniali (necessità specifica della transazione) che trovano la loro causa nella illiceità del contratto, ma a ben vedere tale inconveniente non si verifica nell'arbitrato posto che il lodo può e deve dichiarare la inefficacia del contratto illecito.

La nuova formulazione della norma in commento tuttavia supera ogni problema dunque ad oggi nessun ostacolo si pone alla arbitrabilità delle controversie in relazione alle quali sa rilevante la illiceità del contratto.

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previsione in un incostituzionale arbitrato obbligatorio: l'arbitrato deve infatti sempre trarre la sua fonte un una scelta volontaria e consapevole della parte che può precedere o seguire il sorgere della controversia, nelle diverse alternative della clausola compromissoria o del compromesso.

3.2.2 Clausole compromissorie sindacali e compromesso individuale

Come anticipato poco sopra il legislatore del 2006 è intervenuto sull'articolo 808 c.p.c abrogando il 2° comma che consentiva clausole compromissorie intersindacali purché non vincolanti per il singolo affiliato, e dunque facendo venire meno la garanzia dell'alternativa giurisdizionale per il singolo.

Alla luce di tale intervento dobbiamo chiederci se in tal modo non sia stato codificato un potere dell'associazione sindacale di imporre al singolo la via arbitrale: anticipando la soluzione, la risposta di tale quesito non può che essere negativa, non producendo il nuovo assetto normativo un così drastico svilimento dell'autonomia individuale.

A sostegno della soluzione appena offerta si deve ricordare infatti che l'arbitrato rituale necessità di un patto manifestato per iscritto a pena di nullità (art 807, 1 comma c.p.c in combinato disposto con l'articolo 808 1° comma, c.p.c) pertanto la clausola sindacale contenuta nel contratto o accordo collettivo non è un patto compromissorio vero e proprio bensì un negozio che autorizza le parti alla stipula di un patto compromissorio individuale.

Di conseguenza nell'arbitrato rituale nessun rilievo può essere attribuito alla condotta delle parti ed in particolare ai comportamenti concludenti o al silenzio giuridicamente qualificato: al contrario, è bene rimarcarlo, nell'ambito rituale è necessaria una esplicita volontà compromissoria di ambo le parti individuali in forma scritta, a pena di radicale nullità del processo arbitrale e del suo epilogo.

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Nella diversa ipotesi in cui invece sia la clausola sindacale sancire la via arbitrale come obbligatoria vietando ogni contraria volontà degli affiliati di sottrarsi ad essa, allora tale clausola deve ritenersi nulla ed il vizio corrispondente deve essere fatto valere per mezzo dell'articolo 829, c. 1°, n. 1 ovvero con l'impugnativa per nullità del lodo.

3.2.3 Divieto di equità

Ulteriore peculiarità dell'arbitrato rituale del lavoro era il divieto di decidere secondo equità espressamente sancito all'articolo 808, 2° c. c.p.c. Anche questa norma è venuta meno per effetto dell'abrogazione delle regole laburistiche contenute nell'articolo 808, 2° c., c.p.c.

Tuttavia il principio che qui era previsto non può dirsi mutato nella sostanza poiché esso ricompare nell'articolo 829, c. 4° e 5° c.p.c laddove è sancita - contro ogni diversa determinazione volontaria, sia a livello individuale che collettivo- la impugnabilità in ogni caso del lodo rituale del lavoro per violazione di regola di diritto che ha fonte nella legge o nel contratto collettivo.

Dunque per quel che concerne l'equità, pur essendo venuto meno l'articolo 808,2° c., c.p.c., nulla risulta essere mutato rispetto al passato: una risoluzione equitativa della controversia non è ammessa per l'arbitrato rituale, mentre al contrario all'equità si può ricorrere nell'ambito del' arbitrato irrituale; di conseguenza possiamo dire che l'equità continua a fare da spartiacque tra le due diverse specie di arbitrato del lavoro.

Chiaramente quando parliamo di divieto di decisione secondo equità nell'arbitrato rituale, ci si riferisce all'equità sostitutiva (ipotesi in cui la regola equitativa si sostituisce integralmente la regola di diritto positivo) essendo invece pienamente ammessa l'equità integrativa laddove è la stessa regola di diritto positivo a rinviare per particolari aspetti all'equità.

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3.2.4 Regime di impugnazione del lodo rituale

Il lodo rituale del lavoro è impugnabile con i mezzi ordinari di impugnazione del lodo arbitrale ex articolo 827 c.p.c, con l'aggiunta nell'ambito dell'impugnativa dei vizi per nullità della violazione e falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi (si tratta dell'unica possibilità di riesame circa l'accertamento dei fatti, altrimenti l'impugnativa del lodo rituale è di stretto diritto sostanziale e processuale).

Per il resto è applicabile il regime comune: il termine per impugnare è di 90 giorni dalla notifica del lodo, o in difetto, 1 anno dalla sua ultima sottoscrizione, di fronte alla corte di appello nel cui distretto ha avuto sede l'arbitrato (art 828 c.p.c).

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3.2.5 La nuova disciplina degli articoli 808 bis- 808 quinquies c.p.c

In origine il capo I del titolo VIII del libro IV comprendeva gli articoli da 806 a 809. Tramite l'intervento del legislatore del 2006 sono state introdotte ulteriori disposizioni in particolare gli articoli 808 bis13, 808 ter14, 808 quater15, 808 quinquies16.

L' art 808bis ha la finalità di rendere spendibile la via arbitrale in relazione a controversie future che non trovino la loro fonte in un contratto, possibilità che invece in precedenza era esclusa dal vecchio combinato disposto degli articoli 807 e 808 c.p.c laddove le controversie di natura non contrattuale potevano essere deferite ad arbitri soltanto se già insorte fra le parti e quindi oggetto di compromesso ex articolo 807 c.p.c .

13 Articolo 808 bis. Convenzione di arbitrato in materia non

contrattuale. Le parti possono stabilire, con apposita convenzione, che siano decise da arbitri le controversie future relative ad uno o più rapporti non contrattuali determinati. La convenzione deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall'articolo 807.

14 Articolo 808ter. Arbitrato irrituale. Le parti possono, con

disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall'articolo 824 bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo

il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:

1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;

2)se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;

3)se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812;

4)se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;

5)se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l' art 825.

15 Articolo 808quater. Interpretazione della convenzione di arbitrato. Nel dubbio la convenzione dia arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce.

16 Art 808quinquies. Efficacia della convenzione di arbitrato. La conclusione del procedimento arbitrale senza pronuncia sul merito, non toglie efficacia alla convenzione d' arbitrato.

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Possiamo dunque dire che con tale disposizione il legislatore ha fatto un ulteriore passo in avanti nel riconoscere l' efficacia di convenzioni arbitrali relative a controversie non ancora insorte ( che non vanno confuse con un contratto preliminare di compromesso essendo al contrario l' atto su cui si radica il potere degli arbitri di decidere la controversia): in origine era previsto solo il compromesso, poi si consentì la clausola compromissoria in materia contrattuale ed oggi anche in materia non contrattuale. In ogni caso anche a seguito dell'introduzione dell'articolo 808bis, rimane ferma l'esigenza che la controversia sia relativa ad un rapporto determinato, ancorché futuro, e questo comporta delle difficoltà se si tiene conto del fatto che i due principali settori di controversie non contrattuali sono i diritti reali ed i fatti illeciti. Per quel che riguarda i diritti reali è la struttura degli stessi che rende ardua la determinazione del rapporto, infatti il titolare del diritto reale teoricamente può entrare in relazione con qualsiasi soggetto dell'ordinamento con la conseguenza che il rapporto è facilmente determinabile ex uno latere, ma altrettanto non si può dire rispetto all'altro lato.

Anche riguardo ai fatti illeciti si pongono non pochi problemi, infatti non è facile immaginare che due soggetti possano stipulare una clausola compromissoria per le controversie relative ai danni che reciprocamente possano verificarsi in dipendenza di fatti illeciti. Qui invero la mancanza del fatto storico non consentirebbe di individuare il diritto per cui si controverte con la conseguenza che la convenzione non avrebbe ad oggetto un rapporto determinato.

L' art 808ter merita un'analisi separata essendo una disposizione totalmente innovativa17 che si propone quale obiettivo quello di mettere un punto all'annoso dibattito generato dalla considerazione delle caratteristiche e dei problemi posti dall'arbitrato irrituale.

17 Disposizione “totalmente innovativa”: Luiso , Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006, 261

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L' art 808quater ha assolto al compito di invertire un consolidato principio giurisprudenziale: la Cassazione infatti riteneva stabilmente ormai che in caso di dubbio ( che può essere evitato tramite una attenta formulazione della convenzione arbitrale) in ordine alla portata della clausola compromissoria, dal momento che essa rappresenta una deroga alla giurisdizione statale, doveva preferirsi una interpretazione restrittiva della stessa18.

Si riteneva che di fronte al deferimento di una controversia al giudizio di arbitri, comportando la sottrazione delle parti al loro giudice naturale precostituito per legge, imponesse in qualsiasi caso di dubbio in ordine all'interpretazione della portata del compromesso o della clausola compromissoria, di preferire una lettura restrittiva degli stessi e allo stesso tempo affermativa della giurisdizione statale: tale principio affermato dalla Cassazione in più occasioni, rappresentava un chiaro retaggio dell'originario atteggiamento di avversione totale all'arbitrato.

Tale principio era stato fatto oggetto di numerose critiche in dottrina, e questa è stata la ragione per cui l'introduzione dell'articolo 808quater c.p.c è stata salutata con largo favore dai più.

La norma in commento, che esprime una ben precisa scelta di politica legislativa di favor arbitrati, mira ad incentivare l'interpretazione estensiva delle convenzioni arbitrali in caso di dubbio circa l'ampiezza del loro ambito operativo, e rappresenta il primo tentativo del legislatore italiano di risolvere alcune questioni concernenti l'ermeneutica del patto arbitrale che in precedenza avevano dato luogo a soluzioni non univoche.

Da alcuni l'articolo in commento è stato ritenuto derogabile dalle parti che ben potrebbero prevedere che la convenzione di arbitrato abbia ad oggetto soltanto le controversie nella stessa espressamente

18 Cass 26 Aprile 2005, n. 8575; nello stesso senso Cass 25 Agosto 1998 n. 8410; Cass 28 Luglio 1998 n. 7398; Cass 27 Febbraio 1991 n. 2132.

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indicate; tale tesi è senz'altro da preferire a quella che vede l'articolo 808quater c.p.c come norma rigidamente inderogabile, essendo maggiormente in linea con il principio della supremazia della volontà delle parti nella disciplina del fenomeno arbitrale.

L' art 808quinquies c.p.c contiene un principio generale, rispondente ad esigenze di economia processuale e di tutela della volontà delle parti di devolvere la lite alla decisione degli arbitri: la convenzione di arbitrato non perde effetti, per il solo fatto che il processo arbitrale si sia concluso senza una decisione di merito. In sostanza la norma in esame nega che alla convenzione di arbitrato si applichi il principio del ne bis in idem o più correttamente quello di Einmaligkeit che per intenderci è quello previsto per la proposizione di una impugnazione.

Chiaramente la disposizione in esame deve essere coordinata con la disciplina positiva ed anche con i principi generali.

Sotto il primo profilo infatti sussistono disposizioni specifiche che, alla mancata pronuncia di un lodo di merito, ricollegano il venir meno della convenzione di arbitrato; per quel che concerne il secondo profilo invece necessariamente si deve andare a verificare la ragione che ha portato alla chiusura del processo arbitrale senza una decisione nel merito: evidentemente per esempio se tale motivo è la invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato la pronuncia che dichiara tale vizio fa stato fra le parti e quindi impedisce la instaurazione di un nuovo arbitrato relativo alla medesima controversia, o anche in relazione a tutte le controversie previste nella clausola compromissoria.

A contrario inoltre, la disposizione in commento non comporta automaticamente che ogni qual volta vi sia una pronuncia nel merito allora la convenzione debba perdere la propria efficacia, l'articolo 808quinquies va infatti coordinato con la disciplina delle impugnazioni di cui all'articolo 830 c.p.c ed in particolare con quella che riguarda il giudizio rescissorio svolto dinnanzi alla corte di appello. Ove quest'ultimo sia escluso (questo può avvenire per

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espressa volontà delle parti ex articolo 830, 2° comma, c.p.c) allora si avrà una sorta di ultrattività della potestas iudicandi degli arbitri dovendo il giudizio rescissorio svolgersi innanzi ad essi (a meno che ai sensi dell'articolo 830, 3° comma, c.p.c “la nullità dipenda dalla sua invalidità o inefficacia.”).

4. L' arbitrato irrituale ex articolo 5, l. n. 533/197319

Come abbiamo visto il codice del 1940 prevedeva un regime di totale inarbitrabilità delle liti laburistiche, con il divieto espresso di patto compromissorio individuale oltre che collettivo.

A fronte di tale divieto assoluto chi intendeva ricorrere alla via arbitrale poteva aggirare l'ostacolo attraverso la stipulazione di patti compromissori irrituali, principalmente di fonte sindacale (nella prassi si svilupparono principalmente clausole compromissorie di carattere collettivo, ma a dire il vero non vi era nessuna regola ostativa alla stipulazione di clausole compromissorie direttamente fra le parti individuali e senza una previa autorizzazione sindacale). Un primo riconoscimento da parte del legislatore dell'arbitrato irrituale in campo laburistico si è avuto con l'articolo 7, l. n. 604/1966 in materia di licenziamenti individuali: questa è l'occasione in cui per la prima volta viene ad essere utilizzato il nomen “irrituale” per disciplinare una forma alternativa di risoluzione delle controversie rispetto alla via giurisdizionale. Successivamente l' articolo 7 , l. n. 300/1970 ha previsto un ulteriore arbitrato irrituale in materia di sanzioni disciplinari, in cui veniva disciplinata solo la fase introduttiva dell'arbitrato, senza nessuna indicazione circa lo svolgersi del procedimento, circa il lodo, la sua natura ed il suo regime di impugnazione: a ben vedere in realtà lo statuto dei lavoratori non compie apparentemente

19 Articolo 5 l. n 533/1973 L' arbitrato irrituale. Nelle controversie riguardanti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile l' arbitrato irrituale è ammesso soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero dai contratti o accordi collettivi. In quest'ultimo caso, ciò deve avvenire senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria.

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nemmeno una scelta chiara in ordine alla natura dell'arbitrato dal momento che non specifica se trattasi di arbitrato libero o rituale. In ogni caso tanto l'articolo 7, l. n. 604/ 1966 quanto l'articolo 7, l. n. 300/1970 non costituivano norme generali in tema di arbitrato irrituale di lavoro poiché contenevano una disciplina applicabile solo ad alcune particolari controversie laburistiche.

È solo con la l. n. 533/1973 che per la prima volta viene disciplinata in via generale la materia attraverso l'introduzione di una nuova fattispecie di arbitrato irrituale: con l'articolo 5 della l. n. 533/1973 si disciplina un unico regime di devoluzione delle controversie ad arbitri irrituali.

Il legislatore tramite la disposizione in commento ammette per i rapporti di cui all'articolo 409 c.p.c una risoluzione arbitrale purché ciò sia consentito espressamente dal legislatore ovvero dal contratto o accordo collettivo, mediante clausola compromissoria intersindacale, e purché non venga preclusa la facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria ordinaria.

Circa la necessaria previsione della clausola di salvaguardia valgono le stesse considerazioni che abbiamo fatto per l'arbitrato rituale, di conseguenza anche in questo caso la clausola sindacale che vietando alle parti la possibilità di adire l'autorità giudiziaria, le obbliga a ricorrere allo strumento arbitrale, è invalida e tale invalidità si va a ripercuotere sul lodo che potrà essere impugnato tramite l'azione di nullità ex articolo 1418 c.c.

Prima del d. lgs. n. 80/1998 vi era anche chi riteneva che tale vizio dovesse essere fatto valere nei modi di cui all'articolo 2113, 2° e 3° c., c.c : avendo l' intervento normativo del 1998 abrogato i commi 2° e 3° dell' articolo 5, l. n. 533/1973 in cui era contenuto il rimando all'art 2113 c.c, oggi residua solo la disciplina generale della nullità.

4.1 Arbitrato irrituale ex lege ed ex contractu

Diversamente da quanto previsto per l' arbitrato rituale ex articolo 4 l. n. 533/1973, nell'articolo 5 della medesima legge si fa espresso

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riferimento anche ai casi contemplati dalla legge e non solo a quelli disciplinati nei contratti collettivi, con la possibilità dunque di distinguere un arbitrato irrituale ex lege ed ex contractu: la ragione della non perfetta corrispondenza letterale fra il testo dei due articoli va ravvisata nella volontà del legislatore attraverso l' articolo 5, di far salve tutte le forme di arbitrato libero disciplinate dalle varie normative speciali ( es: arbitrato sui licenziamenti ex articolo 7, co. 5, l. n. 604; arbitrato sulle sanzioni disciplinari ex articolo 7, co. 6° e 7°, St. lav. ; ed alti) .

Quando l'arbitrato irrituale ha fonte nella legge necessariamente esso muove da un patto compromissorio individuale: in alcuni casi come vera e propria clausola del contratto individuale per tutte le controversie future che vi hanno titolo, in altri come compromesso individuale perfezionato a controversia già insorta.

In ogni caso tutti gli arbitrati irrituali ex lege hanno matrice da un patto compromissorio individuale: dunque possiamo dire che pur in ipotesi tipizzate (ipotesi di risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro ammesse dal legislatore) ha accesso nel diritto del lavoro un arbitrato individuale ad hoc e non sindacalizzato infatti le parti possono accedere alla via arbitrale autonomamente senza dover prestare ossequio ai modi ed alle forme preorganizzate dal contratto collettivo.

Nel caso di arbitrato irrituale ex contractu l'autonomia individuale è molto attenuata in favore di quella collettiva, tuttavia il legislatore si è preoccupato di assicurare che la prevalenza dell'autonomia collettiva non giungesse sino al punto di pregiudicare la facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria (clausola di salvaguardia). In difetto di una esplicita previsione di tale garanzia il legislatore avrebbe sancito un arbitrato obbligatorio: al contrario invece la mera affiliazione sindacale delle parti non è sufficiente a trasferire nella sfera individuale il vincolo scaturente dalla clausola compromissoria intersindacale.

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In sostanza la fattispecie costitutiva dell'effetto derogativo della giurisdizione dello stato deve contenere due elementi: una volontà delle opposte associazioni sindacali manifestata nel contesto di un contratto o accordo collettivo, seguita da un patto adesivo delle parti individuali20.

Nell'ipotesi in cui manchi uno dei due requisiti necessari ad integrare la fattispecie derogativa della giurisdizione statale e cioè laddove manchi una precostituzione sindacale oppure laddove vi sia una clausola sindacale che vietando alle parti la possibilità di adire l' autorità giudiziaria, le obbliga a ricorrere allo strumento arbitrale, allora il regime è quello della radicale nullità del lodo da far valere tramite l' azione di nullità ex articolo 1418 c.c. , infatti i soggetti che hanno emanato il lodo sono privi di qualsiasi potere decisorio.

Prima del d. lgs. n. 80/1998 vi era anche chi riteneva che tale vizio dovesse essere fatto valere nei modi di cui all'articolo 2113, 2° e 3° c., c.c: avendo l'intervento normativo del 1998 abrogato i commi 2° e 3° dell'articolo 5, l. n. 533/1973, in cui era contenuto il rimando all'articolo 2113 c.c, oggi residua solo la disciplina generale della nullità rilevabile in ogni sede, da chiunque ed in ogni tempo.

Diverso è il caso in cui la clausola collettiva non preveda espressamente la possibilità di adire l'autorità giudiziaria: si può ritenere che tale facoltà sia inserita in maniera implicita nell'accordo arbitrale.

20 Secondo alcuni la necessità della doppia manifestazione collettiva e

necessariamente individuale ( con divieto di deleghe in bianco alle associazioni a momento della affiliazione) è una delle tante manifestazioni del legislatore ordinario di sfavore verso la risoluzione arbitrale delle controversie , la cui costituzionalità in relazione al principio di libertà contrattuale ex articolo 41 Cost. e di libertà sindacale ex 39 Cost. pare assai dubbia.

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4.2 Natura della clausola compromissoria sindacale

Anche in questo caso a proposito della natura della clausola compromissoria intersindacale valgono le considerazioni fatte in precedenza, per cui anche in tale ipotesi non siamo di fronte ad un arbitrato bilaterale facoltativo, ma semplicemente ad un nullaosta, ad una mera autorizzazione a che le parti a loro volta stipulino un accordo arbitrale. Dunque è bene ricordare che affinché si integri la fattispecie costitutiva dell'effetto derogativo alla giurisdizione statale, accanto alla clausola compromissoria sindacale deve sempre esserci un patto compromissorio espresso (non è sufficiente la mera affiliazione all'associazione sindacale) delle parti individuali.

Una significativa differenza rispetto all'arbitrato rituale risiede nel fatto che le parti possono attuare la clausola intersindacale non solo tramite clausola compromissoria ma anche tramite compromesso21 ( manca per l' arbitrato irrituale una previsione del tenore dell'articolo 806 c.p.c), inoltre dal momento che l' accordo per arbitrato irrituale necessita della forma scritta solo ad probationem allora assumeranno rilevanza anche comportamenti concludenti del datore di lavoro e del lavoratore da cui traspaia in maniera inconfondibile la volontà di essi di deferire la controversia ad arbitri.

Comportamenti ai quali nella pratica è stato dato rilievo come indicativi di una chiara volontà di avvalersi della via arbitrale sono ad esempio la nomina del proprio arbitro, la domanda rivolta ad un collegio intersindacale precostituito oppure anche il deposito della memoria difensiva con difese solo nel merito della controversia, quindi in sostanza sono atti di impulso quelli ai quali si da rilievo.

21 La differenza fra compromesso e clausola compromissoria è data dal fatto che il primo viene stipulato per dirimere una controversia già sorta, mentre con la seconda si stabilisce a priori il ricorso all'arbitrato in caso di insorgenza di una lite.

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Non essendo la clausola intersindacale un vero e proprio patto compromissorio vincolante per le parti, ma semplicemente una mera autorizzazione a che le parti stipulino un accordo arbitrale, al fine di sottrarsi a essa non è richiesta una volontà espressa contraria o peggio ancora l'esercizio di un'azione innanzi al giudice con conseguente inammissibile ipotesi di coartazione ad agire.

4.3 Arbitrato irrituale equitativo

Altra importante differenza rispetto a quanto previsto all'articolo 808,2° c., c.p.c per l'arbitrato rituale, sta nel fatto che l'articolo 5, l. n. 533/1973 non vieta agli arbitri di rendere una pronuncia equitativa, ed in particolare a seguito del d. lgs. n. 80/1998 che ha abrogato il comma 2° dell'art 5, l. n. 573/1793 (che sanciva l' invalidità del lodo contrastante con norme inderogabili di legge o di contratto collettivo) si apre un ampio spiraglio per una decisione secondo equità che diviene ammissibile anche laddove violi norme imperative di contratti collettivi, essendo sufficiente il rispetto delle norme inderogabili di legge: l' equità infatti è comunque destinata a cedere al disposto inderogabile di legge dovendo l' abrogazione del comma 2° dell'articolo 5 della l. n 533/1973 coordinarsi con le norme generali sulla impugnativa del lodo irrituale e in specie con l' articolo 1418 c.c che sanziona con la nullità le manifestazioni della autonomia privata che violano le norme di legge imperative. L' equità a cui si sta facendo riferimento, ammessa anche in deroga a norme imperative di contratti collettivi, costituisce pur sempre un giudizio, anche se non più secondo diritto, e rappresenta una regola che comunque resta obiettiva, pur non essendo codificata dal legislatore o nel contratto collettivo, che gli arbitri traggono dalla comune esperienza come più rispondente al caso concreto.

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4.4 Regime di impugnazione del lodo irrituale

Per quel che riguarda il regime dell'impugnazione, grazie all'abrogazione del 3° co. dell'articolo 5 l. n. 533/1973, il lodo irrituale ha acquisito una peculiare stabilità e ad oggi non può più essere assimilabile ad una rinuncia o transazione del lavoratore: il lodo irrituale risulta del tutto insensibile alle norme dispositive come anche imperative di fonte collettiva e dispositive di fonte legislativa.

Ma il venir meno del richiamo all'articolo 2113 c.c - dovuto all'abrogazione dei commi 2° e 3° dell'articolo 5, l. n. 533/1973 ad opera degli interventi legislativi del 1998- ha degli ulteriori riflessi: tali forme speciali da un lato avevano messo in dubbio la legittimazione ad impugnare da parte del datore di lavoro ( limitata nel' articolo 2113 c.c al solo lavoratore) nonostante che il carattere processuale del mezzo imponesse di riferir la legittimazione al soccombente; dall'altro lato avevano consentito una impugnativa stragiudiziale che mortificava la stabilità del dictum arbitrale. La soppressione di ogni richiamo all'articolo 2113 c.c riconduce il lodo irrituale del lavoro nella disciplina di diritto comune, più nello specifico essendo assimilabile agli effetti di un atto di autonomia privata, il lodo irrituale sarà impugnabile con le ordinarie azioni contrattuali in base al criterio della soccombenza: per nullità ex articolo 1418 c.c, per annullabilità ex articolo 1425 c.c. e per eccesso di mandato ex articolo 1711 c.c.

Il lodo irrituale del lavoro, come anche quello di diritto comune, si sottrae ad ogni indagine sul giudizio di fatto e di diritto compiuto dagli arbitri, fatta eccezione per la contrarietà a norma imperativa di legge (fonte di nullità), per l'errore revocatorio (fonte di annullabilità) e per la violazione di mandato affidato agli arbitri con il patto compromissorio con la nomina o con qualunque atto voluto dalle parti.

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